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Chiamata in correità: la valutazione per la custodia

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per omicidio aggravato. Il caso si basa sulla chiamata in correità da parte di più collaboratori di giustizia, che hanno indicato il ricorrente come mandante. La Corte ha confermato la validità della valutazione del Tribunale del riesame, che ha ritenuto le dichiarazioni credibili, convergenti e supportate da riscontri esterni, ritenendole sufficienti a configurare i gravi indizi di colpevolezza necessari per la misura cautelare.

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Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in Correità: Quando le Accuse dei Complici Bastano per la Custodia Cautelare

La valutazione della chiamata in correità rappresenta uno dei nodi più delicati del processo penale. Le dichiarazioni di chi è a sua volta accusato dello stesso reato possono essere un elemento d’accusa fondamentale, ma richiedono un vaglio rigoroso da parte del giudice. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 1006/2025) ha ribadito i principi cardine per ritenere tali dichiarazioni sufficienti a sostenere una misura grave come la custodia cautelare in carcere, in un caso di omicidio aggravato dal metodo mafioso.

I Fatti: Un Omicidio nel Contesto Criminale

Il caso trae origine da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP del Tribunale di Napoli nei confronti di un individuo, accusato di essere il mandante, ideatore e organizzatore di un omicidio. La vittima era stata uccisa con tre colpi di pistola nell’ottobre 2021, nell’ambito di un regolamento di conti legato alla gestione di una piazza di spaccio.

Secondo la ricostruzione accusatoria, la vittima, partecipe del gruppo criminale, era stata accusata di essersi impossessata di armi e droga della consorteria. Per questo motivo, il capo del gruppo aveva deciso la sua eliminazione, rivolgendosi a un clan alleato per l’esecuzione. Il ricorrente, zio del capo del gruppo, avrebbe svolto un ruolo chiave nell’organizzazione del delitto, partecipando alle riunioni preparatorie e gestendo l’occultamento del veicolo usato per l’agguato.

La Decisione dei Giudici di Merito

L’impianto accusatorio si fondava quasi interamente sulle dichiarazioni di diversi co-indagati, inclusi gli esecutori materiali e altri organizzatori, che avevano iniziato a collaborare con la giustizia. Il Tribunale del Riesame, confermando la misura cautelare, aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, basandosi sulla convergenza e sulla reciproca conferma delle diverse chiamate in correità. I giudici hanno sottolineato come le dichiarazioni fossero state ritenute credibili e attendibili, trovando inoltre riscontri esterni in elementi oggettivi, come le localizzazioni GPS del veicolo utilizzato per il delitto.

Il Ricorso in Cassazione e la chiamata in correità

La difesa del ricorrente ha impugnato l’ordinanza in Cassazione, lamentando una violazione delle regole sulla valutazione della prova (art. 192 c.p.p.). Secondo il ricorso, il Tribunale avrebbe omesso di effettuare un’autonoma e approfondita valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità oggettiva delle loro dichiarazioni. Inoltre, si contestava l’attribuzione al ricorrente del ruolo di mandante, sostenendo che egli fosse un semplice “pusher stipendiato” senza potere decisionale e che il vero mandante fosse unicamente il capo dell’organizzazione.

La corretta valutazione della chiamata in correità

Il fulcro del ricorso verteva sulla corretta applicazione dei criteri di valutazione della chiamata in correità. La difesa sosteneva che il giudice non può limitarsi a constatare la convergenza di più dichiarazioni, ma deve seguire un percorso trifasico:
1. Analisi della credibilità soggettiva del dichiarante.
2. Verifica dell’attendibilità intrinseca del racconto.
3. Ricerca di riscontri esterni individualizzanti.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo la motivazione del Tribunale del Riesame congrua, logica e giuridicamente corretta. I giudici di legittimità hanno chiarito diversi punti fondamentali.

In primo luogo, il giudizio sulla credibilità e attendibilità delle fonti non deve seguire una rigida sequenza separata. La valutazione è unitaria: la credibilità soggettiva e l’attendibilità oggettiva si influenzano a vicenda. L’incrocio di diverse dichiarazioni autonome e convergenti costituisce già di per sé un potente riscontro.

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito che il suo ruolo non è quello di riesaminare i fatti, ma di controllare la logicità della motivazione del giudice di merito. In questo caso, il Tribunale aveva adeguatamente spiegato le ragioni per cui riteneva le dichiarazioni dei collaboratori affidabili, valorizzando non solo la loro convergenza, ma anche i riscontri tecnici (GPS, tabulati telefonici, testimonianze dei dipendenti di un’autocarrozzeria) che confermavano le fasi di occultamento del veicolo descritte dai collaboratori.

Infine, la Corte ha respinto la distinzione tra ruolo di mandante e mero partecipe come irrilevante in questa fase. L’affermazione della gravità indiziaria riguarda la partecipazione concorsuale al delitto, e le prove raccolte dimostravano chiaramente un coinvolgimento attivo dell’indagato in tutte le fasi del crimine, a prescindere dalla sua esatta qualificazione gerarchica.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio cruciale: per l’applicazione di una misura cautelare, le dichiarazioni plurime e convergenti di co-imputati, se logicamente valutate e supportate da riscontri esterni, costituiscono un quadro indiziario grave. Il giudice del riesame può motivare la propria decisione anche richiamando l’ordinanza impugnata (per relationem), purché il suo ragionamento affronti compiutamente le censure della difesa. Questa decisione riafferma la differenza tra la fase cautelare, basata su un giudizio di alta probabilità di colpevolezza, e la fase di merito, che richiede la certezza processuale oltre ogni ragionevole dubbio.

Quando le dichiarazioni di un co-indagato (chiamata in correità) sono sufficienti per una misura cautelare?
Quando sono ritenute intrinsecamente attendibili e sono corroborate da riscontri esterni individualizzanti, cioè elementi di prova esterni che ne confermano la veridicità riguardo al fatto specifico e alla persona accusata.

Il Tribunale del Riesame può motivare la sua decisione richiamando semplicemente l’ordinanza precedente?
Sì, è legittima la motivazione “per relationem” (per riferimento), a condizione che fornisca comunque una risposta effettiva e logica alle critiche sollevate dalla difesa e che le argomentazioni richiamate non siano state smontate da nuove deduzioni difensive.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nel valutare i gravi indizi di colpevolezza?
La Corte di Cassazione non riesamina i fatti, ma si limita a un controllo di legittimità. Verifica che la motivazione del giudice di merito sia logica, non manifestamente illogica e conforme ai principi di diritto, senza sostituire la propria valutazione a quella del tribunale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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