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Chiamata in correità: quando è prova? La Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per furto aggravato. La decisione si basava principalmente sulla chiamata in correità di un complice. La Suprema Corte ribadisce che tale prova è valida se intrinsecamente attendibile e supportata da solidi e univoci elementi di riscontro esterni, confermando la condanna e il diniego delle attenuanti generiche a causa dei precedenti penali dell’imputato.

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Pubblicato il 15 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in Correità: Guida Pratica alla Validità della Prova

La chiamata in correità, ovvero la dichiarazione di un imputato che accusa un suo complice, rappresenta uno degli strumenti probatori più delicati e discussi nel processo penale. La sua validità non è mai automatica, ma è subordinata a una rigorosa verifica da parte del giudice. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire i criteri che rendono queste dichiarazioni una prova solida per una sentenza di condanna.

I Fatti e il Processo di Merito

Il caso trae origine da una condanna per concorso in furto pluriaggravato di un ingente quantitativo di semi di cannabis. La Corte di Appello di Genova aveva confermato la sentenza di primo grado, ritenendo un individuo responsabile del reato. La condanna si fondava in modo significativo sulle dichiarazioni accusatorie rese da un co-imputato, il quale aveva descritto il ruolo e il coinvolgimento del suo complice.

Il Ricorso in Cassazione: I Motivi dell’Imputato

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando un vizio di motivazione su due punti cruciali:

1. Attendibilità della chiamata in correità: Secondo la difesa, i giudici di merito non avevano valutato correttamente la credibilità del dichiarante e, soprattutto, non avevano individuato elementi di riscontro esterni sufficienti a corroborare le sue accuse, come richiesto dall’art. 192, comma 3, del codice di procedura penale.
2. Mancato riconoscimento delle attenuanti generiche: L’imputato contestava anche la decisione di non concedergli le circostanze attenuanti generiche, ritenendo la valutazione dei giudici ingiustificata.

Le Motivazioni della Suprema Corte sulla Chiamata in Correità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e quindi inammissibile. Secondo gli Ermellini, i motivi del ricorso erano generici e non si confrontavano criticamente con le argomentazioni ben articolate della sentenza d’appello.

Il cuore della decisione risiede nella validazione del ragionamento seguito dai giudici di merito. La chiamata in correità era stata oggetto di un doppio vaglio:

* Valutazione intrinseca: La credibilità del dichiarante era stata affermata sulla base della precisione, coerenza e logicità del suo racconto.
* Valutazione estrinseca: Le sue dichiarazioni erano supportate da plurimi elementi di riscontro esterni, definiti dalla Corte come ‘diretti, individualizzanti e univoci’. Questi riscontri includevano accertamenti di polizia giudiziaria, riconoscimenti personali e la presenza dell’imputato sia nelle fasi precedenti al furto sia il giorno successivo, in compagnia del co-autore e in possesso della refurtiva.

La Corte ha sottolineato che, una volta verificata la credibilità intrinseca del dichiarante e l’esistenza di solidi riscontri esterni, la chiamata in correità costituisce una prova piena e sufficiente per fondare un giudizio di colpevolezza.

Le Motivazioni sul Diniego delle Attenuanti Generiche

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ritenuto che i giudici di merito avessero esercitato correttamente il loro potere discrezionale. La decisione di negare le attenuanti generiche era stata giustificata dall’assenza di elementi positivi nel comportamento processuale dell’imputato e, soprattutto, dalla presenza di suoi numerosi precedenti penali, elementi che pesano negativamente nella valutazione complessiva della personalità del reo.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale: la dichiarazione di un coimputato non è una prova di ‘serie B’, ma richiede un’analisi particolarmente scrupolosa. Per essere utilizzata ai fini di una condanna, la chiamata in correità deve superare un test di affidabilità che ne valuti sia la coerenza interna sia la corrispondenza con altri dati probatori oggettivi. La decisione evidenzia inoltre come un ricorso in Cassazione, per avere speranza di successo, debba contenere critiche specifiche e puntuali alla motivazione della sentenza impugnata, evitando censure generiche che ne determinerebbero l’inevitabile inammissibilità.

Quando la testimonianza di un coimputato (chiamata in correità) è considerata una prova valida?
Secondo la Corte, la chiamata in correità è una prova valida quando supera un doppio esame: deve essere intrinsecamente credibile (cioè precisa, coerente e logica) e deve essere supportata da elementi di riscontro esterni, che siano diretti, individualizzanti e univoci.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi presentati sono stati ritenuti manifestamente infondati, generici e non in grado di muovere una critica specifica e argomentata contro le motivazioni della sentenza impugnata, come richiesto dalla giurisprudenza consolidata.

Per quale motivo non sono state concesse le attenuanti generiche?
Le attenuanti generiche non sono state concesse perché i giudici, nell’esercizio del loro potere discrezionale, non hanno individuato elementi positivi da valorizzare nel comportamento dell’imputato e hanno dato peso ai suoi numerosi precedenti penali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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