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Chiamata in reità de relato: la Cassazione annulla

Un uomo, condannato all’ergastolo per un duplice omicidio pluriaggravato, ha ottenuto l’annullamento della sentenza dalla Corte di Cassazione. La condanna si basava quasi esclusivamente su dichiarazioni di collaboratori di giustizia, definite ‘de relato’, ovvero basate su informazioni ricevute da terzi. La Cassazione ha stabilito che i giudici di merito non hanno effettuato le necessarie e rigorose verifiche sulla credibilità delle fonti originarie di tali accuse, evidenziando numerose incongruenze e l’impossibilità di confermare i racconti. Pertanto, la condanna è stata annullata con rinvio per un nuovo processo, sottolineando i rigidi requisiti per l’uso della chiamata in reità de relato come prova.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in reità de relato: la Cassazione annulla la condanna all’ergastolo

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha annullato una condanna all’ergastolo per duplice omicidio, riaffermando i rigorosi principi che governano la valutazione della chiamata in reità de relato. Questo caso emblematico evidenzia come, in assenza di prove dirette, le dichiarazioni indirette dei collaboratori di giustizia debbano essere sottoposte a un vaglio critico eccezionalmente approfondito, pena l’illegittimità della condanna. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un duplice omicidio pluriaggravato, commesso nel 2003, per il quale un imputato era stato condannato alla pena dell’ergastolo in primo e secondo grado. L’accusa si fondava principalmente sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia e di alcuni co-imputati. Secondo la ricostruzione accusatoria, l’omicidio era una ritorsione maturata in un contesto di criminalità organizzata, legata a una serie di incendi dolosi ai danni di aziende agricole, una delle quali riconducibile all’imputato stesso. L’imputato era stato identificato come organizzatore e coesecutore del delitto.

La questione della chiamata in reità de relato

Il punto cruciale del ricorso in Cassazione è stata la natura delle prove a carico. Tutte le dichiarazioni accusatorie erano ‘de relato’, ossia i dichiaranti non avevano assistito direttamente ai fatti, ma riportavano informazioni che asserivano di aver appreso da altre persone. Nel processo penale, una chiamata in reità de relato è ammissibile, ma la sua validità come prova è subordinata a controlli molto severi. Il giudice ha l’obbligo di valutare non solo l’attendibilità del dichiarante, ma anche quella della fonte originaria della notizia, verificando la coerenza, l’autonomia e la convergenza delle varie dichiarazioni e cercando riscontri esterni individualizzanti.

Le Lacune nell’Accertamento dei Giudici di Merito

La difesa ha evidenziato numerose falle nella valutazione probatoria compiuta dalla Corte d’Assise d’appello. In particolare:
Mancata verifica delle fonti primarie: I giudici non avevano adeguatamente verificato le fonti dirette delle informazioni. Ad esempio, un collaboratore affermava di aver appreso i dettagli da un co-imputato durante un periodo di detenzione comune, ma le modalità del regime carcerario rendevano tale confidenza ‘assai improbabile’.
Incongruenze e contraddizioni: Le dichiarazioni presentavano palesi contraddizioni. Un presunto confidente era detenuto al momento dei fatti, rendendo impossibile la sua partecipazione. Un altro racconto collocava una conversazione decisiva un anno prima del delitto, in un contesto completamente diverso.
Assenza di riscontri diretti: Le fonti originarie, quando identificate, non confermavano le accuse contro l’imputato o fornivano versioni divergenti.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. I giudici supremi hanno ribadito che, di fronte a un quadro probatorio basato esclusivamente su dichiarazioni indirette, è insufficiente un generico richiamo alla loro coerenza. È invece necessario un esame critico e puntuale di ogni singola dichiarazione, un’analisi logica delle sue fonti e un confronto rigoroso con gli altri elementi. Nel caso di specie, la sentenza d’appello è stata giudicata carente sotto questo profilo. La Corte ha riscontrato una ‘manchevole ricostruzione del panorama accusatorio’ e l’assenza di una valutazione approfondita delle specifiche doglianze difensive. I giudici di merito si erano limitati a riaffermare la convergenza delle accuse senza sciogliere i nodi critici relativi all’attendibilità delle fonti primarie. Di fronte a queste lacune argomentative, la Cassazione ha ritenuto che l’affermazione di colpevolezza non fosse sorretta da una motivazione adeguata e logicamente corretta.

Conclusioni: Le Implicazioni della Sentenza

La decisione ha annullato la sentenza di condanna, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Assise d’appello per un nuovo giudizio. Questo nuovo processo dovrà colmare le lacune evidenziate, procedendo a una nuova e più rigorosa valutazione delle prove, eventualmente anche attraverso l’esame diretto dei co-imputati e degli altri soggetti indicati come fonti di conoscenza. La sentenza riafferma un principio cardine dello stato di diritto: una condanna, soprattutto alla pena massima dell’ergastolo, non può fondarsi su accuse indirette e non verificate. Ogni elemento probatorio, specialmente se proveniente da una chiamata in reità de relato, deve superare un vaglio di credibilità e attendibilità che non lasci spazio a ragionevoli dubbi.

Quando una ‘chiamata in reità de relato’ può essere usata come prova in un processo?
Secondo la giurisprudenza citata nella sentenza, può essere usata come prova solo se vengono rispettate precise condizioni: deve essere valutata positivamente la credibilità sia del dichiarante sia della fonte originaria della notizia; devono essere accertati i rapporti tra i due per inferire la veridicità delle confidenze; le varie chiamate devono convergere in modo individualizzante e risultare indipendenti tra loro; e devono essere supportate da riscontri esterni.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna in questo specifico caso?
La condanna è stata annullata perché i giudici dei precedenti gradi di giudizio non hanno effettuato un’analisi sufficientemente rigorosa delle dichiarazioni ‘de relato’. Hanno omesso di verificare adeguatamente le fonti primarie delle accuse, ignorando palesi incongruenze, come il fatto che alcune presunte fonti erano detenute al momento dei fatti o che le loro stesse dichiarazioni non confermavano le accuse contro l’imputato. La motivazione della sentenza impugnata è stata quindi giudicata illogica e carente.

Cosa succede ora all’imputato?
La sentenza di condanna è stata annullata. Il procedimento è stato rinviato a un’altra Sezione della Corte di Assise di appello di Napoli per un nuovo giudizio. I nuovi giudici dovranno riesaminare tutte le prove applicando i principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione, colmando le lacune argomentative e valutando nuovamente la responsabilità dell’imputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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