Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 9098 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 9098 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CAMPOFRANCO il 09/11/1962
avverso la sentenza del 11/01/2024 della Corte d’appello di Caltanissetta udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 25 maggio 2023, il GIP del Tribunale di Caltanissetta, procedendo con rito abbreviato, aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile dei delitti di estorsione pluriaggravata anche ai sensi dell’art. 416-bis.1, a lui ascritti ai capi 13) e 18) della rubrica sicché, ritenuta la continuazione tra le diverse violazioni di legge, applicata la diminuente per il rito premiale, l’aveva condannato alla pena complessiva di anni 8 di reclusione ed euro 2.400 di multa oltre al pagamento delle spese processuali; il primo giudice aveva applicato le pene accessorie conseguenti l’entità di quella principale e condannato l’imputato al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile in cui favore aveva liquidato una provvisionale e le spese; contestualmente, peraltro, il GUP aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti dello Schillaci con riguardo ai fatti di estorsione tentata pure descritti al capo 13) per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione;
la Corte d’appello di Caltanissetta, in parziale riforma della sentenza del GIP, confermata per il resto, ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i fatti ivi giudicati e quelli oggetto della sentenza del Tribunale di Caltanissetta del 19 dicembre 2006, divenuta irrevocabile il 3 marzo 2010, determinando la pena, in aumento su quella precedentemente inflitta, in anni 2 di reclusione ed euro 400 di multa;
ricorre per cassazione NOME COGNOME a mezzo del difensore che deduce:
3.1 violazione di legge in relazione agli artt. 110, 629, commi 1 e 2, cod. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: richiama, infatti, l’imputazione elevata al capo 13) osservando che la Corte d’appello ha recepito acriticamente l’impostazione assunta dal giudice di primo grado che aveva valorizzato le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia NOME COGNOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME; segnala che le dichiarazioni del COGNOME erano di per sé inidonee a comprovare un contributo del ricorrente all’estorsione consumata in danno dell’imprenditore COGNOME aggiunge che NOME COGNOME aveva a sua volta riferito di un interessamento diretto del ricorrente relativamente alla fornitura di calcestruzzo, da cui aveva tratto origine l’imputazione di tentata estorsione definita con declaratoria di estinzione del reato; rileva che la Corte d’appello ha confermato la sentenza di primo grado anche con riguardo all’episodio di cui al capo 18) in relazione al quale la responsabilità del ricorrente è stata affermata in assenza di prova di qualsivoglia contributo fornito agli esecutori materiali del reato e senza tener conto, peraltro, del tenore delle dichiarazioni del Riggio, secondo cui il COGNOME gli avrebbe consegnato la somma di 2.000 euro “a titolo personale”; contesta, inoltre, la correttezza, in diritto, della decisione di conferma della aggravante “mafiosa” segnalando come
nessuna minaccia risulta essere stata mai profferita nei confronti delle persone offese mancando infine la prova dei presupposti dell’aggravante delle “più persone riunite”;
3.2 violazione di legge in relazione agli artt. 81 e 133 cod. pen. nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: segnala il difetto assoluto di motivazione sul quantum dell’aumento di pena inflitto per la continuazione riconosciuta con gli altri fatti di estorsione giudicati con la sentenza ormai definitiva;
la Procura Generale ha trasmesso le proprie conclusioni insistendo sull’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, complessivamente, infondato.
NOME COGNOME era stato tratto a giudizio e riconosciuto responsabile, nei due gradi di merito, di diversi fatti di estorsione in concorso: il primo ed il secondo, descritti nel capo 13) della rubrica, in danno dell’imprenditore NOME COGNOME dal quale, in concorso con NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (nei cui confronti si era proceduto separatamente), aveva preteso la somma di 10 milioni di lire (materialmente ricevuta da NOME COGNOME) a titolo di “pizzo” (ovvero di “messa a posto”) per lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria sulla S.P. 154 aggiudicatisi dal predetto Abbate in Serradifalco; i predetti, inoltre, avrebbero tentato di estromettere l’impresa di NOME COGNOME dalla fornitura di calcestruzzo nel cantiere, cui avrebbe dovuto provvedere proprio la ditta dell’odierno ricorrente; il terzo episodio, descritto a capo 18), aveva riguardato l’estorsione – commessa in concorso con NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (anche in tal caso separatamente giudicati) – in danno della concessionaria Mercedes RAGIONE_SOCIALE” di Caltanissetta cui sarebbe stata estorta, a titolo di “pizzo”, la somma di euro 2.000.
Il primo giudice, nell’affermare la responsabilità dello COGNOME per i fatt di estorsione consumata, aveva valorizzato le dichiarazioni rese dai coimputati COGNOME, COGNOME e COGNOME, giudicate convergenti verso la conferma della ipotesi accusatoria che aveva individuato lo COGNOME come il “referente” ovvero, in definitiva, il “mandante”, delle richieste estorsive avanzate nei confronti dell’imprenditore COGNOME come della concessionaria “RAGIONE_SOCIALE“.
Con l’atto d’appello, la difesa aveva insistito, con il primo ed il secondo motivo, per la assoluzione dell’imputato da tutte le imputazioni ascrittegli mancando la prova di un suo effettivo contributo causale nelle vicende estorsive di cui trattasi; con il terzo motivo, la difesa aveva censurato la decisione del Tribunale in ordine al riconoscimento delle contestate aggravanti; con un quarto motivo aveva chiesto, in via subordinata, il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i delitti in esame e quelli già oggetto di decisione definitiva adottata dal Tribunale di Caltanissetta con sentenza del 19/12/2006; con il quinto motivo aveva censurata la eccessività della pena ed il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e, con il sesto motivo, la condanna al pagamento della provvisionale.
La Corte d’appello, esaminando le doglianze difensive, ha confermato la responsabilità del ricorrente per l’estorsione consumata di cui al capo 13) e per quella descritta al capo 18), come anche le aggravanti contestate ai sensi del capoverso dell’art. 629 cod. pen. e dell’art. 416-bis.1 cod. pen., accogliendo la sola richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione con i fatti giudicati con la sentenza del 2006.
Con il primo articolato motivo del ricorso la difesa denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in punto di responsabilità e, poi, in ordine alla conferma delle aggravanti contestate.
4.1 Il motivo è infondato.
E’ appena il caso di ribadire i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di chiamata in correità laddove si è chiarito che il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, tenuto conto, tuttavia, che tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (cfr., Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Rv. 255145 – 01).
Nel caso di specie, va detto, con l’atto d’appello (e, a ben guardare, anche con il ricorso per cassazione), la difesa ha dedotto la mancanza di prova quanto ad un effettivo contributo causale dello Schillaci nelle vicende oggetto del procedimento ma non aveva (e non ha) sviluppato alcuna censura sulla valutazione di attendibilità intrinseca ed estrinseca dei collaboratori di giustizia le cui dichiarazioni sono state valorizzate ai fini della condanna.
In altri termini, la doglienza ha investito la idoneità, sotto il profi contenutistico, delle propalazioni dei dichiaranti e non la loro attendibilità o veridicità, che non è stata minimamente considerata.
Per altro verso, poi, ed in qualche misura “interpretando” la censura difensiva alla luce dei principi dettati dalla giurisprudenza, il motivo attiene, più i particolare, alla adeguatezza del riscontro fornito dal dichiarante (ovvero il COGNOME) che, con le sue propalazioni, aveva direttamente coinvolto l’odierno ricorrente.
È pacifico, infatti, che, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato, il riscontro alla chiamata in correità può dirsi individualizzante quando non consiste semplicemente nell’oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma offre elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato (cfr., Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, P. Rv. 274151 – 01).
Le stesse SS.UU. “COGNOME” avevano chiarito che i riscontri dei quali necessita la chiamata in correità, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (cfr., Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744 – 01; conf., Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260607 – 01).
4.2 Nel caso di specie, i giudici di merito hanno affermato la responsabilità concorsuale dello COGNOME per l’estorsione consumata in danno dell’imprenditore COGNOME (capo 13) sulla base, in primo luogo, delle dichiarazioni del correo NOME COGNOME COGNOME il quale aveva riferito di aver chiesto all’odierno ricorrente – che lo aveva investito della reggenza della famiglia – il permesso di avanzare la richiesta di “messa a posto” all’imprenditore che, in quel periodo, stava conducendo un cantiere per lavori pubblici sulla strada tra Mussomeli e Caltanissetta; il dichiarante aveva precisato che lo COGNOME si era prima preso del tempo per informarsi e, alla fine, gli aveva dato il permesso autorizzandolo ad avanzare la richiesta.
Lo stesso COGNOME, come si legge nelle due sentenze di merito, aveva fatto presente che l’COGNOME aveva segnalato che si era già “messo a posto” con tale NOME COGNOME ma che, alla fine, aveva acconsentito pregando tuttavia il suo interlocutore che non gli venissero avanzate ulteriori pretese per la fornitura di materiali avendo egli già stretto accordi con tale COGNOME per il calcestruzzo e con tale COGNOME per il bitume.
Ed era stata proprio la presenza, sul cantiere, di COGNOME (a sua volta “protetto” da altra famiglia), che – secondo quanto riferito dal COGNOME – aveva indotto lo COGNOME (cui tale circostanza era stata ovviamente riportata) a mettere da parte la richiesta di subentrare nella fornitura di calcestruzzo con la propria ditta.
Alle dichiarazioni di COGNOME si erano affiancate quelle di NOME COGNOME e NOME COGNOME: il primo aveva confermato la ricostruzione del COGNOME quanto alla richiesta avanzata da costui ed ai contrasti insorti con NOME COGNOME; il secondo, dopo aver confermato la ricostruzione del COGNOME, aveva riferito che lo COGNOME gli aveva detto di riferire a COGNOME di farsi da parte “… in quanto stav lavorando fuori dalla sua zona di competenza” (cfr., pagg. 7-9 della sentenza di primo grado e pag. 6 della sentenza d’appello) ed avendo egli intenzione di prendere il suo posto nella fornitura di calcestruzzo; il COGNOME aveva aggiunto che, dopo avere appreso che altri (in particolare NOME COGNOME) aveva imposto all’COGNOME la ditta di COGNOME, si era arrabbiato al punto da aver affermato che COGNOME avrebbe dovuto sospendere i lavori e riprenderli soltanto dopo aver consegnato 10 milioni .
4.3 Il Tribunale aveva pertanto giudicato le dichiarazioni del COGNOME sul ruolo dello COGNOME nell’estorsione consumata adeguatamente riscontrate (in termini per l’appunto “individualizzanti”) sulla scorta di quelle del Riggio dalle quali era emerso un diretto e complessivo interessamento del ricorrente alle prospettive di guadagno legate ai lavori che stava portando avanti ed eseguendo la ditta dell’Abbate.
4.4 La Corte d’appello, a sua volta, ha osservato che la tentata estorsione per cui era intervenuta la declaratoria di prescrizione, era comunque emblematica e significativa del ruolo di spicco dello Schillaci “… nell’intera vicenda estorsiv composta dalla richiesta di “messa a posto” e dal tentativo di subentrare nella fornitura del calcestruzzo, tentativo quest’ultimo non positivamente esitato per le ragioni indicate.
4.5 Si tratta di una motivazione che è coerente ed in linea con le coordinate dettate dalla giurisprudenza e di cui si è dato conto in precedenza: vero che le
dichiarazioni del correo debbono essere riscontrate in termini “individualizzanti” e che, in merito all’estorsione consumata in danno dell’COGNOME il “mandato” dello COGNOME era stato riferito soltanto dal COGNOME; altrettanto vero che la riferibilità dell’iniziativa all’odierno ricorrente è stata adeguatamente riscontrat sia pure in via logica dall’appurata (e, invero, non contestata) riconducibilità allo COGNOME del tentativo di inserirsi, con la propria ditta, quale fornitore calcestruzzo sul cantiere dell’Abbate.
Si è ricordato, in premessa, che i riscontri possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che di natura logica ed è allora opportuno ribadire che sindacato di legittimità sulla valutazione delle chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perché un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sé stessi e nel loro reciproco collegamento (cfr., Sez. 1, n. 36087 del 13/11/2020, COGNOME, Rv. 280058 – 01; conf., Sez. 6, n. 33875 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 264577 – 01).
Nel caso di specie, pertanto, la valutazione operata dalla Corte d’appello circa la coerenza della narrazione del collaboratore con le propalazioni degli altri correi non è sindacabile in questa sede poiché, per l’appunto, fondata sul corretto collegamento tra le diverse dichiarazioni complessivamente convergenti nel delineare il ruolo dello COGNOME nella vicenda articolatasi – all’interno di medesimo capo di imputazione – in una estorsione consumata ed in una estorsione tentata in danno del medesimo imprenditore in correlazione agli stessi lavori da costui eseguiti nel territorio di “competenza” del ricorrente.
4.6 Considerazioni analoghe valgono anche per quanto concerne la vicenda delineata al capo 18) della rubrica, in relazione alla quale la responsabilità dello COGNOME è stata adeguatamente e congruamente motivata sulla scorta delle dichiarazioni di NOME COGNOME COGNOME il quale aveva riferito del ruolo rivestito da NOME COGNOME nell’estorsione in danno della concessionaria RAGIONE_SOCIALE previo “benestare” di NOME COGNOME il quale, peraltro, aveva invitato il COGNOME ad agire con prudenza perché nella concessionaria v’erano persone che lavoravano in Tribunale.
Le dichiarazioni del COGNOME e quelle dello stesso NOME COGNOME, come si legge nelle due sentenze di merito, erano state a loro volta adeguatamente riscontrate da quelle rese, sul punto, da NOME COGNOME COGNOME che aveva espressamente evocato il ruolo assunto, nella vicenda, da parte dello COGNOME il
quale aveva anzi avvisato che la ditta era già sotto estorsione da parte di altri esponenti della criminalità.
4.7 La Corte d’appello (cfr., pagg. 9-10 della sentenza) ha fornito, inoltre, una risposta assolutamente congrua alla censura sollevata dalla difesa circa l’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. contestata sotto il profilo de “metodo”.
Sul punto, peraltro, la motivazione resa dai giudici di merito è perfettamente coerente con la giurisprudenza di questa Corte, concorde nel ritenere che l’aggravante del “metodo mafioso” può essere integrata anche a fronte di un messaggio intimidatorio “silente”, in quanto privo di un’esplicita richiesta, nel caso in cui la consorteria abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti violenti o minacciosi ma meramente evocativi della forza intimidatrice derivante dalla appartenenza dell’agente al sodalizio cui sia esplicitamente o implicitamente riferita la provenienza della richiesta estorsiva (cfr., Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019, Rv. 277182 – 01; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018, COGNOME, Rv. 272884 – 01; cfr., anche, più recentemente, Sez. 2, n. 21616 del 18/04/2024, Armenio, Rv. 286433 – 01 e Sez. 2, n. 15429 del 08/03/2024, Zagaria, Rv. 286280 – 01, in cui la Corte ha spiegato che, in tema di estorsione, nel caso in cui il metodo mafioso si concretizzi in una minaccia “silente”, posta in essere da soggetto appartenente ad un’associazione di tipo mafioso ed evocativa della capacità criminale del sodalizio, l’aggravante di cui all’art. 628, comma terzo, n. 3, cod. pen, richiamata dall’art. 629, comma secondo, cod. pen., può concorrere con quella di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen., sotto il profilo dell’utilizzo del metodo mafioso, posto che la prima è volta a punire la maggiore pericolosità dimostrata, in concreto, dall’associato dedito anche alla consumazione di rapine ed estorsioni, mentre la seconda sanziona la maggiore capacità intimidatoria della condotta, realizzabile anche dal non è associato). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.8 Quanto al rilievo circa l’aggravante delle “più persone riunite”, va detto che con l’atto d’appello (cfr., ivi, pagg. 7-8) la difesa ne aveva contestato l’applicabilità allo COGNOME il quale, secondo la ricostruzione accusatoria, si sarebbe limitato “… a manifestare un preventivo assenso rimanendo invece del tutto assente alle fasi successive” (cfr., ivi).
Se è vero che, sul punto, la sentenza d’appello è silente, è anche vero che il rilievo difensivo era manifestamente infondato in quanto articolato su una errata impostazione in diritto: è pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa Corte, che l’aggravante delle più persone riunite, avendo riguardo alle modalità dell’azione,
ha natura oggettiva sicché si comunica ai correi non presenti nel luogo di consumazione del reato, se siano stati consapevoli che il reato stesso sarebbe stato consumato da più persone riunite, ovvero se abbiano ignorato per colpa tale circostanza (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 46221 del 08/11/2023, COGNOME, Rv. 285443 – 01, resa in una fattispecie relativa a imputato che aveva conferito incarico a più persone, affinché, in sua assenza, riscuotessero un credito usurario presso la persona offesa con violenza e minaccia; Sez. 2, n. 36926 del 04/07/2018, COGNOME, Rv. 273521 01; Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014, Posteraro, Rv. 259987 – 01 in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata laddove aveva applicato l’aggravante in questione ai concorrenti morali non presenti sul luogo e nel momento in cui era formulata la richiesta estorsiva).
Il secondo motivo è manifestamente infondato: come accennato, la Corte d’appello ha accolto la richiesta difensiva di riconoscere il vincolo della continuazione tra i fatti oggetto del gravame e quelli già giudicati in via definitiva, sui quali ha operato un aumento – obiettivamente minimo e per tale il quale non era evidentemente necessaria una specifica motivazione – nella misura di anni 2 di reclusione ed euro 400 di multa, già in tal modo ridotta per effetto del rito (e, perciò, di anni 3 di reclusione ed euro 600 di multa).
Le SS.UU. “COGNOME” aveva richiamato e condiviso l’affermazione di principio contenuta in Sez. 3, n. 24979 del 22/12/2017, dep. 2018, F., non massimata sul punto, in cui la Corte aveva spiegato che «se per i reati satellite è irrogata una pena notevolmente inferiore al minimo edittale della fattispecie legale di reato, l’obbligo di motivazione si riduce, mentre, qualora la pena coincida con il minimo edittale della fattispecie legale di reato o addirittura lo superi, l’obbli motivazionale si fa più stringente ed il giudice deve dare conto specificamente del criterio adottato, tanto più quando abbia determinato la pena base per il reato ritenuto più grave applicando il minimo edittale e/o quando abbia applicato una misura di pena in aumento sproporzionata, pur in presenza delle medesime fattispecie dì reato».
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va nel contempo rigettata la richiesta di liquidazione delle spese trasmessa con le conclusioni della costituita parte civile la cui difesa si è limitata a sollecitare il rigetto o la inammissibilità del ricorso senza, tuttavia, in alcun modo argomentare sulle questioni sollevate dal ricorrente (cfr., Sez. 7, n. 44280 del 13/09/2016, C., Rv. 268139-01; Sez. 7, n. 7425 del 28/01/2016, COGNOME, Rv. 265974-01; più recentemente, Sez. 7, n. 39902 del 05/07/2022, COGNOME,
non mass.; Sez. 7, n. 46288 del 05/11/2021, COGNOME, non mass.; in generale, Sez. 2, n. 12784 del 23/01/2020, COGNOME, Rv. 278834 – 01; Sez. 3, n. 27987 del 24/03/2021, G., Rv. 281713 – 01; Sez. 2, n. 24619 del 02/07/2020, Puma, Rv. 279551-01 secondo cui, nel giudizio di legittimità, quando il ricorso dell’imputato viene dichiarato, per qualsiasi causa, inammissibile, la parte civile ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali purché abbia effettivamente esplicato, anche solo attraverso memorie scritte, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria, fornendo un utile contributo alla decisione).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso in Roma, il 9.1.2025