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Citazione diretta: quando si applica il tempus regit actum

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per un reato fiscale. Il ricorrente lamentava un vizio procedurale legato all’uso della citazione diretta invece dell’udienza preliminare. La Corte ha respinto il motivo, applicando il principio “tempus regit actum”. Ha chiarito che, per la scelta del rito processuale, rileva la legge in vigore al momento dell’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, non quella vigente al momento della commissione del reato né le leggi successive. Al momento dell’azione, la pena massima per il reato rientrava nel limite previsto per la citazione diretta, rendendo la procedura corretta.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Citazione Diretta e Principio “Tempus Regit Actum”: La Cassazione Fa Chiarezza

Nel processo penale, la scelta del rito processuale è un passaggio cruciale che determina le garanzie e le modalità con cui si accerterà la responsabilità di un imputato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione torna su un tema fondamentale: i criteri per la citazione diretta a giudizio e l’applicazione del principio latino tempus regit actum. Questa decisione offre un importante chiarimento su quale sia il momento determinante per stabilire le regole procedurali da seguire, fornendo una guida sicura per gli operatori del diritto.

I Fatti del Caso

Il caso analizzato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un cittadino, condannato in primo e secondo grado per un reato fiscale previsto dal D.Lgs. 74/2000. La condanna era stata confermata dalla Corte di appello di Napoli. L’imputato, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione lamentando, tra i vari motivi, un vizio procedurale che avrebbe minato alla base l’intero processo.

Secondo la difesa, il Pubblico Ministero avrebbe errato nello scegliere il rito della citazione diretta, ovvero nel portare l’imputato direttamente a processo senza la celebrazione della cosiddetta udienza preliminare. L’argomento si basava sul fatto che il reato contestato, per via della sua pena massima, avrebbe richiesto il filtro di un giudice dell’udienza preliminare, e la sua omissione avrebbe comportato la nullità del decreto di citazione a giudizio.

La Scelta del Rito: L’applicazione del Principio “Tempus Regit Actum” alla citazione diretta

Il cuore della controversia risiede nell’individuazione della norma applicabile. Le leggi, infatti, cambiano nel tempo. Quale legge bisogna considerare per decidere se un reato rientra tra quelli per cui è ammessa la citazione diretta? Quella in vigore al momento del fatto, quella al momento del processo, o un’altra ancora?

La Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso, ha ribadito un principio consolidato in materia processuale: tempus regit actum (il tempo regola l’atto). Questo significa che la validità di un atto giuridico, in questo caso la scelta del rito da parte del PM, deve essere valutata sulla base delle norme in vigore nel preciso istante in cui quell’atto viene compiuto. Per la citazione diretta, il momento chiave non è quello in cui il reato è stato commesso, bensì quello in cui il Pubblico Ministero esercita l’azione penale.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha spiegato che, al momento dell’esercizio dell’azione penale (avvenuto il 25/1/2019), la pena massima prevista per il reato contestato era di quattro anni di reclusione. Tale limite di pena rientrava perfettamente nella soglia stabilita dall’art. 550 del codice di procedura penale per procedere con citazione diretta.

I giudici hanno sottolineato che le successive modifiche legislative, che hanno inasprito la pena per quel reato portandola a cinque anni o che hanno esplicitamente inserito quel delitto nell’elenco dei reati a citazione diretta, sono del tutto irrilevanti. Tali modifiche non possono avere effetto retroattivo su un’azione penale già correttamente incardinata. La scelta del PM, legittima al momento in cui è stata compiuta, non può essere invalidata da cambiamenti normativi successivi.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, relativi a una presunta carenza di motivazione sulla colpevolezza e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giudicandoli eccessivamente generici e privi di riferimenti specifici alla sentenza impugnata, un requisito fondamentale per l’ammissibilità del ricorso in Cassazione.

Le Conclusioni

Questa sentenza riafferma un caposaldo della procedura penale: la certezza del diritto nelle scelte processuali. Il principio tempus regit actum garantisce che l’operato del Pubblico Ministero sia valutato secondo le regole esistenti al momento della sua azione, cristallizzando la situazione processuale e impedendo che successive riforme legislative possano travolgere procedimenti già avviati. Per gli avvocati e gli imputati, ciò significa che la verifica della correttezza del rito deve essere sempre ancorata a una precisa data: quella in cui l’azione penale ha avuto formalmente inizio. Qualsiasi valutazione basata su momenti diversi, come la data del reato o l’entrata in vigore di nuove leggi, è destinata a essere respinta.

Per determinare se si può procedere con citazione diretta, quale momento è rilevante: quello del reato o quello dell’azione penale?
Risposta: È rilevante il momento dell’esercizio dell’azione penale. La Corte di Cassazione ha stabilito che la norma procedurale da applicare è quella vigente quando il pubblico ministero avvia il procedimento, in base al principio tempus regit actum.

Le modifiche legislative successive che aumentano la pena di un reato possono rendere nullo un decreto di citazione diretta emesso in precedenza?
Risposta: No. Secondo la sentenza, le modifiche normative successive, sia sostanziali (aumento di pena) che processuali (modifica dell’elenco dei reati), non hanno effetto retroattivo su un’azione penale già correttamente esercitata con citazione diretta.

Perché gli altri motivi di ricorso sono stati dichiarati inammissibili?
Risposta: Gli altri motivi, relativi alla motivazione della sentenza e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, sono stati giudicati inammissibili perché formulati in modo generico, senza specificare quali argomenti non sarebbero stati esaminati né indicare elementi concreti a sostegno della censura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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