Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23939 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23939 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 10/01/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a MARANO DI NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME (CUI CODICE_FISCALE) nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per la declaratoria d’inamrnissibilità di entrambi i ricorsi;
, in assenza del difensore, nonostante la sua richiesta di trattazione orale;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza resa in data 13 luglio 2020, la Corte di appello di Napoli, in parziale riforma della decisione emessa il 15 luglio 2019 dal Tribunale di Napoli, rideterminava in sei anni di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 110, 81, 611 cod. pen., aggravato dall’art. 416-bis.1. cod. pen. (capo A), e confermava la condanna alla pena di sei anni e sei mesi di reclusione e 3.500,00 euro di multa inflitta a NOME COGNOME per lo stesso reato di cui al capo A), nonché per i reati, unificati al primo sotto il vincolo del continuazione, di furto pluriaggravato in abitazione (capo B) e di danneggiamento aggravato (capo C).
Con sentenza resa in data 26 aprile 2022, la Quinta Sezione di questa Corte annullava con rinvio la suddetta pronuncia, limitatamente all’imputazione di cui al capo A), come ascritta a COGNOME e COGNOME, rilevando l’omessa pronuncia, da parte dei giudici di merito, sulla richiesta riqualificazione giuridica a sensi degli artt. 56, 377-bis cod. pen., e dichiarava inammissibile, nel resto, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME.
Con sentenza in data 30 gennaio 2023, la Corte di appello di Napoli decidendo in veste di giudice del rinvio – riformava la decisione emessa in data 15 luglio 2019 dal Tribunale di Napoli, riqualificando i fatti oggetto dell’imputazione di cui al capo A) ai sensi degli artt. 56, 110, 81, 377-bis e 416-bis.1. cod. pen., e rideterminava la pena inflitta nei confronti di COGNOME in tre anni e nove mesi di reclusione e nei confronti di COGNOME in sei anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa.
Hanno proposto ricorso per cassazione, con due atti distinti, NOME COGNOME e NOME COGNOME, per mezzo del medesimo difensore AVV_NOTAIO.
4.1. COGNOME deduce, con il primo motivo, violazione di legge in relazione all’art. 81 cod. pen. e carenza di motivazione circa l’aumento di pena apportato per i reati-satellite.
Con il secondo motivo, denuncia violazione di legge nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen.
Nel confermare il diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto, oltre che della intervenuta riqualificazione dei fatti oggetto del capo A), della buona condotta processuale osservata dall’imputato (per l’ammissione di responsabilità resa) e della condizione di infraventunenne in cui egli versava all’epoca dei fatti.
4.2. COGNOME deduce, con il primo motivo, violazione ed erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. in relazione all’art. 129 cod. proc. pen. e all’art. 2 cod. pen.
A seguito delle modifiche apportate dalla ‘riforma Cartabia’ all’art. 131-bis cod. pen., con la sostituzione della pena massima (5 anni) con la pena minima (2 anni), considerata quale unico criterio edittale di ammissibilità formale della richiesta, sostiene la difesa che, in relazione al minimo edittale di 2 anni di reclusione, previsto per la fattispecie di cui all’art. 377-bis cod. pen. (tenuto conto della riduzione di 1/3 per il tentativo e dell’aumento della metà per l’aggravante mafiosa), non vi siano ostacoli perché la causa di esclusione della punibilità ex art. 131-bis cod. pen., nella specie più favorevole all’imputato, venga applicata ai processi pendenti dinanzi alla Corte di cassazione, che la potrebbe rilevare anche in caso di inammissibilità del ricorso.
Con il secondo motivo, si denunciano violazione di legge nonché contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione agli artt. 62 bis e 133 cod. pen.
Ci si duole che la Corte di appello abbia motivato il diniego relativo alla concessione delle circostanze attenuanti generiche richiamando solamente i precedenti penali dell’imputato, non tenendo conto del buon comportamento processuale dello stesso e della intervenuta riqualificazione dei fatti cui al capo A).
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME, imperniato sul trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento agli aumenti di pena inflitti ex art. 81, cpv., cod. pen. al diniego delle attenuanti generiche, va dichiarato inammissibile.
Quanto al primo profilo, è manifestamente destituito di fondamento il rilievo per cui la Corte territoriale avrebbe operato un superficiale giudizio di mera “congruità” degli aumenti, poiché, a pag. 13 della sentenza, si chiarisce che la suddetta valutazione di congruità e adeguatezza poggia, in modo del tutto logico, su due specifici indicatori, costituiti dalla gravità della condotta e dal contesto d criminalità organizzata in cui si collocava.
Deve, inoltre, rilevarsi, che, attesa la ridotta entità degli aumenti di pena applicati per i reati-satellite (nella misura di tre mesi per ciascuno dei due reati), giudici di merito ben avrebbero potuto assolvere al proprio onere motivazionale col semplice richiamo alla congruità degli aumenti, con ciò conformandosi ai principi affermati da Sez. U, n. 47127 del 24/06/2021 Pizzone, Rv. 282269 (la Corte di legittimità ha precisato, al riguardo, che il grado di impegno motivazionale richiesto in ordine ai singoli aumenti di pena è correlato all’entità degli stessi e tal
da consentire di verificare che sia stato rispettato il rapporto di proporzione tra le pene attesa; v. anche, tra le pronunce più recenti, in materia, delle sezioni semplici, Sez. 6, n. 44428 del 05/10/2022, COGNOME, Rv. 284005).
Quanto al secondo profilo, osserva il Collegio che la motivazione afferente al diniego di riconoscimento delle attenuanti generiche poggia sulla congrua valutazione di plurimi indicatori (gravità delle condotte e delle modalità attuative, stretta contiguità con pericoloso sodalizio criminale), rispetto ai quali la giovane età (infraventunenne) del COGNOME all’epoca dei fatti è stata implicitamente giudicata recessiva.
D’altra parte, i rilievi spesi dalla difesa sul punto restano sul piano del mero dissenso e della rivalutazione in fatto, non ammissibili in questa sede.
Dalla declaratoria di inammissibilità della impugnazione discende la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in assenza di ipotesi di esonero, al versamento di un’ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equo fissare in euro tremila.
Il ricorso di NOME COGNOME va rigettato, in quanto infondato.
Quanto al primo motivo, soccorre il principio affermato in sede di legittimità secondo il quale, in tema di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, le modifiche apportate all’art. 131-bis cod. pen. dall’art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, operano retroattivamente, derivandone che, in relazione ai procedimenti definiti con sentenza emessa in data anteriore all’entrata in vigore delle predette modifiche, la Corte di cassazione deve verificare direttamente l’applicabilità dell’istituto nel giudizio di legittimità, senza disporr rinvio del processo nella sede di merito (Sez. 1, n. 46924 del 13/07/2023, Sassano, Rv. 285408; v. anche, in relazione ai procedimenti definiti con sentenza emessa in data anteriore all’introduzione dell’art. 131-bis cod. pen. in forza del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tusahj, Rv. 266594).
Il principio si reputa estensibile, per analogia di ratio in bona partem, anche ai casi, come quello di specie, in cui la sentenza di appello, pronunciata in data anteriore all’entrata in vigore della novella, è stata annullata dalla Corte d cassazione per motivi diversi da quello afferente alla causa di non punibilità di cui si discute, che, pertanto, non ha formato oggetto del devolutum affidato al giudizio rescissorio.
Ciò posto, va rilevato che in tanto la Corte di cassazione può dichiarare d’ufficio la sussistenza della causa di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen., annullando senza rinvio la sentenza impugnata, a norma dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., in quanto sia nelle condizioni di riconoscerla sulla base del fatto accertato e valutato nella decisione di merito.
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Venendo al caso sottoposto all’odierno vaglio, osserva il Collegio che dal complessivo ordito motivazionale non traspare il benché minimo elemento per potersi ravvisare la particolare tenuità del fatto, essendo, al contrario, plurimi riferimenti alla gravità delle condotte contestate, consistite in reiterati a intimidatori, posti in essere da appartenenti al RAGIONE_SOCIALE, finalizzati a indurre, per interposta persona, il collaboratore di giustizia NOME COGNOME a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’Autorità giudiziaria.
La gravità oggettiva dei fatti, apprezzata nella sentenza impugnata in uno con il pericoloso contesto RAGIONE_SOCIALE in cui sono avvenuti, sottolineato anche dalla contestazione della circostanza di cui all’art. 416-bis.1. cod. pen. sotto il duplice profilo del metodo e dell’agevolazione, si pone in modo plasticamente antitetico alla fattispecie invocata dalla difesa ricorrente, per la quale non è, quindi, ravvisabile, in concreto, alcuno spazio giustificativo.
Parimenti infondata è la censura attinente al diniego delle circostanze attenuanti generiche, giustificato, in modo adeguato, oltre che dalla già menzionata gravità dei fatti, dai plurimi precedenti penali documentati a carico del COGNOME (sulla sufficienza del riferimento ai precedenti penali per negare le attenuanti innominate, v. Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Pettinelli, Rv. 271269).
Il ricorso di COGNOME va, in conclusione, respinto, dal che consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente