Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26200 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26200 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CASTROREALE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito il difensore, AVV_NOTAIO. COGNOME NOME, che ha depositato conclusioni e nota spese per i suoi assistiti NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché conclusioni, nota spese e copia decreto ammissione al gratuito patrocinio per conto dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME per la parte civile NOME;
uditi i difensori, AVV_NOTAIO.ti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, che hanno chiesto l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di assise di appello di Messina ha confermato la condanna, resa dalla Corte di assise in sede, in data 3 settembre 2021, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena dell’ergastolo in relazione ai reati di omicidio pluriaggravato loro rispettivamente ascritti ai capi 4 e 6 della rubrica, commessi ai danni di NOME COGNOME e NOME COGNOME, compiuti attraverso l’esplosione di diversi colpi di arma da fuoco.
Il provvedimento esamina i due reati di omicidio, uno, quello relativo a COGNOME, ascritto a COGNOME, in concorso con altri tra cui NOME COGNOME, giudicati separatamente, e l’altro, quello che vede come vittima NOME COGNOME, ascritto a COGNOME, in concorso con altri, tra cui i collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Le indagini risultano avviate, dopo molti anni dall’esecuzione degli omicidi, a seguito delle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia NOME COGNOME (condannato, in separato procedimento, per sette omicidi, con la circostanza attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del 1991), dal fratello NOME (condannato per sei omicidi e un tentato omicidio, in separato procedimento, alla pena di anni venti di reclusione), NOME COGNOME (accusato nel procedimento cd. Gotha 6 di sei omicidi) e NOME COGNOME, i quali hanno consentito, secondo i convergenti provvedimenti di merito, l’accertamento di fatti omicidiari rimasti, per molto tempo, irrisolti.
2.Avverso detto provvedimento propongono tempestivi ricorsi, tramite i difensori, entrambi gli imputati.
2.1.Con il ricorso a firma dell’AVV_NOTAIO, NOME COGNOME denuncia, con un unico articolato motivo, vizio di motivazione quanto all’idoneità delle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME ad essere utilizzate come riscontro a quelle di NOME COGNOME.
Si assume che la motivazione resa dalla Corte di assise di appello circa il valore probatorio delle dichiarazioni del collaboratore COGNOME sarebbe illogica. COGNOME riferisce che, nel giorno in cui è stato commesso l’omicidio, si era recato presso il laboratorio di COGNOME ove erano presenti, oltre allo stesso COGNOME anche NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e quest’ultimo avrebbe riferito che, alla vista del COGNOME, COGNOME gli avrebbe detto di andarsene per, poi, il giorno seguente, incontrare NOME COGNOME, il quale gli avrebbe confidato che la sera precedente avevano provveduto a togliere di mezzo COGNOME.
Ancora il collaboratore avrebbe dichiarato che nel 2009, quindi oltre dieci &t% anni dopo l’omicidio di COGNOME, mentre si trovava con COGNOME e COGNOME alla
ricerca di un luogo dove seppellire NOME COGNOME dopo che l’avevano interrogato ed ucciso, COGNOME avrebbe indicato quel posto come luogo in cui era stato abbandonato COGNOME, cioè a circa 250 metri dall’autostrada vicino ad un vecchio rudere.
Rileva la difesa che NOME avrebbe riferito di un luogo diverso, rispetto a quello indicato da NOME COGNOME, secondo il quale, invece, COGNOME era stato abbandonato sotto il ponte dell’autostrada, accanto alla rete di recinzione e non a 250 metri da questa, vicino a un vecchio rudere.
NOME ha riferito, infine, che la causale del delitto era da rintracciarsi nei furti che venivano praticati da COGNOME e che davano “fastidio” all’RAGIONE_SOCIALE nonché nel fatto che la vittima aveva collegato una bomba artigianale alla chiesa, fatto significativo, però mai riferito da NOME COGNOME e neanche dal collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
Si tratta di dichiarazioni che, quindi, per le discrasie riscontrate )non possono costituire riscontro reciproco rispetto al dichiarato di COGNOME oltre a non risultare intrinsecamente attendibili.
NOME COGNOME ha riferito che il giorno dopo il loro incontro, NOME COGNOME gli aveva detto che si erano tolti di mezzo a COGNOME, ma si rimarca che NOME non ha mai affermato che COGNOME gli aveva riferito che anche lui stesso (cioè il medesimo COGNOME) aveva partecipato all’azione delittuosa in quanto COGNOME non aveva mai specificato se era a conoscenza di quanto accaduto per averlo appreso personalmente per avervi partecipato o diversamente.
Tale circostanza, contestata con i motivi di appello, significa soltanto che COGNOME era a conoscenza di quanto accaduto ma non che questi aveva partecipato; ciò si spiega in quanto COGNOME era membro dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, nonché braccio destro dell’esecutore materiale, NOME COGNOME. COGNOME avrebbe soltanto dedotto la partecipazione al delitto del COGNOME come lo stesso COGNOME aveva confermato nel corso della sua escussione dibattimentale.
Secondo la difesa, la Corte di assise di appello ha risposto a tale censura con una motivazione che, però, non è esaustiva perché riporta soltanto un passo della deposizione testimoniale in questione, senza tenere conto che, come lo stesso COGNOME avrebbe spiegato nel corso della deposizione, si era trattato di una sua mera deduzione.
Anzi, la conclusione della partecipazione di COGNOME era stata tratta soltanto dal fatto che questi aveva usato il plurale nel raccontare l’accaduto, senza però precisare quali fossero state le persone che avevano partecipato a togliere di mezzo banana come era detto COGNOME.
Quindi secondo la difesa:
–NOME rende deposizione che diverge rispetto ai dettagli forniti da COGNOME quanto al luogo in cui era stato abbandonato il corpo della vittima e circa la causale;
pur trattandosi di dichiarazioni auto accusatorie e, quindi, confessorie dell’imputato, rese a un collaboratore di giustizia queste hanno bisogno di riscontri ai sensi dell’art 192, comma 3, cod. proc. pen., in quanto assumono valore probatorio secondo le regole del mezzo di prova che immette la confessione stragiudiziale dell’imputato nel processo;
-si tratta di dichiarazioni che, comunque, pcingono in dubbio l’attendibilità del dichiarante.
A parere del ricorrente, poi, la sentenza di appello non ha motivato circa quanto evidenziato con l’atto di impugnazione e cioè che presso il negozio di mobili di COGNOME, NOME COGNOME aveva visto non soltanto NOME COGNOME e NOME COGNOME ma anche lo stesso COGNOME e NOME COGNOME e che, quindi, volendo dare per scontato che, nel corso di quell’incontro, si stava preparando l’omicidio di COGNOME avvenuto quello stesso giorno, NOME COGNOME era colui che aveva una bottega di mobili antichi e COGNOME poteva essere stato attirato nel tranello, fingendo di andare a commettere un furto di mobili antichi; sicché è verosimile che, per commettere il furto, era credibile la presenza di COGNOME, in quanto esperto in materia e tale da poter stimare idoneità e nneritevolezza dei mobili da trafugare, mentre inusuale sarebbe stata la presenza del COGNOME che, all’epoca era macellaio.
Dunque, per la difesa, la mera presenza delle persone indicate da COGNOME, presso il mobilificio di COGNOME, non è indizio grave come, invece, ritenuto dai giudici di merito, trattandosi di luogo di abituale frequentazione, tenuto conto, peraltro, che a NOME COGNOME, nonostante la sua presenza, non è contestato, alcunché, malgrado, peraltro, le accuse di NOME COGNOME.
La difesa, inoltre, rimarca che il corpo di COGNOME non è mai stato trovato e che, nonostante le ragioni indicate dai giudici di merito, resta, comunque, il dato importante del mancato ritrovamento della vittima e, quindi, l’impossibilità di verificare la corrispondenza del racconto di NOME COGNOME rispetto all’azione mortale.
Quanto ad NOME COGNOME e al verbale di sommarie informazioni testimoniali del 16 febbraio 1998, questi aveva spiegato la ragione di un eventuale allontanamento volontario della vittima da Barcellona Pozzo di Gotto.
Ad analoghe circostanze fanno riferimento le dichiarazioni, rese il 30 gennaio 1998, da NOME COGNOME, il quale aveva escluso che l’allontanamento del COGNOME si potesse collegare a un caso di lupara bianca.
Si tratta di dichiarazioni che escludono la natura RAGIONE_SOCIALE dell’omicidio e, anzi, la sua effettiva realizzazione.
Si ritiene che, invece, le motivazioni svolte dai giudici di merito circa l’inverosimiglianza della tesi dell’allontanamento volontario sarebbero illogiche perché fondate su mere deduzioni.
La luce accesa e il rinvenimento del balcone aperto con abiti appoggiati su una sedia sono dati strani, ritenuti dalla Corte territoriale non univoci circa la natura volontaria dell’allontanamento.
Per la difesa, non si comprende perché sarebbe strano aver lasciato il balcone aperto e la luce accesa avendo deciso di allontanarsi volontariamente da Barcellona o avendo deciso di allontanarsi da casa per qualsiasi altro motivo.
Anche le incombenze che sono indicate, cioè il mancato taglio dei capelli e il mancato passaggio dal bar, dove la presunta vittima aveva ordinato una ciambella, non sono circostanze tali da escludere l’allontanamento volontario dal proprio paese di origine.
La sentenza di merito non tiene conto della personalità dello scomparso, descritto dai suoi amici come soggetto dalla personalità non lineare, dallo stile di vita non regolare, alla continua ricerca di denaro e dedito al reato.
Da ultimo, si censura la motivazione della sentenza in ordine al fatto che NOME sarebbe attendibile a prescindere dal fatto che la sua collaborazione inizia soltanto nel 2018, alla fine del dibattimento di primo grado del procedimento denominato Gotha 6.
Sebbene nessun collaboratore abbia mai riferito nel corso di quel processo, circa l’omicidio COGNOME, le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME, inoltre, in ordine a tutti fatti onnicidiari sui quali ha riferito agli inqui riguardavano circostanze già note, per la diffusione della notizia da parte degli organi di stampa. Non è escluso peraltro che NOME avesse conoscenza del contenuto dei verbali di collaborazione resi da COGNOME.
Si esclude, poi, rilievo alle motivazioni dirette a fondare la credibilità attendibilità di NOME COGNOME posto che le sue dichiarazioni trovano come fonte quelle del fratello NOME, di qui la natura circolare della prova che la rende inutilizzabile ai fini che interessano.
2.2.Con l’atto di ricorso a firma del difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME denuncia, attraverso un unico motivo, erronea applicazione di legge penale e vizio di motivazione, in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 575, 577 n. 3, cod. pen.
Secondo la difesa, come rappresentato con l’atto di appello, le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME non solo non si riscontrano reciprocamente, ma sono ricche di contraddizioni che, diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, riguardano il nucleo centrale del narrato.
Anzi, la Corte di assise di appello, per giustificare le numerose contraddizioni dei due dichiaranti, indulge in una motivazione creativa e che non fonda sulle emergenze processuali.
Si rileva, poi, che prima di passare all’esame dei riscontri esterni, la Corte di assise di appello avrebbe dovuto esaminare la credibilità soggettiva dei chiamanti, la loro attendibilità oggettiva, pur senza muoversi in un percorso valutativo con passaggi separati.
La difesa evidenzia che si era rappresentato con l’atto di appello che:
–COGNOME era stato in cura presso il centro di salute mentale di Barcellona Pozzo di Gotto, con condizioni mentali peggiorate durante la detenzione, come da documentazione che si era chiesta di acquisire ex art. 603 cod. proc. pen.;
–COGNOME è stato già condannato per il reato di calunnia;
non sono stati scrutinati i requisiti della costanza e della precisione della chiamata tenuto conto, peraltro, della progressione accusatoria in sé indice di inattendibilità, nonché della pluralità di versioni fornite, con particolar riferimento al mandante dell’omicidio e alla partecipazione di NOME COGNOME (prima dichiarata e, poi, smentita, in concomitanza con l’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare a carico di COGNOME e la discovery relativa alle dichiarazioni di COGNOME che negava il suo coinvolgimento al fatto);
non vi è convergenza sul movente nemmeno rispetto a quanto affermato da NOME COGNOME e sul luogo di rinvenimento del cadavere;
NOME non ha mai affermato che COGNOME gli aveva confessato chi fossero gli esecutori materiali dell’omicidio.
Infine, si rimarca che, nel luogo indicato da COGNOME, non erano mai stati trovati resti umani, dato sul quale la Corte territoriale fornisce giustificazione fantasiosa.
2.3. Con il ricorso proposto nell’interesse di NOME, dall’AVV_NOTAIO, si devolvono tre motivi, di seguito riassunti nei limiti di cui all’art. 1 disp. att. cod. proc. pen.
2.3.1. Con il primo motivo si denuncia vizio di motivazione e travisamento della prova.
Le dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME, come già dedotto con i motivi di appello, avevano per la parte iniziale resa durante la fase delle indagini preliminari natura di dichiarazioni de relato.
Infatti, proprio per tale natura la richiesta di misura cautelare nei confronti dell’imputato veniva rigettata.
Sicché, nella parte in cui poi COGNOME ricorda di aver incontrato personalmente COGNOME, a proposito dell’omicidio COGNOME, e di averlo riferito nei 180 giorni si tratta di dichiarazione che mina indiscutibilmente l’attendibilità del collaboratore perché mai questi aveva reso queste dichiarazioni.
Anzi COGNOME, sentito reiteratamente sino al 2018, aveva sempre affermato di aver interloquito solo con COGNOME e mai con COGNOME (ciò nei verbali di interrogatorio del giorno 11 luglio del 18 settembre e del 15 dicembre del 2014). Questi, a maggior ragione, aveva descritto, con estrema precisione, i particolari dell’omicidio e i momenti relativi al conferimento dell’incarico escludendo ogni contatto con COGNOME.
In queste dichiarazioni, peraltro, COGNOME aveva accusato del mandato omicidiario NOME COGNOME, risultato però deceduto prima dell’omicidio. Quindi si contesta la credibilità della chiamata segnalando la progressione della portata accusatoria delle dichiarazioni, l’incostanza di queste dichiarazioni e gli effetti d queste caratteristiche della chiamata sulla credibilità quanto al coinvolgimento di COGNOME.
La sentenza, poi, traviserebbe la prova nella parte in cui afferma che la circostanza del coinvolgimento di NOME è emersa a seguito del controesame da parte della difesa nel Febbraio del 2020.
Invece, secondo il ricorrente, ciò avvenne nel 2018, nel corso del processo a carico di altri coimputati, tanto che la nuova accusa nei confronti del ricorrente traeva spunto dall’acquisizione dei verbali dibattimentali del procedimento a carico di terzi, in cui il dichiarante non doveva difendersi dall’omicidi COGNOME. Peraltro, il narrato del collaboratore assolutamente generico e impreciso, non riesce a collocare né sotto il profilo temporale né quello spaziale l’incontro con NOME.
Si ritiene, poi, per quanto riguarda NOME COGNOME che è unica la fonte originaria di conoscenza così integrandosi la circolarità della chiamata in correità.
Secondo lo stesso NOME COGNOME, infatti, la fonte di conoscenza è COGNOME presente all’incontro tra quest’ultimo e suo fratello. Peraltro, NOME COGNOME non riferirà mai di un incontro tra suo fratello e NOME, avvenuto in epoca precedente all’omicidio. Anche NOME COGNOME, poi, indica tra i mandanti NOME COGNOME risultato all’epoca già deceduto.
Da ultimo, con riferimento alle dichiarazioni di NOME COGNOME, si sostiene che il racconto di questi non è sovrapponibile rispetto alla causale e rispetto alla fase esecutiva quanto a quello che ha riferito COGNOME.
L’origine del mandato omicidiario secondo COGNOME riguarda contrasti personali di COGNOME.
COGNOME riferisce anche in ordine alla presenza di altro soggetto a bordo dell’auto del COGNOME, oltre alla presenza di numerosi mezzi sulla scena del crimine.
La Corte territoriale supera questo contrasto operando un riferimento a quanto già affermato nella sentenza Gotha 6, ma non si confronta con quanto COGNOME oltre che dal COGNOME ha appreso in termini conformi dallo stesso
COGNOME (il quale già nel 2001 aveva assunto un ruolo di primaria rilevanza nel contesto associativo).
COGNOME ha riferito che nel periodo non frequentava COGNOME proprio per l’applicazione nei suoi confronti di una misura di prevenzione, e quindi per la necessità di non violare le prescrizioni.
Tale circostanza era stata già segnalata con i motivi di appello; in ogni caso il collaboratore nel corso degli interrogatori e del suo esame, pur rammentando che non frequentava la vittima prima dell’omicidio, non ha mai ricordato tale circostanza né eventuali violazioni delle prescrizioni a proposito degli incontri con COGNOME, descrivendosi come un soggetto libero di muoversi nel territorio diverso da quello del Comune di residenza senza particolari accorgimenti e attenzione.
Né COGNOME né COGNOME, seppure nella fase della progressione accusatoria, sono stati in grado di indicare ove si sarebbe svolto il colloquio con COGNOME, né con precisione il contenuto di tale colloquio avuto riguardo alla circostanza che COGNOME avrebbe solo preso atto della decisione del COGNOME.
Si sottolinea poi che la prova è stata travisata in ordine al contenuto del colloquio tra COGNOME e COGNOME e tra COGNOME e COGNOME. In relazione al primo colloquio la Corte di assise di appello dà conto del fatto che COGNOME non avrebbe fatto il nome di COGNOME, in relazione al secondo si rileva che i giudici territoriali no tengono conto che mai il ricorrente si sarebbe assunto la responsabilità del mandato.
Si nega, poi, che dalla sentenza di condanna divenuta irrevocabile a carico dei coimputati si possono trarre elementi di accusa nei confronti del ricorrente anche in considerazione del diniego della richiesta di adozione di misura cautelare pronunciata dal giudice per le indagini preliminari punto.
2.3.2. Con il secondo motivo si denuncia omessa motivazione in ordine alle dichiarazioni di NOME COGNOME collaboratore di giustizia.
La Corte non ha tenuto in considerazione le dichiarazioni acquisite in sede di giudizio di appello.
Questi, in epoca non sospetta e prima della collaborazione di COGNOME, aveva rilevato che lo stesso COGNOME aveva riferito il nominativo dei mandanti e aveva escluso tra questi quello di COGNOME.
Non si comprende la ragione per la quale la Corte di assise di appello ha omesso ogni motivazione sul punto nonostante il tema probatorio centrale riguardante l’attendibilità di COGNOME.
2.3.3. Con il terzo motivo si denuncia omessa motivazione in relazione alla mancata effettuazione dell’esame di Rao con il ricorso a strumenti e metodologie riconosciute dalle neuroscienze.
Secondo i giudici territoriali gli strumenti Tara e tia sarebbero ignoti e quindi la richiesta difensiva sarebbe stata generica.
Secondo il ricorrente, l’affermazione contenuta nella sentenza però appare elusiva delle ragioni della difesa o, comunque, frutto di una mancanza di conoscenza su un punto oggetto di questione proposta nel corso dell’istruttoria dibattimentale, all’udienza del 13 maggio 2020, con apposita memoria.
La decisività della prova avrebbe imposto l’assunzione dell’esame dell’imputato a rendere ampie e complete dichiarazioni utilizzando questi metodi (TARA e TIA).
I difensori degli imputati hanno fatto pervenire tempestive richieste di trattazione orale, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, come convertito, richiamato da ultimo dall’art. 94, comma 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, nel testo introdotto dall’art. 17, d. I. 22 giugno 2023, n. 75, conv. con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112.
La difesa della parte civile, NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso e la condanna alle spese, allegando documentazione attestante l’ammissione della parte civile al patrocinio a spese dello Stato.
Il difensore di NOME COGNOME, AVV_NOTAIO, ha fatto pervenire a mezzo p.e.c., in data 10 gennaio 2024, memoria difensiva con allegata documentazione, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso, ulteriormente argomentando.
In particolare, si rimarca che:
-i fratelli COGNOME e COGNOME avevano indicato causali del tutto alternative, fatto che i giudici di merito ascrivono alla riservatezza dei capi con indicazioni dirette a sviare l’indicazione del vero movente, ragionamento che mina l’attendibilità dei racconti, soprattutto quelli de relato;
-nel corso del giudizio di appello la difesa aveva chiesto la diminuente per il giudizio abbreviato, condizionato all’audizione di collaboratori diversi da quelli escussi nelle indagini preliminari (in particolare di COGNOME, COGNOME, COGNOME, soggetti entrati in contatto con i vertici della RAGIONE_SOCIALE e che escludevano il ruolo apicale di COGNOME) richiesto all’udienza preliminare, istanza riproposta in dibattimento, deducendo l’inadeguatezza della motivazione svolta dalla Corte territoriale sul punto;
-era stato chiesto l’esame dell’imputato con utilizzo di tecniche scientifiche e medico-legali idonee a stabilirne l’attendibilità, istanza di rinnovazione istruttori supportata dal consenso di COGNOME, espresso al dibattimento, quale prova atipica ex art. 189 cod. proc. pen. e che poteva essere ammessa a prescindere dalla previsione codicistica di detto specifico mezzo di prova con le modalità di assunzione richieste.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono infondati.
1.1. Va, preliminarmente, rimarcato, in relazione a tutti i ricorsi all’esame del Collegio, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte che si richiama in quanto condivisibile (tra le altre, Sez. 1, n. 34712 del 02/02/2016, COGNOME, Rv. 267528; Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744), in tema di chiamata in correità, gli altri elementi di prova da valutare, ai sensi dell’art. 192 comma 3, cod. proc. pen., unitamente alle dichiarazioni del chiamante, non devono avere necessariamente i requisiti richiesti per gli indizi a norma dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., essendo sufficiente che essi siano precisi, nella loro oggettiva consistenza, nonché idonei a confermare, in un apprezzamento unitario, la prova dichiarativa dotata di propria autonomia rispetto a quella indiziaria.
Detti riscontri possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo, cioè, riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (conf. n. 45733 del 2018, Rv. 274151; Sez. U, n. 20804 del 2013, Rv. 255143).
Nell’interpretare la locuzione “altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità” contenuta nell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., va precisato, poi, che la conferma imposta dalla norma non è direzionata alla persona del dichiarante (soggetto la cui attendibilità è da valutarsi previamente, in rapporto all’esistenza di indicatori tali da asseverare la sua partecipazione al fatto narrato comunque da rappresentare le modalità della sua conoscenza) ma alle specifiche dichiarazioni.
Va, anche, precisato che l’espressione “elementi di prova” per descrivere gli elementi convalida, non può fare riferimento a meri sospetti, ma detti elementi devono possedere un’autonoma consistenza e una, sia pur limitata, capacità rappresentativa. Vi deve essere, peraltro, una correlazione di pertinenza tra i riscontri e l’imputazione contestata.
Il riscontro non può limitarsi, dunque, ad accrescere l’attendibilità intrinseca del dichiarante, ma deve proiettarsi verso i fatti delittuosi attribuiti.
Ovviamente, tale idoneità probatoria non può essere intesa in termini di autosufficienza dovendo, comunque, il riscontro fungere da completamento della narrazione oggetto di verifica.
Si tratta, quindi, di elementi in posizione subordinata e accessoria rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità, avendo essi idoneità probatoria rispetto al thema decidendum non da soli ma in riferimento alla chiamata. Altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità dell’imputato non varrebbe la regola di giudizio di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., ma quella generale di pluralità di prove e di libera valutazione di queste.
1.2. In ogni caso, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilit oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (tra le altre, Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. cit.; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134; Sez. 6, n. 40899 del 14/06/2018, C., Rv. 274149).
1.3. Inoltre, va sottolineato che è stato affermato da questa Corte di legittimità, con orientamento costante, il principio secondo il quale le confidenze autoaccusatorie dell’imputato ad un collaboratore di giustizia, che ne abbia, successivamente, riferito nelle proprie dichiarazioni, hanno natura confessoria.
Di tal ché, una volta positivamente vagliata l’attendibilità del collaboratore ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., dispiegano piena efficacia probatoria alla sola condizione che se ne apprezzi la sincerità e la spontaneità, in modo da potersene escludere la riconducibilità a costrizioni esterne o a possibili intenti auto calunniatori (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, Grande Aracri, Rv. 281603; Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503).
2.1 ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME sono infondati.
2.1. Il motivo unico del ricorso a firma del difensore, AVV_NOTAIO, è infondato.
La ricostruzione dell’episodio delittuoso, contestato come commesso in data 12 dicembre 1997, viene descritto, puntualmente, a p. 13 e ss., nella sentenza di primo grado.
La vittima spariva nel nulla, nel dicembre 1997, quando il Commissariato di pubblica sicurezza di Barcellona Pozzo di Gotto dava atto dell’irreperibilità di COGNOME che, dal 13 dicembre 1997, non aveva ottemperato all’obbligo di presentarsi quotidianamente alla polizia giudiziaria imposto a suo carico dal Tribunale di sorveglianza di Messina.
Gli elementi di fatto raccolti immediatamente, di cui rende conto la prima sentenza, facevano propendere per un allontanamento non volontario.
Dalle prime dichiarazioni, rese da soggetti vicini alla vittima, era emerso che COGNOME era soggetto alla continua ricerca di denaro, dedito alla commissione di furti. Tuttavia, non vi erano sviluppi ulteriori all’attività investigativa, per anni, fino alla udienza dibattimentale di altro procedimento, del 12 febbraio 2020, nel corso della quale veniva escusso il collaboratore NOME COGNOME, partecipe, in posizione apicale, nel sodalizio RAGIONE_SOCIALE, in particolare della cellula dell’RAGIONE_SOCIALE che ne rappresentava la mano armata.
Questi, si auto accusava dell’omicidio di COGNOME ucciso, a suo dire, per volere dell’RAGIONE_SOCIALE, con incarico ricevuto da COGNOME, all’epoca elemento di vertice del sodalizio.
Il dichiarante, secondo la prima sentenza, collocava l’omicidio negli anni 1997-1998 e menzionava tra i concorrenti dell’omicidio, oltre a lui, i sodali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, mentre si diceva incerto circa la presenza di NOME COGNOME, comunque illustrando i dettagli, anche per la fase esecutiva e il luogo dell’esecuzione.
Altra fonte dichiarativa è indicata, dalla prima sentenza, nel contributo del collaboratore NOME COGNOME, partecipe del sodalizio dei RAGIONE_SOCIALE a far data dall’anno 1996 e fino al 2013, divenuto collaboratore di giustizia nella fase dibattimentale del procedimento Gotha 6.
Questi individuava in COGNOME, noto col soprannome di NOME, la vittima di un caso di lupara bianca. Riferiva che l’omicidio era avvenuto nell’anno 1997, che la persona offesa era stata uccisa in quanto commetteva furti e dava fastidio all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, questi aveva messo una bomba artigianale in una chiesa, comportamenti che attiravano l’attenzione delle Forze dell’ordine e che, quindi, erano invisi al sodalizio che controllava il territorio.
Lo stesso COGNOME aveva indicato di aver appreso dell’esecuzione dell’omicidio da COGNOME il quale gli aveva detto, il giorno dopo di un incontro, avvenuto presso la bottega di COGNOME, dal quale lo stesso COGNOME, presente, era stato allontanato, che avevano tolto di mezzo “a NOME banana”.
Inoltre, la prima sentenza rende conto di un ulteriore contributo dichiarativo reso dal collaboratore NOME COGNOME, in data 25 marzo 2015, nel corso dell’interrogatorio acquisito in diverso procedimento, laddove questi aveva rammentato che l’omicidio di COGNOME era avvenuto per mano del fratello NOME e di NOME COGNOME e che il movente doveva rinvenirsi nel fatto che COGNOME girava per le botteghe, insieme a un ragazzo di Brescia, chiedendo danaro a titolo di estorsione, come riferitogli dal fratello NOME.
Le sentenze di merito danno atto che le risultanze di prova generica erano del tutto in linea con le dichiarazioni rese dai collaboratori.
Ciò posto, nessuna incompletezza cognitiva e nessun vizio di metodo, rispetto ai principi generali che sono stati indicati nel § 1. può rinvenirsi nell decisione emessa dalla Corte di assise di appello.
La robusta convergenza sul nucleo essenziale dei profili narrativi introdotti dai collaboratori di giustizia, COGNOME e COGNOME, non è intaccata dalle critiche difensive devolute con il gravame, come rilevato nella decisione di secondo grado.
In particolare, la Corte di merito ha coerentemente esposto la convergenza delle plurime evidenze dimostrative e si è soffermata sulla questione (cfr. p. 23 e ss. della sentenza di secondo grado) della genuinità del narrato di NOME COGNOME e di NOME, anche valutando, specificamente, le rilevate discrasie.
COGNOME, secondo la Corte territoriale, ha riferito rispetto al delitto che gli appartenenti al gruppo si riunivano spesso nel laboratorio di COGNOME, giustificando detta scelta in quanto, nelle vicinanze, erano custodite le armi con le quali effettuavano gli attentati. Ha spiegato, inoltre, la pronuncia che il collaboratore aveva illustrato i rapporti tra COGNOME e NOME COGNOME il quale, proprio per questo, era stato incaricato di attirare la vittima nel luogo in cui sarebbe stata uccisa, descrivendo l’azione di fuoco come compiuta da NOME COGNOME che aveva condotto alla morte di COGNOME esplodendo due colpi o tre colpi calibro 7 e 65.
Inoltre, si è giustificata, con ragionamento immune da illogicità manifesta, la successiva precisazione, da parte di COGNOME, il quale originariamente aveva indicato come partecipe al grave fatto di sangue NOME, precisando, nell’udienza del 12 febbraio 2020, che di tale partecipazione non era sicuro.
Si riporta specificamente, con compiuto ed esauriente ragionamento, il motivo per il quale si ritiene genuino il narrato di entrambi i collaboratori, dando conto della circostanza che COGNOME non aveva ragione di attribuirsi anche questo omicidio, per aver riportato condanna per numerosi altri gravi fatti di sangue, né avrebbe avuto motivo di accusare NOME COGNOME; questi, peraltro, è indicato come soggetto che aveva confessato altri gravi fatti del tipo di quello sub iudice e che, dunque, non aveva alcuna particolare esigenza di negare la sua partecipazione al delitto.
Entrambe le dichiarazioni, in definitiva, secondo il ragionamento ineccepibile dei giudici di merito, convergono sul nucleo essenziale del racconto in particolare circa il movente, risultando l’omicidio riferibile alla RAGIONE_SOCIALE, nonché sui tempi e sul luogo dell’attentato.
In relazione a tale ultima circostanza, i giudici di secondo grado premettono che NOME COGNOME era a conoscenza del luogo in cui era stato abbandonato il cadavere, perché nel 2009, mentre perlustrava la zona assieme a COGNOME per individuare il posto in cui avrebbero dovuto nascondere il cadavere di altra
vittima che avevano deciso di eliminare, avrebbe ricevuto dal medesimo COGNOME l’indicazione del luogo in cui era stato nascosto il corpo di NOME. Il luogo è indicato dal collaboratore di giustizia in modo preciso e fa riferimento a una zona vicino a un canale, in località Pozzo Perla, con l’unica differenza che COGNOME ha dichiarato che il cadavere era stato gettato oltre la rete di recinzione dell’autostrada, mentre COGNOME ha esposto che COGNOME sempre nello stesso posto era stato ucciso a circa 250 metri dal ponte dell’autostrada.
Comunque, la Corte territoriale svolge plurimi e logici argomenti per escludere il contrasto tra le dichiarazioni reputate, invece, convergenti rispetto al nucleo essenziale del narrato (p. 24).
La censura difensiva secondo la quale NOME COGNOME si sarebbe limitato a dichiarare che COGNOME gli aveva solamente confidato che avevano tolto di mezzo NOME, senza affermare di averlo fatto personalmente, è reiterativa dell’appello e a questa censura la Corte territoriale ha risposto (cfr. p. 25) con ragionamento immune da illogicità manifesta.
Si è dato, infatti, rilievo allo stretto rapporto esistente tra COGNOME che NOME COGNOME e dunque all’esigenza da parte del medesimo COGNOME di giustificare la ragione per la quale NOME, la sera prima era stato allontanato dall’incontro presso COGNOME, nel corso del quale le persone presenti stavano programmando l’assassinio della vittima designata.
Gli uomini presenti, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME erano, come noto al membro della medesima RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, gli uomini facenti parte del gruppo di fuoco della mafia RAGIONE_SOCIALE e COGNOME era tra questi il killer più spietato, particolarmente abile anche con l’uso delle armi.
Del resto, sul punto COGNOME era stato, secondo la ricostruzione del giudice di secondo grado, molto esplicito nel senso di aver inserito lo stesso COGNOME, secondo le dichiarazioni rese nel corso del controesame (riportate per stralcio nella motivazione della sentenza) tra coloro che avevano tolto di mezzo NOME, perché dallo stesso così riferitogli.
Peraltro, si osserva che i riscontri nell’accezione già illustrata al § 1. sussistono e sono rappresentati dalle dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e NOME COGNOME, le quali, secondo la ricostruzione recepita nei provvedimenti di merito, convergono reciprocamente, sul luogo ove era stato nascosto il cadavere (anche se con le differenze giustificate dagli stessi giudici di merito sul preciso punto, con ragionamento immune da illogicità manifesta), sulle modalità dell’omicidio, oltre che sul movente, posto che, per entrambi, l’omicidio era stato deliberato dalla RAGIONE_SOCIALE perché NOME con i suoi comportamenti, dava fastidio al clan.
Si sovrappongono, inoltre, le due dichiarazioni eteroaccusatorie indicate, sia sul movente dell’omicidio, sia sull’individuazione dei partecipi e dei loro ruoli,
rappresentando, dunque, idoneo e sufficiente, riscontro reciproco. Sicché appare non decisiva la prospettata critica di circolarità della chiamata, proveniente da NOME COGNOME in quanto dichiarante che, a sua volta, per la difesa, avrebbe appreso i fatti soltanto perché narratigli dalla medesima fonte (suo fratello NOME) che doveva riscontrare.
Invero, si osserva che, in base ai criteri giurisprudenziali codificati nei commi 3 e 4 dell’art. 192 cod. proc. pen., le dichiarazioni accusatorie provenienti da taluno dei soggetti ivi indicati devono essere sottoposte, con riguardo ad ogni singola chiamata in reità o correità e a ogni singolo episodio, a un duplice controllo volto ad accertare, tanto l’attendibilità intrinseca del dichiarante, quanto l’affidabilità ab extrinseco delle accuse formulate, mediante l’individuazione e la valutazione di elementi processuali esterni di verifica, tra i quali possono annoverarsi anche le dichiarazioni accusatorie che provengano da altri soggetti, sempre che sia possibile escludere ipotesi di collusione o di reciproco condizionamento psicologico (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. cit.; Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01).
Da ultimo, appare del tutto generico il motivo di ricorso nella parte in cui valorizza le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME come elementi favorevoli, posto che costoro, secondo la convergente ricostruzione dei giudici di merito, hanno riportato mere opinioni personali. Dunque, la censura è manifestamente infondata, nella parte in cui denuncia la censura circa la pretesa illogicità della sentenza per non aver considerato dette dichiarazioni.
Non va, poi, trascurato il dato, rilevato dall’Avvocato generale nella requisitoria svolta oralmente, dell’intervenuta definitività della sentenza di condanna di NOME COGNOME per tredici episodi omicidiari, in base, tra l’altro, alle dichiarazioni eteroaccusatorie del collaboratore COGNOME (cfr. Sez. 1, n. 39090 del 15/03/2022: non vi è alcuna allegazione probatoria idonea ad attestare – come evidenziato dalla Corte di Assise di Appello (v. pag. 306 e ss. della sentenza impugnata) condizioni di instabilità psichica del dichiarante NOME COGNOME (nella prospettiva di incapacità a ricordare e/o rievocare i fatti) e, del resto, l’intero sviluppo della istruttoria dibattimentale, ferma restando l’efferatezza dei fatti omicidiari, non ha evidenziato simili deficit cognitivi espressivi …), valutato attendibile e credibile nell’ambito di quel procedimento.
In ogni caso, nell’ambito del presente procedimento, come necessario, la Corte di assise di appello non ha trascurato di operare una complessiva, coerente e logica valutazione dell’attendibilità e credibilità del chiamante (cfr. p. 17 e ss.)
Infine, si osserva (cfr. p. 15 e ss. della sentenza di secondo grado), che è immune da illogicità manifesta il ragionamento della Corte territoriale che inquadra l’omicidio in un caso di lupara bianca e che, su tale punto, gli argomenti
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devoluti con il ricorso sono versati in fatto e, in sostanza, richiedono una rivalutazione dei dati probatori, inibita a questa Corte di legittimità.
2.2.11 secondo ricorso proposto nell’interesse di COGNOME, a firma dell’AVV_NOTAIO, è infondato.
Si richiamano, preliminarmente, tutti gli argomenti svolti al § 2.1.
Inoltre, si osserva che censure prospettate sono, in massima parte, reiterative dei motivi di appello, su punti ai quali la Corte territoriale ha rispos con argomenti completi e immuni da illogicità manifesta.
L’attendibilità e credibilità dei chiamanti è oggetto di approfondito esame da parte dei giudici di merito (cfr. p. 8 e ss. della sentenza di secondo grado), svolto in ossequio ai principi fissati da questa Corte di legittimità, riportati al §
Circa la condanna per calunnia di COGNOME, si osserva che questa riguarda una condotta che si colloca in periodo precedente alla sua collaborazione con la giustizia (cfr. p. 42 della sentenza di appello) e, dunque, non incide sulla sua affidabilità e credibilità ritenuta nel presente procedimento, peraltro scrutinata in concreto da parte dei giudici di merito, anche specificamente alle dichiarazioni utilizzate nel presente giudizio.
Circa il movente indicato con argomenti discordanti, secondo la difesa, si osserva che la sentenza impugnata (cfr. p. 27) evidenzia che i tre dichiaranti convergono sul fatto che COGNOME dava fastidio, con le sue condotte estemporanee e incoercibili, alla RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, in quanto commetteva reato per suo conto e con azioni tali da attirare l’attenzione delle Forze dell’ordine sul territorio. Non è illogico quanto risulta dai provvedimenti di merito e cioè, che ciascuno dei collaboratori ricorda diversi titoli di reato, tenuto conto del tempo trascorso rispetto alle dichiarazioni rese (furti per COGNOME, la bomba nella chiesa per NOME COGNOME, estorsioni per NOME COGNOME). Le dichiarazioni, infatti, sono nella sostanza convergenti sulla circostanza decisiva della riferibilità alla RAGIONE_SOCIALE dell’omicidio, di cui l’odierno ricorrente, all’epoca, componente con ruolo coerente al narrato dei dichiaranti.
Infine, si osserva che appare immune da illogicità manifesta la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, circa la presenza di COGNOME, il giorno dell’omicidio, presso il mobilificio di COGNOME e le finalità organizzati dell’incontro. La circostanza che, il giorno dopo, questi, usando il plurale nel riferirsi ai presenti all’incontro nel mobilificio, riferisce a NOME di aver fatto COGNOME, dopo avergli spiegato le ragioni del suo allontanamento dalla riunione organizzativa è, senz’altro, come ha spiegato lo stesso NOME al dibattimento, un racconto riguardante la sua partecipazione (si è fatto partecipe anche lui: cfr. p. 25).
Da ultimo, è reiterativa la censura, ripresa anche dal primo ricorso dell’AVV_NOTAIO, relativa al mancato rinvenimento di resti nel luogo ove era stata
indicata la allocazione del cadavere della vittima dell’omicidio. Su tale punto, le convergenti sentenze di merito rendono argomenti ampi, esaurienti, lineari e immuni da illogicità manifesta nel senso di inquadrare il fatto in un caso di lupara bianca e giustificano con ragionamento immune da vizi riscontrabili nella presente sede, le cause del mancato reperimento del cadavere.
3.11 ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE, pur a fronte della valutazione delle ulteriori argomentazioni contenute nella memoria difensiva, da ultimo, depositata, è infondato.
Vanno, preliminarmente, richiamati tutti gli argomenti riportati dal Collegio, in via generale, al § 1.
3.1.11 primo motivo è infondato.
Il primo giudice descrive il fatto omicidiario a p. 40 e ss. e indica NOME quale uno dei mandanti dell’uccisione di NOME.
La vittima viene indicata come elemento di spicco dell’RAGIONE_SOCIALE, uccisa a colpi di arma da fuoco, in data 4 giugno 2001, in località Calderà di Barcellona Pozzo di Gotto, mentre viaggiava a bordo della vettura di proprietà della moglie.
Il cadavere era stato rinvenuto all’interno dell’autovettura e questa era posizionata sulla sede stradale in posizione obliqua, rispetto alla carreggiata, presentandosi, tra l’altro, fortemente danneggiata in quanto si era schiantata contro un muro di cinta.
I primi rilievi e gli accertamenti del R.I.S. di Messina, sui reperti balistici, cui la sentenza di primo grado rende conto, avevano dato modo di acclarare che l’omicidio era stato realizzato con tre distinte armi da fuoco, due pistole a funzionamento semiautomatico marca glock, con esplosione di colpi calibro TARGA_VEICOLO, e un fucile da caccia.
Inizialmente, le indagini sull’omicidio si erano rivolte verso tale NOME COGNOME e altri soggetti non identificati ma, non emergendo elementi utili, il relativo procedimento era stato archiviato con decreto del 7 maggio 2002.
Solo a distanza di molti anni i contributi dichiarativi dei collaboratori d giustizia, NOME COGNOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, avevano consentito di acclarare che i mandanti dell’omicidio erano stati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché NOME e NOME COGNOME, mentre esecutori materiali lo stesso NOME COGNOME, NOME COGNOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME.
Per tali fatti, la sentenza di secondo grado rende conto del fatto che è intervenuta sentenza di condanna in grado di appello, per tutti i concorrenti nel reato, mandanti ed esecutori materiali (cfr. p. 43 della sentenza di secondo grado), pronuncia che è divenuta definitiva con sentenza di questa Corte n.
NUMERO_DOCUMENTO del 15 marzo 2022, come segnalato anche dall’Avvocato generale nella requisitoria.
Sicché, quello oggetto del presente procedimento, è l’ultimo segmento sub iudice della condotta illecita contestata, tra gli altri, anche all’odierno ricorrente.
La Corte di assise di appello evidenzia che la mancata adozione dell’ordinanza cautelare a carico di COGNOME, nel procedimento Gotha 6, all’esito del quale per l’omicidio COGNOME erano stati condannati i concorrenti nel reato, era da ascriversi alla mancata indicazione, da parte di COGNOME, della fonte di conoscenza della sua dichiarazione.
Nel presente procedimento (cfr. p. 40 e ss.) si rileva che, invece, erano stati acquisiti interrogatori del collaboratore e che COGNOME, nel corso del controesame del 12 febbraio 2020 reso nel procedimento Gotha 6, aveva precisato che vi era stato contatto diretto con COGNOME, prima e dopo l’omicidio COGNOME, in ogni caso spiegando che la circostanza riferita sull’omicidio era direttamente a sua conoscenza e non de relato.
Ancora, la Corte di assise di appello precisa che anche nei primi interrogatori, risalenti al 2014, NOME COGNOME non aveva mai escluso di essersi incontrato con NOME COGNOME, limitandosi a precisare che era stato COGNOME a parlare direttamente con lui per chiedergli il suo parere sulla eliminazione di COGNOME, considerato che la vittima era legata alla sua famiglia per via di un battesimo.
Esauriente e immune da vizi, nonché conforme ai principi giurisprudenziali sopra indicati in tema di prova dichiarativa proveniente da collaboratori di giustizia, risulta, poi, la valutazione di credibilità e attendibilità della chiamata COGNOME, svolta dalle convergenti sentenze di merito (cfr. per quella di secondo grado, p. 41 e ss.) e le censure prospettate, relativamente alla individuazione del mandante in NOME COGNOME, sono reiterative del gravame, dunque inammissibili a fronte della compiuta motivazione espressa, sul punto, dalla Corte territoriale.
Il travisamento della prova, rispetto al momento processuale in cui sarebbe emerso il diretto contatto con COGNOME da parte di COGNOME, nonché circa il contenuto dei colloqui tra COGNOME e COGNOME e tra COGNOME e COGNOME, risulta, poi, inammissibile, trattandosi di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità, sotto il profilo della decisività della circostanza che si assume travisata e della sua introduzione, per la prima volta, nel giudizio di appello.
È noto, invero, che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 2, n. 47035 del 3710/2013, COGNOME, Rv. 257499; Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258438), nel caso di cd. doppia conforme, il vizio di omessa valutazione di una prova indicata come decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., solo nel caso in cui si rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritannente travisato è stato per la prima volta introdotto, come oggetto di valutazione, nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Inoltre il vizio di travisamento della prova, desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo, specificamente indicati, è ravvisabile solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la decisiva forza dimostrativa del dato probatorio, fermi restando il limite del devolutum e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 6, n 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774).
Si osserva che la cd. convergenza del molteplice si rinviene, da parte della Corte territoriale, tra il narrato dei due fratelli COGNOME sulla base di alcun elementi di novità, introdotti da NOME COGNOME, nonché sulla base della riscontrata divergenza relativamente ad aspetti solo marginali del narrato, convergendo, invece, le due dichiarazioni eteroaccusatorie, secondo il ragionamento congruo e immune da vizi della Corte territoriale, sul nucleo centrale delle affermazioni.
Del resto, la censura non è specifica perché trascura di considerare gli ulteriori riscontri alle dichiarazioni di NOME COGNOME, offerti da COGNOME e COGNOME, limitandosi a dedurre la carenza di elementi di conferma alle dichiarazioni di COGNOME.
Peraltro, le censure relative alla posizione del dichiarante COGNOME sono del tutto sovrapponibili a quanto esposto e dedotto con il gravame, argomenti ai quali la Corte territoriale ha risposto, con ragionamento immune da censure di ogni tipo (p. 48 e ss.) dunque non censurabile nella presente sede.
Per quanto concerne la dedotta circolarità della prova dichiarativa resa da NOME COGNOME, in considerazione della sua fonte di conoscenza (il fratello NOME) si osserva che la critica è aspecifica. Non si tiene conto che il narrato di COGNOME, secondo la Corte territoriale, solo in parte proviene da quanto appreso dal fratello; per altra parte, invero, questi narra di circostanze apprese da COGNOME, altro esecutore materiale dell’omicidio.
Dunque, la critica non si confronta, compiutamente, con il contenuto della motivazione della Corte territoriale (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822; Sez. 2, n. 5522 del 22/10/2013, Rv. 258264 – 01; Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Rv. n. 254584 – 01).
Circa la condanna per calunnia di COGNOME, si osserva che questa riguarda una condotta che si colloca in periodo precedente alla sua collaborazione con la giustizia (cfr. p. 42 della sentenza di appello) e, dunque, non incide sulla sua affidabilità e credibilità ritenuta nel presente procedimento, peraltro scrutinata in concreto da parte dei giudici di merito, anche specificamente alle dichiarazioni
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utilizzate nel presente giudizio, oltre che confermata dall’elevatissimo grado di attendibilità che ha condotto, in altro procedimento, alla condanna definitiva di tutti i concorrenti nel reato di Rao.
3.2. Il secondo motivo è inammissibile perché generico.
Invero, la deduzione parte da un dato negativo per dare prova positiva dell’estraneità di NOME, cioè il fatto che COGNOME, in un primo momento, tra i mandanti, nel discutere con RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe annoverato COGNOME.
La difesa non considera, nello svolgere detta deduzione, che, invece, la sentenza di appello ha tratto la conferma della responsabilità dell’imputato, da elementi a carico di segno positivo, tra cui la dichiarazione di COGNOME il quale ha assunto di essere stato informato da COGNOME della volontà dei vertici dell’RAGIONE_SOCIALE, tra cui COGNOME, di uccidere COGNOME; o ancora, dalla dichiarazione di NOME COGNOME il quale aveva appreso del coinvolgimento della decisione di eliminare COGNOME, in una prima fase, dal fratello NOME e, poi, prima dell’omicidio da NOME COGNOME, quale gli aveva confidato che quelli che premevano di più per portare a termine l’eliminazione erano NOME COGNOME e NOME COGNOME.
3.3.11 terzo motivo è infondato.
In sostanza, la censura riguarda la decisione della Corte territoriale di non ammettere la rinnovazione istruttoria, ex art. 603 cod. proc. pen., in quanto non ritenuta assolutamente necessaria (esame di COGNOME, con tecniche tali da saggiare la veridicità delle risposte).
La Corte territoriale esprime, con ragionamento lineare e logico, le ragioni per le quali la prova richiesta è considerata generica e, comunque, non è necessaria per la decisione (v. p 52).
Nel giudizio di appello, come è noto, la rinnovazione istruttoria ha carattere eccezionale fondato sulla presunzione che l’indagine sia stata esauriente con le acquisizioni del dibattimento di primo grado; sicché il potere del giudice è subordinato alla rigorosa condizione che egli ritenga, contro la predetta presunzione, di non essere in grado di decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; Sez. U, 24/01/1996, COGNOME; Sez. 1, n. 3972 del 2014). Atteso che l’esercizio di un simile potere è affidato all’apprezzamento del giudice di appello, restando incensurabile nel giudizio di legittimità se adeguatamente motivato, deve sottolinearsi che a fronte di una motivazione che dà conto, in modo univoco, del fatto che è stato ritenuto non impossibile decidere allo stato degli atti, alcun rilievo può assumere la critica difensiva.
Peraltro, l’esame proposto con le originali tecniche indicate dalla difesa è, comunque, un mezzo di prova esplorativo, non decisivo, dunque, nel senso preteso dall’art. 603 cod. proc. pen. ai fini della ammissibilità della richiesta di
parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in grado di appello (Sez. 3, n. 47293 del 28/10/2021, R., Rv. 282633 – 01 nel senso che, nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende comunque inammissibile la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività ” esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente, non sussistendo pertanto, riaspetto ad essa, alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame).
3.4. Infine, deve rilevarsi che la memoria introduce, per una parte, temi inediti, dunque inammissibili nella presente sede (abbreviato condizionato e riduzione chiesta alla Corte territoriale) o, comunque, meramente illustrativi dei motivi principali, senza tuttavia superare le considerazioni già svolte nei precedenti paragrafi.
4.Segue il rigetto dei ricorsi e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Segue, altresì, la condanna di NOME COGNOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta nel presente giudizio dalle parti civili indicate in dispositivo.
Trattandosi di parti ammesse al patrocinio a spese dello Stato, la misura delle spese sarà liquidata dalla Corte di assise di appello, con separato decreto di pagamento, ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. n. 115 del 2002, disponendone il pagamento in favore dell’Erario (Sez. U, ord. n. 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME Falco, Rv. 277760, nel senso che, in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dello Stato, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato TU).
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenuta nel presente giudizio dalle parti civili – COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME – ammesse al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di
assise di appello di Messina con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.P.R. n. 115/2002 disponendo il pagamento in favore dello Stato. Così deciso, il 22 febbraio 2024 Il Consigliere estensore COGNOME Il Presidente