Circostanze Attenuanti Generiche: Quando la Confessione Non Basta
L’ordinanza n. 3573/2024 della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul valore della confessione ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. La Suprema Corte ha stabilito che ammettere le proprie responsabilità non è sufficiente per ottenere uno sconto di pena, specialmente quando le prove a carico dell’imputato sono già schiaccianti. Analizziamo insieme i dettagli di questa decisione e le sue implicazioni.
I Fatti del Caso: Una Condanna e il Ricorso in Cassazione
Il caso nasce dalla condanna di un individuo, confermata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Bologna, alla pena di dieci mesi di reclusione. La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis del codice penale. 
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato nel non valorizzare adeguatamente il “buon contegno processuale”, manifestatosi attraverso dichiarazioni ammissive rese prima della discussione finale. In sostanza, si contestava il fatto che la confessione non avesse portato a una riduzione della pena.
La Valutazione delle Circostanze Attenuanti Generiche
Il cuore della questione giuridica ruota attorno ai criteri per la concessione delle attenuanti generiche. Queste circostanze permettono al giudice di adeguare la pena alla specifica situazione, tenendo conto di elementi positivi non espressamente previsti dalla legge. La difesa puntava sul valore della confessione come elemento meritevole di tale valutazione.
Il Ruolo della Confessione Tardiva e del Quadro Probatorio
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha confermato la correttezza del ragionamento dei giudici di merito. La sentenza impugnata aveva già evidenziato l’assenza di elementi positivi concreti. In particolare, la confessione era stata ritenuta non “dirimente”, ovvero non decisiva, per due motivi principali:
1.  Quadro probatorio conclamato: L’ammissione dei fatti era avvenuta quando le prove a carico dell’imputato erano già così forti e chiare da rendere la sua colpevolezza evidente.
2.  Precedente specifico: L’imputato aveva già una condanna per un reato della stessa natura, un fattore che deponeva a suo sfavore.
In questo contesto, la confessione appare più come una presa d’atto dell’inevitabile che come un segno di reale ravvedimento.
Il Potere Discrezionale del Giudice di Merito e i Limiti del Ricorso in Cassazione
La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio fondamentale: la concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Questo potere, se esercitato in modo logico, coerente e senza vizi giuridici, non può essere messo in discussione in sede di legittimità. 
Il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio in cui rivalutare i fatti. La difesa, secondo la Corte, si è limitata a insistere genericamente sulla necessità di riconoscere le attenuanti, senza però individuare vizi logici o giuridici nel ragionamento della Corte d’Appello.
Le Motivazioni della Cassazione
Le motivazioni della Suprema Corte sono chiare e lineari. La sentenza impugnata ha espresso un giudizio coerente e giuridicamente corretto. La difesa ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione di elementi già esaminati (la confessione) o di valorizzare elementi che erano stati giustamente ritenuti irrilevanti. La Corte ha sottolineato che l’onere motivazionale del giudice non impone di esaminare analiticamente ogni singolo parametro dell’art. 133 c.p., ma di fornire una giustificazione complessiva e logica della pena inflitta. Di fronte a una motivazione congrua, come quella della Corte d’Appello, ogni ulteriore censura che mira a una rivalutazione del fatto è inammissibile.
Conclusioni
La pronuncia in esame rafforza un principio consolidato: la confessione non è un lasciapassare automatico per ottenere le circostanze attenuanti generiche. Il suo valore deve essere ponderato nel contesto complessivo del processo, tenendo conto del momento in cui interviene, della solidità delle prove esistenti e della personalità dell’imputato, inclusi i suoi precedenti penali. Per la difesa, ciò significa che non basta una semplice ammissione per sperare in uno sconto di pena, ma occorre che emergano elementi concreti e positivi di resipiscenza o di collaborazione che possano essere apprezzati autonomamente dal giudice.
 
Una confessione garantisce sempre l’ottenimento delle circostanze attenuanti generiche?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che una confessione non è sufficiente per ottenere le attenuanti generiche, specialmente se resa di fronte a un quadro probatorio già schiacciante che rende evidente la colpevolezza dell’imputato.
Quali elementi ha considerato la Corte per negare le attenuanti generiche in questo caso?
La Corte ha basato la sua decisione su due elementi principali: la presenza di un “conclamato quadro probatorio” che rendeva la confessione non decisiva, e l’esistenza di un precedente penale specifico a carico dell’imputato.
La valutazione del giudice sulla concessione delle attenuanti generiche è insindacabile?
La valutazione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Non è insindacabile in assoluto, ma può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione risulta illogica, contraddittoria o basata su un errore di diritto, non per chiedere una semplice rivalutazione dei fatti.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3573 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 3573  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PIEVE DI CENTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/05/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA 9·</t/
tik' udita la relazione svolta dal éonsigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città in composizione monocratica del 12/09/2022, che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME, in ordine ai reati di cui agli artt. 73 e 75 d.lgs. 06 settembre 2011, n. 159 e – unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, nonché esclusa la recidiva e applicata la diminuente del rito abbreviato – lo aveva condannato alla pena di mesi dieci di reclusione, oltre che al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone, tramite il difensore AVV_NOTAIO, ricorso per cassazione, deducendo vizio rilevante ex art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., in riferimento all'art. 62-bis cod. pen e connesso vizio di motivazione. La difesa si duole che la Corte di appello non abbia valorizzato il buon contegno processuale – estrinsecatosi in dichiarazioni ammissive, rese prima della discussione – serbato dall'imputato.
Il ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata rileva come elementi positivi, in punto di concessione delle circostanze attenuanti generiche, non siano rinvenibili, non assumendo rilievo dirimente – sul punto specifico – una confessione intervenuta a fronte di un conclamato quadro probatorio ed essendo il soggetto gravato, peraltro, da un precedente specifico. A fronte di tali argomentazioni, scevre da vizi logici e giuridici ed espresse in maniera coerente e non contraddittoria, la difesa ricorrente insiste – con deduzioni aspecifiche e assertive – sulla necessità, da parte della Corte territoriale, di procedere al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Orbene, a parte la vaghezza contenutistica delle doglianze prospettate, a fronte delle corrette e puntuali argomentazioni sopra riportate, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale di quantificazione sanzionatoria riservato al giudice di merito, laddove esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l'onere motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l'esame di tutti i parametri fissati dall'art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che reclamino una rivalutazione in fatto, in ordine a elementi già oggetto di valutazione, ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati indebitamente pretermessi, nell'apprezzamento compiuto dal giudice impugnato.
Alla luce delle considerazioni che precedono, si impone la declaratoria d inammissibilità. Segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non potendosi escludere profili di colpa – anche alla sanzione favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equ quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa del ammende.
Così deciso in Roma, il 07 dicembre 2023.