Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 17254 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 17254 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 1220/2025
NOME COGNOME
Relatore –
CC – 08/04/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
R.G.N. 2531/2025
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME nato a Casagiove il 30/12/1962
avverso l’ordinanza del 28/11/2024 del Tribunale di Salerno
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto
rdinanza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del riesame, ha confermato l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari della stessa sede aveva applicato a NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere, perché ritenuto gravemente indiziato, in concorso con NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, del reato di omicidio pluriaggravato, commesso il 5 settembre 2010 ai danni di NOME COGNOME, sindaco di Pollica.
Quest’ultimo era stato colpito a morte, poco minuti dopo le ore 21, da nove colpi da arma da fuoco, mentre si trovava a bordo della sua automobile e stava facendo rientro nella sua abitazione.
I punti fermi della ricostruzione accusatoria, recepita dal giudice del riesame, possono essere sintetizzati come segue:
NOME COGNOME, sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri, era coinvolto insieme con altri soggetti, tra cui il tenente colonnello NOME COGNOME uomini della criminalità organizzata locale e insospettabili esponenti dell’imprenditoria territoriale, in un fiorente traffico di stupefacenti che interessava il comune di Pollica, e in particolare la frazione marina di Acciaroli, molto frequentata dai turisti nel periodo estivo;
-il sindaco COGNOME servendosi anche dell’attività di osservazione e monitoraggio della polizia municipale, aveva scoperto l’attività illecita in corso di svolgimento e aveva deciso, nell’agosto 2010, di informarne l’autorità giudiziaria, tanto da avere già preso contatti con il Procuratore della Repubblica di Vallo della Lucania;
al fine di impedire che la vittima denunciasse l’attività di narcotraffico, e/o si adoperasse in altro modo per sgominare la banda, il gruppo di narcotrafficanti ne aveva deciso l’eliminazione;
l’agguato mortale era stato preceduto da una intensa attività preparatoria ed organizzativa, sviluppatasi, tra l’altro, con due sopralluoghi funzionali alla pianificazione del reato;
COGNOME aveva fornito un apporto causale alla consumazione dell’omicidio, «decodificabile» in termini di concorso materiale agevolatore, avendo partecipato direttamente ad almeno un sopralluogo nei pressi dell’abitazione della vittima (quello del 28 agosto 2010, condotto con una vettura Audi A6 di colore scuro, di proprietà di NOME COGNOME), e comunque alla organizzazione del sopralluogo successivo (quello del 3 settembre 2010, effettuato, con una BMW X5
appartenente a NOME COGNOME al fine specifico di verificare la presenza o meno di videocamere di sorveglianza);
COGNOME aveva assunto, altresì, il ruolo di concorrente morale, avendo con le modalità di cui sopra rafforzato il proposito dei compartecipi (mandanti ed esecutori materiali, questi ultimi ancora precisamente da individuare), in sinergia con i quali aveva operato;
tra i menzionati concorrenti, l’ufficiale COGNOME aveva attuato una sistematica e strutturata attività di depistaggio post delictum , sin dalle ore immediatamente successive alla scoperta del cadavere del sindaco; giunto sul luogo prima ancora dell’arrivo della squadra scientifica, si era adoperato, così come previamente concordato, per inquinare la scena del crimine e aveva poi indirizzato le indagini nei riguardi di un trafficante di droga (NOME COGNOME), diffondendo la falsa notizia che la vittima, prima di morire, avesse avuto uno scontro con tale soggetto che, peraltro, indicava come sicuro autore dell’omicidio in conversazioni intrattenute con i parenti della vittima.
Sempre in sintesi, i gravi indizi di colpevolezza a carico di COGNOME sono stati desunti:
dalle convergenti dichiarazioni, de relato , di NOME COGNOME ed NOME COGNOME aventi ad oggetto quanto confidato a quest’ultimo da NOME COGNOME durante il periodo di comune detenzione presso il carcere di Sollicciano, a partire dal febbraio 2021; in particolare COGNOME riferiva di avere appreso da NOME COGNOME che questi era coinvolto nell’omicidio COGNOME, di cui conosceva i retroscena; ad essere coinvolto, secondo il racconto di COGNOME, era altresì COGNOME il quale in specie aveva preso una parte o aveva avuto un ruolo nei sopralluoghi perlustrativi di cui sopra; COGNOME era considerato credibile e attendibile dal Tribunale del riesame, nonostante NOME COGNOME sentito a sua volta dagli inquirenti, avesse sempre negato di avere operato le predette confidenze e avesse posto in cattiva luce la personalità del suo sedicente interlocutore;
dalle dichiarazioni stesse di NOME COGNOME con specifico riferimento a quelle raccolte a verbale in data 8 giugno 2022, allorché costui, oltre a fornire spiegazioni in ordine alla contraddittorietà e reticenza di pregresse verbalizzazioni, aveva ricostruito l’intera vicenda in termini considerati aderenti alle evidenze investigative, anche ammettendo circostanze sfavorevoli, pur continuando inverosimilmente a proclamarsi estraneo tanto alla consumazione dell’omicidio, che al sodalizio di narcotraffico; quanto a COGNOME, NOME COGNOME dichiarava di avere saputo da COGNOME del coinvolgimento nell’omicidio dell’allora brigadiere, avendogli COGNOME riferito di avere incaricato l’indagato della pianificazione delittuosa e della successiva attività di copertura, dietro
versamento di una somma compresa tra i 50 e i 60 mila euro; sempre NOME COGNOME dichiarava che, qualche giorno dopo l’omicidio, COGNOME lo aveva raggiunto sotto casa, assieme a COGNOME, e, alle rimostranze del dichiarante di averlo associato a sua insaputa ad attività riconducibili alla perpetrazione del crimine, entrambi gli avevano intimato di tenersi in disparte e di non confidare a nessuno le informazioni in suo possesso, minacciandolo di ‘rovinarlo’ in caso contrario; NOME COGNOME, infine, riferiva dei successivi timori di COGNOME di essere inquisito, esternatigli dall’interessato durante una visita presso il nuovo distributore di carburanti aperto dal dichiarante in Caserta, e di ulteriori circostanze (il trasferimento a Foggia del tenente colonnello COGNOME, il conseguente smantellamento della squadra investigativa dell’indagato, il distinto distributore di benzina che, sempre a Caserta, questi aveva inaugurato) che solo da COGNOME avrebbe potuto apprendere, come pure di un incontro ulteriore tra i due (avvenuto alcuni anni dopo l’omicidio), durante il quale COGNOME, ormai formalmente inquisito, lo invitava a non presentarsi dinanzi all’Autorità giudiziaria di Salerno e ad allontanarsi;
dai riscontri provenienti dai narrati di:
NOME COGNOME, nipote della vittima, il quale, nel maggio 2019, dichiarava che, ad agosto 2010, ed esattamente il 28 agosto, in orario diurno, trovandosi nei pressi dell’abitazione del sindaco, aveva notato la presenza di una vettura Audi A6 di colore nero, che stava effettuando manovre anomale nella zona isolata di campagna ove la vittima abitava (in tal modo attirando l’attenzione del teste) e nel cui abitacolo erano presenti due persone, vestite con abiti eleganti; il dichiarante riferiva, in sede di individuazione fotografica, di avere riconosciuto in COGNOME il passeggero dell’automobile, mentre forniva una descrizione sommaria del conducente; la genuinità del ricordo e la sua attendibilità erano avvalorate, secondo il Tribunale del riesame, da un’intercettazione captata alcuni giorni dopo l’omicidio, in cui la madre di Campo, NOME COGNOME, contattava la sorella NOME, cognata della vittima, descrivendo l’episodio (per come riportatogli, nell’immediatezza, dal figlio) in termini convergenti con quelli sopra ricostruiti;
NOME COGNOME all’epoca convivente di NOME COGNOME, la quale dava attendibile conferma dell’incontro avvenuto sotto l’abitazione della coppia subito dopo l’omicidio (incontro al quale tuttavia non aveva presenziato, non potendo neppure riferirne i contenuti), dopo la cui conclusione lo stesso COGNOME sarebbe risalito in casa pronunciando la significativa espressione «ci simm fatt pure o’ pescatore» (tale era il soprannome della vittima); la dichiarante riferiva altresì che, da quel momento, Ridosso iniziava a temere seriamente per la propria incolumità;
NOME COGNOME, moglie dell’indagato, che attendibilmente riferiva della presenza di quest’ultimo con la famiglia in Acciaroli dall’11 al 13 agosto 2010; della sua assenza da casa in quel periodo, anche in ore notturne, per asserite esigenze di servizio, in realtà insussistenti; della successiva brusca interruzione dei rapporti di frequentazione tra il marito e NOME COGNOME;
NOME COGNOME figlio di NOME, il quale rendeva dichiarazioni eteroaccusatorie de relato dal padre in ordine all’omicidio, e per conoscenza diretta limitatamente agli affari illeciti collegati al traffico di stupefacenti (in cui coinvolgeva COGNOME); tali dichiarazioni erano considerate, dal Tribunale del riesame, connotate da evidenti finalità utilitaristiche, nella misura in cui erano mosse dall’intento di sviare, da sé e dal padre, i sospetti di coinvolgimento nel crimine di sangue e di ottenere benefici penitenziari, ed erano purtuttavia considerate affidabili nella parte in grado di corroborare il costrutto accusatorio, anche a carico di COGNOME nel complesso delineantesi.
Avverso l’ordinanza resa in sede di riesame NOME COGNOME ricorre per cassazione, con il patrocinio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Il ricorso è articolato in tre motivi, al cui sviluppo è anteposta una premessa argomentativa che anticipa e compendia il senso delle censure oggetto del primo motivo.
Secondo il ricorrente, il Tribunale del riesame avrebbe operato una «erronea interpretazione di base» dello stesso concetto di indizio di reità, dimenticando che può assurgere alla relativa dignità soltanto il dato certo, preciso, inequivoco, correttamente letto e riscontrato.
L’odierno procedimento non conterrebbe elementi dimostrativi del genere. NOME COGNOME sarebbe, in particolare, un generico chiamante in reità, il cui patrimonio conoscitivo egli stesso avrebbe strumentalmente orientato in chiave eteroaccusatoria e autoprotettiva.
Il giudice a quo , pur resosi conto di ciò, non ne avrebbe tratto le debite conseguenze, attribuendo ai sui narrati una forza rappresentativa e persuasiva che giammai essi avrebbero potuto rivestire.
Ciò premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine alla ritenuta sussistenza di elementi indiziari in grado di sorreggere l’ipotesi accusatoria.
Il motivo censura, nella sostanza, l’errata valutazione delle fonti dichiarative, specialmente in relazione all’omessa plausibile composizione dei contrasti esistenti tra la fonte primaria e le fonti de relato ; contrasti superati dal Tribunale del riesame con la prevalenza delle seconde sulla prima, pur in assenza di
elementi che potessero legittimare tale conclusione, frutto di una non corretta applicazione dei criteri di apprezzamento delle chiamate in reità quali indicati dalla legge ed elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.
NOME COGNOME di certo, non era tra gli esecutori materiali della sparatoria. In concomitanza, come dimostrato dalla difesa, partecipava, altrove, ad una cerimonia familiare. D’Atri al contrario lo identificherebbe, de relato da NOME COGNOME come l’esecutore; l’elemento di contraddizione, pur sottoposto al Tribunale del riesame, non sarebbe stato preso in alcuna considerazione.
I contenuti del narrato di NOME COGNOME veicolati da NOME COGNOME a D’Atri, sarebbero totalmente contrastanti con le dichiarazioni effettive della donna, peraltro tardivamente rilasciate.
Si registrerebbe un travisamento della prova dichiarativa risalente a NOME COGNOME sul sopralluogo del 28 agosto 2010. Il testimone, escusso a sommarie informazioni, dopo il messaggio inviato al cugino NOME COGNOME seguito alla messa in onda del servizio del programma televisivo Le Iene, sarebbe stato all’evidenza suggestionato nell’individuazione fotografica; il riconoscimento sarebbe, in ogni caso, tardivamente intervenuto e, ancora nel messaggio, dato come non certo. Al testimone sarebbero stati mostrati pochi identikit, allo scopo di avere la mera conferma di un esito identificativo dagli inquirenti già preconfezionato. Inoltre, le modalità del sopralluogo, descritte da Campo molti anni dopo i fatti, sarebbero inconciliabili con la ricostruzione dell’episodio, fornita nell’immediatezza da NOME COGNOME, coniuge della vittima, presente sul posto, e confluita nel processo tramite la conversione intercettata avvenuta tra NOME COGNOME e NOME COGNOME. Secondo NOME, a bordo dell’Audi, dal modello non compiutamente identificato, si sarebbe trovato il solo conducente (e non dunque il preteso passeggero) e la vettura sarebbe stata di colore grigio (e non nero).
Il ricorrente svolge, di seguito, ulteriori contestazioni, riguardanti la causale dell’omicidio, la ricostruzione del presunto traffico di stupefacenti che ne farebbe da sfondo, l’attendibilità del teste NOME COGNOME che aveva riferito al riguardo e le presunte attività di depistaggio che all’omicidio avrebbero fatto seguito.
In conclusione, nel motivo si ribadisce che:
la causale sarebbe indimostrata e non sarebbe, comunque, riferibile al ricorrente;
le dichiarazioni accusatorie contro COGNOME sarebbero tutte de relato e sarebbero affette dal vizio di circolarità, perché interamente risalenti, in sostanza, a NOME COGNOME;
questi avrebbe negato la sua partecipazione all’omicidio e, a sua volta, avrebbe coinvolto COGNOME de relato da COGNOME (peraltro attribuendo a COGNOME, ma
solo nel narrato riferito tramite COGNOME il ruolo di esecutore materiale: circostanza falsa per tabulas );
NOME COGNOME sarebbe totalmente inattendibile in qualunque sua sede dichiarativa, stante l’interesse preminente a scagionarsi;
-il coinvolgimento di esponenti dell’Arma dei Carabinieri nell’omicidio sarebbe stato già prospettato in passato, ma l’indagine sarebbe stata archiviata per assenza di riscontri, e il dato non sarebbe superato.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al rilievo dell’aggravante del metodo mafioso, fatta indebitamente coincidere, in tesi, con il solo carattere eclatante dell’azione.
Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, in ordine al rilievo dell’esigenza cautelare e alla scelta della misura, non essendosi al riguardo tenuto conto della risalenza del fatto e dell’inesistenza del pericolo di inquinamento probatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato, nei limiti e per le ragioni che seguono.
Colgono, in particolare, nel segno le censure relative sia ai vizi del percorso motivazionale, sia alla violazione delle regole fissate dall’art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen., in tema di valutazione delle dichiarazioni, in reità o in correità, rese dai collaboratori di giustizia, nonché «dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12», pacificamente applicabili anche a quanti rivestano le medesime posizioni processuali prima dell’esercizio dell’azione penale ed in tutte le fasi del procedimento penale compreso l’incidente cautelare (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683-01; Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213-01).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, tali dichiarazioni assumono valore dimostrativo solo in presenza di riscontri esterni, che ne asseverino il contenuto (Sez. 5, n. 50996 del 14/10/2014, S., Rv. 264213-01; Sez. 1, n. 1263 del 20/10/2006, dep. 2007, COGNOME, Rv. 235800-01; Sez. 5, n. 14272 del 08/10/1999, COGNOME, Rv. 215800-01).
I riscontri possono consistere in elementi di qualsivoglia natura, non predeterminati per specie o qualità, e quindi di carattere rappresentativo, o
anche solo logico, i quali, pur non avendo forza probante autonoma, siano in grado di corroborare la chiamata stessa, in radice passibile di sospetto, conferendole dignità di convincimento pieno. Essi, tuttavia, debbono essere precisi nella loro oggettiva consistenza (Sez. 1, n. 31004 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 284840-01; Sez. 1, n. 34712 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 26752801), idonei come tali ad avvalorare in modo significativo la fonte indiziaria cui accedono, e debbono porsi pur sempre rispetto ad essa come distinti (v. già Sez. 4, n. 6343 del 31/03/1998, Avila, Rv. 211625-01), nel senso che, pur dovendosi collegare ai fatti riferiti dal chiamante, debbono tuttavia rimanere esterni, allo scopo di evitare che la verifica sia tautologica ed autoreferente, e cioè che in definitiva la ricerca finisca per usare, come sostegno dell’ipotesi probatoria che si trae dalla chiamata, la chiamata stessa, ossia lo stesso dato da riscontrare. I riscontri debbono, infine, avere portata individualizzante, ossia riferita sia alla persona dell’accusato che all’imputazione a lui ascritta (tra le molte, Sez. 6, n. 47108 del 08/10/2019, COGNOME, Rv. 277393-01).
In caso di chiamata in reità, o correità, de relato , anche non asseverata dalla fonte diretta, la stessa può avere come idoneo riscontro altra o altre chiamate di analogo tenore, purché (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255143-01) siano rispettate le seguenti condizioni:
risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità dei diversi narrati;
siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo;
vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum ;
vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente;
sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse, per non incorrere nel vizio di circolarità.
Pur non essendo prevista dall’ordinamento processuale alcuna gerarchia tra le dichiarazioni, anche se rese da una delle categorie di soggetti sopra indicate, in caso di contrasto tra fonte diretta e fonte de auditu (o tra fonti de
auditu , aventi gradi decrescenti di prossimità rispetto alla fonte diretta) il giudice del merito, anche cautelare, è chiamato ad operare la scelta critica e motivata in ordine alla versione dei fatti da privilegiare e, in tale contesto, può attribuire alla fonte indiretta (o a quella indiretta meno prossima) valore di fonte determinante di convincimento solo all’esito di una valutazione improntata a speciale cautela.
In ragione, infatti, del carattere mediato delle informazioni fornite è sempre necessario, in misura man mano crescente con l’accentuarsi di tale carattere, che le dichiarazioni de relato siano oggetto di particolare e stringente verifica.
Occorre, infine, considerare, che l’eventuale esclusione dell’attendibilità di una fonte su una parte del racconto non implica, per il principio della c.d. frazionabilità della valutazione, l’automatico e conseguenziale giudizio di inattendibilità con riferimento ad altre parti di esso.
Queste ultime, tuttavia, possono essere valorizzate in chiave accusatoria, se autonomamente attendibili e riscontrate, ove sia certamente escluso, con motivazione adeguata, il pericolo di un’interferenza fattuale e logica tra le singole frazioni del narrato, sempre che l’inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante (Sez. 1, n. 26966 del 01/12/2022, NOME, Rv. 284836-01; Sez. 6, n. 25266 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270153-01; Sez. 6, n. 35327 del 18/07/2013, Arena, Rv. 256097-01; Sez. 6, n. 6221 del 20/04/2005, dep. 2006, COGNOME, Rv. 233095-01).
In altri termini, la valutazione frazionata della dichiarazione è legittima, alla sola condizione che alla parte ritenuta attendibile e riscontrata possa essere riconosciuta una sua autonomia, nel senso che non sia strettamente interconnessa, sul piano fattuale e logico, con quella ritenuta falsa o, comunque, non affidabile, e inoltre che sia data una spiegazione al mendacio inerente la parte della narrazione risultata smentita (per esempio, con la difficoltà di mettere a fuoco un ricordo lontano, o con la complessità dei fatti e la possibile confusione degli stessi), in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sulla veridicità soggettiva della fonte (Sez. 4, n. 21886 del 19/04/2018, COGNOME, Rv. 272752-01; Sez. 1, n. 40000 del 10/07/2013, Pompita, Rv. 256917-01; Sez. 6, n. 20037 del 19/03/2014, L., Rv. 260160-01).
L’ordinanza impugnata non ha fatto buon governo delle indicazioni emergenti da tale quadro di principi, anzitutto perché ha seguito, nella valutazione della chiamata in reità operata da NOME COGNOME nei confronti di NOME COGNOME un percorso argomentativo insoddisfacente sotto il profilo della giustificazione dell’attendibilità soggettiva del dichiarante.
Riconoscendo l’affidabilità, sia per la ricostruzione del fatto, sia per la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’odierno ricorrente, di una parte soltanto del contributo dichiarativo fornito da COGNOME all’autorità giudiziaria, tanto de relato da COGNOME quanto per conoscenza diretta – e ripetutamente affermando, piuttosto, la decisività delle dichiarazioni rese de relato , al riguardo, da COGNOME (e, per ulteriore derivazione, da COGNOME) – il Tribunale ha finito per privilegiare, sistematicamente, queste ultime a cospetto delle prime, così sostanzialmente operando la valutazione frazionata del narrato di COGNOME, considerato nella sua conclusiva dimensione e portata.
A fondamento di tale operazione valutativa il Tribunale sviluppa un ragionamento giuridico inadeguato. Esso, infatti, non si avvede dell’evidente interferenza fattuale e logica tra componenti del racconto destinate fatalmente ad integrarsi, né indica in modo convincente le ragioni per cui NOME COGNOME di cui pure ritiene ampiamente provato l’ostinato mendacio sulla sua personale partecipazione al fatto omicidiario, sia invece da considerare credibile, e sia anzi dotato dell’elevato livello di affidabilità richiesto ai chiamanti in reità, quando, dopo anni di reticenza, riferisce per la prima volta le informazioni da lui possedute in merito all’omicidio del sindaco COGNOME, cui in tesi sarebbe rimasto del tutto estraneo, se non per avere partecipato a un sopralluogo, organizzato da COGNOME a sua sedicente insaputa ed al solo fine di ‘incastrarlo’.
Se la spiegazione del mendacio fosse la volontà di lucrare i benefici penitenziari, sino a quel momento non ottenuti, mantenendosi al riparo da una diretta incriminazione, questo elemento non deporrebbe affatto, sul piano logico e razionale, a favore della credibilità complessiva del dichiarante. Le motivazioni meramente utilitaristiche di una chiamata in reità, e l’intento di conseguire suo tramite vantaggi di vario genere, inquinano infatti la genuinità della fonte (Sez. 1, n. 5438 del 07/11/2019, dep. 2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 278470-01) e rendono arduo sceverare, in seno ad un narrato giudicato solo parzialmente attendibile, i contenuti affidabili da quelli spuri o falsati.
Né la credibilità di NOME COGNOME può dirsi rivalutata o rafforzata, di per sé, alla luce delle dichiarazioni de auditu rese dal compagno di detenzione COGNOME (e, in via indiretta ulteriore, da COGNOME), quand’anche il racconto di costoro fosse estremamente fedele al narrato della fonte; e ciò anche a prescindere dalla questione dell’utilizzabilità delle dichiarazioni di COGNOME, sollevata dalla difesa dei coindagato COGNOME nel separato procedimento trattato da questa Corte alla stessa udienza in cui è stato esaminato il presente ricorso.
Si tenga a questo punto presente che il quadro di gravità indiziaria, a carico di COGNOME, si basa essenzialmente sulla ricostruzione resa da NOME
Ridosso a D’Atri, secondo la quale l’indagato avrebbe organizzato l’omicidio del sindaco, con partecipazione materialmente concretizzatasi nella effettuazione del sopralluogo del 28 agosto 2010 e nella pianificazione dell’ulteriore sopralluogo del 3 settembre 2010, effettuato da Ridosso e Cipriano.
I principali elementi di riscontro a tale ricostruzione sono forniti, nel ragionamento sviluppato dai giudici del riesame, da condotte di COGNOME per lo più successive al delitto (che i giudici stessi ritengono difficilmente spiegabili, sul piano logico, se non alla luce di un effettivo coinvolgimento dell’indagato nella sua consumazione), la cui esistenza e reale consistenza risale tuttavia, nuovamente, al solo racconto di NOME COGNOME.
Sussiste dunque, in palmare evidenza, anche a prescindere dall’attendibilità soggettiva del dichiarante, il vizio di circolarità del patrimonio conoscitivo acquisito al processo, determinante per la validazione della tesi accusatoria.
Le dichiarazioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME non appaiono, infatti, di consistenza tale da avvalorare in modo significativo la fonte cui accedono. La prima teste dà riscontro dell’esistenza dell’incontro tra NOME COGNOME e COGNOME, avvenuto sotto l’abitazione del primo pochi giorni dopo l’omicidio, ma nulla sa del suo oggetto e del contenuto delle conversazioni, decifrabili esclusivamente, ancora una volta, attraverso le parole (inclusa l’espressione «ci simm fatt pure o’ pescatore») e lo stato d’animo del medesimo Ridosso. La COGNOME‘COGNOME riferisce della presenza del marito in Acciaroli prima del Ferragosto 2010, e di sue uscite notturne da casa, in quei giorni, implausibilmente giustificate (come pure della successiva improvvisa interruzione dei rapporti di frequentazione tra il marito e NOME COGNOME), ma tali circostanze non sono di per sé specificamente espressive di un collegamento, tangibile e apprezzabile, con il crimine per cui è procedimento.
Né appaiono di consistenza tale, da avvalorare in modo significativo la fonte dichiarativa paterna, le sole informazioni che NOME COGNOME è in grado di riportare per conoscenza diretta inerenti il traffico di stupefacenti e il coinvolgimento di COGNOME al suo interno. Il tema rimanda all’individuazione della possibile causale del crimine, la quale, come è noto, non essendo elemento di prova autosufficiente, può costituire elemento di riscontro a una chiamata di reità solo se è estremamente precisa ed individualizzante, e se la chiamata è autonomamente dotata dei prescritti requisiti di credibilità ed attendibilità (da ultimo, Sez. 1, n. 31205 del 23/10/2020, Fortuna, Rv. 279790-01), mentre il procedimento odierno, a parere del Collegio, non riflette, almeno allo stato, tali requisiti.
Né si può infine rimproverare all’indagato, come fa l’ordinanza impugnata, di non avere fornito convincenti spiegazioni alternative di episodi, condotte ed
incontri la cui storicità è, per le ragioni suindicate, nella massima parte tuttora in predicato.
Sicché, effettivamente, l’unico vero elemento esterno di riscontro, pregnante e individualizzante, al propalato accusatorio di NOME COGNOME a carico di COGNOME è l’avvenuto riconoscimento del medesimo, ad opera di COGNOME quale occupante dell’autovettura Audi che avrebbe operato, a fine agosto 2010, la descritta ricognizione dei luoghi, prodromica alla consumazione dell’omicidio.
Si tratta, tuttavia, di un riconoscimento avvenuto quasi nove anni dopo il delitto, in base alla iniziale suggestione di una trasmissione televisiva, e che, sino alla successiva individuazione fotografica, si presentava come insicuro.
Anche tenuto conto di ciò, l’ordinanza impugnata non appare adeguatamente approfondita nella valutazione della effettiva tenuta di tale riscontro (il cui carattere potenzialmente decisivo emerge dall’intera illustrazione che precede), non avendo fornito al riguardo risposta a specifiche deduzioni difensive circa le modalità dell’individuazione fotografica e l’affidabilità di quest’ultima, nonché a proposito della possibile divergenza tra il riaffiorato ricordo di Campo e le impressioni riportate nell’immediatezza da NOME COGNOME riflesse in causa attraverso il colloquio, all’epoca debitamente intercettato, tra NOME e NOME COGNOME
Stante il carattere cruciale del dato, la carenza motivazionale inficia la decisione del Tribunale del riesame.
Di quest’ultima si impone, conclusivamente, l’annullamento in rapporto alle criticità argomentative e valutative sin qui rilevate, con rinvio al medesimo giudice del riesame per rinnovato apprezzamento che, impregiudicato nell’esito, ne determini il superamento.
Restano assorbiti gli ulteriori profili oggetto del primo motivo di ricorso, nonché i motivi secondo e terzo.
La cancelleria curerà l’adempimento di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno sezione per il riesame.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso l’08/04/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME