Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47250 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47250 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 20/10/1973
avverso l’ordinanza del 21/05/2024 del TRIB. LIBERTA di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME che chiedeva dichiararsi il ricorso inammissibile
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro adito quale giudice del riesame, con ordinanza del 21 maggio 2024, confermava l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catanzaro aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere a Patania Nazzareno indagato per i delitti di omicidio di NOME, commesso in Vibo Valentia, frazione Porto Salvo, il 6 luglio 2012, di porto e detenzione di armi nonché di ricettazione di una delle armi.
In tesi accusatoria NOME sarebbe stato uno dei mandanti e organizzatori dell’omicidio di NOMECOGNOME commesso al fine di vendicare l’assassinio del padre NOME NOME, cui NOME aveva preso parte, nonché per contrastare l’ascesa criminale del clan dei Piscopisani e dei Tripodi,
L’agguato ai danni di Pataigia NOME veniva perpetrato da due sicari a volto coperto, poi identificati in Beluli Vasvi e COGNOME NOME, che raggiungevano la vittima sulla spiaggia a bordo di uno scooter; COGNOME scendeva ed esplodeva cinque colpi di pistola calibro 9×19 all’indirizzo del Fortuna; dopodiché i due si allontanavano e bruciavano sia lo scooter sia le armi utilizzate.
La ricostruzione del fatto e l’identificazione degli autori era possibile grazi alle dichiarazioni del COGNOME il quale, dopo avere confessato l’omicidio, rendeva propalazioni circa il contesto in cui era maturata la determinazione omicidiaria e circa l’identità di autori materiali e mandanti.
Avverso detta ordinanza proponeva ricorso l’indagato tramite il suo difensore, lamentando con un unico motivo l’erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen. in relazione al reato di cui all’art. 575 cod. pen., nonché degli a 273 e 192 cod. proc. pen. e la mancanza, ovvero illogicità della motivazione.
Rileva il ricorrente come il collaboratore COGNOME condannato in via definitiva quale autore materiale dell’omicidio di NOMECOGNOME non faccia il nome dell’indagato quale partecipante alla riunione in cui venne deliberato l’omicidio di NOMECOGNOME
Ripercorre, poi, le dichiarazioni di altro collaboratore, COGNOME NOMECOGNOME il quale ha dichiarato di avere partecipato alla fase organizzativa dell’omicidio di NOME pur non ammettendo di essere stato presente quando venne deliberato l’omicidio, contrariamente a quanto affermato da COGNOME
Stigmatizza poi la circostanza che NOME abbia riportato l’affermazione acquisita de relato che la decisione di compiere l’omicidio venne presa anche da NOME COGNOME senza però essere in grado di riferire la sua fonte di conoscenza.
Altro collaboratore, tale COGNOME NOMECOGNOME che insieme a COGNOME aveva trasportato armi e ciclomotore a casa di Alessandria, ha dichiarato di non sapere se l’indagato sapesse a sua volta a che cosa le armi sarebbero servite.
Anche circa la consegna delle armi e del ciclomotore le dichiarazioni dei collaboratori non combaciano, poiché COGNOME e COGNOME collocano la consegna qualche giorno prima dell’omicidio, mentre COGNOME la arretra a qualche mese prima.
Conclusivamente ritiene il ricorrente che non vi sia convergenza del molteplice rispetto al mandato omicidiario come partito anche da Patania COGNOME.
3. Il sostituto procuratore generale NOME COGNOME concludeva chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è inammissibile.
Il provvedimento impugnato condivide – ripercorrendola – la motivazione dell’ordinanza cautelare circa la concretezza dei gravi indizi di colpevolezza costituiti dalle chiamate di correo fra loro convergenti di tre collaboratori giustizia, COGNOME autore materiale dell’omicidio, condannato in via definitiva, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Il dichiarante COGNOME fonte estremate qualificata, avendo confessato di avere commesso l’omicidio, aveva riferito di essere stato assoldato dai COGNOME per commettere l’omicidio e di avere partecipato ad un incontro avvenuto nella cantina di Patania Salvatore, durante il quale si erano definite le modalità esecutiv dell’omicidio.
All’incontro erano presenti fra gli altri, i fratelli COGNOME, COGNOME NOME e Alessandria NOME.
Il ruolo attribuito all’odierno ricorrente era quello di fornire le armi e ciclomotore utilizzato per la fuga, che portava a casa di NOME Alessandria, insieme a COGNOME NOME.
COGNOME confermava di aver saputo da Alessandria che era stato NOME COGNOME, insieme ad un altro soggetto, verosimilmente COGNOME NOME, a portargli lo scooter utilizzato per l’agguato e le armi; COGNOME aveva altresì disvelat la ragione dell’omicidio di NOMECOGNOME quest’ultimo avrebbe funto da specchiettista nell’omicidio di NOME COGNOME, padre del ricorrente.
Quanto al ruolo di NOMECOGNOME il collaboratore riferiva che era stato meno pregnante rispetto a quello dei fratelli, ma anch’egli era stato totalmente adesiv al progetto omicidiario, al fine di vendicare l’omicidio del padre cui aveva partecipato NOME con il ruolo di specchiettista.
COGNOME NOME, dal canto suo, confermava di aver condotto un motociclo rubato a casa di Alessandria dietro indicazione di COGNOME NOME; in quella
occasione era accompagnato da COGNOME che guidava un Fiat Doblò di colore bianco e che trasportava le armi.
Era stato proprio il ricorrente a comunicargli che stavano trasportando armi che, insieme allo scooter f erano state occultate nei pressi dell’abitazione di Alessandria, utilizzando delle chiavi di cui NOME COGNOME aveva la disponibilità.
Così richiamate le dichiarazioni dei collaboratori cui fa ampio riferimento l’impugnato provvedimento, emerge chiaramente come circa le stesse il ricorso sia travisante, nel senso che segnala discrasie fra le dichiarazioni che in realtà no sussistono.
Il ricorso è travisante quando rileva una contraddizione fra il narrato di COGNOME che collocava COGNOME come presente alla riunione deliberativa dell’omicidio, contrariamente a quanto sostenuto da COGNOME stesso.
Nella riunione descritta da COGNOME in realtà, vennero definite le modalità esecutive dell’omicidio, non venne deliberato l’omicidio e del .tutto concordemente COGNOME ha escluso di avere partecipato alle riunioni tenutesi per deliberare l’omicidio, pur ammettendo di avere partecipato ad alcune riunioni in cui vennero definiti i dettagli organizzativi dell’omicidio.
Analogamente travisante l’affermazione secondo cui COGNOME non avrebbe indicato la propria fonte di conoscenza quando in realtà egli riferisce di aver parlat in più occasioni con NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME per decidere il luogo ove commettere l’omicidio.
Quanto, poi, al narrato di COGNOME, emerge chiaramente che non era NOME COGNOME a non sapere a cosa fossero destinate le armi che aveva portato a casa di Alessandria, ma è COGNOME che ha sostenuto di non sapere né a cosa servisse il motorino né che NOME stesse trasportando le armi.
COGNOME ha poi affermato di non sapere se NOME COGNOME fosse al corrente di quale fosse la destinazione delle armi; dunque, COGNOME non ha c.sprcsso una . ennuipgi43.fte T -Fié-her riferito una circostanza appresa, ma ha semplicemente affermato una sua convinzione.
Il Tribunale, con una motivazione congrua e non manifestamente illogica, ha ritenuto che il nucleo delle dichiarazioni rese dai tre collaboratori evidenziasse coinvolgimento del ricorrente nell’omicidio, sia in quanto coinvolto nelle fasi organizzative dell’omicidio, sia in quanto materiale fornitore delle armi utilizzat dai sicari e del mezzo a bordo del quale i sicari hanno raggiunto la vittima e si sono dati poi alla fuga.
Con le argomentazioni contenute nell’impugnato provvedimento e sopra riportate il ricorrente non si confronta, limitandosi a parcellizzare le dichiarazio a confrontare singoli particolari fra loro, senza valutare il nucleo d’insieme e ciò aperto contrasto con il costante insegnamento di questa Corte, secondo il quale le
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dichiarazioni accusatorie rese da più collaboranti possono anche riscontrarsi reciprocamente, a condizione che si proceda comunque alla loro valutazione unitamente agli altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità, in maniera tale che sia verificata la concordanza sul nucleo essenziale del narrato, rimanendo quindi indifferenti eventuali divergenze o discrasie che investano soltanto elementi circostanziali del fatto, a meno che tali discordanze non siano sintomatiche di una insufficiente attendibilità dei chiamanti stessi. (Sez. 1 – n. 17370 del 12/09/2023) Rv. 286327 – 01
Nello stesso senso si è affermato che le dichiarazioni accusatorie rese da imputati dello stesso reato ovvero di reato connesso o interprobatoriamente collegato, per costituire prova, possono anche riscontrarsi reciprocamente, perché esse siano, ciascuna, dotate di intrinseca attendibilità, soggettiva ed oggettiva, e – in assenza di specifici elementi di sospetto di accordi fraudolenti o reciproche suggestioni – siano concordanti nel loro nucleo essenziale, essendo irrilevanti eventuali divergenze relative solo ad elementi circostanziali del fatto e purché le loro caratteristiche non siano tali da far necessariamente ritenere o che il dichiarante non abbia preso parte alle vicende riferite, ovvero che egli abbia alterato il narrato al riconoscibile fine di sostenere un’accusa altrimenti insostenibile. (Sez.1 – n. 10561 del 28/10/2020 Rv. 280741 – 01)
Più in generale, poi, il ricorrente deduce un difetto di motivazione che non sussiste, poiché in tema di misure cautelari personali, il ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento del tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza consente al giudice di legittimità, in relazione alla peculiare natura del giudizio ed ai limiti che ad esso ineriscono, la sola verifica delle censure inerenti la adeguatezza delle ragioni addotte dal giudice di merito ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie e non il controllo di quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito. (Sez. 2, n. 27866 del 17/06/2019) Rv. 276976 – 01.
Rilevato, infatti, che le ragioni addotte sostengono la decisione senza evidenti sbavature logiche ma, anzi, seguono il filo degli insegnamenti di legittimità, ciò che il ricorrente tenta di sollecitare, denunciando un inesistente vizio di motivazione, è una inammissibile rivalutazione delle circostanze già esaminate dal giudice di merito.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità» – della somma di euro 3000 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto dell’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione.
La condizione di soggetto detenuto del ricorrente e il contenuto del presente provvedimento impongono che la Cancelleria effettui le comunicazioni ai sensi dell’ad 94 disp. att. cod. proc. pen.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti dei cui all’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.
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Così deciso il 29 novembre 2024