Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9953 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9953 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Roma il 30/6/1953
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 12/03/2024 preso atto che il ricorso è stato trattato con contraddittorio scritto;
udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni con le quali il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha chiesto l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria difensiva a firma avv. NOME COGNOME in data 14/01/2025
RITENUTO IN FATTO
1.COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna del 12/03/2024 confermativa di quella resa dal Tribunale di Modena in data 08/07/2019 che lo aveva condannato, in concorso con altri, in ordine al delitto di riciclaggio consistito nel trasferire il denaro provento dei delitti di truffa sostituzione di persona, confluito su un conto corrente intestato a RAGIONE_SOCIALE, di fatto gestito da COGNOME, a sé o a parenti o a terzi.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’imputato tramite il difensore, il quale, con il primo motivo, lamenta violazione di legge (artt. 581 cod. proc. pen., 591 cod. proc. pen., 592 cod. proc. pen. e 1188 cod. civ.) : i giudici di merito avrebbero ritenuto sussistente il riciclaggio, in assenza del delitto presupposto non potendosi configurare un danno in capo alla Icam, società che avrebbe dovuto ricevere in pagamento le somme di denaro versate dalla società libica indotta in errore e confluiti, invece, sul conto della società RAGIONE_SOCIALE di fatto gestita dal COGNOME in quanto, il pagamento effettuato dal debitore al creditore apparente, secondo quanto stabilito dall’art. 1188 cod. civ., non libera il debitore e dunque la Icam risultava ancora titolare del diritto di credito non avendo la società debitrice invocato, ai fini dell’esatto adempimento, la propria buona fede ai sensi dell’art. 1189 cod. civ.
Con il secondo motivo contesta la ritenuta genericità del secondo motivo di appello e rimarca la puntualità censoria del motivo di gravame rivolto alla ricostruzione del fatto operata dal Tribunale ed alla ritenuta “struttura bifasica” dell’imputazione.
Con il terzo motivo contesta la ritenuta genericità del motivo n. 3 dell’atto di appello con il quale invero, in maniera tutt’affatto generica, era stata evidenziata la carenza di prove in ordine alla responsabilità del COGNOME per il delitto di riciclaggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è non consentito e manifestamente infondato.
Il ricorrente ritiene inconfigurabile il delitto di riciclaggio per l’insussistenza d delitto di truffa (reato presupposto) poiché, a fronte dello sviamento del pagamento, effettuato dalla società debitrice alla società RAGIONE_SOCIALE (creditore apparente),i1 creditore effettivo (Icam) non avrebbe subìto alcun danno non essendo il debitore liberato dall’obbligo di adempiere ai sensi dell’art. 1188 cod. civ., secondo cui “il pagamento deve essere fatto al creditore o al suo rappresentante, ovvero alla persona indicata dal creditore o autorizzata dalla legge o dal giudice a riceverlo.
Il pagamento fatto a chi non era legittimati a riceverlo libera il debitore, se il creditore lo ratifica o se ne ha approfittato”.
2.1. Il motivo è aspecifico perché reitera la stessa doglianza avanzata in sede appello, ivi adeguatamente superata mediante un ponderato richiamo alla sentenza di primo grado nella quale (pagg. da 18 a 26) non soltanto sono stati delineati i contorni dei delitti presupposto (truffa e sostituzione di persona), ma è
stato anche precisato che entrambe le società erano parti offese (pag. 7 della sentenza impugnata e pag. 7 della sentenza di primo grado).
Non v’è dubbio infatti che la società libica – che per effetto della induzione in errore ha fatto il pagamento a soggetto diverso dal creditore- abbia subìto un danno, analogamente alla Icam che risulta danneggiata non avendo mai ricevuto il corrispettivo della fornitura eseguita ed avendo assunto su di sé parte della perdita economica (euro 10.000,00) subìta dal cliente libico.
2.2. A ciò deve aggiungersi che la censura difensiva poggia su una lettura parziale delle norme civilistiche in materia di adempimento delle obbligazioni perché se è vero che l’art. 1188 cod. civ. prevede che il pagamento debba essere effettuato al creditore e se viene effettuato a persona diversa non libera il debitore, è anche vero che l’art. 1189 cod. civ., non esclude affatto che il debitore, se in buona fede, sia liberato dall’obbligazione, giusta la previsione normativa che così recita: “Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede
Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore secondo le regole stabilite per la ripetizione dell’indebito”.
Pertanto, il rilievo difensivo secondo cui il delitto di riciclaggio sarebbe inconfigurabile per l’insussistenza della truffa dato che la Icam non avrebbe subìto alcun danno appare del tutto infondato, non potendosi escludere che , attesa la buona fede della società libica indotta in errore, quest’ultima sia liberata dall’obbligazione.
Fondati appaiono, invece, il secondo e terzo motivo di ricorso la cui reciproca connessione giustifica la trattazione congiunta.
La Corte di appello ha giudicato aspecifico il rilievo censorio con il quale si contestava la duplicità delle condotte (quella truffaldina asseritamente posta in essere da terzi e quella riciclatoria posta in essere da COGNOME) affermando che la difesa nulla aveva allegato sul punto e che il Tribunale aveva “riportato prove che attestano la condotta dissimulatoria posta in essere da COGNOME e da COGNOME, una volta ricevuto il denaro di provenienza illecita sul conto della società RAGIONE_SOCIALE in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa, apportando false fatture quali pezze di appoggio”.
Ancora, la Corte di appello ha motivato in merito alla responsabilità del COGNOME per il delitto di riciclaggio ritenendolo “ideatore” del sistema truffaldino e “trade d’union” tra i soggetti che hanno realizzato i reati fraudolenti traendo in errore la società libica, ed il computato COGNOME al quale COGNOME forniva specifiche indicazioni operative. Si tratta di una motivazione che non tiene conto del rilievo difensivo che contestava la duplicità delle condotte e non spiega le ragioni per le quali
COGNOME che in base al capo di imputazione risultava essere il gestore di fatto della RAGIONE_SOCIALE sul cui conto corrente confluiva il denaro versato dalla società libica truffata, non fosse concorrente nel delitto presupposto così da escludere, per la clausola di riserva che non lo consente, la configurabilità del delitto di riciclaggio.
La Corte territoriale non ha poi indicato le modalità con le quali sarebbe stata realizzata la condotta riciclatoria, limitandosi a rinviare alle pagg. 26 – 37 della sentenza di primo grado rilevando genericamente la mancata emersione di elementi dai quali desumere il concorso nell’attività fraudolenta, circostanza questa che non può essere posta alla base dell’affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di riciclaggio, tanto più che la difesa sin dal primo grado, aveva avanzato richiesta di integrazione probatoria giudicata dal Tribunale “esplorativa ed irrilevante” (pag. 36 della sentenza di primo grado).
In maniera assai sintetica la motivazione della Corte di appello si è esaurita, quindi, in un asettico rinvio alla sentenza di primo grado, talora limitato alla semplice indicazione delle pagine in cui la posizione del singolo imputato è stata esaminata e nelle quali, invero, il Tribunale ha elencato una serie di messaggi e di e-mail, ricavandone il convincimento che COGNOMEe COGNOME, avessero predisposto un apparato fittizio di giustificazione commerciale dell’operazione di trasferimento fondi illeciti “in un quadro di cooperazione interattiva con i soggetti non meglio identificati che agiscono su scenari internazionale”.
Si tratta di una motivazione apparente, poiché la valutazione di aspecificità dei motivi di gravame espressa dalla Corte territoriale non appare sostenuta da un’effettiva presa in carico delle censure difensive, analizzate funditus. Se infatti non è seriamente revocabile in dubbio la fittizietà del sistema societario, risultano non scrutinate appieno dalla sentenza impugnata le questioni della partecipazione di COGNOME alle operazioni truffaldine posta a base di un’adeguata distinzione, tenendo conto anche in questo caso dei riflessi sulla prova dell’elemento soggettivo, tra le condotte afferenti a fattispecie ex artt. 648-bis ovvero 648-ter.1 cod. pen.
Le Sez. U. COGNOME, sul tema della c.d. clausola di riserva contenuta nell’incipit dell’art. 648 bis cod. pen., hanno affermato che la previsione che esclude l’applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisce una deroga al concorso di reati che trova la sua ragione d’ essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l’intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto (Sez. U, n. 25191 del 27/02/2014, Rv. 259587).
Ai fini della qualificazione giuridica dei fatti di riciclaggio in caso di messa a disposizione di un conto corrente ove fare transitare somme di denaro provento di delitti contro il patrimonio ed in particolare di truffa informatica, è stat affermato che risponde del reato ex artt. 110-640 ter cod. pen., colui che abbia, d’accordo con gli autori materiali della condotta criminosa di sottrazione illecita di somme ed a conoscenza specifica della stessa, ricevuto le somme al fine della successiva redistribuzione; viceversa, il soggetto che abbia aperto ed operato sul c/c quale titolare soltanto al fine di permettere agli autori del reato presupposto di venire successivamente in possesso del profitto illecito, risponde proprio del più grave delitto di cui all’art. 648 bis c.p., non sussistendo alcun profilo neppure di mero concorso morale nel reato di truffa informatica (Sez. 2, n. 8793 del 14/02/2024, Rv. 286052; Sez. 2, n. 19125 del 26/04/2023, Rv. 284653; Sez. 2, n. 18965 del 21/04/2016, Rv. 266947).
Sulla base di tali premesse la sentenza impugnata, che si limita a concordare con le riflessioni del primo giudice, deve essere dunque annullata per la fondatezza del secondo e terzo motivo di ricorso essendo necessario delineare i contorni fattuali della vicenda al fine del suo corretto inquadramento giuridico.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio avanti ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Spese della parte civile RAGIONE_SOCIALE riservate al definitivo.
Così deciso il 28 gennaio 2025
Il Consigliere est.
Il Presidente