Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20043 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20043 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/09/2023 del TRIB. LIBERTA di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG NOME COGNOME Il P.G. si riporta alle conclusioni scritte e e conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore
E’ presente l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di NAPOLI in difesa di COGNOME NOME che conclude chiedendo raccoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale del riesame di Napoli ha confermato l’ordinanza in data 24/07/23 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che applicava a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere in ordine all’omicidio di NOME, commesso in Napoli-Secondigliano il 21.11.2004, aggravato dalla premeditazione e ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen. (maturato, invero, nella faida tra il RAGIONE_SOCIALE COGNOME e gli RAGIONE_SOCIALE e riconducibile al primo).
Avverso la suddetta ordinanza propone ricorso per cassazione NOME COGNOME, tramite il proprio difensore di fiducia.
2.1 Col primo motivo di impugnazione lamenta violazione dell’art. 414 cod. proc. pen. e vizio di motivazione.
Rileva il difensore che l’ordinanza impugnata va annullata in quanto non poteva procedersi nei confronti dell’indagato per l’illegittimità del provvedimento di riapertura delle indagini.
Osserva, a tale riguardo, che, dopo una prima archiviazione, vi era stato un provvedimento di riapertura delle indagini (nel 2018) al quale aveva fatto seguito, su richiesta degli Inquirenti del 16 settembre 2019, una nuova archiviazione, in data 10 febbraio 2020; e che in seguito, il 14 dicembre 2020, il P.m., sulla scorta delle sole dichiarazioni acquisite dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME, chiedeva la riapertura delle indagini che veniva autorizzata dal G.i.p. con provvedimento del 21/22 dicembre 2020.
Lamenta, quindi, il difensore l’illegittimità del decreto di riapertura delle indagini in quanto basato sul medesimo compendio investigativo di cui disponevano al momento della richiesta di archiviazione i Pubblici ministeri (che, peraltro, erano gli stessi della richiesta di riapertura), essendo l’elemento di novità costituito dal verbale di interrogatorio di COGNOME reso in data 28.1.2020, ossia quindici giorni prima del decreto di archiviazione e oltre dieci mesi prima dell’ultima richiesta di riapertura delle indagini. Ci si duole che gli Inquirenti né ebbero a revocare la richiesta di archiviazione già avanzata né ebbero ad inoltrare al G.i.p., investito della stessa, le dichiarazioni assunte dal collaboratore di giustizia perché detto Giudice le valutasse ai fini dell’archiviazione. Il suddetto verbale di interrogatorio non può, secondo la difesa, frN
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considerarsi un atto di indagine nuovo e sopravvenuto che legittimi la riapertura delle indagini; diversamente, secondo il difensore, si premierebbe l’inerzia o meglio la scelta strategica dell’Ufficio di Procura di non trasmettere gli atti già noti, benché successivi alla richiesta di archiviazione al Giudice per le indagini preliminari. Peraltro, rileva la difesa che tali dichiarazioni, essendo de relato da NOME COGNOME, sarebbero comunque incapaci di sorreggere l’accusa in giudizio in quanto non verificabili con lo strumento di cui all’art. 195 cod. proc. pen. e, quindi, anche sotto questo profilo non in grado di legittimare la riapertura delle indagini. Aggiunge che il fatto su cui fa leva il Tribunale del riesame, ossia che il difensore in sede di riesame non avrebbe manifestato tutti i suoi dubbi sulla regolarità della riapertura delle indagini, non corrispondente al vero (dandosi atto nello stesso provvedimento impugnato che questo fu proprio l’incipit della discussione difensiva), non rileverebbe, in quanto, trattandosi di condizione di procedibilità, poteva essere rilevata d’ufficio da detto Tribunale, come potrebbe essere rilevata dalla stessa Corte adìta.
2.2 Col secondo motivo di ricorso si denunciano violazione degli artt. 273 e 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., nonché vizio di motivazione.
Lamenta il difensore che: – per quanto riguarda la credibilità soggettiva dei collaboratori il Tribunale del riesame si è riportato integralmente alle valutazioni effettuate da altre Autorità Giudiziarie, senza operare un concreto giudizio di attendibilità soggettiva e oggettiva dei propalanti e delle loro dichiarazioni in relazione al fatto specifico da provare, che deve precedere quello dei riscontri individualizzanti; – lo stesso Tribunale pone a fondamento del titolo cautelare le propalazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e ritiene di non utilizzare nella valutazione complessiva le dichiarazioni di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; – nell’affermare l’attendibilità intrinseca di COGNOME, detto Tribunale rileva che ha trovato ripetutamente conferma in altre vicende (omicidio COGNOME per cui è stato condannato irrevocabilmente NOME COGNOME) e non è stata smentita neppure nell’ambito del procedimento per l’odierno omicidio a carico di NOME COGNOME; – trascura, però, lo stesso Tribunale che nella vicenda processuale COGNOME il collaboratore è stato ritenuto non spontaneo, avendo accusato solo dopo che gli erano stati contestati elementi tali da indicarlo coinvolto nell’assassinio per cui si procede, che,
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diversamente da quanto ritenuto dallo stesso Tribunale, a riprova della sua affidabilità, in relazione all’omicidio COGNOME non ha reso dichiarazioni auto-accusatorie, riferendo di non conoscere le reali intenzioni degli altri ai quali consegnava la donna, che le sue dichiarazioni per lo stesso omicidio nei confronti di NOME COGNOME non sono state ritenute sufficienti al raggiungimento della prova in ordine al ruolo di mandante di quest’ultimo e che le sue dichiarazioni nei confronti dell’odierno indagato erano state ritenute prive di riscontri individualizzanti, tanto da essere stata chiesta l’archiviazione nel settembre 2019; – nell’affermare l’attendibilità sul piano intrinseco-soggettivo di NOME COGNOME, il Tribunale si limita ad affermare che non sarebbe smentita da alcun elemento emerso dalle indagini e che non vi sarebbe alcun elemento da cui desumere un intento calunniatorio/ritorsivo nei confronti dell’indagato ovvero specifici motivi di risentimento, del resto nemmeno prospettati da quest’ultimo che si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere, nonché a fare riferimento ad una sorta di autoreferenzialità delle stesse dichiarazioni in assenza di verifica esterna; – il Tribunale del riesame, con riguardo alla posizione di NOME COGNOME, omette la verifica dell’attendibilità soggettiva-oggettiva, passando direttamente alla valorizzazione degli elementi di riscontro estrinseco della stessa, e, in particolare, del fatto che nel momento in cui lo stesso avrebbe appreso da NOME COGNOME che il fuoco all’auto di NOME con all’interno il suo cadavere era stato appiccato da NOME COGNOME il primo aveva i capelli rasati e che di detta circostanza avrebbe riferito anche NOME COGNOME; il Tribunale del riesame, pur di salvare l’attendibilità di COGNOME, le cui dichiarazioni su NOME COGNOME come mandante dell’omicidio sono sconfessate dall’assoluzione di quest’ultimo, afferma trattarsi di dichiarazioni sopravvenute rispetto al processo penale conclusosi avuto riguardo alle fonti probatorie a disposizione all’epoca, costituenti altresì riprova dell’affidabilità del collaboratore il quale, per accreditarsi presso gli Inquirenti, essendo a conoscenza dell’avvenuta assoluzione di NOME COGNOME, sarebbe dovuto pervenire a dichiarazioni opposte; – il Tribunale del riesame, affermando la conoscenza da parte di COGNOME di detta pronuncia, avrebbe dovuto ritenere il propalante a conoscenza anche delle dichiarazioni rese dagli altri collaboratori di giustizia e riportate in detta sentenza, e, quindi, le sue dichiarazioni non autonome e pertanto inutilizzabili; – la valutazione del Tribunale del riesame è illogica anche in relazione alla valutazione frazionata fatta sulle dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia; – il Tribunale del riesame, infine, non spiega le circostanze di fatto e di diritto che lo hanno indotto ad escludere dal giudizio complessivo di attendibilità e ovviamente anche dalla ricostruzione del fatto, le dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia e in particolare quelle di NOME COGNOME che ha riferito, per averlo appreso da NOME COGNOME, che ad avere sparato alla vittima e ad avere appiccato il fuoco all’autovettura sarebbe stato NOME COGNOME, nonché quelle di NOME COGNOME che ha individuato come unici autori dell’omicidio NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.3 Col terzo motivo di ricorso il difensore rileva violazione degli artt. 274, lett. c), e 275, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta pericolosità dell’indagato.
Si duole che il Tribunale del riesame abbia evinto il pericolo di recidiva dal titolo di reato, dalle modalità del fatto e dai precedenti penali dell’indagato, senza verificare in concreto detto pericolo e senza confrontarsi al riguardo con la cospicua documentazione difensiva da cui ricavare l’insussistenza dello stesso; in particolare con l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Palermo, che concedeva a COGNOME la misura alternativa della detenzione domiciliare, ovvero con la relazione di sintesi redatta presso il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, documentante la concessione al medesimo di due permessi premio, a riprova – entrambi i documenti del fatto che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale del riesame, lo stesso risulta avere iniziato un processo di revisione critica e di distacco dal contesto associativo e dalle sue logiche.
Rileva ancora la difesa che erroneamente il Tribunale del riesame ha ritenuto dotato di valenza neutra in relazione all’attenuazione del giudizio di pericolosità il lungo lasso temporale decorso dai fatti, nonostante altresì la prolungata carcerazione patita e comunque lo scompaginamento nelle more del contesto criminale a cui l’indagato è stato ritenuto collegato.
Conclude il difensore, scongiurato il pericolo di inquinamento probatorio e ritenuto non presumibile un pericolo di fuga per sottrarsi a un’eventuale condanna, per l’insussistenza di qualsivoglia esigenza cautelare.
Alla luce dei suddetti motivi insiste per l’annullamento con o senza rinvio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. Infondato è il primo motivo di impugnazione.
Va, invero, rilevato che all’atto della richiesta di archiviazione non erano intervenute le dichiarazioni di NOME COGNOME giustificative della successiva richiesta di riapertura delle indagini, assunte, invece, pochi giorni prima del decreto di archiviazione; e che, comunque, non è ravvisabile alcuna violazione dell’art. 414 cod. proc. pen., avendo il Tribunale del riesame, peraltro, motivato sulla necessità di riapertura delle indagini, determinata da elementi di assoluta novità investigativa, che consentivano, altresì, una rilettura complessiva del materiale indiziario già in possesso degli Inquirenti.
Né viene argomentato nel ricorso il pregiudizio che sarebbe derivato al diritto di difesa, a fronte di una valutazione dello sviluppo delle indagini e delle finalità investigative non sindacabile in questa sede, anche laddove gli approfondimenti investigativi prospettati non fossero diretti ad affermare in maniera esaustiva il ruolo concorsuale di COGNOME, ma fossero invece connessi alla necessità di accertare il fatto in tutti i suoi risvolti, anche quelli precedentemente trascurati.
Invero, l’art. 414 cod. proc. pen. non richiede, quale condizione necessaria per l’autorizzazione alla riapertura delle indagini, che siano già emerse nuove fonti di prova o che siano acquisiti nuovi elementi probatori, essendo invece sufficiente l’esigenza di nuove investigazioni, circostanza quest’ultima che è configurabile anche nel caso in cui si prospetti la rivalutazione, in un’ottica diversa e in base ad un nuovo progetto investigativo, delle precedenti acquisizioni (Sez. 5, n. 13802 del 17/02/2020; COGNOME, Rv. 278991 – 01).
1.2. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso.
La valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia da parte del provvedimento impugnato è del tutto conforme ai criteri di cui all’art. 192 cod. proc. pen. e all’interpretazione che di essi viene offerta dalla giurisprudenza di questa Corte.
Costituisce, invero, principio acquisito di detta giurisprudenza che i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273, commi 1 e 1-bis, cod. proc. pen. per l’applicazione di una misura cautelare personale, possono fondarsi sulle propalazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia,
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soggette anche in sede cautelare ai criteri di cui all’art.192, comma 3, cod. proc. pen. Propalazioni, che, oltre a soddisfare i requisiti di credibilità soggettiva e di attendibilità intrinseca propri della prova dichiarativa, devono essere corroborate da riscontri estrinseci di natura individualizzante, capaci di assumere idoneità dimostrativa in ordine alla partecipazione del chiamato ( in reità o correità che sia ) nel fatto-reato, che possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente, e quindi anche dalla convergente propalazione di altro collaborante (Sez. 1, n. 16792 del 9/04/2010, Rv. 246948), ferma restando, in relazione alla natura incidentale del procedimento de libertate, la diversità di oggetto della delibazione cautelare delle dichiarazioni accusatorie, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e qualificata probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella demandata al giudizio di merito, che è intesa invece all’acquisizione della certezza processuale della colpevolezza dell’imputato (Sez.1, n.1951 dell’1/04/2010, Iannicelli, Rv.247206; Sez.5, n.50996 del 14/10/14, S., Rv.264213).
Anche la sentenza delle Sezioni Unite n. 20804 del 29/11/12, dep. 2013, COGNOME ed altri, pur analizzando in modo specifico le problematiche relative alle chiamate in reità o in correità de auditu, sottolinea che «la genericità dell’espressione “altri elementi di prova” utilizzata dall’art. 192, comma 3, cod. proc, pen. legittima l’interpretazione secondo cui, in subiecta materia, vige il principio della “libertà dei riscontri”, nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendere non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo ed idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma».
Si osserva, inoltre, che – sempre secondo la giurisprudenza di legittimità – le dichiarazioni accusatorie rese da due collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano
sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi (Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014,dep. 2015, COGNOME e altro, Rv. 262309).
L’ordinanza impugnata fa corretto uso dei canoni di valutazione della prova appena esaminati e ne dà conto con un solidissimo percorso argomentativo, non meramente reiterativo di quello del primo Giudice, soffermandosi – da p. 28 in poi – sulla attendibilità soggettiva e intrinseca delle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME, COGNOME e COGNOME, facendo anche riferimento alle loro valutazioni in precedenti giudicati (sulle quali non si appiattisce), sull’autonomia genetica delle chiamate (diretta quella del primo, già condannato per l’omicidio in questione per avere attirato di fatto in trappola la vittima consegnandola nelle mani del commando composto anche da COGNOME, individuata come «chiamata principe»; e de relato, rispettivamente da COGNOME NOME che coordinava i gruppi di fuoco del RAGIONE_SOCIALE COGNOME e da NOME COGNOME che faceva parte col cugino NOME del commando, quelle dei secondi) nonché sulla loro capacità di riscontrarsi vicendevolmente ovvero di essere riscontrate aliunde. Ed inoltre si confronta con tutti i rilievi già svolti dal difensore in sede di riesame e riproposti nei termini di cui sopra in questa sede (con riguardo specifico alle dichiarazioni di COGNOME: sentenza di assoluzione di NOME COGNOME, vicenda processuale dell’omicidio COGNOME–COGNOME, assenza di riscontri; con riguardo alle dichiarazioni di COGNOME: sempre la suddetta sentenza di assoluzione, il carattere tardivo e pertanto sospetto della sua collaborazione; le discrasie tra le dichiarazioni dei collaboratori e la possibilità di una valutazione frazionata delle medesime). Tiene anche presenti – si vedano p. 59 e ss. – le dichiarazioni ritenute rilevanti dalla difesa (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME) che, invece, ritiene non affidabili in una valutazione complessiva ampiamente motivata.
Con la conseguenza che, allo stato attuale delle indagini e con riferimento alla ricostruzione della vicenda come risulta dalla complessiva narrazione dei collaboratori, la motivazione dei provvedimento non pare censurabile, costituendo una solida e soprattutto non manifestamente illogica valutazione di tutti gli elementi acquisiti, anche integrativa e, quindi, innovativa rispetto al provvedimento genetico, ben lungi dall’appiattirsi sullo stesso. Detta solidità della piattaforma indiziaria, come evidenziato dalla stessa ordinanza in esame, è, poi, rafforzata dalla circostanza che le considerazioni relative all’attendibilità e ai riscontri del
narrato dei collaboratori hanno trovato più di una conferma nelle decisioni di legittimità emesse proprio con riferimento al medesimo fatto di reato.
1.3. GLYPH Parimenti infondato è il terzo motivo di impugnazione.
L’ordinanza impugnata contiene, invero, un’analitica motivazione sia in ordine alla valenza delle presunzioni di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. – per il titolo di reato e per l’aggravante mafiosa – sia con riferimento alla valutazione in concreto delle esigenze cautelari e dell’inadeguatezza rispetto ad esse di misure meno afflittive, nonostante il tempo trascorso dai fatti, considerata, comunque, l’appartenenza dell’indagato ad una compagine associativa (RAGIONE_SOCIALE) tuttora attiva e pervasivamente presente sul territorio di riferimento, dalla quale ancora non ha dimostrato di dissociarsi, appartenenza per la quale COGNOME già risulta essere stato condannato due volte. Sottolinea l’efferatezza dell’omicidio, rimarcando le toccanti parole del fratello della vittima circa lo stato di rinvenimento del corpo della medesima e le risultanze dei fotogrammi in atti, che ritraggono le spoglie bruciate e straziate ancora con la materia fuoriuscita dal cranio. Evidenzia le modalità e le caratteristiche specifiche dell’agguato omicidiario, studiato nei minimi particolari ed eseguito in concreto da almeno quattro correi, con ripartizione dei ruoli e predisposizione dei mezzi.
Si confronta anche con le risultanze della documentazione relativa al giudizio di sorveglianza (ivi compresa la relazione di sintesi dell’equipe del RAGIONE_SOCIALE), evidenziando come le stesse non siano in grado di elidere ovvero attenuare le esigenze cautelari presunte ex lege (in particolare rilevando che la concessione della detenzione domiciliare in quella sede deve aver tenuto conto, per un verso, della natura non certo paragonabile all’omicidio in questione, dei fatti per cui era espiazione della pena e, per altro, della estrema prossimità del fine pena, appunto in quel processo previsto a soli due mesi dalla decisione adottata), su cui ancora aspecificamente insiste la difesa.
Conclude, conformemente al primo Giudice, per l’adeguatezza al pericolo di recidiva della sola misura cautelare della custodia in carcere, proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione (anche considerate le aggravanti) che stima possa essere irrogata all’esito del procedimento, atteso che a misure di grado inferiore, compresi gli arresti domiciliari delocalizzati e con strumenti tecnici di controllo, appaiono ostare, prima ancora che la complessiva personalità dell’indagato, il rischio
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rappresentato dalla ripresa di contatti e rapporti con il circuito criminale di appartenenza.
Al rigetto consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Non derivando dalla presente decisione la rimessione in libertà del ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art. 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’imputato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2024.