Circostanze attenuanti generiche: quando il giudice può negarle nello spaccio di droga
L’applicazione delle circostanze attenuanti generiche rappresenta uno dei poteri più discrezionali del giudice penale, consentendogli di adeguare la pena alla specifica situazione di fatto e alla personalità dell’imputato. Tuttavia, questa discrezionalità non è illimitata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i criteri che giustificano il diniego di tale beneficio, specialmente in materia di spaccio di sostanze stupefacenti, confermando un orientamento consolidato.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dalla condanna di un uomo, sia in primo grado che in appello, per il reato di spaccio di sostanze stupefacenti di lieve entità, previsto dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico sugli Stupefacenti. La pena inflitta era di sei mesi di reclusione e 800 euro di multa.
L’imputato, non soddisfatto della decisione della Corte d’Appello, ha proposto ricorso per cassazione, affidandosi a due principali motivi di doglianza:
1. La mancata applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, relativo alla non punibilità per particolare tenuità del fatto.
2. Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis del codice penale.
Analisi del ricorso e il diniego delle circostanze attenuanti generiche
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo i motivi proposti non consentiti in sede di legittimità. La decisione si fonda su argomentazioni precise che meritano un’analisi approfondita, in quanto delineano i confini della valutazione del giudice di merito e i limiti del sindacato della Cassazione.
Un punto cruciale della decisione è il richiamo a un principio consolidato delle Sezioni Unite: il ricorso per cassazione non può limitarsi a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte nei gradi di merito. Per essere ammissibile, il ricorso deve confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata, evidenziandone le specifiche lacune o illogicità, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte Suprema ha confermato la correttezza della motivazione della Corte d’Appello nel negare entrambi i benefici richiesti dalla difesa.
Per quanto riguarda la particolare tenuità del fatto, i giudici hanno ritenuto che la natura della sostanza (cocaina) e la quantità complessiva (pari a 18 dosi medie) fossero elementi ostativi all’inquadramento del reato in tale fattispecie di non punibilità. La valutazione, quindi, non si è fermata al solo dato quantitativo, ma ha considerato la qualità della droga e il suo potenziale offensivo.
Relativamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Cassazione ha avallato il ragionamento della Corte territoriale, giudicandolo sufficiente, logico e basato su un esame completo degli elementi a disposizione. Nello specifico, i giudici di merito avevano negato le attenuanti sulla base di una valutazione complessiva che teneva conto di:
* Il dato ponderale e la tipologia dello stupefacente: la quantità non trascurabile di cocaina detenuta.
* La suddivisione in dosi: un chiaro indice della destinazione del prodotto allo spaccio.
* Il contesto dell’azione: il fatto era avvenuto in una nota piazza di spaccio, un elemento che aggrava la valutazione della condotta.
* La personalità dell’imputato: la presenza di precedenti penali a carico del soggetto.
Secondo la Corte, l’insieme di questi fattori delineava un quadro di colpevolezza e pericolosità sociale tale da non giustificare una mitigazione della pena attraverso la concessione delle attenuanti generiche.
Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: la valutazione per la concessione delle circostanze attenuanti generiche è un giudizio di merito, ampiamente discrezionale, che sfugge al sindacato della Corte di Cassazione se sorretto da una motivazione adeguata e non manifestamente illogica. La decisione non deve essere l’unica possibile, ma una delle possibili letture razionali degli atti processuali.
In pratica, per ottenere le attenuanti, non è sufficiente l’assenza di circostanze aggravanti, ma è necessario che emergano elementi positivi specifici, relativi alla condotta o alla personalità dell’imputato, che possano giustificare una riduzione della pena. Nel caso di spaccio di stupefacenti, la quantità e il tipo di droga, il contesto e i precedenti penali dell’imputato restano fattori decisivi che possono legittimamente condurre il giudice a negare qualsiasi beneficio.
Quando può essere escluso il beneficio della particolare tenuità del fatto in caso di spaccio?
Secondo la sentenza, il beneficio può essere escluso quando la natura della sostanza (in questo caso, cocaina) e la quantità complessiva (18 dosi medie) non permettono di qualificare il fatto come di particolare tenuità.
Quali elementi considera il giudice per negare le circostanze attenuanti generiche?
Il giudice considera un insieme di fattori, tra cui: la quantità e la tipologia della sostanza stupefacente, la sua suddivisione in dosi, il contesto in cui è avvenuto il reato (come una nota piazza di spaccio) e la personalità dell’imputato, inclusi eventuali precedenti penali.
È possibile riproporre in Cassazione gli stessi motivi già respinti in Appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un ricorso è inammissibile se si limita a riproporre le medesime argomentazioni già respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi criticamente con la motivazione della sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19229 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19229 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a ROMA il 24/06/1973
avverso la sentenza del 10/09/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
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Con sentenza del 10 settembre 2024, la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia del Tribunale di Roma del 6 aprile 2022 con cui COGNOME NOME era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro 800,00 di multa, oltre che al pagamento delle spese processuali, in ordine al reato di cui all’art.73, comma 5 d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del suo difensore, deducendo due motivi: il primo, di violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione dell’art.131-bis cod. pen.; il secondo, di vizio di motivazione ed erronea applicazione della legge penale ex art.62-bis cod. pen., in ordine alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto proposto con motivi non consentiti dalla legge in sede di legittimità, poiché essi, lungi dal confrontarsi con la congrua e logica motivazione resa dalla Corte territoriale in ordine alle ragioni di riconoscimento della penale responsabilità dell’imputato, di fatto reiterano le medesime considerazioni critiche espresse nel precedente atto irnpugnatorio, proposto avverso la sentenza di primo grado, vagliate da parte della Corte territoriale ( Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 (dep. 2017) Rv. 268822 – 01).
La Corte di appello di Roma, invero, ha correttamente indicato che la cessione di sostanza stupefacente di tipo cocaina e il dato ponderale complessivo dello stupefacente (18 dosi medie), non permettono di inquadrare il fatto nell’ambito dell’ipotesi della particolare tenuità.
È inammissibile, dunque, il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello e motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugnato.
Con riguardo al secondo motivo, inoltre, esso risulta non consentito anche rispetto al trattamento punitivo, in quanto sorretto da sufficiente e non illogica motivazione, e da un adeguato esame delle deduzioni difensive: con riguardo all’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ex art.62-bis cod. pen., la Corte di appello di Roma ha specificato che il dato ponderale dello stupefacente detenuto, la sua tipologia e la suddivisione in dosi, in unione al contesto in cui è avvenuto il fatto (ossia in una nota piazza di spaccio) e alla personalità dell’imputato (gravato da precedenti penali), non consentono l’applicazione delle circostanze ex art.62-bis cod. pen.
All’inammissibilità del ricorso per questi motivi segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero
(Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 13 maggio 2025.