Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 413 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 413 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 23/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CASAL DI PRINCIPE il 29/01/1951
avverso la sentenza del 20/12/2022 della CORTE d’ASSISE d’APPELLO di NAPOLI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
dato avviso ai difensori;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte di Assise di appello di Napoli ha confermato, per quanto qui interessa, la sentenza pronunciata dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere in data 17 dicembre 2014 che aveva condannato NOME COGNOME alla pena dell’ergastolo per il concorso, quale mandante, nell’omicidio di NOME COGNOME commesso il 10 luglio 1992 da un gruppo di fuoco composto da NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME e con il supporto logistico di NOME Verde – tutti giudicati simultaneamente -, con le aggravanti della premeditazione, dell’aver agito in almeno cinque persone ed avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis cod. pen. nonché al fine di agevolare l’associazione camorristic:a dei COGNOME (artt. 110, 112, primo comma, n. 1, 575, 577, n. 3, cod. pen., 7 I. n. 203 del 1991).
1.1. Con concorde valutazione di entrambi i giudici di merito è stata affermata la responsabilità dell’imputato per il sopra indicato delitto sulla base delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ritenuti attendibili e credi NOME COGNOME ed NOME COGNOME nonché di quelle di NOME e NOME COGNOME.
In particolare, COGNOME ha riferito di avere ricevuto l’ordine di uccidere COGNOME direttamente da COGNOME nonché l’incarico di coinvolgere altri appartenenti al gruppo; COGNOME è stato coinvolto nell’omicidio da COGNOME che gli ha riferito del mandato ricevuto; NOME e COGNOME, estranei alla vicenda, hanno riferito di quanto appreso in merito all’omicidio da altri componenti dell’organizzazione criminale.
I riscontri alle dichiarazioni di COGNOME sono stati individuati nel ruolo d vertice assoluto riconosciuto a COGNOME e nella reciproca convergenza delle dichiarazioni accusatorie.
Ricorre NOME COGNOME a mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, sviluppando due motivi di ricorso.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento alle norme incriminatrici nonché agli articoli 191, 192 e 533 cod. proc. pen. nonché 16 -quater, comma 9, decreto-legge n. 8 del 1991 convertito nella legge n. 82 del 1991, e il vizio della motivazione, anche per travisamento, sulla responsabilità.
Il ricorso denuncia anzitutto la mancata verifica di attendibilità e credibilit delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia; ciò anche alla luce dell discrasie e gravi incongruenze che si apprezzano esaminando il loro narrato.
In particolare, il contributo di COGNOME è viziato dalla circolarità del contenuto informativo poiché il presunto incarico omicida, conferito da COGNOME a Vargas, gli è stato riferito da quest’ultimo.
D’altra parte, il racconto di COGNOME si scontra proprio cori le dichiarazioni di COGNOME circa l’incontro nell’ambito del quale sarebbe stato conferito il mandato; COGNOME, che era presente all’incontro, non ha riferito nulla in merito: la circostanza è illogica e smentita dalle stesse dichiarazioni ci COGNOME che sono state travisate.
La sentenza è, inoltre, viziata perché attribuisce capacità individualizzante alle presunte dichiarazioni di COGNOME circa la sua ottima conoscenza delle dinamiche del gruppo, dalle quali il giudice di secondo grado ha dedotto in modo assertivo che ne derivasse la conferma del presunto ruolo di “capo assoluto” di COGNOME senza l’ordine del quale non sarebbe mai stato commesso l’omicidio.
In proposito, COGNOME oltre a non avere mai fatto un’affermazione di tale contenuto – che risulta, del resto, smentita da tutte le sentenze che hanno affermato l’esistenza di un gruppo di vertice e non di un “uomo solo al comando” -, ha piuttosto riferito che COGNOME gli aveva riportato l’ordine, asseritamente impartitogli da COGNOME, di compiere cinque o sei omicidi.
Le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME contrastano in modo insanabile con riguardo alla presenza, al momento nel quale sarebbe stato conferito il mandato omicida, di NOME COGNOME, COGNOME, COGNOME e COGNOME, oltre a NOME COGNOME il quale però non riferisce affatto di tale circostanza ed anzi afferma di avere saputo da COGNOME del generico mandato a commettere alcuni omicidi.
La Corte ha, comunque, travisato la prova dichiarativa perché COGNOME, nel corso dell’udienza 26 novembre 2014, ha riferito della presenza alla riunione con COGNOME di tutti i soggetti sopra richiamati, cioè del conferimento, a tutti loro (il collaboratore usa la prima persona plurale), del mandato omicida, mentre, non solo Verde smentisce la circostanza, ma la sentenza manipola il contenuto informativo, affermando che COGNOME aveva riferito di avere ricevuto il mandato mentre si trovava da solo a conversare con COGNOME
Anche NOME, che riferisce soltanto di quanto appreso da altri, non ha mai attribuito al solo COGNOME il mandato omicida, così palesandosi l’incoerenza della versione di COGNOME; pure NOME COGNOME, che riferisce anch’egli de relato, riporta che il mandato fu conferito da più soggetti al vertice della cosca: deve, quindi, escludersi la verità della affermazione compiuta dai giudici di secondo grado secondo la quale soltanto NOME COGNOME era al vertice del clan.
La circostanza, secondo la quale COGNOME sarebbe stato il vertice assoluto in grado di ordinare omicidi senza il consenso degli altri, non è affatto provata e, ciò non di meno, è stata illogicamente valorizzata dai giudici di merito come riscontro alla dichiarazione accusatoria di Vargas.
Anche il movente dell’omicidio è ricostruito in modo diverso dai collaboratori di giustizia perché NOME e COGNOME hanno riferito che la morte di COGNOME era stata decretata nell’ambito del cruento scontro in corso fra il clan dei Casalesi e i seguaci di NOME COGNOME, mentre COGNOME ha fatto riferimento a una vendetta preventiva poiché la vittima designata “parlava troppo” dell’uccisione del proprio figlio NOME COGNOME; analoga causale è stata riferita da COGNOME che, però, l’aveva appresa da COGNOME.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento all’art. 577, primo comma, n. 3, cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo all’aggravante della premeditazione, in relazione alla quale la sentenza omette di sviluppare qualsivoglia argomentazione, fermo restando che difetta la prova del mandato omicida, il quale si poggia unicamente sulla circolare dichiarazione di Vargas.
Richiesta la trattazione orale, i difensori, regolarmente avvisati, non si presentavano senza addurre giustificazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che presenta numerose doglianze inammissibili perché ripropone argomenti, sovente generici, comunque di fatto e non consentiti, già ampiamente esaminati in primo grado con una motivazione che viene fatta propria dalla Corte di Assise di appello, è nel complesso infondato.
Non può farsi a meno di notare, a livello metodologico, che le due decisioni, in quanto totalmente conformi anche per quello che riguarda la minuziosa ricostruzione del fatto e la valutazione del tutto simmetrica delle prove, si integrano pienamente (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218) sicché, nell’esaminare i motivi di ricorso, che denunciano presunte omesse risposte ai motivi di appello o ripropongono questioni di fatto già ampiamente esaminate, si farà ampio riferimento alle considerazioni espresse dal primo giudice e richiamate dal secondo a fronte di deduzioni meramente reiterative o puramente confutative e perciò non dotate di alcuna capacità critica (Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
La critica, che si appunta sulla incompletezza del vaglio di attendibilità e credibilità intrinseca delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, generica.
2.1. Il giudice di primo grado, cui si rifà la sentenza impugnata, ha attentamente vagliato, con specifici argomenti in punto di fatto che il ricorso omette di criticare, la piena attendibilità e credibilità delle dic:hiarazioni rese collaboratori di giustizia, peraltro già fruttuosamente utilizzati in numerosi alt procedimenti per gravi fatti di criminalità organizzata e omicidio.
Il percorso di collaborazione con la giustizia, da molto tempo avviato da tutti i collaboratori, e la specifica rilevanza del contributo offerto per la ricostruzion di gravi episodi delittuosi, sono stati logicamente valorizzati quali elementi fortemente indicativi della attendibilità e credibilità delle dichiarazioni.
2.2. Sotto altro versante, che pure il ricorso omette di criticare specificamente, i giudici di merito hanno dato atto che l’apporto conoscitivo offerto dai quattro collaboratori di giustizia converge sugli elementi essenziali del fatto, unitariamente da tutti ricostruito nei termini specificamente indicati da Vargas e Verde, sicché le secondarie apparenti divergenze (marca del veicolo utilizzato per l’agguato; specificazione del calibro della pistola calibro – 9×21 oppure 9×19 Parabellum – impiegata per l’omicidio; presenza di COGNOME alla riunione nella quale fu deciso l’omicidio; attività di recupero dei correi svolta dopo l’omicidio da COGNOME che questi non ricorda esattamente) sono state ritenute giustificate dal notevole lasso di tempo trascorso, oltre ,-fhe dalla
sostanziale irrilevanza di esse rispetto al nucleo essenziale del prop accusatorio.
2.3. La suddetta valutazione è stata compiuta in piena consonanza con costante orientamento della giurisprudenza di legittimità.
2.3.1. Sulla base di tutte le decisioni giudiziarie irrevocabili che sono acquisite nel corso del giudizio, i giudici di merito sono giunti alla individu di specifici elementi di prova circa la sussistenza e composizione del gru camorristico cui partecipano i protagonisti della vicenda, i ruoli e i rapporti stessi e la esistenza di un substrato criminale, reso palese dall’associazi art. 416-bis cod. pen. che li lega, nell’ambito del quale le spec determinazioni criminali e il concreto divenire delle azioni illecite poste in dagli appartenenti al gruppo si saldano secondo un normale e prevedibi percorso logico che si poggia sulla comune appartenenza associativa e sull diretta esplicitazione delle dinamiche associative sia all’interno del gruppo – per quanto riguarda la consapevolezza da parte dei singoli associati delle significative questioni che interessano l’associazione criminale – sia all’ester esso nei confronti di altri gruppi criminali e dei singoli, sicché particolarmente rafforzato e solido il quadro d’insieme entro il quale si colloc singoli episodi criminali e, ancor più, i comportamenti dei singoli associati ben consci del contesto e delle regole associative, operano in stretta osserv di esse e in specifica esecuzione del mandato ricevuto dal vert dell’organizzazione.
Sulla qualità di “fatto notorio” circa l’esistenza dell’associazione crimina giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata ad affermare che « tema di valutazione della prova, nel giudizio dibattimentale è utilizzabile c “fatto notorio”, ai sensi dell’art. 238-bis cod. proc. pen., l’accer dell’esistenza e del radicamento territoriale di un’associazione mafi contenuto in una decisione irrevocabile, emessa all’esito di giudizio abbrevi nel caso in cui il sodalizio criminale oggetto di prova coincide, nei p strutturali, temporali e finalistici, con quello ritenuto esistente e il pa probatorio e valutativo, fatte salve le peculiarità delle regole di acquis dibattimentale, è pressoché identico in entrambi i procedimenti» (Sez. F, 56596 del 03/09/2018, PG c/ COGNOME, Rv. 274753 – 01; Sez. 1, n. 55359 de
17/06/2016, P.G. in proc. COGNOME, Rv. 269039 – 01; Sez. 6, n. 34491 del 14/06/2012, Montagno COGNOME, Rv. 253653 – 01).
In tale contesto, infatti, sono stati valutati i rapporti intrattenuti protagonisti della vicenda, i quali hanno agito nel contesto camorristico, osservandone le regole e i rituali, rispettando le gerarchie e operando per ridurre o eliminare le possibili cause di contrasto con altri gruppi associativi federati operanti nel medesimo territorio.
Di ciò si fanno carico le sentenze di merito, mentre il ricorso risulta decontestualizzato, rispetto all’accertato panorama camorristico che fa da sfondo e contesto all’omicidio, sicché introduce censure inammissibili e manifestamente infondate quando criticano in modo generico la logica ricostruzione dei rapporti interni al gruppo RAGIONE_SOCIALE
2.3.2. Secondo i giudici di merito, in tutti i casi nei quali sono emerse secondarie discrasie, i collaboratori sono stati in grado di spiegare le ragioni della non perfetta sovrapponibilità di quanto percepito in un contesto che si assume comune ad entrambi, superando in tal modo l’apparente differenza del loro racconto.
Le dichiarazioni dei due collaboratori COGNOME e COGNOMEesecutori materiali e co-imputati nel presente giudizio), secondo i giudici di merito, convergono sempre e comunque sugli aspetti essenziali del fatto e divergono al più su dettagli non significativi che, rispetto alla portata generale delle loro propalazioni che, del resto, non sono limitate a questa sola vicenda delittuosa ma abbracciano numerosi altri delitti tutti ampiamente riscontrati, ben possono essere dimenticati o riferiti in maniera dubbiosa.
Anzi, il fatto che ci si trovi in presenza di racconti non perfettamente sovrapponibili in alcune rievocazioni depone, secondo un giudizio che non presenta vizi logico giuridici, a favore della loro indipendenza e consente di escludere la possibilità di una previa concertazione o di una possibile suggestione reciproca.
Inoltre, la coerenza, l’assenza di interesse accusatorio specifico, non essendo la loro chiamata in reità nei confronti dell’imputato limitata a questa sola vicenda, ma anzi caratterizzata da chiamate in correità (essi accusano sempre prima se stessi) per molti altri gravi reati in un arco temporale apprezzabile, sono ulteriori indici di piena attendibilità dei dichiaranti.
Si tratta, secondo i giudici di merito, di dichiarazioni costanti perché essi sono stati sentiti in vari dibattimenti sullo stesso fatto ed hanno sempre confermato le medesime dichiarazioni senza alcun aggiustamento.
Del resto, il criterio seguito dai giudici di merito per compiere la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è pienamente aderente al canone ermeneutico secondo il quale la reciproca conferma delll’attendibilità delle dichiarazioni delle persone imputate in procedimenti connessi a norma dell’articolo 12 cod. proc. pen. ovvero imputate di reato collegato ai sensi dell’articolo 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., non esige che le propalazioni attengano all’idem dictum; è bensì sufficiente che i fatti rappresentati siano in rapporto di univoca implicazione rispetto alla specifica condotta criminosa da provare (così, in motivazione, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143).
I giudici di merito hanno correttamente fatto applicazione del principio secondo il quale «le dichiarazioni accusatorie rese dal co-indagato o coimputato nel medesimo reato o da persona indagata o imputata in un procedimento connesso o collegato ai sensi dell’art. 371, comma secondo, lett. b), cod. proc. pen. sono idonee a fornirsi reciproco riscontro qualora siano attendibili e, anche in relazione a distinti frammenti dell’attività criminosa, colleghino l’indagato l’imputato al fatto» (Sez. 1, n. 40237 del 10/10/2007, COGNOME, Rv. 237867).
È perciò infondata la doglianza che contesta, allo scopo di escludere la credibilità dei collaboratori di giustizia, la parziale non coincidenza dell rappresentazioni fattuali dei chiamanti in correità.
2.4. È, infine, manifestamente infondato il dedotto travisamento della prova perché, in realtà, il difensore propone una diversa interpretazione delle dichiarazioni di COGNOME.
Il ricorso, infatti, si appunta su una parte della dichiarazione di COGNOME nella quale egli usa il plurale per riferire che il mandato era stato conferito da COGNOME al gruppo di fuoco guidato dallo stesso COGNOME – affermazione logicamente spiegata dai giudici di merito in considerazione del fatto che il mandante aveva indicato anche i nomi degli altri sodali da coinvolgere -, senza, però, riferire che, nella stessa dichiarazione, il collaboratore aveva ribadito di essere stato l’unico a conferire direttamente con il mandante in quella precisa circostanza nella quale gli altri sodali, pur presenti, non erano stati coinvolti.
Nessun travisamento, quindi, è specificamente dedotto dal difensore.
Non coglie, infine, nel segno la critica che riguarda, anche sotto il profilo della presunta circolarità, il coinvolgimento quale mandante di NOME COGNOME poiché ad esso fanno concordemente riferimento:
NOME COGNOME che aveva ricevuto l’ordine direttamenl:e dall’imputato;
NOME COGNOME che aveva ricevuto l’ordine per mezzo di Vargas e che, dopo l’omicidio, aveva appreso proprio da NOME COGNOME che questi era rimasto contrariato dal fatto che Vargas aveva esploso tutti i colpi contenuti nel caricatore, così confermando direttamente al dichiarante non soltanto la piena conoscenza anche dei dettagli esecutivi del commissionato omicidio, ma pure il ruolo di mandante che si attribuiva nel lamentarsi della scarsa attenzione dell’esecutore materiale;
NOME COGNOME, braccio destro di NOME COGNOME che aveva appreso del fatto mentre era detenuto durante un colloquio con il proprio fratello appartenente al clan (perciò dotato di particolare attenclibilità), ricevendo successivamente e personalmente da NOME COGNOME la implicita conferma del ruolo di mandante, poiché questi si lamentava che all’agguato era sfuggito NOME COGNOME che doveva essere ucciso insieme al padre, ma che, nella specifica circostanza non si trovava in sua compagnia;
NOME COGNOME che, oltre ad aver appreso del mandato omicida conferito da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, era già da prima a conoscenza della ferma volontà dell’imputato, rappresentatagli già nel 1990, di eliminare NOME COGNOME come poi gli era stato confermato tra gli altri da COGNOME, altro esponente di rilievo del clan.
Non emerge, quindi, alcuna circolarità della prova: le dichiarazioni, tutte convergenti, si fondano su specifiche e autonome conoscenze dei singoli dichiaranti.
3.1. È, invece, inammissibile perché irrilevante e manifestamente infondata la presunta diversa ricostruzione del movente dell’omicidio.
I giudici dì merito non hanno affatto valorizzato tale elemento volitivo per ricostruire la responsabilità dell’imputato, sicché l’argomento è privo di decisività.
Del resto, si tratta di una divergenza soltanto apparente e che, quindi, è stata giudicata priva di rilievo anche con riguardo all’assenza di influenza sulla valenza dimostrativa costituita dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
Infatti, non è controverso che NOME COGNOME fosse oggetto delle attenzioni omicida del clan, sia per la presunta appartenenza della di lui famiglia al gruppo avverso di NOME COGNOME, sia perché, proprio a causa dell’uccisione di NOME COGNOME riconducibile proprio alla guerra all’epoca in atto, lo stesso “accusava” il clan COGNOME di essere il responsabile di detta uccisione.
4. Il motivo sulla premeditazione è inammissibile.
4.1. Il relativo motivo di appello era, infatti, generico perché si limitava a non condividere la decisione del primo giudice «stante la su evidenziata divergenza tra le dichiarazioni dei collaboratori e, soprattutto, in relazione all’elemento cronologico tra la deliberazione e l’esecuzione dell’omicidio».
La prima parte della censura d’appello riguardava, cioè, le questioni sulla convergenza del narrato che hanno trovato ampia risposta nella sentenza.
La seconda parte della doglianza era, all’evidenza, del tutto generica perché priva di una critica specifica alla decisione che ha valorizzato la circostanza che la deliberazione dell’omicidio aveva preceduto di due giorni l’esecuzione e che la fase organizzativa era caratterizzata dal coinvolgimento di tre soggetti, due veicoli, due armi nonché dall’attività di controllo del territorio attuata dal c specchiettista.
In effetti, la sentenza di primo grado, cui si richiama la sentenza impugnata, fornisce una ampia e logica ricostruzione della circostanza aggravante che il ricorso si limita a contestare in modo assertivo.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna processuali. il ricorrente al pagamento delle spese
Così deciso il 23 novembre 2023.