Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9978 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9978 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Foggia il 16/4/1991
NOME NOMECOGNOME nato a Foggia il 28/8/1996
PERDONO’ NOME, nato a Foggia 1’1/2/1988
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bari del 3/4/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore f> generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi…
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 3.4.2024, la Corte d’Appello di Bari ha confermato la sentenza di condanna emessa nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME dal g.i.p. del Tribunale di Bari, all’esito di giudizio abbreviato, per i reati di tentata estorsione aggravata, danneggiamento, porto di arma clandestina, ricettazione di arma clandestina, esplosione in luogo pubblico di colpi d’arma di fuoco (tutti aggravati ex art. 416-bis.1 c.p.) e ha assolto gli
imputati dal delitto di detenzione di arma clandestina, rideterminando nei loro confronti la pena (ritenuto più grave il reato di porto di arma clandestina) in anni cinque e mesi quattro di reclusione ed euro 3.600 di multa ciascuno, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e ai soli COGNOME e Perdonò anche della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., equivalenti alle circostanze aggravanti e alla recidiva.
1.1 La sentenza dà atto che, a seguito della rinuncia ad alcuni motivi, NOME e COGNOME con l’atto di appello hanno lamentato: 1) il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen.; 2) la mancata concessione delle attenuanti generiche; 3) la mancata esclusione della recidiva, che il giudice di primo grado ha applicato senza motivazione; 4) l’eccessività della pena inflitta in misura superiore al minimo edittale e con la individuazione di una pena base erronea; 5) l’eccessivo aumento stabilito per la continuazione.
Dal canto suo, COGNOME con l’atto di appello ha chiesto: 1) l’esclusione dell’aggravante delle più persone riunite, richiamando la giurisprudenza che ritiene necessaria la simultanea presenza di almeno due persone nel luogo e nel momento della violenza o minaccia; 2) l’esclusione della continuazione tra i reati di detenzione e porto d’arma clandestina; 3) l’esclusione della continuazione interna in relazione al delitto d’estorsione, perché si è di fronte ad un’azione unica alla stregua del duplice criterio finalistico e temporale; 4) la concessione delle attenuanti generiche; 5) l’esclusione della recidiva.
1.2 Per quello che riguarda l’appello di NOME e COGNOME, la Corte d’Appello, riconosciute loro l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen. e le attenuanti generiche, osserva, quanto alla recidiva, che la motivazione sul punto del giudice di primo grado può essere integrata e, pertanto, rileva che il certificato del casellario di NOME evidenzia una costante attività illecita, con la commissione di reati contro il patrimonio e con violenza alla persona, da cui si evince una personalità dedita al crimine, che ha trovato ulteriore emersione nella vicenda giudicata. Lo stesso vale per COGNOME, che, pur annoverando un numero inferiore di precedenti, ha commesso un reato perfettamente in linea con quello in contestazione. Il riconoscimento della recidiva reiterata ed infraquinquennale, quindi, rende vana la richiesta di prevalenza delle circostanze attenuanti. Quanto alla eccessività della pena, i giudici di secondo grado osservano che la questione è mal posta, perché il reato più grave non è l’estorsione tentata (l’appello lamentava l’insufficiente riduzione per il tentativo), ma il porto di arma clandestina. Quanto all’aumento per la continuazione, infine, il riconoscimento della recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen. impone ex art. 81, comma 4, cod. pen. l’aumento non inferiore a un terzo.
1.3 Per quello che riguarda l’appello di COGNOME, la Corte territoriale ribadisce la configurabilità dell’aggravante delle più persone riunite, in quanto si è in
presenza di una condotta di tentata estorsione frazionata e, comunque, in un episodio NOME e COGNOME hanno avvicinato insieme la persona offesa per insistere nella precedente pretesa illecita; in ogni caso, l’aggravante risulta in concreto ininfluente, in quanto elisa dal bilanciamento e la pena base è quella di cui all’art. 23, comma 4, L. 110/75, aggravata ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen., che non prevede bilanciamenti. Quanto all’esclusione della continuazione interna della tentata estorsione, i giudici di secondo grado osservano che l’assunto non ha effetto pratico, in quanto il giudice di primo grado non ha operato alcun aumento per la continuazione. Quanto alla censura di calcolo errato della determinazione della pena, la Corte rileva che il g.i.p. aveva riconosciuto come reato più grave la tentata estorsione in virtù del mancato riconoscimento delle generiche e che al giudizio di comparazione tra circostanze conseguente all’avvenuto riconoscimento in appello delle generiche si applica il principio secondo cui la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena ritenuta dal giudice in rapporto alle singole circostanze e al giudizio di comparazione tra esse: sicché la pena base va calcolata sul porto di arma clandestina, perché sulla ipotesi di cui agli artt. 56-629 cod. pen. va applicata la riduzione per il tentativo. Quanto alla recidiva, dal certificato risultano precedenti condanne e, peraltro, in occasione del reato di danneggiamento sono state rinvenute nella sua autovettura altre due pistole clandestine, sicché le generiche possono essere ritenute non più che equivalenti, anche per una ragione di equità rispetto ai computati che pure hanno in più risarcito il danno; ciò giustifica anche l’aumento per la continuazione (diversamente che a NOME e COGNOME, a COGNOME non era stata contestata la recidiva reiterata e specifica, pur risultando essa dal casellario).
Avverso la predetta ordinanza, hanno proposto ricorso i difensori degli imputati.
2.1 II difensore di COGNOME NOME e COGNOME NOME ha articolato il proprio ricorso in tre motivi.
2.1.1 Con il primo motivo deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., l’incompetenza territoriale del Tribunale di Brindisi in favore di quella del Tribunale di Foggia, evidenziando che la eccezione, già sollevata nella udienza preliminare, è stata dichiarata inammissibile dalla Corte d’Appello sull’erroneo assunto che la successiva richiesta di giudizio abbreviato ne avesse determinato il superamento.
2.1.2 Con il secondo motivo, lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., che le sentenze di condanna abbiano violato la preclusione dal c.d. giudicato cautelare formatosi con la decisione ex art. 310 cod. proc. pen. del
Tribunale di Lecce, che aveva escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
2.1.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., il vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche invocate in favore di NOME.
2.2 Il difensore di COGNOME NOMECOGNOME a sua volta, ha articolato il proprio ricorso in tre motivi.
2.2.1 Con il primo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge nonché vizio di motivazione apparente e manifestamente illogica in relazione alla circostanza aggravante delle più persone riunite.
Lamenta che la Corte d’Appello abbia disatteso il principio secondo cui per l’integrazione dell’aggravante delle più persone riunite è necessaria la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo e nel momento in cui si realizzano la violenza o la minaccia, facendo riferimento a una presunta richiesta, rivolta alla persona offesa da uno degli imputati, di partecipare a una video chiamata con un terzo soggetto (tale COGNOME COGNOME, che peraltro all’epoca dei fatti era detenuto presso il carcere di Secondigliano e giammai avrebbe potuto collegarsi in videochiamata. In ogni caso, la motivazione – sostiene il ricorso – non si confronta con il dato richiesto dalla norma incriminatrice e con la giurisprudenza di legittimità.
2.2.2 Con il secondo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., vizio di motivazione quanto alla determinazione della pena.
Lamenta che la Corte d’Appello abbia arbitrariamente operato una interpretazione della volontà del giudice di primo grado, il quale aveva espressamente indicato di ritenere più grave il reato sub 3) di porto di arma clandestina, salvo poi a ricomprendere lo stesso reato anche nel successivo calcolo degli i aumenti per la continuazione; i giudici di secondo grado hanno invece ritenuto che si trattasse di un refuso e che il giudice volesse intendere che il reato più grave era la tentata estorsione.
Anche se per effetto della concessione delle attenuanti generiche la Corte d’Appello ha poi considerato più grave il reato di porto di arma clandestina, in ogni caso ha preso le mosse da una pena decisamente superiore al minimo edittale senza fornire una adeguata motivazione e senza indicare quali indici previsti dall’art. 133 cod. pe GLYPH p GLYPH da, in considerazione.
Anche per gli au enti a titolo di continuazione, i giudici di secondo grado non hanno fornito una motivazione e quindi non hanno reso conoscibili gli indici che hanno condotto alla definizione del valore ponderale di ciascun reato-satellite.
2.2.3 Con il terzo motivo, deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla recidiva. Rà/
La Corte d’Appello – si sostiene – ha omesso qualsiasi indicazione circa la data di commissione dei precedenti reati, la loro tipologia e il loro eventuale collegamento con i reati contestati nel presente processo. L’evocazione dei precedenti è generica e non precisa in quali connotazioni o elementi le nuove condotte sarebbero sintomatiche di una più elevata pericolosità, nè quali siano i precedenti cui sono da ritenersi legati da una relazione qualificata.
Inoltre, la Corte d’Appello, nonostante a COGNOME sia formalmente contestata la sola recidiva infraquinquennale, evidenzia che in realtà dal casellario emerge che la recidiva sia anche reiterata e specifica e gli applica l’aumento ex art. 81, comma 4, cod. pen., invocando un evanescente criterio di equità rispetto agli altri imputati; in ogni caso, non esplicita le ragioni per cui non riconosce la prevalenza delle attenuanti generiche sulla recidiva.
3. Con requisitoria scritta trasmessa il 28.10.2024, il Sostituto Procuratore Generale ha chiesto innanzitutto il rigetto del ricorso di COGNOME e COGNOME, rilevando che nella sentenza impugnata non v’è traccia di eccezione di incompetenza territoriale, che il giudicato cautelare non estende i suoi effetti al processo di cognizione e che è motivata la mancata concessione delle attenuanti generiche; ha chiesto, altresì, il rigetto del ricorso di COGNOME, in quanto il giudice di appello (come il giudice di primo grado) evidenzia che in almeno una frazione della condotta estorsiva gli imputati NOME e NOME erano insieme, circostanza già di per sé sufficiente ad integrare l’aggravante delle persone riunite, mentre sul trattamento sanzionatorio e sulla recidiva la sentenza impugnata offre una adeguata motivazione, richiamando la pericolosità dell’imputato valutata alla stregua dei recentissimi e plurimi precedenti penali che legge in continuità con la gravità e le specifiche modalità dei fatti oggetto di condanna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso nell’interesse di NOME e COGNOME NOME è inammissibile.
I motivi di cui si compone sviluppano critiche che non trovano alcun riscontro nella sentenza che intendeva impugnare, nella quale non si rinviene traccia di questioni di competenza territoriale (peraltro involgenti, a stare al contenuto del ricorso, un’autorità giudiziaria diversa da quella che ha emesso la pronuncia di primo grado) e di pregresse vicende cautelari; né il motivo relativo al trattamento sanzionatorio di tale Roberto può essere riferito ad alcuno degli odierni ricorrenti, che hanno generalità diverse.
Anche dal testo della sentenza di secondo grado risulta che i motivi di appello proposti nell’interesse di NOME e COGNOME fossero del tutto diversi, sicché si
può fondatamente ipotizzare che il successivo ricorso per cassazione, pur presentato a nome di NOME COGNOME e COGNOME NOME e pur espressamente riferito nella intestazione alla sentenza della Corte d’Appello di Bari del 3.4.2024, riguardi, in realtà, altra e diversa vicenda giudiziaria.
In ogni caso, quale che sia la ragione della palese inconciliabilità tra i motivi di impugnazione che sono stati presentati e il contenuto della sentenza che si intendeva impugnare, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, quantomeno ai sensi dell’art. 581, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.
Il ricorso presentato nell’interesse di COGNOME NOME è complessivamente infondato per le ragioni di seguito esposte.
2.1 II primo motivo, relativo alla circostanza aggravante delle più persone riunite, non si confronta compiutamente con la sentenza impugnata, la quale fa riferimento ad un segmento della condotta frazionata di tentata estorsione, in cui la persona offesa era stata avvicinata da due degli imputati (uno dei quali era proprio COGNOME) e in cui peraltro era stata presente in videochiamata anche una terza persona.
Il ricorrente contesta questo passaggio, sostenendo che in quella occasione uno solo degli imputati aveva rivolto una richiesta alla vittima e che il terzo collegato non poteva essere COGNOME COGNOME come indicato nell’imputazione, in quanto detenuto in quel momento.
Ma la circostanza che NOME e COGNOME in quella occasione avvicinarono insieme la persona offesa – riuniti – è affermata anche dalla sentenza di primo grado e il ricorso si limita a contestare la ricostruzione del fatto senza offrire elementi idonei a smentire sul punto le due pronunce di merito. Anche la circostanza che COGNOME fosse eventualmente detenuto è, in definitiva, irrilevante ai fini della sussistenza dell’aggravante in questione, perché può valere tutt’al più a mettere in dubbio l’identità del terzo, ma non la sua contestuale presenza, sia pure in videochiamata.
Di conseguenza, la motivazione in ordine all’aggravante di cui all’art. 629, comma 2, in relazione all’art. 628, comma 3, n. 1), cod. pen., è del tutto congrua e fa corretta applicazione del principio secondo cui, nel caso – come quello di specie – di estorsione commessa nell’interesse di un’associazione di tipo mafioso, la simultanea presenza di non meno di due persone, necessaria a configurare la circostanza aggravante delle più persone riunite, deve essere individuata in relazione ai plurimi momenti in cui viene effettuata la richiesta estorsiva e alla pluralità dei soggetti che contattano la persona offesa esplicitando la natura collettiva della richiesta proveniente da più soggetti appartenenti al gruppo criminale (Sez. 5, n. 22614 del 16/2/2023, Rv. 284773 – 02; Sez. 2, n. 6272 del 19/1/2017, Rv. 269295 – 01).
Il relativo motivo, pertanto, deve essere disatteso.
2.2 Quanto al secondo motivo, la doglianza relativa alla errata individuazione nella sentenza di primo grado del reato più grave tra quelli contestati rimane, al di là della sua fondatezza o meno, del tutto superata dalla sentenza di secondo grado, nella quale il quadro di valutazione del trattamento sanzionatorio cambia per effetto del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (peraltro, in accoglimento di uno dei motivi d’appello), stimate equivalenti alle aggravanti.
Infatti, la Corte d’Appello ha dato correttamente conto del fatto che, in conseguenza del giudizio di bilanciamento delle circostanze da operare ex art. 69 cod. pen., la pena edittale del reato di tentata estorsione è da parametrarsi non più sul secondo, ma sul primo comma dell’art. 629 cod. pen., con la conseguenza che la pena risulta inferiore a quella prevista dall’art. 23, comma 3, L. n. 110 del 1975 per il reato di porto d’arma clandestina.
Questa circostanza non è stata messa in discussione dal ricorrente, che pertanto non vanta alcun interesse a far valere in sede di legittimità l’eventuale errore di primo grado, il quale sarebbe superato dalla pronuncia d’appello quanto alla esatta individuazione del reato più grave, avvenuta conformemente al principio per cui, in tema di reato continuato, la violazione più grave va individuata in astratto in base alla pena edittale prevista per il reato ritenuto dal giudice in rapporto alle singole circostanze in cui la fattispecie si è manifestata e all’eventuale giudizio di comparazione fra di esse (Sez. U, n. 25939 del 28/2/2013, Rv. 255347 – 01; Sez. 1, n. 24838 del 15/6/2010, Rv. 248047 – 01).
Restano le doglianze relative alla determinazione della pena base e degli aumenti per la continuazione.
La pena per il più grave reato di porto aggravato di arma clandestina, come individuata dalla Corte d’Appello, si colloca al di sotto della media edittale, sicché non abbisognava di una specifica motivazione.
Questa Corte ha più volte ribadito, in proposito, che non è necessaria una dettagliata motivazione del giudice nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Rv. 276288 – 01), essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 46412 del 5/11/2015, Rv. 265283 – 01).
Peraltro, la pena base è stata sensibilmente ridotta dai giudici di secondo grado rispetto a quella che era stata calcolata in primo grado.
Quanto, poi, alla continuazione, la sentenza di appello dà atto di confermare gli aumenti ex art. 81 cod. pen. nella misura determinata dal g.u.p., in ragione di due recentissimi precedenti dell’imputato, uno dei quali specifico, e del fatto che nell’auto a lui in uso siano state rinvenute, oltre che l’arma utilizzata per il
danneggiamento contestato nel capo relativo alla tentata estorsione, anche altre due pistole clandestine, che sono indice della sua elevata pericolosità criminale.
Complessivamente, la motivazione si può dunque ritenere congrua, tenuto conto che, in tema di reato continuato, il giudice di merito, nel calcolare l’incremento sanzionatorio in modo distinto per ciascuno dei reati satellite, non è tenuto a rendere una motivazione specifica e dettagliata qualora individui aumenti di esigua entità, essendo in tal caso escluso in radice ogni abuso del potere discrezionale conferito dall’art. 132 cod. pen. (Sez. 6, n. 44428 del 5/10/2022, Rv. 284005 – 01).
2.3 Quanto al terzo motivo, deve ritenersi che la Corte d’Appello abbia utilizzato adeguatamente i medesimi argomenti giustificativi degli aumenti per la continuazione per spiegare il giudizio di sola equivalenza delle generiche rispetto alla recidiva.
Si tratta di una motivazione non illogica, che pertanto sfugge al sindacato di legittimità, giacchè, in tema di circostanze, il giudizio di bilanciamento tra le aggravanti e le attenuanti costituisce esercizio del potere valutativo riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 dell’8/10/2020, Rv. 279838 – 02; Sez. 2, n. 31543 dell’8/6/2017, Rv. 270450 – 01).
In relazione, poi, alla doglianza attinente all’aumento per la continuazione nella misura di un terzo della pena stabilita per il reato più grave, è vero – come lamenta il ricorso – che la Corte d’Appello ha rilevato che in realtà anche COGNOME, cui era contestata la sola recidiva infraquinquennale, sarebbe – al pari di NOME e COGNOME – recidivo specifico, reiterato e infraquinquennale, ma è vero anche che i giudici di secondo grado danno atto, al contempo, che tale recidiva non è formalmente contestata e, dunque, non applicano affatto anche a COGNOME l’art. 81, ult. comma, cod. pen., quantificando l’aumento nei suoi confronti sulla base di ragioni diverse, già sopra richiamate nel paragrafo precedente.
Per quello che riguarda, infine, l’applicazione della recidiva, la motivazione della Corte d’Appello circa l’idoneità della nuova condotta a rivelare la maggiore capacità criminale dell’imputato può essere opportunamente integrata dalla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), che su questo aspetto giustifica adeguatamente l’inasprimento del trattamento sanzionatorio, prendendo in considerazione le modalità del fatto nonché la condotta degli imputati e ritenendole espressive di una maggiore pericolosità in considerazione dei loro precedenti e della evocazione di collegamenti con la criminalità organizzata.
Anche questo motivo, pertanto, è complessivamente infondato.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, il ricorso di NOME COGNOME e di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei due ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Va rigettato, invece, il ricorso di COGNOME Andrea, pure da condannarsi al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME Fabio e di COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. l isigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29.11.2024