Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33543 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33543 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME (COGNOME) nato a NIZZA MONFERRATO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/04/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la sentenza in epigrafe la Corte dì appello dì Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale dì Bergamo del 15 dicembre 2022, con la quale NOME era stata condannata alla pena dì anni uno dì reclusione e euro duecento dì multa in relazione al reato di cui agli artt. 99, 112, 110, 624 bis e 625, co. 1, n.2 cod. pen.
L’imputata, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, lamentando mancata assoluzione per non aver commesso il fatto e difetto di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche e in punto di trattamento sanzionatorio.
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo di ricorso, relativo all’affermazione della penale responsabilità dell’imputata, è costituito da mere doglianze in punto di fatto, tenuto conto che la Corte territoriale ha congruamente valorizzato la circostanza che la prevenuta si trovasse nello stabile in coincidenza con la perpetrazione del furto senza peraltro riuscire a motivare in alcun modo la sua presenza nel luogo, unitamente al fatto che ella si diede alla fuga non appena si rese conto di essere seguita dalla persona offesa.
In relazione al secondo motivo di ricorso, va osservato che, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettínelli, Rv. 271269, fattispecie nella quali la Corte ha ritenuto sufficiente, ai fini dell’esclusione delle attenuanti generiche, il richiamo sentenza ai numerosi precedenti penali dell’imputato).
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, infatti, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli fac riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 7, Ord. n. 39396 del 27/05/2016, Rv. 268475; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, NOME, Rv. 259899; Sez. 2, n. 2285 dell’11/10/2004, dep. 2005, Alba, Rv. 230691).
Tanto premesso sui principi giurisprudenziali operanti in materia, la Corte di appello, con motivazione lineare e coerente, non ha concesso le circostanze attenuanti generiche alla luce della totale inesistenza di elementi positivamente valutabili a tal fine, tenendo conto della particolare inclinazione a delinquere dell’imputata desumibile dai precedenti di cui risulta gravata.
Con riferimento al terzo motivo di ricorso, va ricordato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nucìforo, Rv. 230278).
Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, deo. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, COGNOME, Rv. 239754).
Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico. Al contrario, nella fattispecie, l’ent della pena irrogata è stata correttamente giustificata con riferimento all’entità della refurtiva e ai precedenti penali dell’imputata.
Per tali ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dela Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2024.