Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 16672 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA Presidente: NOME COGNOME
In nome del Popolo italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Penale Sent. Sez. 6 Num. 16672 Anno 2025
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/04/2025
SESTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. 502/2025
Martino COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
Relatore –
UP – 01/04/2025
R.G.N. 2898/2025
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOMECOGNOME nato in Germania il 21/12/1968 NOMECOGNOME nato a Siracusa il 03/06/1979 NOMECOGNOME nato a Siracusa il 07/11/1973
avverso la sentenza del 04/03/2024 della Corte di appello di Catania visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
letti i motivi aggiunti depositati dall’avvocato NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME
letta la memoria dell’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso di NOME COGNOME sia rigettato e che i ricorsi di NOME NOME e di NOME Salvatore siano dichiarati inammissibili;
udito l’ avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME difensore di NOME COGNOME e, quale sostituto processuale dell’avvocato NOME COGNOME, difensore di NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe indicata, per quanto qui di interesse, la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza del 18 aprile 2016 del Tribunale di Siracusa, dichiarava NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 d.l. n. 152/1991 (capo E), 10, 12 e 14 l. n. 497/1974 (capo M), assolvendolo dal reato di cui all’art . 416bis cod. pen. (capo A) per non aver commesso il fatto; dichiarava NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 416bis cod. pen. (capo A), 629, commi 1 e 2, cod. pen., 7 d.l. n. 152/1991 (capo D), 74 d.P.R. n. 309/1990 (capo N), 73 d.P.R. n. 309/1990 (capo N1), 10, 12 e 14 l. n. 497/1974 (capo M), dichiarando non doversi procedere in ordine ai restanti reati a lui ascritti perché estinti per intervenuta prescrizione; dichiarava NOME COGNOME responsabile del resto di cui all’art. 416 -bis cod. pen. (capo A), dichiarando non doversi procedere in ordine ai restanti reati a lui ascritti per bis in idem (capo L1) e perché estinti per intervenuta prescrizione (capo L).
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME denunciando i motivi di annullamento di seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Ricorso di NOME Fabio
Nel l’interesse di NOME sono stati presentati un ricorso principale e un ricorso con motivi aggiunti.
Con il ricorso principale sono dedotti i motivi di annullamento di seguito sintetizzati:
2.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla sussistenza di una associazione mafiosa facente capo a NOME COGNOME presupposto per l ‘ap p licazione dell’ aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991.
Nella prospettazione difensiva la prova del delitto associativo consiste unicamente nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che sono prive di riscontri, non trovando conferma nelle dichiarazioni degli altri collaboratori di giustizia – discordanti sulla appartenenza di NOME COGNOME a uno specifico clan e anche sulla sua funzione di capo di un autonomo clan- né
nelle conversazioni intercettate nell’ambito del proc. n. 1363/2024 R.G., acquisite al presente procedimento, in quanto soltanto in tre di esse si fa riferimento a NOME COGNOME come soggetto pericoloso, detenuto in espiazione pena, il quale, saltuariamente, quando riusciva ad ottenere un permesso, tornava a Cassibile per porre in essere azioni criminose.
2.1.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al delitto di estorsione aggravata di cui al capo E. Rileva il difensore che l’attendibilità del collaboratore di giustizia NOME COGNOME è stata esclusa dalla sentenza impugnata non soltanto in riferimento alla partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa di cui al capo A ma anche all’estorsione di cui al capo E, reato in relazione al quale è stato impreciso in ordine alle fonti della sua conoscenza dei fatti.
Nonostante ciò, le sue dichiarazioni sono state poste a base della condanna del ricorrente, non essendo gli altri elementi di prova, se autonomamente considerati, idonei a fondare tale pronuncia.
Secondo la difesa il ricorrente non sarebbe stato un intermediario di NOME COGNOME quanto piuttosto della persona offesa, di cui era amico e da cui era stato contattato, appunto, per mediare con COGNOME, che conosceva per esserne stato, a sua volta, vittima.
Viene contestata, inoltre, la sussistenza dell’aggravante del metodo mafioso poiché, in primo luogo, non esiste una associazione facente capo a NOME COGNOME e poiché, comunque, anche a volerla ritenere esistente, di essa non faceva parte il ricorrente. E’ ben ve ro che al metodo mafioso può ricorrere anche un soggetto non affiliato, ma nel caso di specie non vi è alcun elemento da cui poter dedurre che il ricorrente abbia tenuto una condotta minacciosa o violenta propria di chi appartenga a un sodalizio di tale specie.
Con il medesimo motivo si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in relazione al capo M, la cui fonte di prova è costituita unicamente dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, prive di riscontri individualizzanti oltre che generiche.
2.1.3. Violazione di legge in riferimento agli artt. 132 e 133 cod. pen., essendo la pena irrogata non congrua.
2.2. Con il ricorso per motivi aggiunti si deducono i vizi di violazione di legge e di difetto di motivazione in riferimento ai capi E e M, in quanto, se si escludono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, che la stessa Corte di appello reputa inattendibile in riferimento alla posizione di NOME COGNOME il compendio probatorio non è sufficiente a fondare una pronuncia di condanna.
2.3. Ricorso di NOME COGNOME
NOME COGNOME è stato dichiarato responsabile dei reati di cui ai capi A, D, H, H1, M , N, N1, come sopra riportato.
Nel suo interesse vengono dedotti i seguenti motivi di ricorso.
2.3.1. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 416bis cod. pen. (capo A), per mancanza degli elementi costitutivi del reato associativo e, in specie, della stabile struttura organizzativa, dell’organizzazione gerarchica interna, della ripartizione economica dei proventi, la forza intimidatoria esercitata sulle persone offese, dell’assistenza alle famiglie degli associati detenuti. Mancherebbero, poi, riscontri alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che non sono né spontanee ne analitiche né coerenti e le cui discrasie sono state non adeguatamente superate dalla sentenza impugnata.
Si rileva, infine, l ‘omessa pronuncia in ordine a l motivo di appello, formulato in via subordinata, con cui si chiedeva la riqualificazione del reato di cui al capo A ex art. 416 cod. pen.
2.3.2. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 416bis cod. pen., in quanto la sentenza ha fondato la condanna del ricorrente unicamente sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME che non ha fornito alcuna precisa indicazione rispetto al ruolo da questi rivestito all’interno dell’associazione , limitandosi a indicare che era entrato a farne parte nel 2003, mentre i testi di polizia giudiziaria e gli altri collaboratori di giustizia nulla hanno riferito in relazione alla sua partecipazione a detto sodalizio.
Illogica, nella prospettazione difensiva, sarebbe la motivazione della sentenza nella parte in cui ha giustificato la circostanza che gli altri collaboratori non abbiano parlato di NOME in base al fatto che questi ultimi gravitavano nel clan in un periodo diverso rispetto al ricorrente.
2.3.3. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla tentata estorsione contestata al capo D, che sarebbe stata commessa attraverso quattro atti intimidatori (del 02/03/2003, del 09/06/2003, del 24/08/2003 e del 05/11/2004). La partecipazione ad essi del ricorrente sarebbe provata sulla scorta delle sole dichiarazioni del collaboratore di giustizia mentre la stessa persona offesa NOME COGNOME ha riferito di non poter ricondurre gli atti intimidatori al ricorrente. E’ certo, inoltre, che all’ultimo episodio non può aver partecipato NOME COGNOME in quanto questi è stato ininterrottamente detenuto dal 24/12/2003 al 26/11/2005.
2.3.4. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al reato di cui agli artt. 10, 12, 14 l. 497/1974, contestato al capo M, la cui fonte di prova è costituita dalle generiche dichiarazioni il collaboratore di ingiustizia.
2.3.5. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione ai reati di cui agli artt. 73 e 74 d.P.R. n. 309/1990, contestati ai capi N e N1. La partecipazione di NOME COGNOME a ll’ associazione dedita al narcotraffico di cui al capo N è desunta dalle generiche dichiarazioni del collaboratore di giustizia, che non ha specificato la durata e il ruolo rivestito né gli episodi di spaccio a lui riferibili. Nessun riscontro è stato acquisito, mentre l’intercettazione ambientale n. 183 del 28/10/2009 dimostra, contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, che, a quella data, il ricorrente non apparteneva all’associazione.
Ad ogni modo, al più, l’implicazione del ricorrente nei reati in tema di stupefacenti potrebbe riguardare il periodo di quindici giorni intercorrenti tra il 28/10/2009 e il 24/11/2009 (data del suo arresto per altra causa) e per questo era stato chiesto, con i motivi di appello, di ricondurre il suo contributo all’attività di spaccio alla fattispecie concorsuale. Sul punto, però, la sentenza impugnata non contiene alcuna motivazione.
2.3.6. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 7 d.l. 152/1991, in riferimento ai capo D e M.
2.3. 7. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 99 , comma 4, cod. pen., in quanto dal certificato penale emerge che il ricorrente ha riportato due condanne, una per minaccia divenuta irrevocabile il 17/09/2003 e una per tentata estorsione, divenuta irrevocabile il 27/07/2005. Non sussisterebbe, quindi, la recidiva reiterata specifica contestata in relazione ai capi A, D, M.
In subordine potrebbe essere ritenuta sussistente la sola recidiva semplice in relazione al capo A.
2.3.8. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 99 e 157 cod. pen. Deduce il difensore che la Corte di appello, in applicazione dell’art. 63, comma 4, cod. pen. ha previsto l’aumento sulla pena base per la sola aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991 non applicando alcun incremento per la recidiva. Pertanto, la recidiva, seppur debitamente contestata, non può essere valutata ai fini del computo dei termini prescrizionali, non avendo avuto effetti nella quantificazione della pena.
Da ciò consegue che il reato di cui al capo A (reato commesso fino al 26/11/2005) è da ritenersi prescritto il 01/11/2023 (nella memoria di replica il termine è indicato nel 26/09/2022); il reato di cui al capo M (commesso fino al 24/12/2003) è da ritenersi prescritto il 26/09/2022; il reato di cui al capo N (commesso fino al 17/03/2010) è da ritenersi prescritto il 18/01/2022; il reato di cui al capo N1 (commesso fino al 17/03/2010) è da ritenersi prescritto il 18/01/2022.
2.3.9. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 56 e 133 cod. pen., in quanto per il delitto di tentata estorsione di cui al capo D, la Corte ha individuato la pena base in anni 5 di reclusione, senza indicare la riduzione apportata per l’ipotesi tentata e senza motivare la scelta di discostarsi dal minimo edittale.
2.3.10. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 533 cod. proc. pen., in quanto è stato previsto un unico aumento a titolo di continuazione per i capi A, M, N, N1, senza specifica indicazione del quantum di pena relativo a ciascuno di essi.
2.3. 11. Violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’art. 81 cod. pen. in quanto la Corte di appello, seppur investita di apposita richiesta con produzione documentale successiva all’atto di appello ma precedente alla discussione, non ha applicato la disciplina del reato continuato tra la tentata estorsione di cui al capo D e la sentenza irrevocabile di condanna n. 1434 emessa dalla Corte di appello di Catania il 11/07/2005, riguardante due tentate estorsioni commesse nel 2003, pur sussistendo tutti gli elementi per l’applicazione dell’istituto (medesimo ambito territoriale, medesimo contesto temporale, medesima tipologia di reato).
2.4. Ricorso di NOME COGNOME
NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. contestato al capo A.
Nel suo interesse viene dedotto un unico, articolato, motivo di annullamento per violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all’esistenza dell’associazione a delinquere di stampo mafioso capeggiata da NOME COGNOME e alla sua partecipazione ad essa.
Rileva il difensore che la sentenza impugnata non si confronta con la motivazione della sentenza della Corte di assise di appello di Catania, del 09/11/2015, irrevocabile il 13/07/2016, relativa all’omicidio di NOME COGNOME per cui il ricorrente è stato condannato, che ha escluso l’aggravante del metodo mafioso proprio per l’incertezza in ordine alla sussistenza dell’associazione mafiosa che avrebbe trovato la sua fonte di prova unica nelle dichiarazioni di NOME COGNOME Sotto altro profilo, si sottolinea che, del tutto contraddittoriamente, la sentenza impugnata, pur rilevando che le valutazioni espresse dalla Corte di assise nel procedimento per l’omicidio di NOME COGNOME non potevano ‘valere come dato fattuale’ nel presente procedimento, h a utilizzato le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia in quel procedimento.
Si rileva, inoltre, che le dichiarazioni di NOME COGNOME non hanno alcun riscontro e pertanto non possono essere poste a fondamento della responsabilità
del ricorrente che risulta del tutto sconosciuto alla quasi totalità dei collaboranti e testi escussi.
Da ultimo si deduce che anche l’esclusione dell ‘aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152/1991 in riferimento al reato di cui al capo L porta a escludere la partecipazione all’associazione .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va preliminarmente affrontato, in quanto comune a tutti i ricorrenti, il motivo di ricorso con cui contesta l’esistenza dell’associazione di cui al capo A.
Il motivo è manifestamente infondato.
Dalla sentenza impugnata (pag. 24 e ss) emerge che le indagini hanno preso avvio dal rinvenimento del cadavere di NOME COGNOME, il 03/04/2009, e sono state subito indirizzate al gruppo capeggiato da NOME COGNOME grazie alla collaborazione, fornita sin dal 10/04/2009, da NOME COGNOME il quale ha confessato di essere uno degli esecutori materiali dell’omicidio unitamente a NOME COGNOME (fatto per il quale entrambi sono stati condannati con sentenza divenuta definitiva) e ha riferito di essersi rivolto alle forze di polizia perché temeva per la propria vita.
Le dichiarazioni di NOME COGNOME sono state ritenute intrinsecamente attendibili secondo i canoni della spontaneità, costanza, coerenza, ricchezza di dettagli, assenza di contrasto con altre acquisizioni, mancanza di contraddizioni; esse hanno fondato la sua condanna per l’omicidio di NOME COGNOME e per l’appartenenza all’ associazione diretta da NOME COGNOME nonché la condanna di quest’ultimo per l’omicidio di NOME COGNOME
Sotto il profilo dell’ attendibilità estrinseca, le sue dichiarazioni hanno trovato riscontro nelle intercettazioni telefoniche (riportate alle pagine 20 e ss. della sentenza impugnata; rilevante anche la conv. n. 536 del 18/04/2009, riportata a pag. 27, in cui NOME COGNOME commenta il pentimento di Troia subito dopo l’omicidio di NOME COGNOME « Bastardo!.. Ma se è vero che hai un’intenzione di quella, di fargli fare un danno al ragazzo a….. buttarti pentito perché non lo fai prima? Ti eviti un morto, ti eviti. Come hai fatto morire il ragazzo e, minchia, ti sei buttato pure pentito? Allora se la avevi prima questa intenzione perché non facevi la chiamata anonima dai Carabinieri a dire ‘ vedete che tra poco devono fare questa cosa devono fare ‘ » ), oltre che nelle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia già appartenenti ad altre organizzazioni di tipo mafioso che operavano in Cassibile, quali NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME, NOME di NOME.
Del resto, l’attendibilità di NOME Troia è solo genericamente contestata nei ricorsi, che non evidenziano motivi specifici a sostegno della censura dedotta.
Sulla base di tali dichiarazioni è stata ricostruita la nascita e l’operatività dell’associazione facente capo a NOME COGNOME operante negli anni dal 2002 al 2011.
Nel primo periodo (fino ad agosto 2006), quest’ultimo si trovava in carcere e sfruttava i numerosi permessi premio per promuovere una serie di attività illecite insieme ad alcuni stretti collaboratori, tra cui NOME COGNOME al fine di costituire un nuovo gruppo criminale contrapposto al sodalizio che, all’epoca, controllava il territorio di Cassibile, sodalizio facente capo ai NOME COGNOME, referenti del clan COGNOME.
Il gruppo era, in origine, composto da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME questi ultimi con compiti esecutivi, per i quali erano ricompensati con danaro.
Con l’eclatante omicidio di NOME COGNOME (il cui cadavere è stato rinvenuto in data 09/02/2002), per cui sono stati condannati con sentenza definitiva NOME COGNOME e NOME COGNOME, di fatto era divenuto notorio il diverso assetto criminale che controllava il territorio ( dopo l’omicidio i fratelli di NOME COGNOME sono divenuti collaboratori di giustizia).
Quanto alla struttura organizzativa, secondo la sentenza impugnata, la compagine era piuttosto fluida perché si trattava di un piccolo gruppo che agiva essenzialmente su una ridotta realtà territoriale, anche se con metodi estremamente cruenti.
Sul punto va precisato che elemento essenziale del reato di cui all’art. 416bis cod. pen. è l’accordo associativo, che crea un vincolo permanente a causa della consapevolezza di ciascun associato di far parte del sodalizio e di partecipare, con contributo causale, alla realizzazione di un duraturo programma criminale. Tale essendo la caratteristica del delitto, ne discende a corollario la secondarietà degli elementi organizzativi che si pongono a substrato del sodalizio, elementi la cui sussistenza è richiesta nella misura in cui dimostrano che l’accordo può dirsi seriamente contratto, nel senso cioè che l’assoluta mancanza di un supporto strumentale priva il delitto del requisito dell’offensività. Tanto sta pure a significare che, sotto un profilo ontologico, è sufficiente un’organizzazione minima perché il reato si perfezioni, e che la ricerca dei tratti organizzativi non è diretta a dimostrare l’esistenza degli elementi costitutivi del reato, ma a provare, attraverso dati sintomatici, l’esistenza di quell’accordo fra tre o più persone diretto a commettere più delitti, accordo in cui il reato associativo di per sé si concreta (Sez. 6, n. 10725 del 25/09/1998, COGNOME, Rv. 211743 -01).
Di tali criteri ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata, che ha respinto le doglianze difensive relative al difetto di ripartizione di ruoli, alla modestia della struttura organizzativa e logistica, alla mancanza di una cassa comune e di stipendi, rilevando come tali caratteri, tipici di associazioni di ampie dimensioni territoriali, non sono essenziali e non si prestano a essere applicati al sodalizio che ha tratto origine per volontà di NOME COGNOME e dei suoi più stretti amici, che ha cominciato a insediarsi nel territorio di Cassibile con modalità progressive in linea con le capacità operative che via via si acquisivano, anche promuovendo l’ adesione di nuovi adepti. Si trattava, cioè, di una organizzazione composta da pochi membri, in cui tutti componenti erano subordinati a Linguanti, che gestiva gli introiti, decideva di azioni criminose da compiere, elargiva di volta in volta i compensi ai singoli.
Le stesse modalità attraverso cui il gruppo ha agito (omicidi, danneggiamento mediante incendi, esplosioni di arma da fuoco, pestaggi, minacce, collocamento di animali scuoiati e senza testa o di proiettili davanti alle porte delle vittime) manifestano concretamente la forza di intimidazione e sono valse ad assoggettare le vittime e a diffondere un clima di omertà.
Il gruppo COGNOME, inoltre, era riconosciuto dai referenti dei diversi sodalizi mafiosi che operavano nei territori limitrofi, come uniformemente emerso dalle popolazioni di tutti i collaboratori di giustizia.
Lo stesso omicidio di NOME COGNOME, maturato in seno all’associazione , rivela come il clan fosse connotato da rigide regole gerarchiche e dalla sottomissione degli appartenenti alla decisione del loro capo poiché la vittima è stata uccisa, pur essendo un appartenente del gruppo sin dalla sua nascita, perché aveva disatteso la politica criminale del gruppo (cfr. conv. n. 536 del 18/04/2009, riportata a pag. 27 della sentenza impugnata, in cui NOME COGNOME sfoga la sua rabbia per l’uccisione dell’a mico « qualsiasi cosa abbia fatto l’amico mio, qualsiasi sgarbo, era una cosa sempre nella famiglia nostra, in senso era il gruppo nostro, era, capito? E la cosa si poteva risolvere…. Non è che era un gruppo avverso » ).
La motivazione della sentenza impugnata in merito alla esistenza dell’associazione facente capo a NOME COGNOME è, dunque, logica e immune da vizi e sfugge alle censure dedotte con i ricorsi.
2. Ricorso di NOME
2.1. Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta l’esistenza dell’associazione mafiosa facente capo a NOME COGNOME che costituisce presupposto per l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. 152/1991 in relazione al capo E, è manifestamente infondato per i motivi sopra esposti.
2.2. Il secondo motivo di ricorso, relativo al delitto di estorsione di cui capo E, è fondato e merita accoglimento.
Secondo l’imputazione NOME COGNOME su incar ico di NOME COGNOME avrebbe collocato, il 23/07/2007, due cartucce cal. 7,65 avvolte in nastro adesivo di colore nero, davanti alla posta di ingresso del negozio di abbigliamento RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME e NOME COGNOME e avrebbe ripetutamente avanzato la richiesta di della somma di euro 500 euro al mese in favore dell’ associazione, somma che le due persone offese sono state costrette a versare.
La Corte di appello ha ritenuto che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME siano imprecise sulla condotta tenuta da NOME COGNOME sia rispetto fonte delle proprie conoscenze, sia rispetto ai riferimenti temporali forniti, tanto che non sono state ritenute idonee a costituire elemento di prova in riferimento al reato associativo di cui al capo A.
Del tutto contraddittoriamente, però, la sentenza ha fondato su di esse, e su una serie di riscontri individualizzanti, la responsabilità per il delitto di cui al capo E, quantunque, anche in riferimento a tale reato, abbia sottolineato (pag. 52 e ss.) che, dapprima, il collaboratore aveva riferito di aver appreso direttamente il coinvolgimento di NOME nell’estorsione in danno di COGNOME, per essere stato presente all’incontro, e, successivamente, di aver appreso la circostanza da llo stesso NOME. Secon do la Corte a tale contraddizione se ne aggiunge un’altra, relativa all’esito dell’estorsione, in quanto il collaboratore ha riferito, in un primo momento, che le vittime non avevano voluto pagare e, poi, che avevano pagato.
Va, sul punto, specificato che la non piena attendibilità delle dichiarazioni di NOME COGNOME rispetto alla posizione di NOME COGNOME non pregiudica, per il principio della cosiddetta “frazionabilità” della valutazione, l’ attendibilità delle altre parti del racconto intrinsecamente credibili e adeguatamente riscontrate, non sussistendo un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta imprecisa e le rimanenti parti e non essendo l’inattendibilità talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante (Sez. 6, n. 35327 del 18/07/2013, Arena, Rv. 256097).
Espunte, dunque, le dichiarazioni di COGNOME in relazione al concorso del ricorrente nel delitto di estorsione, le restanti prove non sono sufficienti a sorreggere la condanna.
La persona offesa NOME COGNOME ha riferito di aver chiesto al ricorrente, di cui era amico, chi potesse aver messo le cartucce davanti alla saracinesca del suo negozio, come gesto intimidatorio, non ricevendo mai, però, alcuna risposta (pag. 110 sentenza di primo grado).
Ha aggiunto di essersi rivolto al ricorrente anche per avere un contatto con NOME COGNOME.
Le indagini di polizia giudiziaria hanno permesso di appurare che, il giorno 09/08/2007, NOME COGNOME era all’interno del locale del ricorrente, il quale è uscito, ha raggiunto l’abitazione di NOME COGNOME dove si è intrattenuto per una ventina di minuti, per poi fare ritorno al ristorante, dove ad attenderlo vi era ancora la persona offesa, con cui è restato per un’altra decina di minuti.
Lo stesso imputato, in sede di spontanee dichiarazioni ha ammesso che COGNOME gli aveva confidato di aver rinvenuto alcuni proiettili sulla saracinesca del negozio e che si era rivolto a lui per chiedergli di individuare gli autori.
Tali elementi non sono, all’evidenza, idonei a provare che l’autore del gesto intimidatorio e delle richieste estorsive in danno di NOME COGNOME sia stato il ricorrente, che pare piuttosto, come sostenuto dalla difesa, avere svolto il ruolo di intermediario in favore dell’amico . Del resto, dalla stessa sentenza di secondo grado, ancora una volta in modo contraddittorio, risulta che il ruolo di NOME COGNOME nell’estorsione ai danni di NOME COGNOME pare circoscritto a quello di « amico buono » .
In conclusione, quindi, la sentenza impugnata va annullata con riferimento alla condanna del ricorrente per il capo E. Poiché tutto il materiale probatorio appare essere stato ostentato, tanto da non rendere possibile alcun sviluppo in senso diverso in caso di nuovo giudizio, si impone un annullamento senza rinvio.
2.3. Il terzo motivo di ricorso, relativo ai reati di cui al capo M (detenzione e porto di pistole, proiettili e fucili, aggravati ex art. 416bis .1 cod. pen.) è fondato e merita accoglimento.
La condanna del ricorrente per tale reato è stata correlata a quella per il delitto di estorsione di cui al capo E, per la cui realizzazione « si è fatto uso di munizioni al fine di intimidire la vittima » (pag. 56). Pertanto, dal l’annullamento della condanna per il capo E consegue anche l’annullamento per il reato di cui al capo M, che trovava nella commissione del primo la propria esclusiva fonte di prova.
3. Ricorso di NOME COGNOME
3.1. Il primo motivo di ricorso, con cui si contesta l’esistenza dell’associazione di stampo mafioso facente capo a NOME COGNOME è manifestamente infondato per i motivi sopra esposti, cui si fa rinvio.
Va solo aggiunto che è inammissibile, per carenza d’interesse, la censura relativa alla omessa motivazione in ordine alla richiesta di riqualificare il reato ai sensi dell’art. 416 cod. pen., in quanto ab origine manifestamente infondata, tanto che dal suo eventuale accoglimento non sortirebbe alcun esito favorevole in
sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, n. 46588 del 03/10/2019, COGNOME, Rv. 277281 -01).
3.2. Non supera il vaglio ammissibilità il secondo motivo di ricorso, con cui si contesta la partecipazione del ricorrente all’associazione capeggiata da NOME COGNOME
Il motivo, infatti, è meramente reiterativo di identica censura, affrontata e respinta con motivazione del tutto adeguata dalla sentenza impugnata (pag. 5862), che, di fatto, viene ignorata dal ricorso.
In ogni caso, esso è infondato in quanto, secondo la ricostruzione, logica e immune da vizi, della Corte di appello, la partecipazione del ricorrente è provata sulla base delle dichiarazioni di NOME COGNOME, ritenuto pienamente attendibile e delle conversazioni intercettate. Di particolare rilievo sono la n. 536 del 18/04/2009, già menzionata, e la n. 1953 del 26/04/2009 in cui il ricorrente, scosso per l’uccisione dell’amico NOME COGNOME ad opera di NOME COGNOME e NOME COGNOME, sfoga la sua rabbia e parla apertamente della sua pregressa appartenenza al sodalizio mafioso insieme a COGNOME. Il ricorrente e COGNOME erano, infatti, stati arrestati e condannati per condotte estorsive (contestate ai capi B e C ad altri correi) commesse in veste di affiliati, su incarico ricevuto da Troia, e, non avendo ricevuto nulla per il mantenimento in carcere, avevano condiviso l’idea di allontanarsi dal sodalizio.
Dopo la scarcerazione, del 26/11/2005, il ricorrente non ha più posto in essere condotte illecite per conto dell’associazione, aderendo al traffico di sostanze stupefacenti (capi N e N1), promosso dapprima dall’amico NOME COGNOME e, dopo la morte di quest’ultimo, proseguito da NOME COGNOME.
COGNOME aveva, invece, ripreso i contatti con l’associazione ed era stato ucciso , avendo contravvenuto alla politica del clan.
Nelle telefonate sopra indicate la rabbia di NOME si dirige essenzialmente nei confronti di Troia, che , subito dopo l’omicidio, si era pentito, come sopra riportato.
Infine, la Corte ha ritenuto irrilevante che altri collaboratori, appartenenti a diverse associazioni, non conoscessero NOME COGNOME sia perché era affidatario di compiti meramente esecutivi e non si occupava di contatti con altri clan, per cui non avevano mai avuto a che fare con lui, sia per l’epoca in cui il ricorrente ha rescisso i legami con il gruppo (2006).
3.3. Il terzo motivo di ricorso, afferente al capo D, è anch’esso inammissibile perché si risolve nella pedissequa reiterazione delle censure già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito.
In ogni caso esso è infondato, in quanto la sentenza impugnata ricostruisce (pag. 62 e ss.) la tentata estorsione ai danni di NOME COGNOME, titolare di un esercizio commerciale e destinatario di atti intimidatori posti in essere per costringerlo a versare il pizzo sulla base delle precise e specifiche dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, che aveva appreso da NOME COGNOME le richieste avanzate alla persona offesa e i nomi dei sodali a cui era stato demandato il compito di realizzare gli atti intimidatori, mentre aveva saputo dagli stessi NOME COGNOME e NOME COGNOME quali erano stati i diversi atti intimidatori concretamente realizzati.
Le dichiarazioni del collaboratore sono ritenute pienamente attendibili, in quanto in esse non è possibile apprezzare alcuna incoerenza o contraddizione ma al più qualche imprecisione, che è stata spiegata alla luce del tempo decorso dalla consumazione dei fatti e della pluralità degli stessi, che rende comprensibile un difetto di ricordo in riferimento a dettagli irrilevanti, a fronte della complessiva coerenza e congruenza delle circostanze narrate.
NOME COGNOME del resto, si è direttamente interfacciato con la persona offesa che, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, ha confermato di avere subito la prima aggressione fisica da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME così fornendo puntuale riscontro alle dichiarazioni del collaboratore.
In particolare, NOME COGNOME è stato aggredito e percosso il 02/03/2003; il 09/06/2003 sono stati esplosi colpi di arma da fuoco alla porta d’ingresso del suo esercizio commerciale; il 28/04/2003 ha subito l’ incendio del furgone Fiat Ducato di sua proprietà; il 05/11/2004 è stata collocata una bottiglia incendiaria davanti all’ingresso dell’esercizio commerciale.
Secondo la Corte di appello, la circostanza che l’ultimo atto intimidatorio sia avvenuto dopo che NOME e NOME erano stati arrestati non vale ad escludere il loro coinvolgimento nella condotta delittuosa, evidentemente proseguita anche dopo il loro arresto.
Peraltro, lo stesso NOME, nella conversazione riportata a pag. 61 (prog. 536), conversando con una amica, esclude di aver mai ammazzato qualcuno e ammette di aver posto in essere « altri tipi di cose », quali estorsioni, rapine e furti per conto del sodalizio, mentre in una successiva telefonata (prog. 1953, pag. 61) fa esplicito riferimento alla condanna per estorsioni commesse su mandato di Troia.
3.4. Inammissibile è anche il quinto motivo di ricorso, relativo alla detenzione illegale e al porto in luogo pubblico di pistole, fucili e del relativo munizionamento (capo M), in quanto non si confronta con le argomentazioni della sentenza di secondo grado che respinge in modo adeguato le censure reiterate con il ricorso.
La condanna per tali reati si basa sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia e sulla circostanza che, nell’esecuzione di atti intimidatori in danno di NOME COGNOME è stato utilizzato anche un fucile, da cui sono stati esplosi colpi verso la vetrata del negozio; ciò comprova la disponibilità dell’arma da parte dell’imputato. Del resto lo stesso NOME ha ammesso di aver preso parte a numerose estorsioni che implicavano l’uso di armi (pag. 65-66).
3.5. Manifestamente infondato è il quinto motivo di ricorso, relativo ai capi N e N1.
Dalla sentenza impugnata emerge un solido quadro probatorio relativo alla sussistenza di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (capo N), di cui faceva parte il ricorrente, e a plurimi reati di spaccio (capo N1).
NOME COGNOME ha riferito che NOME COGNOME unitamente a NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, verso la fine del 2008, avevano iniziato a spacciare hashish e marijuana, aggregando intorno a sé altri accoliti per lo spaccio al dettaglio.
Vi sono, poi, numerose conversazioni intercettate gli interlocutori parlano apertamente di ‘ erba ‘, ‘ grammi ‘, ‘ fumo ‘ (pag. 31 sentenza impugnata) .
Lo stesso NOME COGNOME poi, ha ammesso reiterati episodi di compravendita di stupefacenti avvenuti nel periodo in cui si sono svolte le indagini.
Secondo la sentenza impugnata, l ‘associazione era strutturata in modo gerarchico ed ha avuto come capo, in un primo momento, NOME COGNOME e, dopo la sua uccisione, NOME COGNOME che decideva chi poteva spacciare in Cassibile e che faceva pesantemente minacciare o picchiare chi spacciava senza la sua autorizzazione per mano anche di NOME COGNOME (pag. 31). In una intercettazione del 07/11/2009 (richiamata a pagina 69) si è registrato il violento pestaggio Di NOME COGNOME ad opera del ricorrente per non essersi allineato alle disposizioni di NOME COGNOME ossia per punirlo per una questione inerente il traffico di droga riconducibile al gruppo.
La sentenza impugnata dà atto (pag. 67 e ss.) che l’attività di polizia giudiziaria e i servizi di intercettazione, oltre alle dichiarazioni del collaboratore, provano la continuità e stabilità dell’attività di spaccio posta in essere dai soggetti sopraindicati dall’aprile del 2009, l’occultamento delle scorte le azioni punitive organizzate ai danni dei concorrenti spacciatori, il recupero del prezzo e i conteggi dei quantitativi.
L’associazione provvedeva anche al sostentamento dei sodali, come emerge dalle conversazioni intercettate in cui NOME COGNOME rassicura la sorella di NOME COGNOME che si occuperà del suo sostentamento dopo l’arresto e non lo
lascerà solo come quando era accaduto quando era stato arrestato con NOME COGNOME (pag. 33).
Un altro collaboratore di giustizia, NOME COGNOME giudicato separatamente, ha riferito di aver spacciato unitamente a Floridia prima del suo arresto nel novembre 2009.
La telefonata di cui al progressivo 183 del 28/10/2009, contrariamente a quanto sostenuto la difesa, secondo la Corte d’appello indica il già consolidato inserimento del ricorrente nel traffico di stupefacenti, in quanto, con essa dopo il sequestro di anabolizzanti presso l’abitazione di Floridia, COGNOME spiega al suo interlocutore che l’imputato era parte del gruppo.
Inammissibile è la censura relativa all’omessa motivazione della Corte di appello in ordine alla richiesta di ricondurre i fatti alla fattispecie concorsuale, in quanto detta richiesta era manifestamente infondata, essendo stata ritenuta integrata la più grave fattispecie associativa.
Il ricorrente, infine, provvedeva anche direttamente all’attività di spaccio, come emerge dalle conversazioni riportate a pagina 69.
3.6. Manifestamente infondata è la doglianza relativa a ll’aggravante di cui all’ art. 7 d.l. n. 152/1991, in riferimento ai capo D, in quanto, come emerge dalla sentenza impugnata, la condotta estorsiva in danno di NOME COGNOME è stata effettuata, in veste di affiliato, per conto del sodalizio mafioso di appartenenza e al fine di agevolare i suoi scopi (pag. 65).
Inammissibile, perché proposto per la prima volta in sede di legittimità, è il motivo di ricorso con cui si contesta l’ applicabilità dell’aggravante ai reati di cui al capo M.
3.7. Con il settimo motivo di ricorso si contesta la sussistenza della recidiva reiterata specifica in riferimento ai capi A, D e M, in quanto il ricorrente ha riportato due condanne, una per minacce, divenuta irrevocabile il 17/09/2003, e una per tentata estorsione, divenuta irrevocabile il 27/07/2005.
La Corte di appello ha motivatamente ritenuto sussistere la recidiva reiterata specifica, in quanto i reati per cui è intervenuta condanna, posti in relazione qualificata con le due pregresse condanne, sono indice di una di una più accentuata colpevolezza e di una maggior pericolosità del ricorrente.
La recidiva deve ritenersi insussistente rispetto al capo D, commesso fino al 24/08/2003, ma il relativo motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse, non avendo la riconosciuta recidiva avuto alcun concreto ruolo nella determinazione del trattamento sanzionatorio inflitto a carico del ricorrente (Sez. 4, n. 15937 del 14/03/2024, COGNOME Rv. 286342 -01).
3.8. L’ottavo motivo di ricorso, con cui si deduce che sarebbe maturato il termine massimo di prescrizione per i reati per cui è intervenuta condanna, è manifestamente infondato.
Infatti, i reati di cui al capo A (416bis cod. pen.) e M (art 10, 12, 14 l. 497/1974, aggravato ex art. art. 7 d.l. 152/1991) rientrano nel novero di quelli di cui all’art. 5 1, comma 3bis , cod. proc. pen., per i quali è applicabile la più rigorosa disciplina dell’art. 161, comma 2, cod. pen., secondo cui il termine ordinario di prescrizione ricomincia nuovamente a decorrere dopo ogni atto interruttivo.
Quanto ai reati di cui ai capi N e N1, la difesa deduce che la sentenza impugnata ha errato nel calcolo della prescrizione, in quanto ha tenuto conto dell’aumento per la recidiva, che, seppur debitamente contestata, non potrebbe essere valutata ai fini del computo dei termini prescrizionali, non avendo avuto effetti mediante aumento della pena. A sostengo di tale tesi richiama, la pronuncia delle Sezioni Unite n. 20808 del 25/10/2018 (Schettino, Rv. 275319). Tuttavia, tale riferimento non è pertinente, in quanto la sentenza attiene al diverso caso in cui la recidiva non è espressamente riconosciuta e i precedenti vengono valorizzati da parte del giudice solo ai fini del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Nel presente procedimento, invece, come già detto, la recidiva qualificata è stata espressamente e motivatamente ritenuta sussistente dal giudice di merito.
3.9. Il nono motivo di ricorso, con cui si deduce che, per il delitto di tentata estorsione di cui al capo D, la Corte è partita da una pena base di anni cinque di reclusione senza indicare la riduzione apportata per l’ipotesi tentata, è manifestamente infondato, in quanto la determinazione della pena nel caso di delitto tentato può essere indifferentemente effettuata con il cosiddetto metodo diretto o sintetico, cioè senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, oppure con il metodo bifasico, mediante scissione dei due momenti indicati, fermi restando la necessità del contenimento della riduzione della pena prevista per il reato consumato nei limiti di legge e l’obbligo di dar conto in motivazione della scelta commisurativa (Sez. 5, n. 40020 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 277528).
Nel caso di specie Corte di appello ha esplicitato i criteri in base ai quali è stata determinata la pena ossia le gravi modalità esecutive del fatto, l’intensità del dolo e il comportamento successivo tenuto dall’imputato, che ha riportato, in epoca successiva ai fatti per cui si procede, altre condanne per detenzione illecita di sostanze stupefacenti e per furto aggravato.
3.10. Il decimo motivo di ricorso, con cui si contesta la mancata previsione di aumenti di pena distinti per i reati posti in continuazione, è manifestamente infondato, in quanto gli aumenti sono stati effettuati in modo specifico per ciascun reato (in particolare, la pena base, individuata per il più grave reato di cui al capo D, è stata aumentata per l’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152/1991 e, poi, ulteriormente aumentata, ex art. 81, comma 2, cod. pen., di mesi tre di reclusione ed euro 100 di multa per il capo A, di mesi tre di reclusione ed euro 150 di multa per il capo N, di mesi uno e giorni quindici di reclusione ed euro 100 di multa per il capo N1 e di giorni quindici di reclusione ed euro 50 di multa per il capo M).
3.11 L ‘undicesimo motivo di ricorso con cui si deduce l’omessa pronuncia in ordine alla richiesta di applicazione dell’istituto della continuazione tra il capo D e la sentenza irrevocabile di condanna n. 1434 emessa dalla Corte di appello di Catania il 11/07/2005, richiesta che si asserisce essere stata formulata successivamente all’atto di appello e che non risulta dal provvedimento impugnato- è inammissibile.
Infatti, è inammissibile, per genericità e difetto di autosufficienza, il motivo inteso a denunciare l’omesso esame di una richiesta, di cui non vi sia menzione nel provvedimento impugnato, qualora non siano stati specificamente indicati, ai fini dell’inserimento nel fascicolo formato dalla cancelleria del giudice “a quo” ai sensi dell’art. 165bis, comma 2, disp. att. cod. proc. pen., gli atti da cui possa desumersi che detta richiesta era stata invece ritualmente proposta (Sez. 1, n. 48422 del 09/09/2019, Rv. 277796 -01).
4. Ricorso di NOME COGNOME
Con la sentenza impugnata è stata confermata la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen., con il ruolo di partecipe.
4.1. Con il ricorso viene contestata l’esistenza dell’associazione e la partecipazione ad essa di NOME COGNOME adducendo motivi parzialmente diversi da quelli degli altri ricorrenti e, in particolare, evidenziando il contrasto con la motivazione della sentenza della Corte di assise di appello di Catania -divenuta irrevocabile- relativa all’omicidio di NOME COGNOME che ha escluso l’aggravante del metodo mafioso per l’incertezza in ordine alla sussistenza dell’associazione mafiosa facente capo a NOME COGNOME che avrebbe trovato la sua fonte di prova unica nelle dichiarazioni di NOME COGNOME
La censura è manifestamente infondata.
Come evidenziato nella sentenza impugnata, il procedimento definito con la sentenza della Corte di assise richiamata dal ricorrente aveva ad oggetto l’omicidio
di NOME COGNOME e su tale oggetto sono acquisite le pertinenti fonti probatorie, mentre l’esistenza del gruppo mafioso rilevava soltanto in via incidentale, per l’accertamento del movente. In relazione a tale profilo le acquisizioni probatorie sono state limitate, per cui le relative statuizioni non possono avere rilievo nel presente procedimento, che, invece, ha a specifico oggetto proprio l’esistenza del gruppo mafioso (pag. 43).
Per quanto attiene, invece, all’esistenza dell’associazione facente capo a NOME COGNOME e alla valutazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME si fa rinvio a quanto sopra detto.
4.2. Manifestamente infondata è anche la censura relativa alla partecipazione del ricorrente all’associazione capeggiata da NOME COGNOME
Dalla sentenza impugnata emerge che le dichiarazioni del collaboratore di giustizia sul punto trovano ampia conferma nell’omicidio di NOME COGNOME, commesso dal ricorrente proprio in concorso con NOME COGNOME con cui non aveva alcun rapporto se non all’interno del sodalizio e che non aveva alcuna ragione di ostilità nei confronti di COGNOME se non quelle derivanti dal contesto criminale in cui la vittima certamente gravitava.
Del resto, che quell’omicidio sia maturato all’interno dell’associazione è chiaro in base sia alle parole NOME, sopra riportate (prog. 536 e prog. 1953) che alle parole di NOME COGNOME (intercettazione ambientale del 18/04/2009 15:55) che spiega di aver assunto il ruolo di NOME COGNOME nella direzione del traffico di stupefacenti che quest’ultimo aveva intrapreso e che COGNOME non tollerava venisse svolto a Cassibile.
4.3. Infine, il ricorrente rileva che l’esclusione dell ‘aggravante di cui all’articolo 7 d.l. n. 152/1991 in riferimento al capo L (frode informatica in concorso per aver alterato il funzionamento di apparecchi di gioco elettronico installati all’interno di una sala giochi, in modo tale da incassare direttamente le vincite in denaro, in assenza di collegamento con l’Agenzia delle entrate) milita nel senso della insussistenza della partecipazione all’associazione.
Anche tale motivo non supera il vaglio di ammissibilità perché non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata, che ha adeguatamente respinto analoga censura, rilevando che l’esclusione dell’aggravante del metodo mafioso in riferimento al capo L è del tutto neutra perché l’illecita attività svolta attraverso l’installazione di macchinette modificate per consentire il gioco delle slot machines o del poker era volta a garantire profitti al solo Linguanti, nel cui esclusivo interesse economico era posta in essere.
In conclusione, i ricorsi di NOME COGNOME e di NOME COGNOME vanno dichiarati inammissibili, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di NOME per non avere commesso il fatto. Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME NOME e NOME e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 01/04/2025.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME