Co-detenzione stupefacenti: Quando la convivenza diventa prova?
La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso di co-detenzione stupefacenti, delineando i confini tra la semplice condivisione di un’abitazione e la partecipazione consapevole a un’attività illecita. La pronuncia offre importanti chiarimenti su quali elementi possono fondare una condanna, anche in assenza di una confessione o di prove dirette di spaccio. Vediamo nel dettaglio la vicenda e i principi affermati dai giudici.
I Fatti del Caso
Una donna veniva condannata dalla Corte di Appello per il reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, in concorso con il suo convivente. La difesa presentava ricorso per cassazione, sostenendo che non vi fossero prove sufficienti per affermare la sua responsabilità nella detenzione della droga, trovata all’interno dell’abitazione comune. Secondo la ricorrente, la sola convivenza non poteva bastare a dimostrare un suo coinvolgimento attivo nell’attività illecita del partner.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna emessa in secondo grado. I giudici hanno ritenuto che il ricorso fosse meramente ripetitivo di argomentazioni già valutate e respinte dalla Corte di Appello con una motivazione logica e coerente. La Cassazione ha ribadito il suo ruolo di giudice di legittimità, che non può riesaminare nel merito le prove, ma solo verificare la corretta applicazione della legge.
Le Motivazioni: la co-detenzione stupefacenti e gli indizi
La Corte di Appello aveva basato la sua decisione su una serie di elementi indiziari, considerati nel loro insieme gravi, precisi e concordanti. Questi elementi, richiamati dalla Cassazione, sono stati decisivi per affermare la co-detenzione stupefacenti:
1. Condotta Ostativa: Al momento dell’arrivo delle forze dell’ordine per la perquisizione, la donna aveva opposto resistenza all’apertura della porta, cercando di ostacolare il controllo. Questo comportamento è stato interpretato come un tentativo di nascondere l’attività illecita.
2. Droga in Piena Vista: All’interno dell’abitazione, la sostanza stupefacente, di diversa tipologia, non era occultata ma si trovava ben visibile, già pronta per essere suddivisa e confezionata. Questa circostanza rendeva altamente improbabile che la convivente non fosse a conoscenza della sua presenza e della sua finalità.
Secondo i giudici, l’unione di questi fattori dimostrava che la ricorrente non era una semplice convivente ignara, ma partecipava attivamente e consapevolmente alla detenzione della droga, condividendone la disponibilità e gli scopi illeciti con il partner.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma un principio consolidato: la prova della co-detenzione stupefacenti può essere raggiunta anche attraverso elementi indiziari. La semplice convivenza non è di per sé sufficiente, ma diventa un fattore di prova determinante se corroborata da altri comportamenti che rivelano la consapevolezza e l’adesione all’attività criminale del partner. La resistenza opposta alle forze dell’ordine e la mancata occultazione della droga sono stati considerati segnali inequivocabili di un coinvolgimento diretto, rendendo il ricorso un tentativo infruttuoso di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei fatti, compito che non le spetta.
Quando la semplice convivenza può portare a una condanna per co-detenzione di stupefacenti?
Secondo la Corte, la convivenza da sola non basta, ma diventa un elemento di prova decisivo se unita ad altri indizi, come un comportamento ostativo verso le forze dell’ordine e la presenza ben visibile di sostanze stupefacenti nell’abitazione condivisa.
È possibile contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta dal giudice di appello?
No, il ricorso in Cassazione è inammissibile se si limita a riproporre le stesse contestazioni sulla valutazione dei fatti già esaminate e respinte con motivazione adeguata dalla Corte d’Appello. La Cassazione giudica solo la corretta applicazione della legge, non il merito dei fatti.
Quali elementi hanno considerato i giudici per affermare la responsabilità della ricorrente?
I giudici hanno considerato unitamente tre elementi: la condotta della ricorrente volta a ostacolare la perquisizione, la presenza in casa di diverse tipologie di stupefacenti pronte per il confezionamento e non occultate, e il fatto che l’abitazione fosse in suo uso condiviso con il convivente.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 7305 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 7305 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a CORATO il 21/09/2003
avverso la sentenza del 28/02/2024 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
•
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, con la q Corte di appello, in parziale riforma della sentenza del giudice di primo grado, l’ha co alla pena ritenuta di giustizia in ordine al reato di cui all’art.73, commi 1 e 4, d.P. deducendo, con unico motivo di ricorso, violazione di legge e vizio della motivazione in all’affermazione della responsabilità per la co-detenzione della sostanza.
Il ricorso è inammissibile e meramente ripetitivo di doglianze esaminate dal giudice a quo accolte con motivazione congrua e non sindacabile in questa sede.
La Corte d’appello ha infatti richiamato quanto osservato dai militari che, facendo all’abitazione da sottoporre a perquisizione, aveva posto in essere una condotta ostacolare i controlli degli operanti che si erano qualificati immediatamente, opp resistenza alla apertura della porta di ingresso. Inoltre, il giudice a quo ha evid all’interno dell’abitazione, non occultata, si trovava ben visibile, diversa tipologia di pronto per il frazionamento e il confezionamento. Da tali elementi, unitamente conside giudice a quo ha ritenuto che la ricorrente abbia detenuto la sostanza stupefacente ri nell’abitazione in suo uso, unitamente al convivente.
Rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricor pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese proce e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 17/01/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente