Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 42765 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 42765 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/06/2024 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 13 giugno 2024 il Tribunale di Napoli rigettava l’appello proposto nell’interesse di COGNOME NOME avverso la decisione della Corte di appello di Napoli che aveva respinto l’istanza diretta ad ottenere la revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari.
1.1 Ricorre per cassazione avverso la predetta ordinanza il difensore di COGNOME, premettendo che quest’ultimo aveva iniziato a collaborare con la giustizia del 4 febbraio 2020 e lamentando che il provvedimento impugnato conteneva una palese violazione dell’art. 16-octies I.n. 82/1991, a norma del quale “..alla revoca o alla sostituzione può procedersi solo se, nell’ambito degli accertamenti condotti in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, il giudice che procede, sentiti il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e i procuratori generali presso le corti di appello interessati, non ha acquisito elementi dai quali si desuma l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o terroristico-eversivo e ha accertato che il collaboratore, ove soggetto a speciali misure di protezione, ha rispettato gli impegni assunti a norma dell’articolo 12”; la Corte di appello non aveva infatti operato i due controlli (uno negativo ed uno positivo) richiesti dalla norma, e tale profilo, debitamente censurato dinanzi al Tribunale del Riesame, non era stato in alcun modo esaminato dallo stesso; se la Corte di appello di Napoli non era stata adeguatamente coadiuvata dalle Autorità chiamate per legge ad esprimere il loro parere, lo stesso non poteva dirsi per il Tribunale del Riesame.
Il parere della Procura generale -prosegue il difensore- evocava l’assioma “collaborazione con la giustizia/benefici processuali” mai menzionato dalla difesa; il parere della RAGIONE_SOCIALE parlava di benefici penitenziari quando invece si era in tema di revoca di misura cautelare; la Corte di appello, a sua volta, aveva sollevato dubbi sulla affidabilità ed importanza del contributo collaborativo di COGNOME, mentre il parere della RAGIONE_SOCIALE.N.A. era positivo su tale punto; su tutti tali rilievi, nulla aveva detto il Tribunale del riesame, che era caduto in un erronea interpretazione degli art. 16-nonies L,n.82/1991 e 30-ter 0.P., scrivendo che non poteva attribuirsi alcun rilievo alla regolare fruizione dei permessi premio, quale indice della totale elisione delle esigenze cautelari; l’attento esame della prima delle norme citate avrebbe permesso di cogliere la contraddizione presente nel parere della RAGIONE_SOCIALE, favorevole alla ammissione di COGNOME ai benefici dei permessi premio e contrario alla revoca di una misura cautelare mai eseguita e meramente fittizia (COGNOME stava espiando un provvedimento di cumulo pene con scadenza al 18/12/1947).
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Il difensore osserva che il Tribunale aveva condiviso l’assunto della Corte di appello relativo alla necessitò , di un più approfondito vaglio della definitiva rottura con il contesto della criminalità organizzata, chiedendo quindi una sorta di controllo positivo, quando la norma chiedeva invece un controllo negativo, e cioè la mancata emersione/acquisizione di elementi da cui si desuma l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata; peraltro, nel parere della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE relativo alla richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare con quella degli arresti domiciliari, si leggeva che “devono ritenersi definitivamente rescissi i legali con la C.O. e pertanto del tutto cessate le esigenze cautelari che avevano determinato la richiesta”
1.2 II difensore eccepisce la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta necessità di consolidare la scelta collaborativa, visto il parere dell RAGIONE_SOCIALE sopra richiamato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
1.1 L’assunto dal quale parte la difesa è corretto in diritto: l’art. 16-octie del d.l. n. 8 del 1991 (convertito con legge 15 marzo 1991, n. 82) si limita a precludere la revoca o la sostituzione della misura in atto ove siano emersi persistenti collegamenti con la criminalità organizzata. E ciò senza imporre alcun onere probatorio in capo all’indagato. Ma il Tribunale non ha fondato la sua decisione sulla mancanza della prova positiva di una piena e radicale rescissione dei collegamenti delinquenziali: ha ritenuto che il percorso collaborativo fosse ancora in uno stadio iniziale (e, pertanto, inidoneo ad offrire quella necessaria certezza in ordine alla definitiva rimozione di ogni tipo di legame con la complessiva precedente attività delinquenziale posta in essere) e che gli elementi prospettati dalla difesa fossero del tutto irrilevanti
La motivazione è logica e coerente con i dati processuali e, in quanto tale, involgendo il giudizio al quale è chiamato il giudice cautelare apprezzamenti in fatto (in quanto diretto a verificare che il comportamento collaborativo sia garanzia di una scelta radicale di rimozione di qualsivoglia legame con la criminalità organizzata), è insindacabile nel giudizio di legittimità.
Infatti, secondo un indirizzo interpretativo del tutto consolidato, «in tema di ricorso per cassazione, il controllo di legittimità, anche nel giudizio cautelare personale, non comprende il potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nelle valutazioni del Gip e del tribunale del riesame, essendo, invece, circoscritto all’esame dell’atto impugnato al fine di verificare la sussistenza dell’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento» (Sez. 2, n. 9212 del 02/02/2017, Sansone, Rv. 269438 – 01).
In tale prospettiva ermeneutica, che si condivide e qui si intende ribadire, deve osservarsi che il Tribunale ha diffusamente motivato le ragioni della conferma dell’ordinanza del Giudice procedente (ovvero la Corte d’Appello di Napoli,), tracciando un percorso argomentativo che appare del tutto immune da profili di evidente illogicità denunciabili in questa sede.
Il Tribunale ha infatti affrontato la questione dell’eventuale affievolimento delle esigenze cautelari, in presenza di una scelta collaborativa che aveva determinato l’ammissione al programma di protezione. A tale quesito, il Giudice dell’appello cautelare ha risposto negativamente, conferendo decisivo rilievo ai pareri negativi formulati dal P.N.A. e dal P.G. presso la Corte d’Appello: si è in particolare osservato nel primo parere che non si sono ancora completati gli accertamenti sulla completezza e genuinità della collaborazione complessivamente valutata e sulla elisione totale dei contatti di NOME con la criminalità organizzata; a tale proposito, il Tribunale ha anche osservato che COGNOME è stato per lunghissimo tempo elemento di vertice della compagine criminale di appartenenza, condividendo tale ruolo anche nella funzione di raccordo con gli altri fratelli, altrettanto e forse ancora più vicini al massi livelli del clan COGNOME (pag.3 ordinanza impugnata); infine, il Tribunale ha anche sottolineato l’irrilevanza dei permessi premio e la permanenza delle esigenze cautelari.
E’ stata quindi correttamente applicata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui “Nei confronti degli indagati o imputati che rivestono la qualità di collaboratori di giustizia, il giudizio sulla pericolosità ai fini della sostituzio della revoca della misura della custodia cautelare non può essere limitato alla condotta processuale del collaboratore nel singolo giudizio, ma va condotto verificando in concreto se il comportamento collaborativo sia espressione di una scelta radicale di rimozione di qualsivoglia legame con la criminalità organizzata e, in particolare, con la precedente attività delinquenziale” (Sez.1, n. 9417 del 22/01/2019, Mandrillo, Rv. 276169).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle ammende.
Così deciso il 26/09/2024