Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 46285 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 46285 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile NOME nato a VITTORIA il 14/12/1985 dalla parte civile NOME nato a VITTORIA il 27/01/1987 dalla parte civile NOME nato a VITTORIA il 28/12/1961
COGNOME nato a MILANO il 11/09/1964
avverso la sentenza del 10/04/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di CATANIA
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’avvocato NOME COGNOME del foro di MODICA, in difesa delle parti civili: NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME il quale conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 10 aprile 2024, la Corte di assise di appello di Catania, in parziale riforma di quella emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Ragusa il 20 dicembre 2023, ha riconosciuto a NOME COGNOME ritenuto responsabile del delitto di omicidio volontario, la circostanza attenuante della provocazione ed ha rideterminato la pena a lui inflitta, previa riduzione di un terzo per la scelta del rito abbreviato, in tredici anni di reclusione.
Ha, al contempo, confermato, tra l’altro, le statuizioni civili e condannato l’imputato alla rifusione, in favore delle parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, delle spese di giudizio relative al grado ed all’azione civile.
Le parti civili NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, con il ministero dell’avv. NOME COGNOME e con unico atto, ricorsi per cassazione affidati ad un unico motivo, con il quale denunciano violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’applicazione della circostanza attenuante della provocazione e che, in ossequio alla previsione dell’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., sarà enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
Osservano, al riguardo, che la decisione impugnata è sorretta da una motivazione scarna e tutt’altro che convincente che trascura, in primis, l’originaria iniziativa dell’imputato, il quale ha colpito con uno schiaffo la vittima, NOME COGNOME che, lungi dall’inscenare qualsivoglia reazione, si è allontanata dopo avere ritirato il pasto presso la struttura, gestita dalla Caritas diocesana, dove entrambi erano soliti recarsi per ricevere assistenza.
Lamentano che la Corte di assise di appello abbia dato credito all’opposta ed inattendibile versione dell’imputato, contraddetta da altre e ben più significative emergenze che attestano, in specie: la mancanza di reazione, anche verbale, di NOME allo schiaffo subito; la contingente disponibilità, in capo all’agente, del coltello con il quale la ha colpita a morte non appena ella le si è appropinquata; l’assenza di riscontri alle dichiarazioni rese dal teste COGNOME il quale si è limitato a riferire quanto appreso dall’imputato in ordine all’atteggiamento di prevaricazione che Sauna avrebbe posto in essere ai suoi danni.
Escludono che, al cospetto dell’acquisito corredo istruttorio, possa rinvenirsi, sul piano psicologico, un legame causale tra la preesistente conflittualità tra le parti e l’eclatante manifestazione di violenza che ha condotto alla morte della vittima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, pur ammissibile, è infondato e deve, pertanto, essere respinto.
L’art. 576 cod. proc. pen. attribuisce alla parte civile il potere di proporre impugnazione avverso i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile e, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio.
In una corretta prospettiva ermeneutica e di sistema, la norma deve essere letta tenendo conto del principio stabilito, per tutte le parti, dall’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui la verifica dell’ammissibilità dell’impugnazione va orientata in funzione dell’apprezzamento della sussistenza dell’interesse di chi la ha proposta a conseguire la pronuncia richiesta (in questo senso, con specifico riferimento alla parte civile, cfr. Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, Rv. 240815 – 01).
In linea generale, quindi, deve senza dubbio escludersi che l’impugnazione della parte civile possa essere diretta a ottenere una modifica delle statuizioni penali prive di incidenza sulla responsabilità civile (Sez. 3, n. 5860 del 12/10/2011, dep. 2012, C., Rv. 252120 – 01).
Sotto altro profilo, deve, poi, ritenersi che la parte civile abbia titolo, con riflesso concreto sulle statuizioni concernenti il risarcimento del danno ed il suo ammontare, ad impugnare il capo della sentenza di condanna relativo alla definizione giuridica del fatto ed alla sussistenza di circostanze attenuanti e aggravanti, ovvero ad esercitare il potere di impugnazione che le spetta «contro i capi della sentenza di condanna che riguardano l’azione civile» (Sez. 3, n. 16602 del 21/02/2020, N., Rv. 280124 – 01; Sez. 4, Sentenza n. 7212 del 16/06/1972, COGNOME Rv. 122209 – 01).
In tali ipotesi, il riconoscimento del diritto di impugnare è subordinato alla verifica alla sussistenza dell’interesse che – preclusa la formulazione di un giudizio aprioristico, sia esso affermativo o negativo – deve essere effettuata, volta per volta, in termini di attualità e concretezza e, pertanto, correlata agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e al soggetto impugnante, id est la parte civile, che agisce in questa sede per far valere il diritto al risarcimento del danno (Sez. 3, n. 16602 del 21/02/2020, N., Rv. 280124 – 01).
Tanto conduce ad escludere, ad esempio, l’interesse de quo agitur con riferimento alle circostanze aggravanti – quali quelle che determinano un aumento di pena per ragioni di difesa sociale – che, per loro natura, non sono idonee a influire sulla misura del risarcimento (Sez. 3, n. 16602 del 21/02/2020, N., Rv. 280124 – 01; Sez. 5, n. 10858 del 11/07/1984, Babbo, Rv. 166976 – 01).
In altre occasioni, per contro, dal riconoscimento o disconoscimento di un’attenuante o di un’aggravante possono senz’altro derivare, in base alle specifiche caratteristiche della vicenda, l’incremento o la diminuzione del danno patito e, quindi, risarcibile, con conseguente positivo apprezzamento del concreto interesse ad impugnare (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283392 – 02; Sez. 3, n. 16602 del 21/02/2020, N., Rv. 280124 – 01; Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019, COGNOME Rv. 276115 – 02).
La parte civile ha, dunque, titolo a contraddire e a proporre impugnazione in ordine agli elementi accidentali del reato che si riferiscono a una componente fattuale della vicenda criminosa e alla sua dimensione concretamente offensiva del bene giuridico protetto, tale da assumere rilievo sul tema dell’accertamento della responsabilità civile ed alla liquidazione, in sede penale o civile, del danno, segnatamente non patrimoniale (così, in termini puntuali, Sez. 1, n. 574 del 09/07/2019, dep. 2020, R., Rv. 278492 – 01).
Tanto accade, tra l’altro, laddove sia applicata la circostanza attenuante della provocazione, frutto dell’accertamento di una condotta contraria a regole giuridiche o a quelle che regolano la convivenza sociale che, nel caso in esame, risulta essere stata posta in essere dalla persona offesa e che ha influito sulla determinazione criminale, inducendo uno stato d’ira tale da affievolire il potere di autocontrollo dell’agente.
Tale elemento di fatto appare idoneo ad incidere, in senso riduttivo, sulla misura del pregiudizio risarcibile nei confronti di soggetto (e, a seguito della sua morte, dei suoi congiunti ed eredi) che ha concorso, con il proprio «ingiusto» contegno, a stimolare l’agente alla commissione dell’illecito penale, e, di conseguenza, ha subito meno intensi turbamenti psichici ed un più contenuto paterna d’animo.
D’altronde, che l’inserimento, tra gli antecedenti causali dell’azione criminosa, di un comportamento ascrivibile alla persona offesa, costituisca fattore rilevante in ottica risarcitoria, è indirettamente ma univocamente confermato dalla previsione dell’art. 12, comma 1, lett. c), legge 7 luglio 2016, n. 122, che esclude dal diritto all’indennizzo, a carico dello Stato ed in via sussidiaria, per le vittime di reati intenzionali violenti, della vittima che abbia concorso, anche colposamente, alla commissione del reato.
Come in esordio anticipato, priva di pregio si palesa la doglianza con le quali i ricorrenti deducono l’illegittimità della sentenza impugnata nella parte relativa al riconoscimento della circostanza attenuante della provocazione.
La Corte di assise di appello, muovendo dal condiviso canone ermeneutico secondo cui «Per la configurabilità dell’attenuante della provocazione, pur nella
forma cd. “per accumulo”, è necessario che sia provata l’esistenza di una relazione causale tra un fatto ingiusto, in occasione di un ultimo episodio verificatosi in un contesto di esasperazione dovuto a condotte pregresse, e lo stato d’ira che ha mosso il reo alla reazione» (Sez. 1, n. 19150 del 16/02/2023, COGNOME, Rv. 284549 – 01), mentre, al contrario, essa non può essere invocata «quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato a sua volta determinato da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di provocazioni reciproche» (Sez. 1, n. 21899 del 27/02/2024, Alla, Rv. 286420 – 01), ha ritenuto che i pregressi e continui episodi di sopraffazione subiti dall’imputato, la minaccia di morte perpetrata dalla vittima al suo indirizzo poco prima dell’azione omicida e l’inseguimento inscenato, per finalità tutt’altro che amichevoli, da Sauna dopo che Guardiano si era allontanato per evitare la prosecuzione dello scontro, valgano, nel loro insieme, a configurare gli estremi della provocazione «per accumulo», scaturita da una sequenza di comportamenti offensivi, reiterati in un significativo arco di tempo (stimato dall’imputato in alcuni mesi), culminati nell’atteggiamento, palesemente minatorio, posto in essere in occasione del dissidio che ha indotto COGNOME ad attuare l’intento omicida.
La Corte di assise di appello, in proposito, ha avallato, in punto di fatto, le conclusioni già raggiunte dal Giudice dell’udienza preliminare, il quale ‘aveva esposto (cfr. pag. 17), sulla base del racconto dell’imputato, riscontrato dalle dichiarazioni del teste COGNOME che COGNOME si era, in passato, reso autore di «atti di prepotenza e di prevaricazione ai danni di soggetto più debole, sovente insultato e umiliato e costretto a subire l’indebita apprensione di sigarette e denaro, seppure di minima quantità e di valore pressoché irrisorio».
Ha, poscia, operato una valutazione unitaria delle vicende pregresse efficacemente descritte da COGNOME, il quale ha riferito (cfr. pag. 7 della sentenza di primo grado) che, avendo chiesto a Sauna le ragioni che lo inducevano a vessare gratuitamente l’odierno imputato, questi gli aveva risposto che COGNOME, in quanto persona a lui invisa, «non avrebbe dovuto frequentare il centro di Padre Beniamino perché altrimenti lo avrebbe percosso» – e dell’antefatto prossimo dell’omicidio.
A quest’ultimo proposito, il Giudice dell’udienza preliminare ha ricostruito l’episodio sul postulato che quel pomeriggio, a fronte del consueto atteggiamento di Sauna, improntato a prevaricazione ed arroganza, Guardiano ha reagito rispondendo agli insulti e schiaffeggiando il contraddittore il quale, in prima battuta allontanatosi, lo ha, poco dopo, seguito e raggiunto, spostandosi a bordo del proprio motocarro, sulla strada pubblica, ove, essendo passati i due alle vie di fatto, NOME ha inferto a Sauna sette coltellate, così cagionandone la morte.
Il Giudice dell’udienza preliminare ha, in particolare, reputato che Sauna ha assunto, all’atto di ingaggiare il confronto rivelatosi letale, un contegno aggressivo, sintomatico dell’intento di riprendere la contesa poco prima interrotta.
La predetta ricostruzione dei fatti di causa ha fornito alla Corte di assise di appello il destro per inferire la sussistenza di un nesso psicologico tra le vessazioni riservate da Sauna a Guardiano e l’azione criminosa posta in essere dall’imputato il quale, dopo avere acquisito la disponibilità di un coltello, che da tempo portava seco per essere pronto a reagire alle angherie di Sauna, che lo avevano ridotto in una condizione di esasperazione, ha agito sull’impulso di un fattore scatenante costituito dall’ennesima mortificazione pubblica e dall’inseguimento scaturito dalla sua prima reazione – che ha determinato l’esplosione della carica di dolore o sofferenza ampiamente sedimentata nel tempo.
Il giudice di secondo grado è andato, sotto questo aspetto, in contrario avviso rispetto al Giudice dell’udienza preliminare, che aveva ridotto il più recente degli scontri con Sauna a mero pretesto, utilizzato da Guardiano per sfogare la rabbia introiettata nel corso del tempo, per come confermato anche dal numero e dalla violenza dei colpi inferti.
3.1. Al cospetto di un percorso argomentativo, quale quello testé richiamato, che, per quanto sintetico, si incentra sul coerente apprezzamento delle emergenze istruttorie ed appare esente da fratture razionali, i ricorrenti pongono l’accento su una diversa esegesi dei dati raccolti, che ascrive a Guardiano, anziché a Sauna, il compimento del primo atto offensivo, rappresentato dallo schiaffo inferto alla vittima che, per contro, avrebbe tenuto un contegno passivo e, comunque, tutt’altro che provocatorio.
I ricorrenti contestano, in particolare, la patente di attendibilità riservata a COGNOME, le cui dichiarazioni assumono essere rimaste prive di riscontro, non potendo, a tal fine, essere valorizzato oltre misura l’apporto di Vespertino, il quale, scrivono, «si è limitato a riferire solamente quanto appreso direttamente dall’imputato».
Di tal fatta, articolano obiezioni che non consentono l’intervento censorio del giudice di legittimità perché non si emancipano da un approccio ispirato alla rivalutazione dei medesimi elementi di fatto già vagliati dai giudici di merito, avuto riguardo, specificamente: alla credibilità della versione dei fatti resa dall’imputato; all’attitudine del contributo di Vespertino (il quale, va rammentato, ebbe modo di interloquire con entrambi i protagonisti della tragica vicenda) a fungere da riscontro; alla relazione, sul piano innanzitutto psicologico, tra le pregresse, durature, vessazioni patite da Guardiano, e l’episodio scatenante; alle ragioni che hanno spinto l’imputato a munirsi di un coltello, dapprima, ed a reagire all’ennesimo dileggio, poi; a quelle ragioni che indussero NOME a porsi
all’inseguimento di COGNOME che lo aveva poco prima percosso, ed a cercare il contatto fisico con lui.
3.2. Rebus sic stantibus, appare opportuno ricordare, con la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217b ‘7 che il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può concernere né la ricostruzione del fatto, né il relativo apprezzamento, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità, invero, non è diretto a sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove, né a ripercorrere l’analis ricostruttiva della vicenda processuale operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. Un. n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME Rv. 226074-01).
Non sono, quindi, ammesse censure – quali quelle articolate dagli odierni ricorrenti – che si fondano su alternative letture del quadro istruttorio, ki/( sollecitando il diverso apprezzamento del materiale probatorio acquisito da parte di questa Corte, secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia, dalle funzioni dello scrutinio di legittimità, volto ad enucleare l’eventuale sussistenza di uno dei vizi logici, mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen., riguardanti la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto (Sez. 6 n. 13442 dell’8/03/2016, COGNOME, Rv. 266924; Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153).
Ne discende, è stato ribadito (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747), che «In tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento».
Dal rigetto dei ricorsi discende la condanna di NOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen..
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 18/09/2024.