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Coesistenza associazioni: Cassazione su mafia e droga

La Cassazione analizza la coesistenza associazioni criminali, confermando la detenzione per un soggetto a capo sia di un clan mafioso che di un distinto gruppo dedito al narcotraffico. Si esclude il ‘ne bis in idem’ per condotte successive a una precedente condanna e si chiarisce la configurabilità di due sodalizi autonomi, anche con leadership e cassa parzialmente in comune.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Coesistenza Associazioni: La Cassazione e la Distinzione tra Mafia e Narcotraffico

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30585 del 2024, ha affrontato un tema di grande complessità e rilevanza nel diritto penale: la coesistenza associazioni criminali. La pronuncia chiarisce quando un’associazione di stampo mafioso e una dedita al narcotraffico possano essere considerate due entità distinte e processate separatamente, anche se guidate dalla stessa persona. Questa decisione offre importanti spunti sulla valutazione dell’autonomia strutturale dei sodalizi criminali e sui limiti del principio del ne bis in idem.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un ricorso presentato avverso un’ordinanza di riesame che confermava la custodia cautelare in carcere per un individuo. L’indagato era accusato di ricoprire un ruolo direttivo in un’associazione di stampo mafioso (art. 416-bis c.p.) e, contemporaneamente, di essere promotore di un’autonoma associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (art. 74 D.P.R. 309/90). La difesa sosteneva che si trattasse di un’unica struttura criminale, quella mafiosa, che gestiva anche il traffico di droga come una delle sue attività, e non di due sodalizi distinti. Contestava, inoltre, la duplicazione di un’accusa per reato associativo già oggetto di un precedente procedimento, invocando una continuità della condotta.

L’Analisi della Corte sulla Coesistenza delle Associazioni

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando l’impianto accusatorio e la validità della misura cautelare. Il punto centrale della decisione risiede nella possibilità di configurare un concorso di reati tra l’associazione mafiosa e quella dedita al narcotraffico.

I giudici hanno stabilito che la coesistenza associazioni è giuridicamente possibile quando il gruppo dedito al narcotraffico, pur collegato al clan mafioso, presenta una propria autonomia strutturale e organizzativa. Nel caso di specie, il Tribunale aveva correttamente evidenziato come l’associazione per il traffico di droga fosse strutturata in modo diverso, con compiti specifici assegnati a singoli associati (pusher, coordinatori) e, soprattutto, si avvalesse del contributo stabile di soggetti “del tutto estranei al sodalizio di cui all’art. 416-bis c.p.”. Questa alterità, anche solo parziale, nella composizione soggettiva e nell’organizzazione interna è stata ritenuta un elemento decisivo per affermare l’esistenza di due distinti gruppi criminali.

Il Principio del “Ne Bis in Idem” e il Reato Permanente

Un altro aspetto cruciale affrontato dalla Corte riguarda l’eccezione di violazione del principio del ne bis in idem (divieto di essere processati due volte per lo stesso fatto). La difesa sosteneva che l’imputato fosse già stato giudicato per la sua appartenenza al clan in un altro procedimento. La Cassazione ha respinto tale argomentazione, chiarendo la natura del reato associativo come reato permanente. La permanenza, tuttavia, viene processualmente “cristallizzata” e delimitata temporalmente dalla sentenza di primo grado. Le condotte associative successive a tale data non sono coperte dal giudicato e possono legittimamente formare oggetto di un nuovo procedimento penale, senza che ciò costituisca una duplicazione dell’accusa.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di una chiara differenziazione tra i due sodalizi. Mentre l’associazione mafiosa persegue una pluralità di fini illeciti attraverso la forza di intimidazione, quella ex art. 74 D.P.R. 309/90 è specificamente finalizzata al traffico di stupefacenti. La giurisprudenza ammette il concorso tra le due fattispecie quando l’associazione per la droga, pur avvalendosi del clan, persegue un proprio programma delittuoso con una struttura autonoma. Nel caso esaminato, la presenza di membri non affiliati al clan mafioso e una distinta catena di comando per le attività di spaccio sono stati ritenuti indizi sufficienti di tale autonomia. Riguardo all’aggravante di aver agevolato il clan mafioso, i giudici hanno precisato che il conferimento dell’intero ammontare dei proventi del narcotraffico nella cassa comune del sodalizio mafioso costituisce la massima espressione dell’agevolazione, rendendo irrilevante la tesi difensiva secondo cui sarebbe stato necessario destinare solo una “quota parte” dei profitti.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio giuridico: la leadership comune o la comunanza di cassa non escludono di per sé la coesistenza associazioni criminali distinte e autonome. La valutazione deve essere condotta caso per caso, analizzando la struttura organizzativa, la composizione soggettiva e le finalità specifiche di ciascun gruppo. Per i reati associativi, una precedente condanna non crea uno “scudo” per le condotte future; la prosecuzione dell’attività illecita dopo la sentenza può essere legittimamente perseguita in un nuovo processo. Questa pronuncia fornisce quindi uno strumento interpretativo fondamentale per contrastare le forme più complesse e strutturate di criminalità organizzata.

Possono coesistere un’associazione mafiosa e un’associazione per il narcotraffico guidate dalla stessa persona?
Sì, secondo la sentenza è giuridicamente configurabile il concorso tra le due associazioni. La coesistenza è possibile se l’associazione dedita al narcotraffico, pur collegata al clan, possiede un’autonoma struttura organizzativa e si avvale di membri diversi da quelli affiliati al sodalizio mafioso.

Una condanna per associazione a delinquere impedisce un nuovo processo per la stessa accusa se la condotta prosegue nel tempo?
No. La sentenza chiarisce che una condanna per un reato associativo (reato permanente) delimita temporalmente la condotta giudicata. La prosecuzione dell’attività associativa dopo la data della sentenza di primo grado costituisce un fatto nuovo e distinto, che può essere oggetto di un nuovo procedimento penale senza violare il principio del ne bis in idem.

Come si valuta l’aggravante di aver agevolato un clan mafioso quando i proventi del narcotraffico finiscono in una cassa comune?
La Corte ha stabilito che il conferimento dell’intero ammontare dei proventi derivanti dal traffico di stupefacenti nella cassa del sodalizio mafioso realizza pienamente l’agevolazione. Non è necessario dimostrare che solo una “quota parte” dei profitti fosse destinata a tale scopo; l’intera attività, in questo schema, contribuisce a sostenere e finanziare l’associazione mafiosa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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