Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44125 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 02/10/1971 avverso l’ordinanza del 28/05/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO udite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale udite le conclusioni dei difensori dell’indagato Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Dott. NOME COGNOME che ha richiesto il rigetto del ricorso. che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento con il quale è stata applicata a COGNOME NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e per quelli di omicidio pluriaggravato, nonché per quelli in armi e di ricettazione connessi a tale ultimo delitto. La vicenda riguarda l’assassinio, avvenuto nel marzo del 2010, di COGNOME NOME, esponente del clan ‘ndranghetista “COGNOME“, deliberato ed eseguito dagli appartenenti delle cosche rivali “COGNOME” e “COGNOME” nel corso di un conflitto insorto per il conseguimento dell’egemonia delle attività estorsive nell’ambito del comune territorio di riferimento. Al COGNOME viene in particolare contestato, sulla base delle rivelazioni effettuate da alcuni collaboratori di giustizia, di essere stato uno degli esecutori materiali dell’omicidio. Sempre sulla base delle dichiarazioni dei medesimi collaboratori e delle risultanze provenienti da altri procedimenti penali ritenute idonee a fornire idoneo riscontro al suddetto compendio dichiarativo, il Tribunale ha altresì ritenuto sussistere gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato anche in merito all’accusa di essere intraneo alla cosca “COGNOME“.
2. Avverso l’ordinanza ricorre l’indagato articolando tre motivi.
2.1 Con il primo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’indagato per l’omicidio del COGNOME e per i reati connessi. Anzitutto il ricorrente lamenta l’omessa confutazione – ovvero l’apodittica confutazione – delle obiezioni sollevate dalla difesa con la memoria depositata nel giudizio di riesame. In particolare osserva come il Tribunale avrebbe affermato la piena attendibilità del collaboratore COGNOME senza considerare che questi non era stato in grado di datare con la dovuta precisione l’agguato ai danni del Palumbo, né aveva riferito dell’attentato perpetrato ai danni del medesimo nei mesi precedenti all’omicidio adoperando le stesse armi utilizzate dal collaboratore per commettere altri reati, sostenendo inoltre di aver appreso da COGNOME Rosario che il gruppo di fuoco era composto da quattro persone, circostanza smentita dai testimoni oculari del fatto, i quali avevano indicato in due gli esecutori materiali del delitto, e dal narrato del collaboratore COGNOME che ha invece parlato di tre killer, identificati peraltro in soggetti diversi da quelli indicati dal primo collaboratore. Ancora, in maniera apodittica sarebbe stata ritenuta irrilevante la circostanza, puntualmente eccepita con la memoria, che il collaboratore abbia identificato nell’indagato l’autore del delitto con
gli “occhi azzurri” descritto da una delle figlie della vittima, nonostante la difesa avesse documentato che il COGNOME invero ha gli occhi di colore scuro. Infine non sarebbe stato valutato il fatto che l’individuazione del luogo in cui venne data alla fiamme la vettura utilizzata nel corso dell’agguato era stata informazione oggetto di ampia divulgazione mediatica. Quanto al contributo fornito dal citato COGNOME, parimenti ritenuto attendibile dall’ordinanza impugnata, i giudici del riesame non avrebbero valutato, come pure obiettato, che questi, al momento in cui ha reso le proprie dichiarazioni e per sua stessa ammissione, era a conoscenza di quelle rilasciate dal COGNOME, tanto da aver replicato l’errore in cui era incorso quest’ultimo nell’indicare il cognome dell’indagato (COGNOME invece che COGNOME) ed aver riprodotto la medesima locuzione utilizzata dall’altro collaboratore per identificare il ricorrente come “braccio armato” del clan “COGNOME“. Altrettanto apparente sarebbe poi la confutazione dell’eccepíta incapacità dell’Arena di eseguire la ricognizione fotografica del D’Ascoli. Sotto altro profilo il ricorrente contesta l’affermazione del Tribunale per cui quelle del avendo ad oggetto informazioni di cui il collaboratore sarebbe venuto a conoscenza in ragione della sua militanza associativa, evidenziando come sia stata comunque omessa una effettiva verifica sull’effettiva classificabilità delle stesse come patrimonio conoscitivo comune
COGNOME non sarebbero nemmeno dichiarazioni de relato, degli appartenenti al sodalizio.
Il provvedimento impugnato avrebbe poi omesso di individuare la fonte primaria delle dall’Arena, che per sua stessa ammissione le avrebbe apprese da NOME NOMECOGNOME il quale a sua volta le avrebbe mutuate da altri.
informazioni fornite de relato Secondo il ricorrente i giudici del riesame illogicamente hanno ritenuto sostanzialmente ininfluente tale accertamento, limitandosi in maniera meramente congetturale a formulare l’ipotesi per cui il COGNOME sarebbe venuto a conoscenza dei particolari dell’omicidio da COGNOME NOME, tanto più che né la prima fonte, né la seconda appartenevano al clan dei Piscopisani o a quello dei COGNOME.
2.2 Gli stessi vizi vengono dedotti con il secondo motivo con riguardo alla contestazione associativa. In proposito il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 297 comma 3 c.p.p. eccependo che già all’atto dell’adozione in altro procedimento della misura custodiale nei confronti del COGNOME per il reato di estorsione nel 2019 – e dunque successivamente alla definitiva consumazione del reato in oggetto, contestato in permanenza fino al 2018 – erano state acquisite evidenze investigative idonee ad attestare l’intraneità alla cosca COGNOME dell’indagato, per come attestato dal pubblico ministero nella relativa richiesta cautelare, dove lo stesso aveva spiegato come la scelta di non procedere alla contestazione del reato associativo era da imputarsi al fatto che nell’occasione si era inteso occuparsi solo del sodalizio dei Piscopisani e non
anche di quello facente capo ai Tripodi. Nel rigettare l’analoga eccezione sollevata nel giudizio di riesame il Tribunale sarebbe anzitutto venuto meno al proprio obbligo di verificare, secondo il criterio della prognosi postuma, la desumibilità dagli atti della sussistenza in allora di elementi sufficienti per procedere nei confronti dell’indagato anchè per il reato associativo e comunque avrebbe illogicamente sostenuto che la difesa non avesse assolto il proprio onere di indicare specificamente gli elementi che avrebbero potuto consentire la citata desumibilità, sebbene alla memoria depositata nel giudizio di riesame fossero stati allegati gli atti d’indagine del procedimento nel quale era stato emesso il primigenio provvedimento cautelare. Non di meno i giudici del riesame avrebbero solo apoditticamente affermato la decisività delle dichiarazioni dei collaboratori assunte successivamente, posto che il COGNOME già aveva riferito sulla posizione del D’COGNOME in precedenza, mentre l’Arena si è limitato a narrare del suo ruolo nell’omicidio COGNOME, episodio non certo dirimente ai fini della contestazione associativa.
2.3 Anche con il terzo motivo vengono dedotti violazione di legge e vizi di motivazione con riguardo alla sussistenza dei gravi indizi della partecipazione dell’indagato al sodalizio mafioso. In tal senso il Tribunale avrebbe in maniera solo generica indicato l’indagato come “esecutore insospettabile di efferati delitti” per conto della cosca COGNOME, valorizzando altresì i, trascorsi giudiziari dei suoi fratelli, ma omettendo colpevolmente di precisare come questi ultimi siano stati assolti da ogni accusa. Per contro non avrebbe fornito alcun concreto elemento dell’appartenenza del COGNOME al sodalizio, evocando i reati contestatigli in altri procedimenti per i quali lo stesso è stato assolto o che riguardano vicende di stupefacenti estranee alle attività associative che gli vengono imputate. Quanto poi alle dichiarazioni dei collaboratori, pure valorizzate dall’ordinanza impugnata, queste sarebbero del tutto generiche e comunque alcuno di loro avrebbe mai indicato l’indagato come soggetto intraneo al sodalizio, ferme restando le riserve già formulate con il primo motivo in merito all’attendibilità dell’Arena.
I difensori dell’indagato hanno depositato memoria, evidenziando come dall’interrogatorio del Moscato dell’8 aprile 2015 emerga come questi avesse ribadito, a fronte di contestazione, come il soggetto di cui aveva parlato si chiamava COGNOME e non COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini di seguito esposti.
Pregiudiziale è l’esame dell’eccezione proposta con il secondo motivo, che è invero inammissibile.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte nel procedimento di riesame non è infatti deducibile l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza di custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase, in relazione all’asserita contestazione a catena, salvo che, per effetto della retrodatazione, al momento dell’emissione dell’ordinanza tali termini siano già scaduti ed a condizione che dalla prima ordinanza applicativa della prima misura coercitiva siano desumibili tutti gli elementi idonei a giustificare l’ordinanza successiva, in quanto si tratta di vizio che non riguarda la legittimità dell’ordinanza, ma l’efficacia della misura cautelare. Conseguentemente la questione relativa al diritto alla scarcerazione dell’imputato per decorrenza dei termini, da calcolarsi al momento dell’esecuzione del primo titolo custodiale, deve essere proposta al giudice per le indagini preliminari con istanza ex art. 306 c.p.p. e, successivamente, in caso di rigetto, al tribunale in sede di appello ex art. 310 c.p.p. (ex multis Sez. U, n. 45246 del 19/07/2012, COGNOME, Rv. 253549; Sez. 2, n. 37879 del 05/05/2023, COGNOME, Rv. 285027; Sez. 3, n. 48034 del 25/10/2019, COGNOME, Rv. 277351). Nel caso di specie, ad oggetto misure applicate in procedimenti distinti, il ricorrente nulla ha precisato e documentato in ordine alla durata della custodia cautelare effettivamente subita dal D’Ascoli in forza del primigenio titolo cautelare emesso nel 2019 e dunque questa Corte non può stabilire se i termini custodiali complessivi e massimi siano già scaduti, comportando la sopravvenuta cessazione dell’efficacia della misura applicata con l’ordinanza impugnata (cfr. Sez. U, n. 23166 del 28/05/2020, COGNOME, Rv. 279347). Generica è poi l’obiezione in merito alla desumibilità dagli atti posti a sostegno della prima misura degli elementi che hanno fondato il successivo intervento cautelare. Ed infatti il ricorrente si limita a richiamare gli atti provenienti d procedimenti “Lybra” e “Rimpiazzo” che però i giudici del merito hanno valorizzato quali meri riscontri delle dichiarazioni dei collaboratori, indicate come la fonte principale dell’accusa associativa nei confronti del COGNOME ed in parte acquisite pacificamente successivamente all’adozione della prima ordinanza cautelare e genericamente additate come meramente confermative di quelle rilasciate in epoca più risalente. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Colgono invece nel segno alcune delle censure proposte con il primo motivo di ricorso e poi approfondite nella memoria depositata dalla difesa. In proposito va preliminarmente ricordato che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del
provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. In tal senso, premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali elencati nell’art. 292 c.p.p. ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, va evidenziato che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (ex multis Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828). Così ricostruito l’oggetto della cognizione del giudice del riesame e, di riflesso, del sindacato di quello di legittimità sulla motivazione posta a sostegno della decisione impugnata, va peraltro ribadito che il primo è comunque tenuto a confrontarsi con le osservazioni critiche articolate con l’istanza di riesame ovvero con eventuali memorie depositate nel corso del susseguente giudizio, fermo restando che ciò non si traduce nell’onere di specifica confutazione di ogni singola argomentazione formulata dalla difesa, ma in quello di esplicitare le ragioni poste a sostegno della conferma della valutazione compiuta nell’ordinanza genetica in merito alla sussistenza dei presupposti applicativa della misura cautelare, dimostrando di aver tenuto conto dei rilievi difensivi e delle circostanze di fatto sui quali gli stessi s fondano. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Nel percorso argomentativo sviluppato dal giudice del riesame nel caso di specie l’affermazione relativa alla sussistenza dei gravi indizi della partecipazione del COGNOME all’omicidio di COGNOME Michele nel 2010 trova la sua giustificazione nella convergenza delle dichiarazioni rilasciate da alcuni collaboratori di giustizia, la cui conoscenza dei fatti sarebbe però solo indiretta, avendo gli stessi riferito informazioni mutuate da soggetti direttamente coinvolti nella vicenda o addirittura a loro volta portatori di informazioni acquisite de relato.
4.1 In proposito va anzitutto precisato che non è qui in discussione il consolidato principio, richiamato anche dall’ordinanza impugnata, per cui la chiamata in correità o
in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore. Deve però doverosamente ricordarsi che le Sezioni Unite, così come le successive pronunzie delle Sezioni semplici di questa Corte, hanno però precisato come il suddetto principio possa considerarsi valido solo qualora vengano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143 e, ex multis, Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134).
4.2 Ciò premesso deve rilevarsi che, salvo quanto si dirà in seguito, le obiezioni articolate nel ricorso in merito all’attendibilità intrinseca del narrato del collaboratore COGNOME risultano invero infondate o si traducono in mere censure di fatto. Infatti il Tribunale ha fornito giustificazione tutt’altro che illogica circa le difficoltà incontrate da collaborante nel datare con precisione i fatti sui quali ha riferito. Generico era invece il rilievo svolto con la memoria difensiva depositata nel giudizio di riesame per cui il COGNOME avrebbe taciuto a proposito di un precedente attentato consumato ai danni del Palumbo, nonostante questo fosse stato consumato utilizzando armi già in uso allo stesso COGNOME. È una mera congettura che il collaboratore dovesse necessariamente essere a conoscenza di entrambe le circostanze ed in quanto tale alcun appunto può essere mosso all’ordinanza impugnata per non aver specificamente confutato l’obiezione difensiva.
4.3 Colgono invece nel segno le residue doglianze formulate con il motivo in esame. Come accennato la vocazione delle dichiarazioni del COGNOME ad assurgere alla dignità di gravità indiziaria nei confronti dell’indagato è stata riconosciuta dal Tribunale, ai sensi dell’art. 192 commi 3 e 3-bis c.p.p., in ragione della ritenuta convergenza del suo narrato con quello del collaboratore COGNOME. Con la già citata memoria depositata nel giudizio di riesame era stato però anzitutto eccepito come i due compendi dichiarativi non coincidessero su di un punto tutt’altro che marginale, ossia l’indicazione del numero e dell’identità dei componenti del gruppo di fuoco che eseguì
l’omicidio, evidenziandosi altresì come il narrato di entrambi i collaboratori sul punto sarebbe in contrasto altresì con quanto riferito dai testimoni oculari del delitto. Obiezione che non ha trovato specifica confutazione da parte dei giudici del merito, come invece necessario, a maggior ragione attesa la natura indiretta delle conoscenze riportate dai dichiaranti. Ed in proposito priva di effettiva confutazione è rimasta anche l’obiezione difensiva relativa all’identificazione del COGNOME con il “killer” dagli “occh azzurri” descritto da una delle figlie della vittima che aveva assistito all’esecuzione del delitto in ragione del fatto che il colore degli occhi dell’indagato sarebbe del tutto incompatibile con quello riferito dalla citata testimone. Sul punto infatti il Tribunale si è limitato ad affermare la sostanziale irrilevanza della circostanza, senza precisare le ragioni di tale valutazione.
4.4 Fondate sono altresì le censure del ricorrente relative all’attitudine delle dichiarazioni dell’Arena a costituire un valido riscontro a quelle del Moscato alla luce dei principi fissati dalle menzionate Sezioni Unite Aquilina e ribaditi dalla giurisprudenza successiva. In particolare, con riguardo al requisito dell’indipendenza delle chiamate, l’ordinanza impugnata, pur ammettendo sostanzialmente che quelle riportate dal primo collaboratore – secondo quanto da questi riferito – sarebbero informazioni frutto di un doppio de relato, il giudice del riesame in maniera solo congetturale – o se si preferisce probabilistica, il che non sposta i termini della questione – ha ritenuto di individuare la fonte primaria in COGNOME NOME e non nel Battaglia, pure indicato alternativamente dal collaboratore come la possibile fonte de COGNOME. In tal modo il Tribunale ha sostanzialmente aggirato il necessario accertamento sull’individuazione della fonte delle conoscenze de relato e soprattutto sul fatto che questa non si identifichi proprio nel Battaglia, ossia colui dal quale il Moscato avrebbe mutuato le proprie conoscenze.
4.5 E sempre in merito all’autonomia delle dichiarazioni dell’Arena, la difesa aveva altresì eccepito nel giudizio di riesame come lo stesso avesse ammesso di essere a conoscenza delle prime dichiarazioni rese dal COGNOME, in quanto presenti nel patrimonio probatorio di un processo nel quale era stato parte, evidenziando altresì come di queste il primo collaboratore avesse singolarmente ripreso peculiari espressioni funzionali a definire il ruolo dell’indagato e perfino la storpiatura del suo cognome. Nemmeno tali lamentele sono state effettivamente affrontate dal giudice del riesame nel soppesare l’attendibilità dell’Arena e l’idoneità delle sue dichiarazioni a fungere da riscontro a quelle del Moscato.
4.6 Né supplisce alla carenza motivazionali · evidenziate l’estremo tentativo del Tribunale di svincolare la valutazione del compendio probatorio di riferimento dai principi giurisprudenziali illustrati in precedenza evocando la circolazione in ambito
associativo delle informazioni acquisite dal COGNOME. In proposito, infatti, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su fatti e circostanze attinenti la vita e le attività del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso, seppure non sono assimilabili a dichiarazioni de relato, possono assumere rilievo probatorio, purché supportate da validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell’informazione resa, che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati (ex multis Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279185). Verifica omessa dal giudice del riesame, che non ha spiegato per quali ragioni debba ritenersi credibile che le circostanze riferite dal COGNOME costituissero effettivamente “patrimonio conoscitivo comune”.
Le evidenziate lacune della motivazione dell’ordinanza impugnata in merito alla valutazione delle dichiarazioni provenienti dai collaboratori di giustizia si riflettono inevitabilmente sulla tenuta del discorso giustificativo relativo alla sussistenza dei gravi indizi della partecipazione del COGNOME alla cosca COGNOME posto che degli ulteriori elementi evocati dal Tribunale a sostegno di tale accusa i giudici del riesame non hanno precisato le ragioni della loro eventuale attitudine ad integrare autonomamente la trama probatoria necessaria per ritenere effettivamente superata la soglia dell’evidenza richiesta dall’art. 273 c.p.p.
Alla luce degli evidenziati vizi motivazionali l’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro.
P.Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. alt cod. proc. pen.
CORTE DI CASSAZIONE V SEZIONE PENALE