Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24403 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24403 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/06/2025
– Presidente –
COGNOME NOME COGNOME
R.G.N. 10755/2025
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a SAN CIPRIANO D’AVERSA il 27/05/1964 avverso la sentenza del 28/11/2024 della Corte d’Assise d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso udito il difensore l’avvocato COGNOME NOMECOGNOME in sostituzione dell’avv. COGNOME COGNOME NOMECOGNOME in difesa di COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso udito l’avvocato COGNOME NOMECOGNOME in difesa di COGNOME che conclude per l’accoglimento del ricorso e si riporta ai motivi
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte di Assise di appello di Napoli ha confermato la sentenza pronunciata all’esito del giudizio abbreviato in data 16 gennaio 2023 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli con la quale NOME COGNOME Ł stato condannato alla pena dell’ergastolo per il concorso, con NOME COGNOME cl. 1953, NOME COGNOME cl. 1978 e NOME COGNOME nel duplice omicidio pluriaggravato commesso in data 10 dicembre 2003 ai danni di NOME COGNOME e NOME Natale, attinti da numerosi colpi di arma da fuoco dopo che il veicolo sul quale si trovavano era stato costretto a finire fuori strada a causa dell’agguato ordito dagli imputati (artt. 110, 81 cpv., 575, 577, primo comma, n. 3 e n. 4, 61, primo comma, n. 4, e 416-bis.1 cod. pen.).
1.1. COGNOME Ł stato condannato alla pena dell’ergastolo; i co-imputati non appellanti COGNOME NOME cl. 53, COGNOME NOME cl. 78 e COGNOME NOME sono stati condannati alla pena di venti anni di reclusione con le circostanze attenuanti generiche in rapporto di equivalenza con le aggravanti suscettibili di bilanciamento.
A COGNOME NOME, in relazione al duplice omicidio di COGNOME NOME e NOME NOME, consumato in agro di Grazzanise il 10 dicembre 2003, Ł stato attribuito il ruolo di organizzatore e di coesecutore, unitamente a COGNOME NOME cl. 78 e COGNOME NOME, mentre a COGNOME NOME cl. 53 Ł stato attribuito il ruolo di mandante e istigatore.
1.2. A fondamento della responsabilità di COGNOME entrambi i giudici di merito hanno indicato le prove di generica e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (NOME COGNOME; NOME COGNOME; NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME) e dei coimputati COGNOME NOME cl. 78, COGNOME NOME e COGNOME NOME cl. 53.
In particolare, dopo aver dato atto che il procedimento iscritto contro ignoti fu archiviato, non essendo emersa nell’immediatezza alcuna traccia investigativa, al di là della chiara matrice camorristica dell’agguato, nella sentenza impugnata sono richiamate le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia, ampiamente illustrate dal primo giudice.
In punto di credibilità soggettiva, i giudici di merito hanno indicato il ruolo da ciascuno svolto all’epoca della militanza nel ‘clan dei casalesi’, certificato da numerose ordinanze cautelari e da sentenze irrevocabili, e i casi nei quali ciascun collaboratore di giustizia ha ottenuto il riconoscimento della diminuente della dissociazione attuosa, così escludendo intenti calunniatori o millantatori.
Sempre con valutazione di ordine generale Ł stata affermata la intrinseca attendibilità delle fonti dichiarative in considerazione della verosimiglianza del contesto criminale del territorio, della completezza della narrazione dei fatti, dei dettagli forniti e della costanza nel tempo delle loro affermazioni.
Circa il carattere de relato di tutte le chiamate in reità dei collaboratori, i giudici di merito hanno sottolineato la autonomia delle dichiarazioni e l’insussistenza della c.d. circolarità della prova, atteso che le fonti dirette erano altri affiliati o gli stessi autori del delitto.
Nel rilevare che le narrazioni si riscontrano reciprocamente, nella sentenza impugnata si Ł fatto riferimento all’indicazione corale del movente, rappresentato dalla ritorsione nei confronti di coloro che si stavano rendendo responsabili di incendi seriali dei fienili di aziende di allevamento di bufale della zona, compresa quella riconducibile a COGNOME, circostanza che rappresentò la causa scatenante della reazione del clan (COGNOME era il gestore di fatto dell’azienda, intestata alla moglie, che nel dicembre 2003, pochi giorni prima del duplice omicidio, aveva subito l’incendio che aveva devastato il fienile).
Secondo i giudici di merito tutti i chiamanti in reità hanno riferito in modo conforme circa il luogo dell’agguato, la dinamica e le armi adoperate per il duplice omicidio.
In merito alla posizione di COGNOME si Ł sottolineato che egli Ł accusato da tutti i collaboratori di giustizia,i quali hanno confermato anche la partecipazione dell’imputato alla fase esecutiva del duplice omicidio.
I giudici di merito hanno confermato la credibilità soggettiva delle fonti, ancor piø suffragata dalle sopraggiunte confessioni dei co-imputati.
Ricorre NOME COGNOMEa mezzo del difensore avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento della sentenza impugnata, sviluppando cinque motivi.
2.1. Il primo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli articoli 192 e 530, comma 2, cod. proc. pen., 110, 575, 577 e 416-bis.1 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla responsabilità per:
apparenza o in logicità della motivazione sulla affidabilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, tutti chiamanti in reità de relato, con specifico riguardo all’individuazione della fonte diretta di conoscenza, alle circostanze di tempo e di luogo nelle quali avvenne il colloquio tra il dichiarante e il soggetto di riferimento nonchØ alla natura dei rapporti tra i due, così da giustificare le confidenze di tenore certamente compromettente;
mancanza della motivazione circa la condotta in concreto attribuibile al ricorrente nella complessiva dinamica dell’azione.
2.1.1. Ferme le contestazioni sulla affidabilità del racconto dei collaboratori di giustizia, ampiamente sviluppate nell’appello cui la sentenza non ha fornito risposta, il ricorso sottolinea che le dichiarazioni rese da NOME COGNOME cl. 53, anche per mezzo del memoriale dallo stesso versato in atti, confutano quelle del collaboratore COGNOME sulle quali l’accusa si era fondata.
Orbene, va tenuto presente che COGNOME ha riferito di avere appreso da NOME COGNOME cl. 53, giudicato mandante dell’omicidio, della decisione di punire i piromani e del ruolo assunto dai vari protagonisti, tra i quali COGNOME durante la comune detenzione nel carcere di Parma ove entrambi si trovavano sottoposti al regime previsto dall’articolo 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354.
La Corte d’appello, costretta ad ammettere che un tale passaggio di confidenze non era affatto
probabile in un contesto detentivo di quel tipo, ha però concluso ugualmente per l’affidabilità della dichiarazione di COGNOME in quanto sarebbe comunque confortata da altre fonti, così tuttavia non individuando la fonte di riferimento.
Del resto, NOME COGNOME cl. 53 non conferma affatto di essere stato il mandante del delitto, come invece riferisce COGNOME, e non conferma neppure di avere raccontato la vicenda a quest’ultimo durante la detenzione nel carcere di Parma.
Il venire meno della fonte di riferimento, individuata dal collaboratore di giustizia, determina la inaffidabilità della dichiarazione che invece la Corte territoriale utilizza, valorizzandone la precisione che troverebbe riscontro esterno in altri elementi di prova, così però violando la previsione dell’articolo 192 cod. proc. pen.
Circa la fonte delle conoscenze di COGNOME Ł emerso che tutti i particolari, relativi alla dinamica della vicenda e al contesto entro la quale essa Ł stata collocata, erano ampiamente riportati dalla stampa, sicchØ, in mancanza della individuazione della fonte di riferimento, non può certo farsi ricorso al patrimonio comune di conoscenza degli appartenenti all’organizzazione mafiosa, risultando piuttosto una ampia diffusione della notizia.
2.1.2. Analoghe problematiche riguardano la dichiarazione del collaboratore NOME COGNOME il quale riferisce, per avere saputo da NOME COGNOME cl. 78 e da NOME COGNOME quest’ultimo deceduto poco tempo dopo l’agguato del quale si discute , i fatti per i quali si procede; secondo il collaboratore COGNOME, i due dichiaranti gli avrebbero confessato di avere partecipato con COGNOME e COGNOME alla determinazione e alla organizzazione ed esecuzione dell’azione di fuoco.
In proposito, i giudici di merito non hanno fornito risposta alla deduzione difensiva che ha evidenziato come COGNOME, all’epoca dell’omicidio, era però detenuto, sicchØ non poteva avere partecipato al duplice omicidio.
D’altra parte, COGNOME cl. 78 non poteva avere detto a COGNOME del ruolo asseritamente svolto da COGNOME, proprio perchØ questi era detenuto.
Non possono, del resto, essere utilizzate contro l’imputato le dichiarazioni rese da NOME COGNOME cl. 78 nel corso del presente giudizio, perchØ non incluse nel panorama probatorio in relazione al quale era stata avanzata la richiesta di giudizio abbreviato.
Neppure Ł affidabile la dichiarazione di COGNOME che riporta quanto avrebbe appreso da NOME COGNOME il quale non indica la fonte della propria conoscenza, ferme le discrasie contenute nel contributo conoscitivo offerto dal collaboratore di giustizia.
2.1.3. Analoga inaffidabilità riguarda la dichiarazione del collaboratore NOME COGNOME il quale, secondo la ricostruzione, avrebbe saputo del duplice omicidio da Salzano, pur avendo in precedenza partecipato a riunioni con COGNOME e altri protagonisti della vicenda degli incendi, riunioni nelle quali si sospettava però di COGNOME.
Orbene COGNOME, quando riferisce del duplice omicidio, riporta unicamente le confidenze raccolte da Salzano, ma incappa in una palese contraddizione, indice di inaffidabilità, quando riferisce che la fonte gli avrebbe riferito del ruolo di COGNOME nel corso di un appostamento per l’agguato a NOME COGNOME, agguato che, però, risale a un anno prima del duplice omicidio per il quale si procede, sicchØ Ł da escludere che tale conversazione, che chiama in causa COGNOME, sia mai avvenuta.
Il venir meno della fonte di riferimento impedisce l’utilizzo della dichiarazione di COGNOME, che invece i giudici di merito hanno posto a fondamento della responsabilità dell’imputato.
Del resto, i giudici di merito neppure individuano la fonte di conoscenza di Salzano, tenuto presente che nessuno degli altri collaboratori lo indica come persona a conoscenza dei fatti.
D’altra parte, i giudici di merito, quando valorizzano la anteriore conoscenza da parte di COGNOME
della problematica relativa agli incendi, omettono però di riferire che si stava discutendo, così come riferisce il collaboratore, soltanto di individuare l’autore degli incendi per dissuaderlo dal proseguire, ma non certo per ucciderlo.
2.1.4. I contributi offerti da NOME COGNOME e NOME COGNOME ampiamente sottoposti a critica dall’atto di appello che il giudice di secondo grado non ha neppure esaminato, forniscono, come i giudici di merito sono costretti ad ammettere, soltanto elementi di conoscenza parziale e in alcuni passaggi del tutto erronea.
2.2. Il secondo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli articoli 81 e 82 cod. pen. e 442 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con riguardo all’applicazione della pena dell’ergastolo, poichØ, risultando incontestato che la vittima designata era unicamente NOME COGNOME risulta evidente che NOME COGNOME Ł stato colpito per errore ovvero per aberratio ictus, sicchØ non doveva essere applicata la pena perpetua.
2.3. Il terzo motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli articoli 3 e 27 Cost., 575, 72 e 422 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla qualificazione giuridica e, comunque, alla pena dell’ergastolo in abbreviato, poichØ l’azione di fuoco andava qualificata come strage, cui non consegue l’applicazione dell’ergastolo con isolamento diurno, determinandosi una palese disparità di trattamento con i responsabili di un tale ultimo delitto rispetto all’imputato accusato di un duplice omicidio.
2.4. Il quarto motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli articoli 577 n. 3 cod. pen. e 192 cod. proc. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla circostanza aggravante della premeditazione che non risulta affatto dalle fonti dichiarative.
¨, in particolare, inaffidabile la dichiarazione di COGNOME circa lo svolgimento di ‘indagini’ sulle impronte lasciate dai piromani sui terreni dei capannoni incendiati, poichØ risulta palese che nessuno poteva avvicinarsi al capannone di COGNOME tanto che gli accertamenti di polizia giudiziaria, eseguiti nell’immediatezza dell’incendio, hanno escluso la presenza di tracce, fermo restando che non risulta una preventiva deliberazione dell’omicidio.
2.5. Il quinto motivo denuncia la violazione di legge, in riferimento agli articoli 62 n. 2, 62-bis, 69, 132, 133 e 416-bis.1 cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo: all’aggravante mafiosa; al diniego della circostanza attenuante della provocazione che Ł stata invocata nel corso del giudizio di appello.
¨ del tutto incerta la finalità ritorsiva mafiosa del duplice omicidio, anche perchØ i giudici di merito hanno omesso di considerare le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, i quali hanno evidenziato che il fatto Ł stato realizzato nell’ambito di una vendetta privata di COGNOME acceso da rabbia cieca per l’onta subita (dichiarazioni di COGNOME; dichiarazioni di COGNOME).
La sentenza impugnata Ł priva di motivazione con riguardo alla circostanza attenuante della provocazione derivante dall’incendio del capannone di COGNOME, invocata all’udienza del 14 novembre 2024.
Nessuna risposta vi Ł sulla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, sul conseguente bilanciamento e sulla esclusione della pena perpetua.
Nell’interesse di NOME COGNOME il secondo difensore, avv. NOME COGNOME ha depositato un motivo nuovo che approfondisce i temi esaminati nel primo motivo del ricorso principale.
In particolare, la sentenza non ha proceduto al corretto vaglio della natura di fonti de relato delle chiamate in reità, omettendo una doverosa verifica sulle fonti dirette, su eventuali sovrapposizioni tra esse, e sulla individuazione (là dove necessario) delle relative fonti primarie.
Quanto alla problematica della causa scientiae, ossia all’approfondimento delle fonti dirette, e ancora delle fonti primarie di queste (nei casi in cui il collaboratore avesse riferito informazioni di
‘seconda mano’), non solo la Corte territoriale avrebbe dovuto svolgere una doppia verifica di attendibilità, sia sul dichiarante, che sulla sua fonte, ma avrebbe dovuto anche individuare da chi la fonte del dichiarante avesse appreso le informazioni fornite (trattandosi prevalentemente di soggetti che non erano rimasti coinvolti nel delitto).
¨ meramente suggestivo l’iniziale richiamo fatto in sentenza alle ‘confessioni del mandante e di due dei complici del COGNOME” (cfr. pag. 12), poichØ essi non hanno mai direttamente chiamato in reità il ricorrente.
Quanto ai singoli dichiaranti:
COGNOME indicava quali sue fonti: COGNOME Vincenzo cl. 78 e NOME COGNOME congiuntamente (indicandoli anche come esecutori del delitto), e COGNOME Bruno (che avrebbe confermato, con alcuni dettagli ulteriori, quanto detto dai primi due). Il primo problema, illogicamente superato in sentenza, Ł che NOME COGNOME all’epoca del delitto era già detenuto: dunque COGNOME aveva riportato informazioni riferite (anche) da un soggetto che materialmente non poteva avere alcuna contezza dei fatti, nØ banalmente poteva aver preso parte all’agguato. Tale evenienza inevitabilmente inficia anche l’attendibilità di COGNOME là dove specifica di aver ricevuto, nello stesso contesto e nello stesso momento, le medesime informazioni da COGNOME NOME cl. 78: il fatto che il collaboratore COGNOME abbia legato le due fonti, non solo rispetto a quando lo avrebbero reso edotto dei fatti, ma anche nella realizzazione del delitto, rende inattendibile anche la parte della dichiarazione che riguarda COGNOME. Il ruolo di ‘specchiettista’, attribuiti a COGNOME NOME, Ł smentito dal collaboratore di giustizia che non ha mai confermato tale dato e ha negato qualsivoglia ruolo nella vicenda. Non Ł dato sapere come e quando COGNOME NOME avesse acquisito le informazioni poi riferite a COGNOME; tra l’altro COGNOME, non solo indicava – nuovamente errando – COGNOME tra gli esecutori, ma forniva un dettaglio (ossia lo speronamento dell’autovettura delle vittime) che non trovava conferma;
COGNOME, che indica quale fonte lo stesso ricorrente COGNOME ha sostenuto che COGNOME sarebbe stato autorizzato a commettere il delitto direttamente da COGNOME NOME cl. 53, e che all’azione avrebbero partecipato, oltre a COGNOME, COGNOME NOME cl. 78 e COGNOME NOME, anche COGNOME NOME e COGNOME NOME. Ma COGNOME non si Ł mai inserito nella dinamica delittuosa, al pari di COGNOME NOME: il che già pone degli elementi di elevata perplessità sul narrato di Misso. Ciò che però smentisce l’attendibilità diretta di COGNOME Ł il ruolo che avrebbe assunto nella vicenda – per come descritto – da COGNOME NOME cl. 53: la sentenza ha omesso totalmente di confrontarsi su quale fosse stato il reale tenore confessorio del memoriale con il quale COGNOME aveva ricostruito il suo coinvolgimento nei fatti; COGNOME – smentendo la ricostruzione che COGNOME ascrive alle parole di COGNOME nonchØ una parte riferibile alla conoscenza del collaboratore (ossia che COGNOME NOME cl. 53 sarebbe stato direttamente interessato a risolvere il problema degli incendi) – escludeva di aver dato al ricorrente (o a qualcun altro) l’autorizzazione a commettere il delitto; riferiva che da lui si era presentato il solo NOME NOME (mai nominando COGNOME); specificava di aver detto a COGNOME NOME, prima di partire per la Polonia, di non interessarsi della questione;
COGNOME NOME, non può avere parlato dei fatti con COGNOME NOME cl. 53 posto che, come la sentenza ammette, ciò era impossibile perchØ entrambi erano detenuti in regime ex art. 41-bis ord. pen. Ciò che però stupisce Ł che la sentenza, una volta preso atto che la fonte diretta di COGNOME non poteva essere stata COGNOME NOME cl. 53 – e non avendo alcuna possibilità di individuarne una diversa -, ne ‘salva’ comunque le dichiarazioni ritenendole precise nella ricostruzione;
COGNOME NOME riporta quanto a lui riferito COGNOME NOME, senza che in sentenza se ne sia mai approfondita, neanche minimamente, l’attendibilità, nØ il come e perchØ avrebbe dovuto avere queste informazioni. COGNOME NOME affermava di aver partecipato a una riunione nel
corso della quale si sarebbe affrontata la problematica degli incendi, alla presenza anche di COGNOME NOME e NOME; tuttavia, NOME era all’epoca detenuto come pure COGNOME NOME: ciò rende fallace il passaggio dichiarativo nel quale il collaboratore, inserendosi tra i presenti di una riunione afferente alla problematica degli incendi, assume il ruolo di fonte diretta al cospetto di altri soggetti non presenti. COGNOME, poi, attribuisce a COGNOME il ruolo di sua fonte informativa in merito al duplice omicidio, ma indica, quale momento nel quale avrebbe ricevuto le confidenze dal ricorrente, un sopralluogo per un delitto che Ł stato commesso in realtà mesi prima rispetto a quelli oggetti dell’odierno procedimento.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che:
«la chiamata in reità fondata su dichiarazioni de relato, per poter assurgere al rango di prova pienamente valida a carico del chiamato ed essere posta a fondamento di una pronuncia di condanna, necessita del positivo apprezzamento in ordine alla intrinseca attendibilità non solo del chiamante, ma anche delle persone che hanno fornito le notizie, oltre che dei riscontri esterni alla chiamata stessa, i quali devono avere carattere individualizzante, cioŁ riferirsi ad ulteriori, specifiche circostanze, strettamente e concretamente ricolleganti in modo diretto il chiamato al fatto di cui deve rispondere, essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un piø rigoroso e approfondito controllo del contenuto narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa» (Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090 – 01);
«la chiamata in correità o in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchØ siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 – dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143 – 01);
«alla chiamata in correità o in reità de relato si applica l’art. 195 cod. proc. pen. anche quando la fonte diretta sia un imputato di procedimento connesso, ex art. 210 cod. proc. pen., o un teste assistito, ex art. 197-bis, cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 – dep. 2013, Aquilina, Rv. 255142 – 01);
«l’imputato che, nel corso del suo esame, riferisca circostanze di fatto confidategli da terzi relativi a profili di altrui responsabilità va equiparato – in virtø di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 209 cod. proc. pen. – all’imputato di procedimento connesso, di cui all’art. 210 cod. proc. pen., con conseguente applicazione delle regole di cui all’art. 195 cod. proc. pen.» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 – dep. 2013, Aquilina, Rv. 255141 – 01);
«non costituisce riscontro estrinseco ed individualizzante di una chiamata in correità o in reità de relato con cui si attribuisce all’accusato il ruolo di mandante di un omicidio l’esistenza di un semplice interesse da parte del predetto alla commissione del delitto» (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 – dep. 2013, COGNOME, Rv. 255144 – 01, ha evidenziato che tale elemento può spiegare,
al piø, una funzione orientativa nella valutazione della chiamata).
Tanto premesso, va dato atto che Ł stata motivatamente affermata la generale attendibilità e credibilità dei collaboratori.
Il ricorso, sul punto, Ł assai generico e comunque non idoneo a scalfire il motivato giudizio espresso concordemente dai giudici di merito che hanno valorizzato, tra l’altro, il rilevante ruolo ricoperto dai collaboratori, la costanza e ampiezza della collaborazione offerta e il positivo riscontro della complessiva genuinità dell’apporto dichiarativo.
Quando si passa, poi, a esaminare le dichiarazioni, tutte de relato, con riguardo alla responsabilità di COGNOME per il duplice omicidio, si nota che il giudice di appello, ma già quello di primo grado, non ha correttamente effettuato le verifiche che gli sono demandate e delle quali si Ł dato conto al paragrafo n. 2, nØ ha esposto in modo chiaro le ragioni in forza delle quali Ł giunto all’affermazione di colpevolezza.
Non Ł, infatti, sufficiente il richiamo alle dichiarazioni dei collaboratori, riportate per stralcio nella sentenza di primo grado, senza che se ne traggano le pertinenti conclusioni in termini di specificità e convergenza degli elementi conoscitivi utili a soddisfare i requisiti della prova richiesti dalla giurisprudenza prima citata quando le fonti di accusa sono costituite da chiamate in reità de relato.
A fronte della assenza di qualunque valutazione nella sentenza di appello, quella di primo grado si limita ad asserire (pag. 53) che «COGNOME Ł gravato da 5 chiamate in reità, coerenti, concordanti e convergenti tra loro», senza che sia criticamente esaminato lo specifico propalato accusatorio introdotto dai collaboratori e dai coimputati.
La sentenza impugnata, nel fornire risposta alle doglianze difensive, non prospetta l’esistenza di distinti e decisivi elementi di prova che vadano al di là di quelli oggetto di critica da parte dell’imputato, sicchØ il sindacato attribuito a questo Collegio Ł limitato alla verifica della correttezza logico giuridica delle risposte fornite ai motivi di appello.
4.1. In forza di tali premesse, Ł utile ricordare che tutti i collaboratori di giustizia, che accusano l’imputato, riferiscono di dichiarazioni apprese da altri, i quali, però, o non sono stati sentiti, pur potendosi procedere in alcuni casi al loro esame, o non confermano espressamente le accuse oppure non riportano il contenuto saliente della dichiarazione che viene riferita dal collaboratore.
4.2. Le dichiarazioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME non sono state specificamente valorizzate dal giudice di appello, verosimilmente perchØ concernenti a fatti e circostanze apprese de relato e in modo parziale.
In particolare, COGNOME NOME, che aveva rifiutato di avere un ruolo nella ‘punizione’ dei responsabili degli incendi, avrebbe appreso del ruolo di COGNOME alternativamente da COGNOME NOME o COGNOME NOME; il primo, come si vedrà, ha a sua volta riferito de relato; il secondo non risulta essere stato sentito.
COGNOME NOME, fonte di COGNOME NOME, riferisce di avere appreso del ruolo di COGNOME da NOME COGNOME cl. 53 (detto ‘COGNOME‘), il quale, come si vedrà non ha confermato la circostanza.
Come si Ł detto, la sentenza di appello non attribuisce valore decisivo al contributo offerto dai collaboratori COGNOME e COGNOME Nicola, sicchØ il Collegio, nell’esaminare i motivi di ricorso, si deve limitare alla verifica della tenuta della valutazione degli altri collaboratori.
4.3. Secondo i giudici di merito COGNOME avrebbe appreso dei fatti da NOME COGNOME cl. 53, condannato per il concorso nel duplice omicidio, mentre entrambi erano detenuti a Parma in regime speciale ex art. 41-bis legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.).
La Corte d’appello, prestando adesione alla prospettazione difensiva, riconosce però che la presunta propalazione Ł assai improbabile tenuto conto delle modalità di detenzione dei presunti conversanti (non ammessi ai contatti diretti, neppure in occasione delle attività da svolgere fuori
dalla cella di detenzione); ciò, come correttamente sottolinea il ricorso, fa venire meno la fonte di riferimento, sicchØ il narrato di COGNOME non trova supporto nella fonte di conoscenza dallo stesso individuata.
Per parte sua NOME COGNOME cl. 53, che ha ammesso le proprie responsabilità per il duplice omicidio durante il giudizio di primo grado, non sembra, alla luce di quanto riportato nelle sentenze di merito, avere reso alcuna specifica dichiarazione sulla responsabilità di COGNOME nØ ha riferito di averne parlato con COGNOME così ulteriormente non confermando la genesi della propalazione del collaboratore.
Secondo i giudici di merito COGNOME NOME cl. 53 si sarebbe limitato a dire di avere discusso dell’organizzazione del delitto con COGNOME NOME e con COGNOME NOME: ma nessuno di costoro ha chiamato in causa COGNOME nØ i giudici di merito hanno evidenziato l’esistenza di un tale contatto.
I giudici di merito non hanno neppure chiarito il valore e il significato probatorio da attribuire alla precisazione di COGNOME NOME cl. 53, secondo il quale COGNOME era ‘in contatto’ con COGNOME NOME; non Ł chiarito, in particolare, se il ‘contatto’ avesse per oggetto il duplice omicidio o, piø in generale, le illecite attività del clan: si tratta di un punto assai rilevante che Ł rimasto inesplorato.
I giudici di merito non hanno spiegato le ragioni in forza delle quali il narrato di COGNOME NOME cl. 53 Ł risultato ‘incompleto’ rispetto alle accuse mosse de relato da COGNOME a carico di COGNOME; il contrasto tra la versione di COGNOME e quella di COGNOME NOME cl. 53 riguarda proprio le condotte dell’imputato.
I giudici di merito neppure hanno chiarito il significato probatorio da attribuire alla annotazione secondo la quale he NOME COGNOME cl. 53 si sarebbe disinteressato della vicenda degli incendi, soggiungendo che dovevano ‘sbrigarsela loro’ e che comunque si trattava di una ‘questione personale di COGNOME‘.
Questa porzione della dichiarazione di NOME COGNOME cl. 53, che sembra confermare l’indubbio interesse di COGNOME nella vicenda degli incendi (egli era effettivamente il dominus di una delle imprese date alle fiamme), non viene chiarita dal dichiarante, nØ valorizzata quanto alla responsabilità verosimilmente poichØ si riferisce alle riunioni precedenti al duplice omicidio quando ancora non era stato individuato l’autore degli incendi (si sospettava, come si vedrà, di COGNOME).
4.4. Non diversi problemi emergono per le dichiarazioni di COGNOME (assolto dall’imputazione di concorso morale nel duplice omicidio in altro procedimento), il quale riferisce di avere saputo della vicenda da Salzano e di avere partecipato, quando ancora gli autori degli incendi non erano stati individuati, ad alcune riunioni con COGNOME e gli altri sodali nelle quali si discuteva degli incendi; in detti incontri, però, si sospettava di COGNOME.
Orbene, in disparte la partecipazione alle riunioni preliminari pur rilevante per confermare il noto interesse di COGNOME alla questione degli incendi , Salzano, mai esaminato in proposito e del quale nessuno dei partecipi al duplice omicidio riferisce una diretta partecipazione, avrebbe poi confermato a COGNOME il ruolo di COGNOME.
La decisiva conversazione, però, risulta avvenuta un anno prima, quando i due (COGNOME e Salzano) erano appostati per uccidere NOME COGNOME: i giudici di merito non hanno chiarito perchØ una tale rilevante discrepanza, che attiene all’effettivo svolgimento del colloquio nel quale sarebbe stata formulata l’accusa a carico di COGNOME non abbia conseguenze sull’apporto accusatorio di COGNOME.
4.5. Analoghe problematiche emergono in merito alla valutazione delle dichiarazioni di COGNOME.
Secondo i giudici di merito, COGNOME riferisce della vicenda per averla appresa da COGNOME NOME cl. 78, poi condannato e reo confesso, e da NOMECOGNOME premorto rispetto alle
dichiarazioni di COGNOME
La dichiarazione riferita dal collaboratore di giustizia Ł apparsa decisiva ai giudici di merito poichØ COGNOME NOME cl. 78 avrebbe ammesso di avere partecipato con COGNOME (condannato) e COGNOME (assolto) all’organizzazione del duplice omicidio.
Messo da parte COGNOME perchØ deceduto prima che COGNOME rendesse le dichiarazioni di accusa e comunque detenuto all’epoca del duplice omicidio del quale si discute sicchØ anch’egli eventualmente fonte de relato , i giudici di merito non hanno, però, individuato la fonte di conoscenza di costui, il quale non risulta avere fatto parte del commando omicida, nØ avere in altro modo preso parte alla determinazione ed esecuzione del duplice omicidio.
L’attenzione dei giudici di merito si Ł, piuttosto, concentrata sulla fonte diretta NOME COGNOME cl. 78.
In ragione delle ammissioni da costui rese al processo a suo carico Ł stata ritenuta confermata la dichiarazione accusatoria di COGNOME, sia quanto alla fonte della dichiarazione di COGNOME (COGNOME NOME cl. 78), sia in quanto fonte autonoma di accusa (COGNOME NOME cl. 78 Ł reo confesso del duplice omicidio).
Anche in questo caso, tuttavia, emergono delle incongruenze logiche e valutative.
La già riscontrata manchevole ricostruzione del panorama accusatorio riguarda anche la valutazione della dichiarazione di COGNOME il quale riferisce de relato da COGNOME NOME cl. 78 che, pur nel complesso confermato dalla fonte diretta COGNOME NOME cl. 78, non riceve conforto con specifico riferimento alle accuse mosse a COGNOME
Infatti, COGNOME NOME cl. 78, pur ammettendo le proprie responsabilità nel duplice omicidio, non accusa COGNOME nØ conferma di avere parlato con COGNOME del ruolo eventualmente assunto dall’imputato.
Infatti, risulta che NOME COGNOME cl. 78 abbia negato, anzitutto, che l’omicidio rientrasse negli interessi del clan, per poi precisare che l’obiettivo era la persona che guidava l’autovettura (Apuzzo); fatte queste premesse COGNOME si Ł accollato la responsabilità, ma senza fornire alcuna indicazione in merito al ruolo di COGNOME.
Ciò determina che, oltre al venire meno di una autonoma fonte di accusa ai danni di COGNOME, deve anche rilevarsi che i giudici di merito non hanno indagato neppure sulla rilevante circostanza se sia stato effettivamente COGNOME NOME cl. 78 a riferire a COGNOME del ruolo di COGNOME, posto che COGNOME non ha riferito di essersi confidato con COGNOME.
In conclusione, il Collegio ritiene necessario che il giudice di rinvio, facendo applicazione dei richiamati principi, proceda a nuovo giudizio, colmando le rilevate lacune argomentative, eventualmente anche mediante l’esame dei co-imputati COGNOME NOME cl. 53, COGNOME NOME cl. 78 e COGNOME NOME nonchØ degli altri soggetti ritenuti a conoscenza dei fatti.
5.1. Restano assorbiti i restanti motivi di ricorso, dovendosi prioritariamente chiarire gli aspetti relativi alla responsabilità.
Le doglianze difensive, qui non esaminate, potranno essere prese in considerazione – fermi i limiti del devolutum in appello dal giudice di rinvio qualora siano sanati i vizi motivazionali sopra rilevati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Assise di appello di Napoli.
Così Ł deciso, 20/06/2025