Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29872 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29872 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Credendino NOME, nato a Napoli il 10/4/1954
generale avverso la sentenza del 20/9/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat NOME COGNOME che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20/9/2024, la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia emessa il 5/12/2022 dal Tribunale di Napoli Nord, con la quale NOME COGNOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 5, d. marzo 2000, n. 74, e condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
violazione dell’art. 552, lett. d), cod. proc. pen. in relazione all’ comma 3, cod. proc. pen. La Corte di appello, come già il Tribunale, avrebb risposto in modo viziato all’eccezione di nullità del decreto di citazione a giu
derivante dalla omessa celebrazione dell’udienza preliminare. Il testo dell’art. 550 cod. proc. pen., nella versione precedente all’entrata in vigore della riforma Cartabia, avrebbe previsto, infatti, il limite edittale di quattro anni di reclusio per l’emissione del decreto di citazione a giudizio: il delitto di cui all’art. rubrica, tuttavia, avrebbe avuto una pena edittale massima più elevata, e non sarebbe rientrato nell’elenco contenuto nell’art. 550, comma 2, cod. proc. pen., riguardante i reati per i quali si procede comunque con citazione diretta, a prescindere dal limite massimo edittale. Già il primo Giudice, pertanto, avrebbe dovuto applicare il terzo comma della medesima norma e, a fronte della relativa eccezione, avrebbe dovuto disporre con ordinanza la trasmissione degli atti al pubblico ministero;
motivazione carente, illogica ed insufficiente; totale assenza dell’elemento oggettivo e di quello soggettivo del reato. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna dell’imputato senza indicarne le ragioni, con argomento del tutto laconico ed illogico, così immotivatamente disattendendo le specifiche e puntuali doglianze sollevate con il gravame;
la violazione di legge ed il vizio di motivazione, infine, sono dedotti quanto al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed alla misura della pena: entrambe queste statuizioni sarebbero prive di un effettivo argomento ed in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo al primo motivo, con il quale si contesta la motivazione della sentenza in risposta all’eccezione di nullità del decreto di citazione diretta a giudizio, la Corte osserva che gli argomenti spesi dal Giudice di appello sono del tutto corretti e, dunque, non meritano censura.
4.1. In primo luogo, è stato richiamato il costante e condiviso indirizzo in forza del quale, in tema di esercizio dell’azione penale con citazione diretta a giudizio, il rinvio alla pena della reclusione “non superiore nel massimo a quattro anni”, contenuto nell’art. 550, cod. proc. pen., dev’essere inteso come “fisso”, in quanto, per l’inderogabilità del principio “tempus regit actum”, è riferito alla norma vigente al momento dell’esercizio dell’azione penale e non a quella di diritto sostanziale in concreto applicabile all’imputato sulla base dei criteri successori di cui all’art. cod. pen. (tra le altre, Sez. 3, n. 28144 del 10/6/2024, PM/Di COGNOME).
4.2. Di seguito, e con riguardo alla vicenda di specie, la sentenza ha evidenziato che, al momento dell’esercizio dell’azione penale (25/1/2019), l’art. 5, d. Igs. n. 74 del 2000 era sanzionato con la pena massima di quattro anni di
reclusione, così rientrando nella previsione dell’art. 550, comma 1, cod. proc. pen., in forza della quale “Il pubblico ministero esercita l’azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni, o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva.”
4.3. Nessun rilievo, pertanto, assume il successivo aumento sanzionatorio dell’art. 5 in esame, con previsione della reclusione da due a cinque anni, disposto con il d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla I. 19 dicembre 2019, n. 157, in vigore dal 26/10/2019. A maggior ragione, nessun rilievo ha la successiva modifica dell’art. 550 cod. proc. pen., ad opera del d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150, che, al comma 2, tra i reati per i quali si procede comunque con citazione diretta, ha introdotto anche l’art. 5, commi 1 e 1 -bis, d. Igs. n. 74 del 2000.
4.4. La risposta fornita all’eccezione dalla Corte di appello e, prima, dal Tribunale, risulta dunque corretta, avendo ancorato le modalità di esercizio dell’azione penale (decreto di citazione diretta) al momento in cui questo era avvenuto (25/1/2019), senza tener conto delle successive vicende sostanziali o processuali.
Il primo motivo di ricorso, pertanto, è del tutto infondato.
Inammissibile, poi, risulta anche il secondo motivo di impugnazione, con il quale si contesta la motivazione della sentenza quanto agli elementi oggettivi e soggettivi del reato.
5.1. Premesso che nella rubrica è citata la violazione degli artt. 110, 319 e 320 cod. pen., che nessuna attinenza hanno con il processo in esame; tanto premesso, il ricorso contesta alla Corte di appello di aver confermato la sentenza di primo grado senza esaminare “tutti gli elementi”, e “senza prendere in considerazione circostanze rappresentate che se valutate e dedotte correttamente avrebbero portato l’organo giudicante ad emettere una sentenza assolutoria quantomeno ai sensi dell’art. 530 co. 2 CPP”. Ebbene, risulta del tutto evidente la genericità della censura, astrattamente riferibile ad ogni sentenza di condanna e priva di qualunque elemento individualizzante: in particolare, non è indicato neppure uno degli argomenti che sarebbero stati sottoposti al Giudice dell’appello, né, tantomeno, la loro rilevanza nell’ottica del giudizio, tale da soverchiare gli elementi fondanti la pronuncia di colpevolezza.
5.2. La stessa censura, inoltre, non contiene alcun richiamo al contenuto della sentenza impugnata, quanto al merito del giudizio, così difettando un necessario presupposto di ammissibilità dell’impugnazione medesima.
Anche l’ultimo motivo di ricorso, in tema di circostanze attenuanti generiche, risulta manifestamente infondato.
6.1. La Corte di appello, pronunciandosi sulla medesima questione, ha negato tali attenuanti sia valorizzando l’assenza di concrete circostanze meritevoli di
positivo apprezzamento, sia richiamando la gravità del reato desumibile dall’entità
dell’imposta evasa (IVA per 123.269,00 euro), ossia notevolmente superiore alla soglia di punibilità, pari a 50.000 euro.
6.2. Anche a tale riguardo, peraltro, il ricorso contiene un riferimento evidentemente errato. Si sostiene, infatti, che la Corte di appello avrebbe negato
le attenuanti con la seguente motivazione: “Vedansi punto 7 da pagg 4 e segg della sentenza di Appello”. Ebbene, queste parole non costituiscono affatto la
motivazione della sentenza sul punto, sostenuta invece dagli argomenti appena richiamati.
7. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità»,
alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616
cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Il Pre “c12te
Il Consigliere estensore
Così deciso in Roma, il 3 luglio 2025