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Chiamata in correità: la Cassazione fa il punto

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un agente delle forze dell’ordine per peculato e traffico di stupefacenti, basata sulla valutazione della chiamata in correità. La sentenza chiarisce i criteri per considerare attendibili le dichiarazioni di coimputati e la necessità di riscontri esterni. Un capo d’imputazione è stato annullato per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in Correità: Quando la Parola dell’Accusatore Diventa Prova

Nel processo penale, la valutazione delle prove è un’attività cruciale e complessa. Una delle prove più delicate da gestire è la chiamata in correità, ovvero quando un imputato accusa un altro soggetto. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 4250 del 2024, offre un’analisi dettagliata dei criteri che i giudici devono seguire per fondare una condanna su tali dichiarazioni, esaminando il caso di un agente delle forze dell’ordine condannato per reati gravi.

Il Caso: Un Agente delle Forze dell’Ordine Sotto Accusa

Un brigadiere dei Carabinieri è stato condannato in primo grado e in appello per il reato di peculato, relativo all’appropriazione di sostanza stupefacente (hashish) sotto sequestro, e per la cessione di 100 grammi di cocaina. L’intero impianto accusatorio si basava principalmente sulle dichiarazioni convergenti di due persone, a loro volta coinvolte in attività illecite e considerate fonti di prova qualificata (chiamate in correità).

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sentenza d’appello su diversi fronti, sia di merito che procedurali. I principali motivi di doglianza riguardavano la presunta inattendibilità dei dichiaranti e la violazione delle norme sulla testimonianza.

I Motivi del Ricorso: Tra Attendibilità e Vizi Procedurali

La difesa ha articolato il ricorso su più punti critici:

1. Vizio di motivazione: Si sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente attribuito pieno valore probatorio alle dichiarazioni dei due accusatori, senza un’adeguata verifica della loro attendibilità e senza riscontri esterni solidi. Secondo la difesa, le dichiarazioni erano tardive, non spontanee e potenzialmente inquinate da interessi personali.
2. Mancanza di prove: La difesa ha prodotto una nota interna dei Carabinieri per dimostrare che, alla fine del 2008, non erano disponibili 100 grammi di cocaina da sottrarre, rendendo l’accusa materialmente impossibile.
3. Violazioni procedurali: Sono state sollevate questioni sull’inutilizzabilità delle dichiarazioni di uno dei testimoni, sostenendo che non fossero stati rispettati i requisiti di legge per la sua escussione come ‘testimone assistito’ (art. 197-bis c.p.p.).
4. Qualificazione del reato: Si chiedeva di derubricare il reato di cessione di stupefacenti a fatto di lieve entità.

La Valutazione della Chiamata in Correità secondo la Cassazione

Il cuore della sentenza della Cassazione risiede nella disamina dei criteri di valutazione della chiamata in correità. La Corte ha ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza, sottolineando che il giudice deve effettuare una duplice verifica:

* Credibilità soggettiva del dichiarante: Analizzare la personalità, il passato, i rapporti con l’accusato e le possibili motivazioni che lo spingono a parlare (risentimento, desiderio di ottenere benefici, etc.).
* Attendibilità oggettiva del narrato: Valutare la precisione, coerenza, costanza e spontaneità delle dichiarazioni.

La Corte ha specificato che questi due aspetti non devono essere valutati in modo separato, ma unitariamente. Inoltre, la prova non può basarsi solo sulla dichiarazione accusatoria, ma necessita di riscontri esterni individualizzanti, cioè elementi esterni che confermino la veridicità delle accuse e la loro riferibilità specifica all’imputato.

Le Motivazioni

Nel respingere gran parte del ricorso, la Corte di Cassazione ha ritenuto che i giudici di merito avessero applicato correttamente questi principi. Le motivazioni delle corti inferiori sono state giudicate logiche e complete, avendo escluso intenti calunniosi e considerato le dichiarazioni reciprocamente riscontrate e supportate da altri elementi. La Corte ha ritenuto non decisive le critiche della difesa, sottolineando come l’interesse a collaborare per ottenere benefici processuali non infici di per sé la credibilità, se non emergono elementi concreti di inquinamento della prova.

In merito alle questioni procedurali, la Cassazione le ha ritenute infondate o inammissibili, in parte perché sollevate per la prima volta in sede di legittimità senza adeguato supporto probatorio. Anche la richiesta di riqualificare il fatto come di lieve entità è stata dichiarata inammissibile, poiché non era stata oggetto dei motivi di appello.

Le Conclusioni

L’unico punto del ricorso che ha trovato accoglimento è stato quello relativo alla prescrizione di uno dei capi di imputazione per peculato (capo A4). La Corte ha quindi annullato senza rinvio la sentenza limitatamente a tale reato. Di conseguenza, ha proceduto a rideterminare la pena complessiva per i reati residui, confermando nel resto la condanna. Questa sentenza ribadisce la centralità di una motivazione rigorosa e approfondita da parte del giudice di merito, specialmente quando la condanna si fonda su prove dichiarative complesse come la chiamata in correità.

Quando la testimonianza di un coimputato (chiamata in correità) è considerata prova sufficiente per una condanna?
La dichiarazione di un coimputato è sufficiente per una condanna solo dopo una rigorosa verifica da parte del giudice, che deve accertare sia la credibilità soggettiva di chi dichiara (personalità, moventi), sia l’attendibilità oggettiva del suo racconto (coerenza, precisione). Inoltre, sono indispensabili riscontri esterni, ossia altri elementi di prova che confermino le accuse in modo specifico nei confronti dell’imputato.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione l’inutilizzabilità di una testimonianza per un vizio procedurale?
No, la Corte ha stabilito che le eccezioni di inutilizzabilità basate su atti non presenti nel fascicolo processuale (come verbali di altri procedimenti) devono essere sollevate nelle fasi di merito e supportate dalla produzione dei documenti pertinenti. Sollevarle per la prima volta in Cassazione senza prova è inammissibile.

Cosa succede se un reato si prescrive mentre il processo è in corso di appello o cassazione?
La Corte di Cassazione, se accerta il decorso del termine di prescrizione, deve dichiarare l’estinzione del reato. Di conseguenza, annulla la sentenza di condanna per quel capo d’imputazione (‘annullamento senza rinvio’) e, se l’imputato è stato condannato anche per altri reati, procede a ricalcolare la pena finale escludendo quella relativa al reato prescritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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