Circostanze Attenuanti: il Confine tra Discrezionalità del Giudice e Controllo di Legittimità
L’applicazione delle circostanze attenuanti rappresenta uno dei momenti più significativi del processo penale, in cui il giudice è chiamato a personalizzare la pena in base alle specificità del caso concreto. Ma fino a che punto questa valutazione è sindacabile? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce i confini del potere discrezionale del giudice di merito, chiarendo quando e come una decisione sulla riduzione della pena può essere contestata in sede di legittimità.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente lamentava un vizio di motivazione in relazione alla concessione delle attenuanti generiche e di quella prevista dall’articolo 116 del codice penale. A suo dire, i giudici di secondo grado non avevano adeguatamente giustificato la misura della riduzione di pena, limitandosi a una valutazione superficiale.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Con questa decisione, i giudici hanno confermato la linea giurisprudenziale consolidata secondo cui la valutazione delle circostanze attenuanti rientra in un giudizio di fatto, ampiamente rimesso alla discrezionalità del giudice di merito. Tale giudizio, pertanto, sfugge al controllo di legittimità della Cassazione, a meno che la motivazione non sia del tutto assente, contraddittoria o palesemente illogica.
Le Motivazioni della Decisione e il Ruolo delle Circostanze Attenuanti
Il cuore della pronuncia risiede nella riaffermazione di un principio cardine del nostro sistema processuale. La Corte ha spiegato che la decisione di concedere o negare le circostanze attenuanti, così come la loro quantificazione, non richiede una motivazione analitica e dettagliata. È sufficiente che il giudice dia conto del suo percorso logico-giuridico, anche in modo implicito, facendo riferimento ai criteri guida stabiliti dall’articolo 133 del codice penale.
Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva correttamente giustificato la sua decisione sottolineando due elementi chiave:
1. La gravità della condotta: Era stata evidenziata la natura violenta e minacciosa del comportamento tenuto dall’imputato e dai suoi correi.
2. I precedenti penali: La sussistenza di precedenti penali a carico del ricorrente, che avevano portato alla contestazione della recidiva reiterata, è stata considerata un fattore rilevante per limitare l’entità della riduzione di pena.
La Cassazione ha inoltre osservato che, per quanto riguarda la specifica attenuante di cui all’art. 116 c.p., la Corte d’Appello l’aveva di fatto applicata, accogliendo proprio quel punto del motivo d’appello. Di conseguenza, il ricorso si rivelava infondato anche sotto questo profilo.
Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale: il giudizio sulle circostanze attenuanti è espressione della discrezionalità del giudice di merito. Un ricorso in Cassazione che miri a contestare tale valutazione ha scarse probabilità di successo se non è in grado di dimostrare un vizio di motivazione macroscopico, come l’assenza totale di giustificazione o una contraddittorietà insanabile. La decisione del giudice, seppur sintetica, è legittima qualora si fondi su elementi concreti desumibili dagli atti processuali, come la gravità del fatto e la personalità dell’imputato, in linea con i principi dell’art. 133 c.p.
Quando può essere contestata in Cassazione la decisione sulle circostanze attenuanti?
Una decisione sulla concessione, il diniego o la misura delle circostanze attenuanti può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione del giudice di merito è totalmente assente, manifestamente illogica o contraddittoria. Non è sufficiente un semplice disaccordo con la valutazione effettuata.
Come può un giudice motivare la sua decisione sulle attenuanti generiche?
Il giudice può motivare la sua scelta anche in modo implicito, facendo riferimento ai criteri stabiliti dall’articolo 133 del codice penale. Questi includono la gravità del reato (valutata attraverso la natura, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell’azione), la gravità del danno e la capacità a delinquere del colpevole (desunta dai precedenti penali e dalla condotta di vita).
Cosa ha stabilito la Corte nel caso specifico riguardo al ricorso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché la decisione della Corte d’Appello era adeguatamente motivata. I giudici avevano infatti considerato la gravità della condotta violenta e minacciosa dell’imputato e i suoi precedenti penali per giustificare l’entità della riduzione di pena concessa.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9731 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9731 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 08/04/1969
avverso la sentenza del 29/03/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME
considerato che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta vizio di motivazione in relazione alla riduzione di pena operata dai giudici di appello per l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 116 cod. pen., è manifestamente infondato, dovendosi osservare (cfr. Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142 – 01) come l’applicazione o meno delle suddette attenuanti e la loro concreta determinazione è un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito e, quindi, sottratto al controllo legittimità, e che ben può essere motivato implicitamente attraverso il riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (in particolare, la Corte territoria sottolineato la gravità offensiva della condotta violenta e minacciosa del ricorrente e degli altri correi), nonché sulla base della sussistenza dei precedenti penali dell’odierno ricorrente su cui si fonda l’applicazione della recidiva reiterata contestata nei suoi confronti (cfr., ad es., Sez. 3, n. 34947 del 03/11/2020, S., Rv. 280444; Sez. 6, n. 57565 del 15/11/2018, COGNOME, Rv. 274783; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269);
che, del pari, la sentenza ha applicato l’attenuante di cui all’art. 116 cod. pen. riferendosi ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. nella sua piena discrezionalità senza alcuna violazione di legge, peraltro accogliendo il motivo di appello sul punto;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 17/12/ 2024.