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Chiamata in correità: quando è prova sufficiente?

Un soggetto è stato condannato per cessione di sostanze stupefacenti sulla base delle dichiarazioni di un coimputato. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che la cosiddetta ‘chiamata in correità’ costituisce prova valida se il giudice motiva adeguatamente sulla credibilità del dichiarante e sull’attendibilità del suo racconto, supportato da riscontri esterni anche non diretti, come in questo caso dei viaggi in taxi.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in Correità: La Credibilità del Coimputato come Prova Decisiva

Nel processo penale, la testimonianza di chi è a sua volta imputato nello stesso procedimento, nota come chiamata in correità, rappresenta uno degli strumenti probatori più delicati e discussi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 33703/2024) è tornata sul tema, chiarendo i criteri di valutazione che il giudice deve seguire per fondare una condanna su tali dichiarazioni. Il caso analizzato riguarda una condanna per cessione di cocaina basata quasi interamente sulle affermazioni di un co-imputato.

I Fatti di Causa

Un individuo veniva condannato in primo grado e in appello per aver ceduto, in due diverse occasioni, quantitativi di cocaina tra i 50 e i 100 grammi a un altro soggetto. L’intera accusa si fondava sulle dichiarazioni del co-imputato, il quale aveva affermato di aver incaricato l’imputato di acquistare la droga in Romagna, fornendogli il denaro e organizzando gli spostamenti in taxi.

Le uniche prove a riscontro di tale racconto erano alcuni viaggi in taxi effettuati dall’imputato verso la Romagna, avvenuti durante il periodo delle restrizioni per la pandemia. La difesa sosteneva che tali elementi non fossero sufficienti a provare la colpevolezza, data l’assenza di un sequestro di droga o di altre prove dirette.

I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Chiamata in Correità

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Mancanza di Motivazione: Le sentenze dei giudici di merito erano ritenute carenti e non avevano adeguatamente spiegato perché la versione del co-imputato fosse attendibile.
2. Violazione delle Regole Probatorie: Si contestava la mancata applicazione dell’art. 192 del codice di procedura penale, che impone una valutazione rigorosa della credibilità del dichiarante e la presenza di riscontri esterni che confermino la chiamata in correità.
3. Errata Qualificazione Giuridica: Si chiedeva di derubricare il reato a un’ipotesi di minore gravità (art. 73, comma 5), data l’assenza di prove sulla quantità e purezza della sostanza e la mancanza di collegamenti con la criminalità organizzata.

Il cuore della questione legale risiedeva quindi nella corretta valutazione della chiamata in correità. La difesa argomentava che, senza riscontri oggettivi e inequivocabili, le sole parole di un co-imputato non potevano bastare per una condanna.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno chiarito alcuni principi fondamentali sulla valutazione di questo specifico mezzo di prova. In primo luogo, hanno ribadito che il giudizio di legittimità non serve a riesaminare i fatti, ma solo a controllare la correttezza logica e giuridica della motivazione della sentenza impugnata.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero fornito una motivazione sufficiente, logica e non contraddittoria. Nello specifico:

* Sulla Credibilità del Dichiarante: La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che il co-imputato era credibile perché si era auto-accusato di essere il mandante dell’operazione, cioè colui che aveva organizzato e finanziato l’acquisto. L’auto-incriminazione è un forte indice di credibilità.
* Sui Riscontri Esterni: I viaggi in taxi, sebbene non fossero una prova diretta dell’acquisto di droga, costituivano un valido riscontro esterno alle dichiarazioni. La loro effettuazione in un periodo di forti restrizioni alla circolazione rendeva la spiegazione fornita dal co-imputato plausibile e coerente.
* Sulla Valutazione Unitaria: La Cassazione ha richiamato il principio secondo cui la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente. Non è richiesta una sequenza rigida e separata, ma una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi a disposizione.
* Sulla Riqualificazione del Fatto: La richiesta di derubricazione è stata respinta perché le quantità indicate (50-100 grammi per cessione) e le modalità organizzate e scaltre del trasporto (uso di un taxi per eludere i controlli) non erano compatibili con un fatto di lieve entità.

Le Conclusioni

La sentenza n. 33703/2024 rafforza un principio consolidato nella giurisprudenza penale: la chiamata in correità è uno strumento probatorio pienamente valido, a condizione che il giudice compia un’attenta e logica valutazione della sua attendibilità. Non sono necessari riscontri ‘granitici’ o prove dirette, ma elementi esterni che, letti insieme alle dichiarazioni, rendano il quadro accusatorio coerente e credibile. Questa pronuncia sottolinea l’importanza della motivazione del giudice di merito, che deve spiegare in modo trasparente il percorso logico che lo ha portato a ritenere affidabile il racconto del co-imputato, fondando su di esso una sentenza di condanna.

La testimonianza di un coimputato (chiamata in correità) è sufficiente per una condanna?
Sì, può essere sufficiente a condizione che il giudice la valuti attentamente, verificando la credibilità del dichiarante e l’attendibilità del suo racconto, e che trovi riscontri esterni che ne confermino la veridicità, anche se questi non costituiscono una prova diretta del reato.

In che modo il giudice deve valutare la credibilità di un coimputato?
Il giudice deve effettuare una valutazione unitaria che comprende sia la credibilità soggettiva del dichiarante (ad esempio, se si auto-accusa) sia l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni (coerenza, precisione). Non è richiesta una sequenza rigida di passaggi, ma un’analisi complessiva e logica di tutti gli elementi.

Il mancato sequestro della droga impedisce una condanna per spaccio?
No. Come dimostra questo caso, una condanna per spaccio può essere emessa anche senza il sequestro fisico della sostanza stupefacente, se le prove raccolte (come una chiamata in correità attendibile e riscontrata) sono sufficienti a dimostrare la colpevolezza dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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