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Clausola di riserva: no al riciclaggio per l’autore

Un imprenditore, condannato per riciclaggio per aver trasferito fondi provenienti da una truffa, ha visto la sua sentenza annullata dalla Corte di Cassazione. Il motivo risiede nella cosiddetta ‘clausola di riserva’ dell’art. 648-bis c.p. La Corte ha stabilito che i giudici di merito non hanno adeguatamente verificato se l’imputato fosse anche un concorrente nel reato presupposto (la truffa), una circostanza che escluderebbe la sua punibilità per il successivo riciclaggio. La sentenza è stata quindi rinviata per un nuovo esame che chiarisca il ruolo effettivo dell’imputato.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Clausola di Riserva nel Riciclaggio: Quando l’Autore del Reato non è Punibile

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha annullato una condanna per riciclaggio, riaffermando un principio fondamentale del diritto penale: la clausola di riserva. Questa decisione sottolinea la necessità di distinguere nettamente tra la partecipazione a un reato e le successive operazioni per occultarne i proventi. Approfondiamo questo caso che offre importanti spunti sulla corretta qualificazione giuridica dei fatti.

I Fatti: Una Truffa Internazionale e il Flusso di Denaro

Il caso trae origine da una complessa operazione fraudolenta. Una società straniera, indotta in errore, aveva effettuato un cospicuo pagamento su un conto corrente intestato a una società italiana, di fatto gestita dall’imputato. Tale somma, in realtà, era destinata a un’altra azienda, legittima creditrice per una fornitura. Una volta incassato il denaro illecitamente, l’imputato lo aveva trasferito a sé stesso, a parenti o a terzi, al fine di ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa.

Il Percorso Giudiziario e i Motivi del Ricorso

Nei primi due gradi di giudizio, l’imputato era stato condannato per il delitto di riciclaggio. La sua difesa, tuttavia, ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. Il punto cruciale della strategia difensiva era l’assenza di una chiara distinzione, da parte dei giudici di merito, tra il ruolo dell’imputato nella truffa iniziale (il reato presupposto) e la successiva attività di “pulizia” del denaro.

Secondo la difesa, se l’imputato avesse partecipato attivamente alla truffa, non avrebbe potuto essere condannato per riciclaggio, grazie appunto alla clausola di riserva prevista dall’art. 648-bis del codice penale.

La Decisione della Cassazione e la clausola di riserva

La Suprema Corte ha accolto i motivi di ricorso relativi alla motivazione della sentenza d’appello. I giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse fornito una motivazione “apparente”, limitandosi a un rinvio generico alla sentenza di primo grado, senza analizzare in modo approfondito le specifiche censure difensive.

La Distinzione Cruciale: Concorso nel Reato Presupposto o Riciclaggio?

Il cuore della decisione ruota attorno alla clausola di riserva (“Fuori dei casi di concorso nel reato…“) che apre l’articolo sul riciclaggio. Questa formula esclude la punibilità per riciclaggio nei confronti di chi abbia commesso o sia concorso a commettere il reato presupposto. La logica del legislatore è che il disvalore del comportamento di chi occulta i proventi del proprio reato è già interamente assorbito dalla punizione per il reato principale.

La Cassazione ha evidenziato che la Corte d’Appello non ha spiegato adeguatamente perché l’imputato, descritto come “ideatore” del sistema e “trade d’union” tra i vari soggetti, non dovesse essere considerato un concorrente nella truffa. Una simile qualifica avrebbe, per legge, impedito la sua condanna per riciclaggio.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione della Corte di Cassazione è stata netta: la sentenza impugnata è stata annullata perché non ha adeguatamente delineato i contorni fattuali della vicenda. Non è sufficiente affermare genericamente la responsabilità per riciclaggio senza prima aver escluso, con un’analisi puntuale e rigorosa, un eventuale concorso nel delitto presupposto. La valutazione superficiale delle prove e delle argomentazioni difensive da parte della Corte d’Appello ha portato a una motivazione solo apparente, che non ha retto al vaglio di legittimità. La Corte ha quindi disposto il rinvio a un’altra sezione della Corte d’Appello per un nuovo giudizio che dovrà colmare queste lacune investigative e motivazionali.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce l’importanza di un’accurata qualificazione giuridica del fatto. Non si può essere condannati contemporaneamente per aver commesso un reato e per averne riciclato i proventi. La clausola di riserva agisce come uno spartiacque: da un lato c’è l’autore del reato presupposto, che risponde solo di quest’ultimo; dall’altro c’è il terzo estraneo che “pulisce” il denaro, commettendo il reato autonomo di riciclaggio. I giudici di merito, nel nuovo processo, dovranno stabilire con precisione da quale lato si trovasse l’imputato.

Chi commette una truffa e poi trasferisce il denaro può essere condannato anche per riciclaggio?
No. Secondo la clausola di riserva contenuta nell’art. 648-bis del codice penale, chi ha commesso o è concorso a commettere il delitto presupposto (in questo caso la truffa) non può essere punito per il successivo riciclaggio dei proventi, poiché il disvalore della sua condotta è già assorbito dalla punibilità per il reato principale.

Perché la motivazione della Corte d’Appello è stata considerata ‘apparente’?
La motivazione è stata giudicata ‘apparente’ perché la Corte d’Appello si è limitata a un rinvio generico alla sentenza di primo grado, senza analizzare in modo specifico e approfondito le critiche mosse dalla difesa. In particolare, non ha spiegato le ragioni per cui l’imputato non dovesse essere considerato un concorrente nel reato di truffa, questione decisiva per l’applicazione della clausola di riserva.

In un caso di truffa con pagamento a un soggetto sbagliato, chi subisce il danno?
La sentenza chiarisce che il danno è subito da entrambi i soggetti coinvolti: sia dalla società che, indotta in errore, effettua il pagamento a un ‘creditore apparente’, sia dalla società creditrice originaria che non riceve il corrispettivo dovutole per la fornitura eseguita. Il fatto che il debitore possa essere liberato dal suo obbligo se prova la sua buona fede rende concreto il danno per il vero creditore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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