Co-detenzione di stupefacenti: quando il tentativo di occultamento conferma la colpa
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di co-detenzione di stupefacenti: le azioni compiute dall’imputato per tentare di nascondere o distruggere la prova del reato possono costituire la prova decisiva della sua colpevolezza. L’analisi del caso offre spunti cruciali per comprendere come la condotta di una persona possa essere interpretata dai giudici per stabilire la sua responsabilità penale, anche in assenza di una confessione.
I Fatti di Causa
La vicenda trae origine da una perquisizione domiciliare effettuata dalle forze dell’ordine in un’abitazione condivisa da due fratelli. All’interno dell’appartamento, veniva rinvenuto un considerevole quantitativo di marijuana e hashish.
Uno dei due fratelli, trovandosi fuori casa e sul punto di essere sottoposto a un controllo, telefonava all’altro, che si trovava altrove. Quest’ultimo, anziché recarsi dal fratello per prestargli assistenza, si precipitava verso l’abitazione comune. Il suo obiettivo non era quello di aiutare il congiunto, ma di precedere l’arrivo della polizia per far sparire la droga. Questo tentativo, seppur maldestro, lasciava tracce inequivocabili: bustine vuote gettate nel secchio dell’immondizia, un forte odore di marijuana proveniente dal bagno dove aveva tentato di disfarsi della sostanza, e involucri sporchi di cocaina nella pattumiera. A completare il quadro, veniva trovato un manoscritto con la contabilità dell’attività di spaccio.
I Motivi del Ricorso e la co-detenzione di stupefacenti
Condannato sia in primo grado che in appello per la detenzione ai fini di spaccio in concorso con il fratello, l’imputato presentava ricorso in Cassazione. Le sue doglianze si concentravano su due punti principali:
1. Una presunta violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo all’affermazione della sua responsabilità nella co-detenzione di stupefacenti. A suo dire, non vi erano prove sufficienti per dimostrare che la droga fosse anche sua.
2. La violazione dell’articolo 110 del codice penale, che disciplina il concorso di persone nel reato.
In sostanza, l’imputato cercava di sostenere la propria estraneità ai fatti, attribuendo l’intera responsabilità al fratello convivente.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che le argomentazioni dell’imputato fossero ‘meramente ripetitive’ di quelle già correttamente esaminate e respinte dalla Corte d’Appello. Secondo la Cassazione, la motivazione della sentenza impugnata era congrua, logica e non sindacabile in sede di legittimità.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della decisione risiede nell’analisi del comportamento dell’imputato. La Corte ha sottolineato come la sua reazione alla telefonata del fratello sia stata un elemento determinante. Invece di mostrare preoccupazione e recarsi sul luogo del controllo, si è precipitato a casa per eliminare le prove. Questo comportamento, secondo i giudici, è incompatibile con la posizione di una persona estranea ai fatti.
Gli elementi raccolti durante la perquisizione, valutati nel loro complesso, hanno fornito una prova schiacciante della sua colpevolezza:
– Il tentativo di distruzione: l’azione di gettare la droga nel water.
– Le tracce materiali: le bustine vuote e gli involucri sporchi.
– Le prove olfattive: il forte odore di marijuana dal bagno.
– Le prove documentali: il manoscritto con la contabilità dello spaccio.
Tutti questi fattori, uniti, hanno convinto la Corte che l’imputato non solo fosse a conoscenza della droga, ma che la detenesse attivamente insieme al fratello, partecipando all’attività illecita.
Conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che, nel contesto dei reati legati agli stupefacenti, le prove indiziarie e il comportamento tenuto dall’indagato assumono un’importanza cruciale. Non è sufficiente negare il proprio coinvolgimento se le azioni concrete raccontano una storia diversa. Il tentativo di inquinare le prove o di occultare il corpo del reato, lungi dall’aiutare la propria posizione difensiva, può trasformarsi nel più forte degli elementi d’accusa. Questa decisione serve da monito: nel processo penale, la condotta successiva al presunto reato è attentamente vagliata e può essere decisiva per l’affermazione della responsabilità.
Vivere in un appartamento dove viene trovata droga significa essere automaticamente colpevoli di co-detenzione?
No. La Corte ha basato la sua decisione non sulla semplice coabitazione, ma sul comportamento attivo dell’imputato, che ha tentato di occultare e distruggere la sostanza stupefacente, dimostrando così la sua consapevolezza e il suo coinvolgimento.
Quali elementi ha considerato la Corte per affermare la co-detenzione di stupefacenti?
La Corte ha considerato un insieme di elementi: il rinvenimento di un considerevole quantitativo di droga, il tentativo dell’imputato di distruggerla gettandola nel wc, la presenza di bustine vuote nella spazzatura, il forte odore di marijuana dal bagno e un manoscritto con la contabilità dello spaccio nella camera da letto condivisa.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché le argomentazioni presentate erano meramente ripetitive di quelle già esaminate e respinte con motivazione adeguata dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi elementi di diritto o vizi logici sindacabili in sede di legittimità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7300 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7300 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME (CUI CODICE_FISCALE nato il 03/12/1997
avverso la sentenza del 04/04/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la quale la Cort di appello, in conferma della sentenza del giudice di primo grado, lo ha condannato alla pena ritenuta di giustizia in ordine al reato di cui all’art.73, comma 4, d.P.R.309/1990, deducen con il primo motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in or all’affermazione della responsabilità per la co-detenzione della sostanza; con il secondo, lament violazione dell’art. 110 cod. pen.
Il ricorso è inammissibile e meramente ripetitivo di doglianze esaminate dal giudice a quo e no accolte con motivazione congrua e non sindacabile in questa sede.
La Corte d’appello ha infatti richiamato quanto osservato dai militari che hanno rinvenut all’interno dell’abitazione in uso al ricorrente e al fratello NOME, un considerevole quant di marijuana e hashish. Infatti l’imputato, dopo aver ricevuto la telefonata dal fratello NOME il quale in quel frangente stava per essere sottoposto a controllo dalle forze dell’ordine men si trovava fuori dall’abitazione, anzicchè recarsi presso il fratello che chiedeva assistenza, s precipitato presso la suddetta abitazione, cercando di precedere la perquisizione domiciliare, pe occultare maldestramente la sostanza stupefacente e per distruggerne una parte buttandola nel wc, come dimostra il rinvenimento nel secchio dell’immondizia di bustine vuote, e il fatto che operanti, durante la perquisizione domiciliare, ove avevano rinvenuto sostanza stupefacente e denaro in contanti, avevano avvertito un forte odore di marijuana provenire dal bagno, a riprov uuuerh.. uthtmo..xxuà dein nonché la presenza nella pattumiera di involucri sporchi di cocaina vuoti. Inoltre, ne camera da letto in uso all’imputato e al fratello NOME è stata riscontrata la presenza manoscritto recante la contabilità dell’attività di spaccio. Da tali elementi, unita considerati, il giudice a quo ha ritenuto che il ricorrente abbia detenuto la sostanza stupeface rinvenuta nell’abitazione in suo uso, unitamente al fratello NOME.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Il Presidente
Così deciso in Roma, il 17/01/2025
Il Consigliere estensore