Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2423 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2423 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME nato a BARI il 15/12/1973 COGNOME NOME nato a BARI il 29/10/1974
avverso la sentenza del 15/02/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di BARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi udito il difensore di COGNOME, avv. COGNOME NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
uditi i difensori di COGNOME avv.ti COGNOME e NOME COGNOME che si riportano ai motivi di ricorso ed alla memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 12.12.2022, la Prima Sezione di questa Corte annullava la pronunzia della Corte di Assise di Appello di Bari del 22.11.2021, nei confronti di COGNOME Umberto, ritenuto colpevole dei delitti di omicidio pluriaggravato in concorso, di detenzione e porto illegale in luogo pubblico di armi automatiche e di furto pluriaggravato in concorso di autovettura, limitatamente alla misura della diminuzione di pena per l’attenuante di cui all’art.8 d. I. n.152/1991, e nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME ritenuto colpevole dei delitti di omicidio pluriaggravato in concorso e di detenzione e porto illegale in luogo pubblico di armi automatiche, di rapina in concorso, di furto pluriaggravato in concorso, quanto ai delitti di cui ai capi 1), 2) e 4) ed al trattamento sanzionatorio per delitto di rapina di cui al capo 3), con rinvio ad altra sezione della Corte di Assise di appello di Bari per un nuovo giudizio, dichiarando irrevocabile la sentenza nei confronti di COGNOME quanto all’affermazione di responsabilità per il delitto di cui al capo 3).
Il processo ha per oggetto l’omicidio di NOME COGNOME che ha costituito il terminale di una premeditata ed insistita attività delittuosa che gli appartenenti al clan barese RAGIONE_SOCIALE avevano deciso di porre in essere, al fine di riaffermare il prestigio della consorteria, colpendo un componente del clan avverso, obiettivo raggiunto dopo l’organizzazione e la predisposizione di mezzi per l’agguato e la costante attività di appostamento del gruppo di fuoco che, conclusivamente era sfociata nell’attentato mortale portato a termine con l’uso delle armi descritte nel capo di imputazione.
1.2 Per quanto concerne la posizione di NOME COGNOME, la sentenza di annullamento di questa Corte rilevava che la circostanza speciale per la dissociazione si fonda sul mero presupposto dell’utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione di tipo mafioso e non può pertanto essere disconosciuta, o, se riconosciuta, la sua incidenza sul calcolo della pena non può essere ridimensionata, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato o alla capacità a delinquere dell’imputato, ovvero alle ragioni che hanno determinato l’imputato alla collaborazione (Sez. 2, n.18875 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281287). In particolare, la sentenza di annullamento ha evidenziato che il primo giudice, in base alla riconosciuta attenuante, aveva sostituito la pena dell’ergastolo, prevista per l’omicidio aggravato di cui al capo 1), con quella di venti anni di reclusione (limite massimo della forbice edittale da dodici a venti anni), mentre la Corte di assise di appello
ha ritenuto la pena di diciotto anni di reclusione “maggiormente adeguata alla spontaneità e all’importanza della collaborazione, pur tenendo conto dei citati elementi di segno contrario”, costituiti dalla “estrema gravità dei fatti”, dal “efferatezza della condotta” e dei “significativi precedenti” (v.pag.46 della sentenza impugnata, penultimo paragrafo). Rilevava la Corte che la sentenza di secondo grado, da un lato, è incorsa in un errore di diritto poiché ha indebitamente apprezzato, nell’individuare l’entità della riduzione della pena conseguente al riconoscimento dell’attenuante in parola, elementi di valutazione (gravità dei fatti, efferatezza della condotta, precedenti) estranei all’unico da tenere in considerazione (utilità obiettiva della collaborazione); dall’altro, h palesato una incongruenza logica nel suo ragionamento, in quanto, sebbene abbia formulato un positivo scrutinio sulla “importanza e spontaneità della collaborazione”, ha, poi, operato, anche per l’indebita interferenza degli elementi di cui sopra, rispetto al computo del primo giudice, una riduzione di soli due anni (da venti a diciotto), da reputarsi incoerente con quel positivo giudizio, poiché inferiore di soli due anni al limite edittale massimo previsto dall’art.416 bis 1 comma 3, cod. pen. e sensibilmente lontana da quello minimo, corrispondente alla riduzione della pena nella sua massima ampiezza (dodici anni).
1.3 Riguardo alla posizione di NOME COGNOME la sentenza di annullamento di questa Corte ha ritenuto fondata la censura del ricorrente con cui si critica l’iter motivazionale seguito dalla Corte di Assise di appello, in sintonia con i primi giudici, per affermare la sussistenza, nel caso in esame, di riscontri esterni individualizzanti alla chiamata in correità di NOME COGNOME ritenendo che la Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi elaborati da questa Corte, utilizzando quale elemento di riscontro le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME riconoscendo che, con riguardo alla fase esecutiva, il racconto di COGNOME non poteva riscontrare le accuse del propalante principale in quanto, avendo appreso i fatti de relato perché all’epoca detenuto, non indicava tra i componenti il gruppo di fuoco, NOME COGNOME. Questa Corte ha altresì rilevato che i giudici dell’appello hanno tuttavia ritenuto di riscontrare d narrato del COGNOME le dichiarazioni accusatorie del COGNOME con riferimento alla fase preparatoria dell’omicidio de quo nell’appartenenza del COGNOME al clan COGNOME, “che dell’omicidio di COGNOME aveva fatto una finalità fondamentale”; nelle frequentazioni con COGNOME nel periodo in cui l’omicidio fu realizzato; nella stretta vicinanza del COGNOME al COGNOME nelle più elevate gerarchie del clan; nella partecipazione diretta del COGNOME, unitamente a NOME COGNOME e NOME COGNOME, alla rapina dell’autovettura BMW con la consapevolezza che il citato mezzo sarebbe stato utilizzato nel tentato omicidio di NOME COGNOME del 19.12.2013; nella partecipazione del COGNOME all’acquisto del kalashnikov,
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finalizzato alla uccisione del COGNOME, sebbene solo quest’ultimo elemento poteva considerarsi quale riscontro esterno individualizzante rispetto all’omicidio de quo, mentre gli altri afferivano al contesto criminale in cui è pacificamente maturato il delitto e descrivono la posizione di rilievo nell’organigramma del sodalizio rivestita da COGNOME, in stretto rapporto con COGNOME, ma non lasciano emergere specifici indicatori del contributo concorsuale fornito dall’imputato in quel determinato giorno in relazione a quel determinato delitto, limitandosi ad accreditare, su un piano generale e generico, un’ipotesi di plausibilità del coinvolgimento del ricorrente in quella vicenda.
Rilevava, inoltre, questa Corte che non può costituire riscontro individualizzante, per l’agguato letale del 15 febbraio 2014, la partecipazione del COGNOME alla rapina dell’autovettura BMW utilizzata per il precedente attentato del 19.12.2013, non potendo instaurarsi, tra i due episodi, un nesso di derivazione necessaria, atteso che l’azione omicida del commando venne attuata a bordo di due vetture diverse dalla BMW.
Con riferimento all’acquisto dell’arma, questa Corte ha rilevato l’errore in cui è incorsa la Corte di Assise di appello nel considerare, sul punto, convergenti le dichiarazioni dei due propalanti, essendo la affermazione del COGNOME frutto di un parziale ma decisivo travisamento della prova dichiarativa in quanto, mentre COGNOME ha dichiarato di avere personalmente consegnato l’importo di 500,00 euro a Pace, COGNOME ha parlato di 600,00 euro, corrisposti, nella misura di metà (300) per uno, da COGNOME e da COGNOME, riscontrando una obiettiva divergenza sulla identità dei versanti (il nome di COGNOME lo ha fatto solo NOME, mentre COGNOME ha indicato se stesso come unico soggetto versante l’importo, senza fornire precisazioni sul contributo eventualmente fornito da altri sodali per arrivare a quella somma) e dunque è COGNOME a non riscontrare NOME su una circostanza decisiva per giustificare l’accusa di concorso in omicidio.
E ancora, rilevava questa Corte che il coinvolgimento del COGNOME nel furto della Fiat “Brava”, veicolo utilizzato per l’agguato mortale, risulta riferito solo COGNOME, sul punto non riscontrato da COGNOME che non parla dell’episodio, né da altri elementi di prova.
1.4 Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Assise di Appello di Bari, in sede di giudizio di rinvio, provvedendo sull’appello proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME in riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Bari del 21.04.2020, rideterminava la pena nei confronti di NOME COGNOME ritenuta la già riconosciuta attenuante di cui all’art.625 bis cod. pen. equivalente alle aggravanti contestate al capo 4), in quella ritenuta di giustizia nonché la
misura di sicurezza della libertà vigilata, confermando nel resto, in relazione alla posizione di NOME COGNOME, la sentenza appellata.
1.4.1 Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, la Corte territoriale ha rilevato che la condotta tenuta dal COGNOME per coadiuvare gli organi inquirenti nella raccolta degli elementi necessari alla ricostruzione dei fatti- reato ed all’accertamento dei responsabili degli stessi si sia connotata indubbiamente per oggettiva utilità e importanza ma che il compendio istruttorio a disposizione del giudicante ha potuto raggiungere la soglia della certezza probatoria grazie ad una serie di decisivi riscontri e che le dichiarazioni del collaboratore, pur conservando un buon grado di dettaglio, sono intervenute a distanza di anni dai fatti, incidendo, in senso negativo, sulla possibilità degl inquirenti di procedere ad approfondimenti di indagine e di reperire ulteriori riscontri rispetto alle affermazioni del collaboratore di giustizia, individuando quale pena adeguata al delitto di cui al capo 1), nell’ambito della forbice edittale stabilita dall’art.416 bis 1, comma 3, cod. pen., quella di anni quattordici d reclusione, pervenendo ad una pena finale di anni dodici e mesi quattro di reclusione, rideterminando ulteriormente la durata della misura della libertà vigilata in anni tre.
1.4.2 Con riferimento alla posizione di NOME COGNOME, la Corte territoriale, ha ribadito la valutazione di intrinseca credibilità del collaboratore NOME COGNOME, intraneo al clan RAGIONE_SOCIALE, svolgendo il ruolo di referente dell’articolazione territoriale di Noicattaro, insieme a NOME COGNOME, NOME COGNOME e ad altri soggetti, ha rinvenuto i necessari riscontri individualizzant alle dichiarazioni eteroaccusatorie di COGNOME nelle dichiarazioni rese, nel giudizio di rinvio, dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME tali da giustificare, al di là di ogni ragionevole dubbio, un’affermazione di penale responsabilità del COGNOME per tutti i reati ascritti nella imputazione.
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME affidato a due motivi qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. deducendo erroneo ed illegittimo computo della pena in relazione all’applicazione dell’art.8 D.L. 152/1991 proc. pen.
2.2 II secondo motivo di ricorso deduce violazione dell’art.606, lett. b) cod. proc. pen., per erronea ed illegittima applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata in relazione alla condizione di collaboratore di giustizia.
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato NOME COGNOME propone ricorso a mezzo dei difensori di fiducia, avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME affidato a cinque motivi qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1 Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge ai sensi dell’art.606, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art.603, comma 3, cod. proc. pen., impugnando l’ordinanza del 20.09.2023 che, disponendo la rinnovazione istruttoria con esame di due nuovi collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME ne violava i presupposti, nonché in relazione all’art.627, comma 3, cod. proc. pen., sui limiti della rivalutazione probatoria nell’ambito del compendio probatorio acquisito ex art.438 cod. proc. pen. omettendo di uniformarsi al dictum della sentenza di annullamento.
3.2 II secondo motivo di ricorso lamenta manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e) cod. proc. pen., in relazione all valutazione dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME rispetto al materiale probatorio esistente già valutato in sede di giudizio rescindente, deducendo la mancanza di riscontri individualizzanti.
3.3 Il terzo motivo di ricorso lamenta mancanza di motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione alle ragioni esposte nell’atto appello circa la ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione contestata nel delitto di cui al capo 1) dell’imputazione.
3.4 Il quarto motivo di ricorso lamenta mancanza di motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione alle ragioni esposte nell’atto appello circa la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art.7 L.203/1991.
3.5 Il quinto motivo di ricorso lamenta manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e in punto di trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati.
Posizione di NOME COGNOME.
2. Il primo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen. deducendo erroneo ed illegittimo computo della pena in relazione all’applicazione dell’art.8 D.L. 152/1991 proc. pen. è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
La Corte del rinvio, facendo corretta applicazione del presupposto oggettivo della circostanza attenuante speciale della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione di tipo mafioso e dei principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte, che presuppone la dissociazione e l’utilità del contributo dichiarativo prestato dall’imputato, prescindendo dalla qualità degli elementi probatori già emersi e dalla spontaneità da parte del collaboratore della revisione critica del proprio operato (Sez. 1 sentenza n. 31413 del 19/06/2015, Rv. 264756 imputati Ponticelli e altri; Sez. 1, sentenza n.48646 del 19/06/2015, Rv.265851; Sez. 6 sentenza n. 10740 del 16/12/2010 dep. 16/03/2011 Rv. 249373 imputati COGNOME e altri; Sez. 2, Sentenza n. 18875 del 30/04/2021, COGNOME, Rv. 281287 – 01), ha correttamente argomentato sulla utilità oggettiva della collaborazione prestata dal ricorrente ai fini della ricostruzione dei fatti.
La Corte territoriale ha, invero, valutato la oggettiva “utilità” ed importanza del contributo ricostruttivo fornito dal ricorrente per coadiuvare gli organ inquirenti nella raccolta di elementi necessari per la ricostruzione dei fatti-reato per l’accertamento dei responsabili degli stessi evidenziando che le dichiarazioni del collaboratore, nel corso dell’interrogatorio del 27.01.2017, hanno consentito di individuare il mandante dell’omicidio del COGNOME ed i componenti del commando armato responsabile dello stesso, di ricostruire dettagliatamente il movente e le fasi dell’agguato mortale, di stabilire le rispettive responsabilità anche in ordine ai restanti reati contestati nel giudizio, costituendo la base del percorso logico argomentativo che ha portato all’affermazione di penale responsabilità sua e degli altri imputati.
Quanto alla qualità, in termini di utilità e rilevanza, del contributo offerto d COGNOME, la Corte del rinvio ha correttamente tenuto conto del fatto che il compendio istruttorio ha potuto raggiungere la sogli’a della certezza probatoria solo grazie ad una serie di decisivi riscontri, da un lato, le dichiarazioni di al collaboratori di giustizia (da individuarsi, al di là delle dichiarazioni rese
NOME COGNOME utili anche se ritenute insufficienti dalla Cassazione, in quelle rese nel giudizio di rinvio da NOME COGNOME e NOME COGNOME), dall’altro, le prove documentali costituite da comunicazioni, annotazioni e verbali redatti dalla P.G. nel corso del procedimento nonché le sentenze definitive di condanna emesse per gli stessi fatti nei confronti di altri coimputati e ritualmente prodotte nel corso del processo.
Nella valutazione della concreta ed effettiva utilità oggettiva del contributo offerto dal collaboratore ai fini della ricostruzione dei fatti, la Corte territorial tuttavia evidenziato che le dichiarazioni auto ed etero accusatorie del COGNOME, pur conservando un buon grado di dettaglio, sono comunque intervenute a distanza di anni dai fatti, le indagini preliminari concluse, con conseguente impossibilità per gli inquirenti di procedere ad approfondimenti di indagine e di reperire ulteriori riscontri rispetto alle affermazioni del collaboratore di giustizia
Quanto alla determinazione della pena per effetto della applicazione della attenuante speciale in parola, alla luce della incidenza degli elementi sopra richiamati, la Corte territoriale non ha contravvenuto al principio di diritto dell utilità obiettiva della collaborazione e ha dato espressamente conto delle ragioni della entità della diminuzione della di pena, là dove in precedenza ha valutato, nello sviluppo della motivazione, la effettiva entità del contributo offerto da collaboratore, intervenuto a distanza dai fatti, non consentendo agli inquirenti di procedere ad approfondimenti di indagine e di reperire ulteriori riscontri rispetto alle affermazioni del collaboratore di giustizia.
Sicché ai fini dell’apprezzamento della “utilità obiettiva” della collaborazione assume rilievo la circostanza che la stessa venne incoata dal ricorrente quando non poteva più essere svolta ulteriore attività investigativa.
Non è, pertanto, illogica la commisurazione della diminuzione della pena base, imposta dalla necessità di contemperare le esigenze di premialità sottese al riconoscimento dell’attenuante con l’utilità concreta delle dichiarazioni rese dal ricorrente rispetto al preesistente quadro indiziario, in misura, peraltro, affatto congrua, nell’ambito della forbice edittale stabilita dall’art.416 bis 1, comma 3, cod. pen., (pari alla media tra il minino prescritto di un terzo e il massimo consentito di un mezzo) in quella di anni quattordici di reclusione, pervenendo ad una pena finale di anni dodici e mesi quattro di reclusione.
Affermazione, questa, che, nell’ancorare la misura della riduzione al coefficiente di novità degli apporti ed alla loro incidenza in relazione all informazioni aliunde acquisite (in coerenza, peraltro, con il rilievo, ribadito da ultimo da Sez. 2, n. 27808 del 14/03/2019, COGNOME, Rv. 276111, secondo cui «l’attenuante di cui all’art. 8 della legge n. 203 del 1991 è conseguenza del valido contributo fornito dall’imputato allo sviluppo delle indagini allo scopo di
evitare le ulteriori conseguenze della attività delittuosa»), non si pone in contraddizione con l’esclusione della rilevanza, ai medesimi fini, dei parametri afferenti alla obiettiva gravità del reato, alla capacità a delinquere di chi lo commesso ovvero ai motivi sottesi all’opzione collaborativa e che costituisce fisiologica espressione, non sindacabile in sede di legittimità, del discrezionale apprezzamento rimesso al giudice del merito (Sez. 1, Sentenza n. 43824 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277146 – 01).
2.2 Il secondo motivo di ricorso che deduce violazione dell’art.606, lett. b) cod. proc. pen., per erronea ed illegittima applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata in relazione alla condizione di collaboratore di giustizia, inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è inammissibile in quanto nuovo per non essere stato dedotto in precedenza nel giudizio di appello né risulta oggetto del giudizio di rinvio attinente alla misura della diminuzione di pena per riconosciuta attenuante di cui all’art.8 L.152/1991, oggi art.416 bis, comma 3, cod. pen.
Va, comunque, rilevato che, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza personale nei confronti dell’imputato ammesso al programma di protezione per i collaboratori di giustizia, il giudice, all’atto di vagliare l’applicazione nei confr dell’imputato di una misura di sicurezza personale, resta libero di operare apprezzamenti, ovviamente fondati su specifiche e significative emergenze, in ordine alla pericolosità sociale a dispetto dell’ammissione del soggetto interessato al programma di protezione per i collaboratori di giustizia, in ossequio a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, n. 20612 del 16/04/2004, COGNOME, Rv. 229525) con riferimento alla materia delle misure di prevenzione, ma estensibile, per identità di ratio, a quella delle misure di sicurezza, pure fondate sulla pericolosità sociale dell’agente. D’altro canto, ai fini del giudizio sulla pericolosità e, in particolare, sull’attualità di tale pericolo non ha alcun rilievo, di per sé, in vista della sua esclusione, la collaborazione del soggetto interessato e l’ammissione allo speciale programma di protezione. La scelta collaborativa, infatti, non implica automatica recisione con il precedente sistema di vita, dal momento che la predisposizione del programma di protezione non esige alcuna indagine sui moventi e sulle intenzioni del richiedente; ne deriva che la mera allegazione della qualità di collaboratore di giustizia è indifferente se non accompagnata dalla indicazione di elementi di riscontro in grado di convincere della sussistenza di un concreto e fattivo ripensamento del prevenuto in ordine alla sue esperienze e ai suoi progetti di vita (in questi termini cfr., tra le altre, Sez. 6, n. 1196 del 06/04/1999, COGNOME, Rv. 214750; Sez. 1, Sentenza n. 43824 del 19/06/2019, COGNOME, Rv. 277146 – 01).
Posizione di NOME COGNOME.
3. Il primo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ai sensi dell’art.606, lett. b) cod. proc. pen., in relazione all’art.603, comma 3, cod. proc. pen., impugnando l’ordinanza del 20.09.2023 che, disponendo la rinnovazione istruttoria con esame di due nuovi collaboratori di giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME ne violava i presupposti, nonché in relazione all’art.627, comma 3, cod. proc. pen., sui limiti della rivalutazione probatoria nell’ambito del compendio probatorio acquisito ex art.438 cod. proc. pen. omettendo di uniformarsi al dictum della sentenza di annullamento, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
3.1.1 Quanto alla ordinanza di integrazione probatoria, va, preliminarmente, rilevato che, nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, non ricorre alcun obbligo di rinnovazione d’ufficio della prova dichiarativa ai sensi dell’art. 603, comma 3-bis, cod. proc. pen., atteso che il giudice del rinvio, nell’ambito del perimetro delibativo fissato dalla pronuncia rescindente, è libero di valutare autonomamente i dati probatori e la situazione di fatto concernente i punti oggetto di annullamento, mentre l’eventuale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, ai sensi dell’art. 627, comma 2, cod. proc. pen., è subordinata allo scrutinio in ordine alla rilevanza per la decisione delle prove nuovamente richieste dalle parti con i motivi di appello (Sez. 5, Sentenza n. 5209 del 11/12/2020, dep. 2021, COGNOME Rv. 280408 – 01).
Nella specie, l’ordinanza impugnata è immune da vizi e censure in quanto correttamente, la Corte territoriale, uniformandosi al combinato disposto di cui agli artt.603, comma 3, e 626, comma 2, cod. proc. pen., ha ritenuto assolutamente necessaria ai fini della decisione la richiesta integrazione probatoria in relazione alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno manifestato la volontà di collaborare, rispettivamente, in data 14.01.2002 e in data 11.03.2022, costituenti prove nuove, aventi ad oggetto circostanze relative alla dinamica e agli autori dell’omicidio di NOME COGNOME, sopravvenute successivamente alla decisione della Corte di assise di appello, in considerazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di legittimità, in sede di annullamento, e ferma ogni valutazione in relazione all’attendibilità delle dichiarazioni eventualmente rese.
3.1.2 Quanto alla dedotta violazione del disposto di cui all’art.627, comma 3, cod. proc. pen., in relazione ai limiti della rivalutazione probatoria nell’ambit del compendio probatorio acquisito ex art.438 cod. proc. pen., va evidenziato che i poteri del giudice di rinvio sono diversi a seconda che l’annullamento sia stato pronunciato per violazione o erronea applicazione della legge penale,
oppure per mancanza o manifesta illogicità della motivazione, giacché, mentre, nella prima ipotesi, il giudice è vincolato al principio di diritto espresso dall Corte, restando ferma la valutazione dei fatti come accertati nel provvedimento impugnato, nella seconda può procedersi ad un nuovo esame del compendio probatorio con il limite di non ripetere i vizi motivazionali del provvedimento annullato (Sez. 3, n. 7882 del 10/01/2012, COGNOME, Rv. 252333). Invero, il principio di diritto al quale il giudice di rinvio ha un obbligo assoluto e inderogabile di uniformarsi è soltanto quello che, a norma dell’art. 173, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio. Tale effetto vincolante non scaturisce, invece, da affermazioni esplicative della “ratio decidendi” e, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sè, le indicazioni riparatorie in punto di legittimità (Sez. 1, n. 8242 del 18/05/1999, COGNOME G, Rv. 213873). Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione, al contrario, il giudice di rinvio è investito di pieni poteri di cognizione e può – salv limiti nascenti da eventuale giudicato interno – rivisitare il fatto con pien apprezzamento ed autonomia di giudizio ed in esito alla compiuta rivisitazione addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito o condividerne le conclusioni purché motivi il proprio convincimento sulla base di argomentazioni diverse da quelle ritenute illogiche o carenti in sede di legittimità (Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413), non è vincolato né condizionato da eventuali valutazioni in fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando al solo giudice di merito il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova (Sez. 5, n. 36080 de 27/03/2015, COGNOME, Rv. 264861); a seguito di annullamento per vizio di motivazione, invero, il giudice del rinvio è chiamato a compiere un nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva il giudice la cui sentenza è stata annullata, fermo restando che egli non può ripetere il percorso logico censurato dal giudice rescindente e deve fornire adeguata motivazione sui punti della decisione sottoposti al suo esame (Sez. 5, n. 42814 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 261760); sicché non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilità sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello già censurato in sede di legittimità (Sez. 4, n. 20044 del 17/03/2015, S., Rv. 263864, che ha precisato che eventuali elementi di fatto e valutazioni contenuti nella pronuncia di annullamento non sono vincolanti per il Corte di Cassazione – copia non ufficiale
giudice di rinvio, ma rilevano esclusivamente come punti di riferimento al fine dell’individuazione del vizio o dei vizi segnalati e, non, quindi, come dati che si impongono per la decisione a lui demandata, di talché si devono ritenere inammissibili le censure sollevate in merito; ex multis, Sez. 5, n. 34016 del 22/06/2010, COGNOME, Rv. 248413).
Tanto premesso, il richiamo dei confini che permeano il presente giudizio di legittimità impone di osservare, preliminarmente, che le doglianze proposte dal ricorrente con riferimento all’asserita violazione dell’art. 627, comma 3, c.p.p. sono manifestamente infondate. E la manifesta infondatezza è apprezzabile già alla luce dell’argomentazione del ricorrente, che, nel richiamare testualmente la decisione di annullamento della Corte di cassazione, ne trae la conclusione che il giudice del rinvio ne avrebbe travisato il dictum, che imponeva la rivalutazione probatoria nei limitati cancelli del compendio probatorio acquisito ex art.438 cod. proc. pen., individuato nelle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME sul preciso punto della partecipazione economica all’acquisto dell’arma, evadendo il tema del travisamento sul materiale probatorio cristallizzato anche dalla pronuncia di legittimità.
La sentenza impugnata, emessa nel giudizio di rinvio, risulta, al contrario, immune dalle censure proposte, di illogicità e di violazione dell’obbligo di uniformarsi ai principi di diritto pronunciati in sede rescindente, avendo rivisitato completamente ed autonomamente gli specifici elementi indiziari la cui idoneità dimostrativa era stata revocata in dubbio, sulla base di una analitica e puntuale analisi dei singoli profili probatori e logici e, disponendo la integrazion probatoria di prove nuove (dichiarazioni di due collaboratori di giustizia) sopravvenute alla decisione di appello, ritenute assolutamente necessarie ai fini della decisione, ne ha valutato la intrinseca consistenza ed efficacia probatoria, nell’ambito di una lettura complessiva di tutti gli elementi indiziari, scevra da parcellizzazioni valutative, in tal senso assolvendo all’obbligo enucleato dalla sentenza rescindente, che aveva censurato l’assenza di riscontri esterni individualizzanti alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME in relazione al contributo concorsuale fornito dal ricorrente al delitto di omicidio contestato al capo 1) ed ai reati di cui ai capi 2) (detenzione e porto di armi automatiche usate per l’omicidio di COGNOME) e 4) (furto della Fiat Brava, utilizzata per il suddett omicidio) secondo i criteri di valutazione delle prove di cui all’art.192 cod. proc. pen. della completezza, correttezza e logicità del discorso motivazionale.
Sicché, ferma la valutazione delle specifiche doglianze proposte dal ricorrente, va chiarito che la Corte territoriale ha assolto all’obbligo d conformarsi alle indicazioni fornite dalla sentenza rescindente in ordine agli
approfondimenti valutativi, anche con specifico riferimento al dato dei “riscontri esterni individualizzanti”.
3.2 n secondo motivo di ricorso che lamenta manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, lett. e) cod. proc. pen., in relazione alla valutazione dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME rispetto al materiale probatorio esistente già valutato in sede di giudizio rescindente, deducendo la mancanza di riscontri individualizzanti alle dichiarazioni di NOME COGNOME, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
3.2.1 Va, preliminarmente, chiarito che la valutazione demandata a questa Corte è delimitata, da un lato, dai limiti coessenziali al giudizio di legittimità, c resta refrattario alla rivalutazione del merito, e, dall’altro, dall’applicazione del regole di valutazione probatoria, nei limiti in cui la verifica è stata disposta con l sentenza rescindente della Corte di cassazione (art. 627, comma 3, cod. proc. pen.).
Con riferimento ai limiti del giudizio di legittimità, va infatti rammentato che il sindacato di legittimità è circoscritto alla verifica sulla completezza e sull correttezza della motivazione di una sentenza, e non può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen. mediante una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito; le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento dei giudice non ha subìto il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767). Ed anche la novella codicistica, introdotta con la I. n. 46 del 2006, che ha riconosciuto la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicché gli atti eventualmente indicati devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso (ex multis, Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, Messina, Rv. 235716, che ha altresì precisato che resta esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella
effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova). Pertanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944), e l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dal testo della sentenza o da altri at specificamente indicati, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento e senza incorrere in vizi giuridici (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. 1, Sentenza n. 39846/2023).
Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative all valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, COGNOME, Rv. 182961).
3.2.2 Sotto il profilo della nuova complessiva disamina degli elementi indizianti, rimessa dalla Corte di cassazione al giudice del rinvio, la sentenza impugnata ha proceduto ad una rivisitazione completa della motivazione,
mediante riesame dei singoli elementi indiziari presenti e dapprima nella loro consistenza individuale, e poi nel loro coordinamento logico, alla rivalutazione della tenuta accusatoria delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME, ribadendo la valutazione di intrinseca credibilità del collaboratore NOME COGNOME, intraneo al clan RAGIONE_SOCIALE, che svolgeva il ruolo di referente dell’articolazione territoriale di Noicattaro, insieme a NOME COGNOME, NOME COGNOME e ad altri soggetti, rinvenendo i necessari riscontri esterni individualizzanti alle dichiarazioni eteroaccusatorie di COGNOME nelle dichiarazioni rese, nel giudizio di rinvio, dai due nuovi collaboratori di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME, tali da giustificare, al di là di ogni ragionevole dubbio, un’affermazione di penale responsabilità del COGNOME per tutti i reati ascritti nella imputazione.
In particolare, la Corte ha rilevato la assoluta convergenza delle dichiarazioni di COGNOME e di quelle di NOME COGNOME rispetto alla circostanza, integrativa di una condotta di concorso nei reati di omicidio, di porto e detenzione di armi e di furto della autovettura, della partecipazione anche del COGNOME:
– alla fase esecutiva dell’agguato mortale del 15.02.2014 nei confronti di NOME COGNOME quale componente del commando armato, composto dai “nojani” COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME (i primi due a bordo della Brava rubata, gli altri due a bordo di una Polo), della tipologia di armi utilizzate (una pistola, un fucile a pompa, un kalashnikov), confermando il Telegrafo, in termini del tutto congruenti la versione dei fatti fornita dal COGNOME circa la dinamica dell’omicidio, per averla appresa una settimana dopo i fatti, nel corso di un incontro con i componenti del clan, ossia da COGNOME, COGNOME e COGNOME, e precisamente sul fatto che era stato il COGNOME a sparare per primo due raffiche di mitra dall’interno del veicolo su cui viaggiava, mentre il COGNOME, sceso dall’altro mezzo, aveva sparato uno o due colpi prima che la pistola si inceppasse;
– ai fatti prodromici rispetto all’omicidio di COGNOME, il furto di una delle du autovetture (Fiat Brava), utilizzate per l’agguato (capo 4), in relazione al quale le dichiarazioni accusatorie di COGNOME nei confronti di COGNOME che individua gli autori del furto in esso COGNOME, COGNOME e COGNOME, che la Corte richiama, sono state valutate attendibili dai precedenti giudici e trovano conferma nella irrevocabilità della condanna del correo COGNOME e nelle dichiarazioni di NOME COGNOME che conferma che COGNOME era stato incaricato dal clan di procurarsi gli automezzi necessari a rintracciare Sifano sul territorio tanto che COGNOME si procura la BMW (delitto di rapina di cui al capo 3)), per il quale la condanna è divenuta irrevocabile) e anche la Fiat Brava; la colletta per l’acquisto del
kalashnikov da parte del gruppo (reato di detenzione e porto di cui al capo 2)), utilizzato per l’agguato, confermando, sul punto, Telegrafo COGNOME le dichiarazioni rese da NOME COGNOME (già valutate dalla Corte di cassazione come munite di portata individualizzante) rifendo che tutti e tre i gruppi che componevano il clan (San Paolo, Palo del Colle e Noicattaro), quindi, anche il gruppo dei nojani di cui COGNOME faceva parte, aveva contribuito all’acquisto del kalashnikov, sul punto correttamente sono state ritenute irrilevanti discordanti dichiarazioni dei collaboranti in ordine alla esatta misura in cui ciascun associato, espressione del gruppo di appartenenza, aveva contribuito alla colletta.
Ulteriori riscontri oggettivi esterni sono infine costituiti dall’acquisizione del sentenze irrevocabili di condanna con cui sono stati giudicati per gli stessi fatti tutti gli altri soggetti accusati di concorso nell’omicidio di Sifanno, nelle quali ricostruzione dei fatti corrisponde alla impostazione accusatoria coincidente con la presenza del COGNOME e l’assenza di NOME COGNOME nel commando armato, pronunce che forniscono piena prova dei fatti in esse accertati nella misura in cui costituiscono riscontro di altre prove già acquisite, considerato che NOME COGNOME e NOME COGNOME (sentenza Corte di Assise di Appello di Bari del 15.05.2019) confessano la partecipazione all’omicidio, come anche NOME COGNOME (sentenza Corte di Assise di Appello di Bari del 22.11.2021), gli ultimi due come esecutori materiali, e nei confronti di NOME NOME (sentenza Corte di Assise di Appello di Bari del 18.02.2018) quale mandante dell’omicidio, e di NOME del reato di cui al capo 4) (sentenza Corte di Assise di Appello di Bari del 15.05.2019).
La Corte individuava ulteriore significativo elemento del coinvolgimento del COGNOME nell’agguato mortale, come autore del “colpo di grazia” inferto alla vittima, la circostanza riferita dal Telegrafo, secondo cui, nel corso di un incontro conviviale tra i componenti del clan, avvenuto una settimana dopo i fatti, anche COGNOME aveva ricevuto un “rialzo” (una promozione all’interno della gerarchia del clan), quale premio per avere contribuito al raggiungimento di un importante obiettivo del sodalizio malavitoso, convergendo le dichiarazioni dei due collaboratori, mentre priva di rilievo, trattandosi di elemento non essenziale, è la circostanza che COGNOME, per il fragore dei colpi, non comprendeva se COGNOME avesse anche lui colpito la vittima in quanto la pistola gli si era inceppata.
Quanto alle versioni, offerte dai due collaboratori, nella parte in cui spiegano diversamente le ragioni per le quali NOME COGNOME non aveva partecipato alla spedizione armata, pur essendo particolarmente interessato alla morte di COGNOME, (Telegrafo parla di scelta condivisa, su insistenza del COGNOME), (COGNOME riferisce che l’assenza del COGNOME dal commando era frutto di una precisa scelta legata al fatto che quegli era stato descritto dal COGNOME come una
persona incapace di mantenere la calma in frangenti simili e poteva costituire un ostacolo al buon esito di un’eventuale azione di fuoco), entrambe comunque riconducibili ad una decisione del COGNOME, che non veniva rivelata al Telegrafo, in quanto non dotato di autocontrollo, non hanno influito sulla piena convergenza delle dichiarazioni sugli elementi essenziali del fatto.
Ebbene, la valutazione positiva, compiuta dalla Corte in sede di rinvio, sulla piena credibilità intrinseca delle dichiarazioni dei due nuovi collaboratori, connotate da coerenza e precisione, nonché provenienti da soggetti pienamente inseriti nel contesto criminale di riferimento, a conoscenza dei fatti più importanti verificatisi all’interno dello stesso, è corretta ed immune da censure e vizi di illogicità.
Invero, quanto al collaboratore NOME COGNOME la Corte del rinvio trae la valutazione di credibilità dall’avere rivestito una posizione di primo piano nell’ambito delle dinamiche che hanno portato all’uccisione di NOME COGNOME nonché per essere stato condannato per tale omicidio con sentenza passata in giudicato con conseguente assenza di convenienza dello stesso a ricostruire tale vicenda in termini a lui più favorevoli.
Quanto alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME teste de relato che non concorre all’omicidio né apprende i fatti nella immediatezza, ma riceve le confidenze, nel periodo successivo all’omicidio, dal mandante NOME COGNOME durante la comune detenzione nel carcere di Bari, prima della commissione del fatto e anche dopo indicandogli i componenti del commando omicida nel fratello COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, da quest’ultimo che indicava anche il COGNOME e l’affiliato COGNOME che dal fratello NOME durante un colloquio in carcere, informandolo della vittoria del clan rispetto all’obiettivo di uccidere NOME.
Quanto alla valutazione della dichiarazioni di quest’ultimo collaboratore, la motivazione è immune da vizi e censure laddove ha ritenuto che la diversa modalità, de relato, di apprendimento dei fatti si riflette sui contenuti dell deposizione (questione dei componenti del gruppo omicida si connota in termini di equivocità e indeterminatezza sia con riguardo all’elemento numerico (4-5 persone) sia con riguardo all’identificazione dei componenti, tra i quali inizialmente il Telegrafo non aveva neppure ricompreso COGNOMEcondannato in via definitiva per l’omicidio quale componente del commando con sentenza della Corte di Appello di Bari del 9.07.2020, irrevocabile il 17.09.2021) e che aveva indicato NOMECOGNOME mai indicato dagli altri propalanti ed assolto in via definitiva dalla imputazione di omicidio di COGNOME.
Passando all’esame dei singoli motivi di ricorso, che si caratterizzano per un approccio atomistico e parcellizzato – proprio il vizio addebitato alla sentenza
impugnata -, va innanzitutto osservato che le censure proposte appaiono dirette, non già a scardinare la tenuta logica della motivazione, bensì ad attaccare i dettagli della complessa ed articolata sentenza impugnata, la cui coerenza logico-giuridica, al contrario, non risulta affatto scalfita. Orbene, il controllo legittimità, concerne il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
La mancanza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, peraltro, conseguire a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché il giudice di merito abbia spiegato le origini del maturato convincimento in modo logico ed adeguato e senza incorrere in vizi giuridici» (cfr. ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 39846/2023).
La motivazione è, dunque, immune da censure di illogicità, laddove l’approccio del ricorso risulta, invece, l’esito di una parcellizzazione degli elementi indiziari, nella loro sequenza logica e cronologica, che oblitera l’insegnamento secondo cui, premesso che nella valutazione complessiva ciascun indizio si somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto, la prova logica che non costituisce uno strumento meno qualificato rispetto alla prova diretta (o storica), quando sia conseguita con la rigorosità metodologica che giustifica e sostanzia il principio del cosiddetto libero convincimento del giudice (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191230).
La possibilità che plurime dichiarazioni di coimputati nel medesimo reato (o in procedimento connesso o collegato ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen.) siano idonee a fungere da riscontro reciproco è una acquisizione stabile della giurisprudenza di legittimità, ribadita in molteplici arresti di questa Corte concordi nel richiedere che tali dichiarazioni convergano sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di un’insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. U., n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 255145; Sez. 1, n.
7643 del 28/11/2014, dep. 2015, COGNOME e altro, Rv. 262309; Sez. 1, n. 34102 del 14/07/2015, COGNOME e altro, Rv. 264368). In tali pronunce si è affermato che, in tema di valutazione della convergenza delle dichiarazioni di reità o di correità dei collaboranti e, più in generale, della concordanza della prova orale, questa Corte di cassazione ha avuto modo di stabilire il principio di diritto, secondo il quale il “nucleo essenziale” della propalazione deve essere individuato e apprezzato non già in termini astratti dal contesto delle rappresentazioni, con esclusivo e limitato riferimento all’azione tipizzata dalla norma incriminatrice, bensì in rapporto allo “specifico fatto materiale oggetto dalla narrazione” nella sua interezza e alla stregua del rilievo assegnato dal dichiarante, nell’impianto narrativo, agli accadimenti, ai fatti, alle circostanze evocati. Analogo criteri merita di essere adottato nella valutazione della prova orale rappresentativa di fatti assai remoti nel tempo in relazione alle fisiologiche discrasie e incertezze comportate dall’inevitabile affievolimento del ricordo nella rielaborazione mnemonica del dichiarante. Sicché è stato ritenuto plausibile che particolari e dettagli secondari possano svanire o confondersi ovvero, addirittura, che neppure siano mai stati fissati nella memoria della fonte al momento della originaria percezione sensoriale. Invero, l’esigenza di convergenza e di concordanza fra le dichiarazioni accusatorie provenienti da diversi soggetti rientranti fra quelli menzionati nei commi terzo e quarto dell’art. 192 cod. proc. pen., in funzione di reciproco riscontro fra le dichiarazioni stesse, non può essere spinta al punto di pretendere che queste ultime siano totalmente sovrapponibili tra di loro, in ogni particolare, spettando invece pur sempre al giudice il poteredovere di valutare, dandone atto in motivazione, se eventuali discrasie possano trovare plausibile spiegazione in ragioni diverse da quelle ipotizzabili nel mendacio di uno o più fra i dichiaranti (Sez. 1, Sentenza n. 17370 del 12/09/2023, dep. 2024, COGNOME Rv. 286327 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’impugnata sentenza ha operato nel pieno rispetto di tali linee guida, dando adeguatamente conto dell’attendibilità intrinseca ed estrinseca tributata sia alle propalazioni del collaboratore NOME COGNOME ritenute l’asse portante del compendio probatorio, che a quelle del collaboratore NOME COGNOME assunto a riscontro estrinseco del primo, con argomentazioni scevre da vizi logici di sorta e diffusamente illustrate alle pagine 9/15 della motivazione. In tali spazi sono state affrontate tutte le censure della difesa, qui riproposte, in particolar modo analizzando la genesi dei contributi informativi alla luce della storia criminale dei propalanti e delle ragioni della decisione collaborativa, nonché degli ulteriori parametri richiesti per vagliare la validità delle informazioni.
Non è qui possibile ripercorrere pedissequamente le argomentazioni con cui la Corte di Assise di appello ha confutato le critiche difensive su circostanze del
tutto marginali inidonee a scalfire la convergenza dei riscontri individualizzanti dei propalanti, supportati dalle pronunce irrevocabili di condanna per il medesimo fatto omicidiario nei confronti dei componenti il gruppo di fuoco, che hanno ammesso i fatti, e del mandante, dovendosi rimarcare, quelle maggiormente suggestive, quali, il ricordo di NOME COGNOME nel descrivere l’auto oggetto del furto di cui al capo 4), utilizzata per l’agguato del 15.02.2014, parla di una Fiat Bravo di colore blu anziché di una Fiat Brava di colore grigio, effettivamente trafugata, correttamente ritenuto inidoneo a far sorgere dubbi sull’attendibilità del collaboratore in quanto divergenza assolutamente giustificabile, tenuto conto del tempo trascorso, dell’ora tarda (di sera) in cui vede il mezzo nel momento di partenza del commando, dell’assonanza tra le due denominazioni del veicolo e della contiguità cromatica; le vicende relative alla squadra del Bari che COGNOME COGNOME dichiara di avere seguito, insieme al vicino di casa, nella trasferta a Modena, partendo la stessa sera dell’agguato mortale e assistendo il giorno dopo alla partita, in cui la squadra del Bari aveva subito una sconfitta, considerate irrilevanti, non ritenendo, correttamente, la Corte che il collaboratore abbia voluto precostituirsi un alibi a fronte del dirett coinvolgimento nell’omicidio in quanto ottenuta la morte del COGNOME non aveva motivo per restare e rinunciare alla trasferta a Modena, già organizzata e anzi la circostanza poteva essere utile a rimarcare la sua estraneità ai fatti; la specifica discrasia, invocata dalla difesa, tra la dichiarazione di NOME COGNOME sulla giornata dell’omicidio che trascorre insieme al COGNOME a perlustrare il quartiere di Japigia di Bari nella vana ricerca del Sifanno, e le dichiarazioni del COGNOME, secondo cui quel giorno egli sarebbe giunto a Bari da Noicattaro insieme a COGNOME, COGNOME e COGNOME, ritenuta irrilevante considerato che COGNOME, unico del gruppo di Noicattaro che si spostava quotidianamente a Bari per aiutare COGNOME nella ricerca di COGNOME, quel giorno poteva avere partecipato alla perlustrazione nel quartiere per poi tornare a Noicattaro per poi ritornare con il gruppo a Bari, come non può escludersi un falso ricordo sul punto da parte di uno dei due propalanti; il dato della incongruenza del punteggio della partita Modena-Bari con i numeri indicati con la mano da NOME COGNOME al fratello NOME durante il colloquio in carcere, spiegando quest’ultimo che i due fratelli avevano usato il discorso calcistico come espediente per mascherare le confidenze di NOME al fratello circa l’omicidio di COGNOME, parlando incongruamente di vittoria del Bari (battuto 4 a 0) riferendosi alla vittoria sul clan rivale. La divergenza nel ricordo dei numeri fatti con la mano (NOME, 3 a 1, NOME, 4 o 5) riferendosi ai componenti il commando, ritiene la Corte territoriale che non possa condurre ad una valutazione di inattendibilità dell’intera narrazione di NOME Telegrafo, il gesto 3+1 confermerebbe il Corte di Cassazione – copia non ufficiale
numero complessivo dei componenti del commando di cui 1 non proveniente da Noicattaro, circostanza che non vale a dimostrare che lui ne faceva parte insieme ad altri 3 diversi da lui perché appartenenti al gruppo di Noicattaro, gesto comunque equivoco e irrilevante di fronte alla completa convergenza del narrato sugli elementi essenziali del fatto;
Parimenti corretta ed immune da vizi è la motivazione laddove ritiene irrilevanti le deduzioni difensive che, da un lato, ritengono sussista piena coincidenza delle dichiarazioni dei collaboratori per avere i due nuovi propalanti appreso le dichiarazioni del COGNOME leggendole in quanto ormai pubbliche, dall’altro, invece, che tra tali dichiarazioni vi sarebbero contraddizioni e incongruenze (effettiva composizione del commando, anche rispetto alla fase preparatoria dell’agguato) da giustificare una valutazione di inattendibilità dei collaboratori, atteso che, come correttamente affermato dalla Corte di merito, le discordanze non attengono al nucleo fondamentale della narrazione bensì ad elementi e circostanze marginali che non ne inficiano la piena convergenza sugli elementi essenziali della partecipazione ai reati contestati ai capi 1), 2) e 4) e non ne compromettono la complessiva attendibilità ma ne confermano la sincerità.
La decisione, dunque, appare pienamente conforme ai principi di diritto costantemente ribaditi da questa Corte, secondo cui, in tema di valutazione della prova indiziaria, il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e non solo verosimili o supposti) e l’intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il reato all’imputato “al di là di ogni ragionevole dubbio” e, cioè, con u alto grado di credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle risultanze processuali ed estranee all’ordine naturale delle cose 20 e della normale razionalità umana (Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, COGNOME, Rv. 266941).
Il terzo motivo di ricorso che lamenta mancanza di motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen. in relazione alle ragioni esposte nell’atto appello circa la ritenuta sussistenza dell’aggravante della premeditazione
contestata nel capo 1) dell’imputazione, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sul punto, la motivazione è congrua ed immune da vizi e censure in quanto, espressamente, sia nella parte concernente il merito che in punto di trattamento sanzionatorio, diffusamente descrive, in modo compiuto ed esaustivo, la genesi del proposito omicidiario, riconducibile alla decisione del capoclan COGNOME nell’ambito dei contrasti con il clan mafioso rivale COGNOME, proposito lungamente condiviso dal clan COGNOME dal clan nelle sue varie articolazioni, compresa quella di Noicattaro cui appartenevano COGNOME e COGNOME mediante riunioni cui partecipano i sodali anche per preparare l’agguato e ripartire i compiti, la pianificazione in ogni minimo dettaglio del delitto, procedendo a procurarsi i mezzi (due autovetture), le armi (una pistola, un fucile a pompa ed un kalashnikov al cui acquisto partecipano tutte le articolazioni del clan con una colletta) per colpire la vittima, il rinvio del proposi in ragione di circostanze impeditive verificatesi nell’imminenza degli agguati, la persistenza del proposito che viene mantenuto fermo e si radica nel tempo (da novembre 2013 sino all’attuazione del 15 febbraio 2014), nonostante i plurimi tentativi falliti, rimandando alla sentenza di primo grado in punto di trattamento sanzionatorio.
Il giudice del rinvio ha, quindi, tenuto conto del requisito ideologico della decisione (proveniente dal capo clan COGNOME e la conforme deliberazione attuativa degli imputati) mantenuta ferma ed irrevocabile dal momento della deliberazione a quello della attuazione, di quello cronologico in quanto tra l’insorgenza del proposito criminoso e la sua attuazione è decorso un intervallo di tempo più che apprezzabile sia sotto l’aspetto quantitativo (quattro mesi) sia sotto quello qualitativo (nel corso dei quali si sono susseguiti diversi tentativi non riusciti, una vera e propria caccia all’uomo protrattasi con cadenza quasi quotidiana), in concreto sufficiente a far riflettere l’agente sulla decisione presa ed a consentire il prevalere dei motivi inibitori su quelli a delinquere, mantenendosi fermo e radicandosi nel tempo, nonché del requisito attuativo, in quanto gli imputati si recarono sul luogo dell’agguato in quattro, muniti di armi e di due autoveicoli con i quali accerchiarono la vittima, sola, senza lasciare alcuna possibilità di fuga (Sez. 5, Sentenza n. 26406 del 11/03/2014, Rv. 260219 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 574 del 09/07/2019, dep. 2020, Rv. 278492 – 01).
Quanto alle circostanze dell’agguato, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto sussistere l’aggravante della premeditazione quando, ricorrendo in apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione dello stesso, l’agente esegua il delitto già programmato in seguito ad un incontro occasionale con la vittima, circostanza che ha costituito l’occasione
per il compimento di quanto ormai ineluttabilmente deliberato (Sez. I, 24.01.2017, dep.2018, n.16142) in quanto, pur in assenza di un piano specificamente predisposto per quella sera, i compartecipi, dopo l’ennesima caccia all’uomo protrattasi nel tempo con cadenza quotidiana, approfittavano di una favorevole convergenza di circostanze, correttamente ritenendo la condotta non estemporanea.
Sul punto le pronunce dei giudici di merito si integrano, ricorrendo la cd. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione del prove, con la conseguenza che le sentenze di primo e secondo grado possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
3.4 II quarto motivo di ricorso, che lamenta mancanza di motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione alle ragioni espost nell’atto di appello circa la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art L.203/1991, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Sul punto, la motivazione è congrua ed immune da vizi e censure in quanto, espressamente, nella parte concernente il merito diffusamente richiama la aggravante di cui all’art.7 L.203/1991 (ora 416 bis 1 cod. pen.) contestata sia nella forma del ricorso al metodo mafioso che in quella della finalità agevolatrice della condotta, in relazione alle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME, che descrivono, in modo preciso, coerente e concordante, le vicende del clan mafioso COGNOME-Telegrafo, cui sono entrambi affiliati, il primo con ruolo di referente dell’articolazione di Noicattaro, insieme a COGNOME, COGNOME e altri soggetti, il secondo affiliato dall’estate 2013, le ragioni per cui era sorta l’osti del clan rivale COGNOME, il contesto (storica contrapposizione tra clan RAGIONE_SOCIALE e clan Mercante) e in cui matura la decisione del capo clan NOME COGNOME di uccidere NOME COGNOME e le ragioni specifiche di tale decisione nel rafforzamento del prestigio criminale del clan e del suo capo, NOME COGNOME, compromesso all’interno del territorio di riferimento di Bari Japigia dalle condotte del Sifanno culminate nel grave gesto dimostrativo di porre in essere sparatorie proprio sotto l’abitazione del COGNOME.
Al riguardo, viene correttamente evidenziata, nella parte motiva, l’appartenenza di COGNOME, COGNOME e COGNOME ad un’associazione per delinquere armata di stampo mafioso, con precisa ripartizione di ruoli (NOME COGNOME, capoclan e mandante dell’omicidio, COGNOME, referente dell’articolazione
di Noicattaro, partecipe alla organizzazione del delitto ed esecutore materiale, COGNOME, affiliato e partecipe alla organizzazione del delitto, COGNOME affiliato partecipe alla organizzazione del delitto ed esecutore materiale) in forte contrapposizione al clan rivale COGNOME, riscontrata anche nelle sentenze irrevocabili acquisite nel presente giudizio.
Sotto il profilo la motivazione correttamente richiama integralmente, in punto di trattamento sanzionatorio, la pronuncia di primo grado, che, al riguardo, ritiene integrata l’aggravante anche sotto il profilo del metodo mafioso in relazione alle modalità esecutive dell’azione omicidiaria reputandole in concreto idonee ad evocare la forza intimidatrice tipica dell’agire mafioso e tale da evocare l’esistenza di sodalizi amplificatori della valenza criminale del reato commesso mediante un’azione in maniera evidente e provocatoria di atteggiamenti di particolare coartazione ed intimidazione proprie delle organizzazioni mafiose della specie considerata, riscontrando la presenza degli indicatori oggettivi del metodo mafioso nella partecipazione al reato e il coinvolgimento in procedimenti di criminalità organizzata, il contesto ambientale in cui matura l’azione criminale, le infiltrazioni di stampo mafioso nel tessuto economico-sociale della città di Bari, la storica contrapposizione tra i due clan mafiosi rivali (RAGIONE_SOCIALE) (Sez. 2, n.22096 del 3/07/2020, COGNOME, Rv 279771; Sez. 2, n.27548 del 17/05/2019, Bruzzese, Rv 276109).
Sul punto le pronunce dei giudici di merito si saldano ricorrendo la cd. “doppia conforme” con la conseguenza che le sentenze di primo e secondo grado possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale (Sez. 2, Sentenza n. 37295 del 12/06/2019, Rv. 277218 – 01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
3.5 II quinto motivo di ricorso che lamenta manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606 lett. e) cod. proc. pen., in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e in punto di trattamento sanzionatorio è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che, per giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931). Le conclusioni ragionate e argomentate del giudice del merito sul diniego del riconoscimento
delle circostanze attenuanti che, condividendo la motivazione del primo giudice, richiamano, da un lato, l’assenza di specifici elementi positivamente valorizzabili a tal fine, dall’altro, l’estrema gravità dei fatti contestati, costituenti epilogo di progetto omicida che durava da tempo, desumibile dalle modalità della condotta posta in essere dal COGNOME, partecipando attivamente non solo alla fase preparatoria dell’omicidio, procurando i mezzi necessari per realizzare la prolungata caccia all’uomo poi esitata nell’uccisione del COGNOME, ricoprendo un ruolo decisivo anche nella fase esecutiva del crimine, in quanto membro del gruppo di fuoco che affrontò la vittima, nonché autore della condotta materiale consistita nello scendere dal mezzo, incurante di essere visto da occasionali passanti, avvicinarsi a quello in cui la vittima giaceva già colpita da precedenti raffiche di mitra e spararle almeno un ulteriore colpo di pistola prima che l’arma si inceppasse, per essere certo di finirlo, la particolare intensità del dolo, i plurim e gravi precedenti penali, la cui valenza non è stata correttamente esclusa per la risalenza nel tempo e l’assenza di qualsiasi segno di resipiscenza, sono, pertanto, incensurabili.
Invero, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre.
Al cospetto di ciò, il ricorrente si è limitato genericamente ad affermare che la Corte territoriale non avrebbe osservato l’obbligo motivazionale. A parte la genericità della doglianza, la sentenza impugnata non merita la censura che le viene mossa perché il giudice di appello, nel determinare l’efficacia che una attenuante ad effetto comune produce in ordine alla rivendicata riduzione del carico sanzionatorio, che l’impugnante reclama, non è necessario che prenda in considerazione gli elementi favorevoli dedotti dalla parte, fosse anche per disattenderli, ma è sufficiente che egli, facendo riferimento a quelli sfavorevoli ritenuti rilevanti e, in quanto tali, stimati ostativi ad una ulteriore riduzione de pena inflitta, abbia riguardo al trattamento sanzionatorio nel suo complesso, ritenendolo congruo rispetto alle esigenze di individualizzazione della pena, imposte dall’art. 27 Cost. in modo da ragguagliarla alle necessità di rieducazione del reo, con la conseguenza che una cifra inferiore di pena altererebbe il criterio della proporzionalità della sanzione inflitta in rapporto alla gravità del reato e all funzione rieducativa che la pena deve assicurare. Peraltro, questa Corte – in un
non recente orientamento, al quale, per le ragioni in precedenza espre occorre dare continuità – ha affermato che, nell’applicazione di un cr eminentemente discrezionale, come quello concernente la determinazione della riduzione della pena conseguente al riconoscimento di una circostanz attenuante, non si può pretendere dal giudice di merito la precisazio specifiche ragioni, essendo sufficiente che possa desumersi dalla motivazio che il giudice ha esercitato il suo potere discrezionale con senso di equi proporzione (Sez. 5, n. 699 del 08/05/1967, COGNOME, Rv. 104781) e di ciò Corte di Assise d’appello ha dato ampiamente atto (cfr. ex multis, Cass. P Sez. 2, Sentenza n. 17347 del 26/01/2021; Cass. Pen., Sez. 7, Ordinanza 39396 del 27/05/2016).
In ragione di tutte le suesposte argomentazioni i ricorsi vanno dichi inammissibili e condannati i ricorrenti al pagamento delle spese processual alla somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de Ammende.
Così deciso in Roma il 11/10/2024.