Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 17530 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 17530 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da NOME COGNOME nata in Cina il 14/10/1986, avverso la sentenza del 31/05/2024 della Corte di appello di Catania; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udito l’avv. NOME COGNOME del foro di Catania, difensore di fiducia di COGNOME
COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 settembre 2022, il Tribunale di Catania condannava NOME COGNOME alla pena di un anno e otto mesi di reclusione, in quanto ritenuta colpevole dei reati di cui all’art. 4 d.lgs. n. 74/2000, poiché, in qualità di leg rappresentante della ditta “RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nelle dichiarazioni annuali relative a periodi di imposta 2012 e 2013 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, con superamento delle soglie di punibilità previste, applicando le pene accessorie di legge e concedendo all’imputata il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Con sentenza del 31 maggio 2024, la Corte di appello di Catania, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere per estinzione del reato relativamente al periodo di imposta 2012 per intervenuta prescrizione, rideterminando la pena in un anno e sei mesi di reclusione e confermando nel resto la sentenza di primo grado.
Avverso la sentenza della Corte di appello di Catania, COGNOME tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.
2.1 Con il primo motivo, la difesa lamenta nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, lett. e) e b), cod. proc. pen.
Deduce la difesa che il presupposto su cui è fondata la sentenza impugnata, vale a dire che i versamenti effettuati sul conto corrente intestato personalmente all’imputata si riferissero a proventi dell’attività commerciale in “nero”, e inesatto, dal momento che il conto corrente intestato personalmente alla ricorrente era in realtà il conto corrente di riferimento dell’attività commercial dalla ricorrente stessa svolta, dove andavano riversate le somme in contanti, regolarmente scontrinate, frutto dell’attività commerciale, come poteva desumersi dalla lettura dell’avviso di accertamento per l’anno 2013, dove si riportava la lista dei documenti giustificanti le operazioni commerciali condotte dalla ditta RAGIONE_SOCIALE
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2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta w nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen.
Deduce la difesa che il percorso argomentativo seguito dalla Corte di appello di Catania si fonda sulla presunta omessa dichiarazione dei ricavi, mentre il processo verbale di constatazione presuppone una variazione in eccesso non dei ricavi, ma dei redditi.
2.3 Con il terzo motivo, la difesa lamenta violazione dell’art. 606, lett. e) b), cod. proc. pen. per mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Deduce la difesa che la Corte territoriale aveva reputato la ricorrente non meritevole delle circostanze attenuanti generiche, non riscontrando elementi positivi in tal senso, nonostante la ricorrente fosse formalmente incensurata e si fosse posta con spirito collaborativo in sede di accertamento, cooperando con gli ispettori della Guardia di Finanza e fornendo tutta una serie di documentazione al fine di agevolare l’operato degli accertatori.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo e il secondo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente in considerazione della sovrapponibilità delle censure con essi formulate, relative alla nullità del percorso motivazionale, sono manifestamente infondati perché generici, mancando di adeguato confronto con la sentenza impugnata.
1.1 Invero, la doglianza relativa alla circostanza che sul conto corrente intestato personalmente alla ricorrente andavano riversate le somme in contanti, regolarmente scontrinate, frutto dell’attività commerciale svolta, è smentita dalla Corte distrettuale: si legge, infatti, a pagina 4 della sentenza impugnata che, una volta acquisiti i dati presso l’Istituto di credito dove risultava acceso il co corrente intestato all’imputata, i versamenti effettuati su tale conto erano stat considerati come proventi non dichiarati dell’attività commerciale solo dopo che l’imputata, invitata a spiegare la provenienza di tali versamenti, non avesse fornito elementi che riconducessero i versamenti ad attività commerciale regolarmente svolta con emissione del documento fiscale certificante l’operazione.
1.2 Priva di fondamento è anche l’ulteriore doglianza relativa alla contraddittorietà tra il percorso argonnentativo seguito dalla sentenza impugnata e quello contenuto nel processo verbale di constatazione: la sentenza impugnata smentisce anche tale censura, spiegando che i ricavi accertati dalla Guardia di Finanza, in sede di processo verbale di constatazione, erano maggiori rispetto a quelli dichiarati dalla imputata nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno imposta considerato, in conformità allo stesso sviluppo argomentativo seguito dalla Corte di Catania.
La Corte di merito ha, dunque, fornito, sul punto, una motivazione corretta, coerente e non manifestamente illogica, rispetto alla quale i motivi di ricorso non sviluppano un adeguato confronto.
2. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Scendendo in concreto, i giudici di seconda cura non hanno ravvisato elementi positivi meritevoli di positivo apprezzamento per giustificare la concessione di simile beneficio, avuto riguardo alla reiterazione nel tempo della condotta illecita e all’importo consistente dell’imposta evasa, come accertato dall’Agenzia delle Entrate.
La Corte di legittimità è ferma nel ritenere (v. ex multis Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME) che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisca un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richieda elementi di segno positivo (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489; Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi all concessione delle attenuanti (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Marigliano, Rv. 279549; Sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; Sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio de essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la su valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (Sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737), non essendo neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 1 n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; ancora Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME, Rv 242419, la cui massima è stata così redatta: «la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato»). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tale motivazione, coerente e completa, non è in contrasto con gli insegnamenti di legittimità affermati in proposito, avendo i giudici chiarito qual elementi di segno negativo abbiano valorizzato nella decisione, a fronte dei quali la difesa ribadisce inutilmente l’incensuratezza della ricorrente – di per sé sola non sufficiente all’invocato beneficio – e la collaborazione prestata, senza un
adeguato confronto con gli argomenti utilizzati in proposito dalla sentenza impugnata.
3. In conclusione, il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di
sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto, inoltre, della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13
giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende, esercitando la
facoltà introdotta dall’art. 1, comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare oltre il massimo la sanzione prevista dall’art. 616 cod. proc. pen. in caso di
inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni dell’inammissibilità stessa come sopra indicate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 02/04/2025.