Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20395 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20395 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nato a NAPOLI il 14/07/1967 NOME nato a NAPOLI il 14/11/1957
avverso la sentenza del 23/09/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di NAPOLI
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
uditi i difensori
Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendobiccoglimento dei ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME Nicola;
Avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo, in accoglimento del ricorso di NOME COGNOME l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di assise di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, riformava quella di primo grado, emessa dalla Corte di assise di Napoli in data 8 aprile 2021, limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando in anni ventotto di reclusione la pena inflitta agli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME in quanto ritenuti responsabili del delitto di omicidio premeditato commesso, con le finalità e il metodo mafiosi, in danno di NOME COGNOME con condotte poste in essere in Napoli in data 19 giugno 1998 ed evento morte verificatosi il giorno successivo (ad entrambi gli imputati in primo grado erano state concesse le circostanze attenuanti generiche e le stesse erano state ritenute equivalenti alle contestate aggravanti della premeditazione e della recidiva).
La prova di tale ricostruzione dei fatti era desunta dai giudici di merito dalle dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (altro affiliato all’epoca al clan COGNOME), tutti divenuti collaboratori
NOME COGNOME e NOME COGNOME erano stati già condannati per l’omicidio di COGNOME con sentenza divenuta irrevocabile, in ragione delle loro dichiarazioni autoaccusatorie, oltre che etero accusatorie. Anche COGNOME era stato condannato, con sentenza divenuta irrevocabile, per il delitto di cui trattasi. Quest’ultimo, nel separato giudizio celebrato a suo carico, aveva ammesso di esserne responsabile.
NOME COGNOME aveva elevato le sue accuse sia per cognizione diretta, quanto al mandato conferito e alle fasi in cui COGNOME, COGNOME e COGNOME si organizzarono e si mossero per eseguirlo, sia in forza di quanto in seguito appreso dagli stessi.
NOME COGNOME aveva riferito in ordine al coinvolgimento nell’omicidio dei medesimi correi in ragione non solo delle notizie recepite dal fratello NOME, ma anche di quanto visto poco prima dell’omicidio e in seguito appreso dagli altri.
Secondo quanto dichiarato da NOME COGNOME egli, nel corso di un’udienza di un processo in cui era imputato in stato di detenzione, ebbe comunicato da NOME e COGNOME tramite il labiale e alcuni gesti, che gli stessi avevano ucciso COGNOME.
Infine, COGNOME aveva riferito di essere stato raggiunto da COGNOME e COGNOME a Casalnuovo il giorno dell’omicidio di COGNOME, apprendendo così dagli stessi che COGNOME lo aveva commesso a seguito dell’indicazione della vittima da parte di COGNOME e che COGNOME, dopo la sparatoria, era stato “recuperato” da Tubello che attendeva fuori in auto e con il quale aveva in seguito raggiunto Casalnuovo.
Le sopra citate dichiarazioni accusatorie venivano ritenute dai giudici di merito intrinsecamente attendibili, confermate dalle altre emergenze e convergenti nell’accusare COGNOME e COGNOME così da potersi riscontrare reciprocamente.
La stessa concordanza non era stata rilevata già in primo grado in ordine alle accuse mosse ad NOME COGNOME (figlio di NOME, anch’egli imputato, in quanto uno dei mandanti dell’omicidio, secondo quanto affermato da NOME e NOME COGNOME, sicché la Corte di assise di Napoli lo aveva assolto per non aver commesso il fatto.
Avverso la sentenza di appello propongono ricorso per cassazione COGNOME e COGNOME
Il ricorso nell’interesse di COGNOME e COGNOME, proposto dall’Avv. NOME COGNOME deduce cinque motivi.
4.1. Con il primo motivo eccepisce la nullità della sentenza impugnata ai sensi degli artt. 178 lett. e e 179, cod. proc. pen., per effetto della mancata notificazione (già eccepita all’udienza preliminare) dell’avviso di cui all’art. 415bis, cod. proc. pen., e successivamente di quello di fissazione dell’udienza preliminare, all’Avv. NOME COGNOME quale codifensore di fiducia di COGNOME, nonché all’Avv. NOME COGNOME quale codifensore di fiducia di COGNOME.
Deduce che i Giudici di secondo grado, con l’ordinanza resa all’udienza del 12 settembre 2024, hanno ritenuto valide le nomine di detti difensori solo per il procedimento di riesame della misura cautelare a suo tempo instaurato, sulla base di ricostruzioni che mancano di rilevare che, trattandosi di atti provenienti da soggetti che si trovavano entrambi ristretti in carcere, le nomine in questione non sarebbero potute intervenire davanti al giudice del procedimento principale.
Inoltre, a causa della mancata acquisizione di tali nomine come manualmente sottoscritte, si è ritenuto erroneamente che farebbero fede le sole dichiarazioni di coloro che avevano riportato le manifestazioni di volontà sul registro del carcere.
4.2. Con il secondo e il terzo motivo, sostenuti da un’esposizione unitaria delle censure mosse, denunzia violazione dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., e vizi della motivazione in punto di affermazione della responsabilità degli imputati.
Rileva che NOME COGNOME pur essendo all’epoca il capo storico e indiscusso dell’omonimo clan, è stato ritenuto privo di conoscenze sui fatti e di poteri direttivi
La sentenza di appello, per accreditare le accuse di COGNOME ha inteso fare riferimento a un cambio di autovetture, dopo l’omicidio, mai riferito dai collaboratori, rimanendo tale fase dei fatti per intero priva di ogni informazione.
Tramite artifizi dialettici sono state superate le deduzioni in ordine alle ragioni di astio all’origine delle false accuse di NOME e NOME COGNOME che avevano chiamato in causa NOME COGNOME figlio di NOME, dopo che quest’ultimo aveva addebitato ai fratelli dei medesimi collaboratori la responsabilità per la “strage del Sayonara”, nel processo in cui tali congiunti erano stati condannati all’ergastolo.
Tale comportamento era comprovato anche dalla missiva inviata nel 2014 da NOME COGNOME ai pubblici ministeri, dopo anni dall’inizio della collaborazione.
NOME COGNOME essendo uscito dal carcere due-tre giorni prima l’omicidio di cui trattasi e non avendo in precedenza mai fatto parte del clan Sarno, non poteva avere alcuna conoscenza dell’assetto militare degli avversari di tale clan.
Ciò era confermato dalla sua affermazione davanti al pubblico ministero quando ancora si trovava in isolamento: “se ritenete mettetemi come mandante”.
Risultava del tutto inventata la circostanza, riferita solo da NOME COGNOME secondo cui COGNOME avrebbe interferito nell’attività di spaccio dei Sarno.
Anche su tale argomento i Giudici di appello hanno taciuto, pur trattandosi di dichiarazioni volte a far credere un ruolo della vittima smentito da NOME COGNOME
Le affermazioni di NOME COGNOME risultavano isolate, oltre che inverosimili – e per di più smentite dalle emergenze sul numero di colpi esposi nella sala giochi – anche laddove riferivano che NOME, disarmato e intervenuto con COGNOME per indicargli COGNOME, aveva sgambettato quest’ultimo dopo esser stato riconosciuto.
A tal riguardo, la Corte di secondo grado, ad un certo punto, ha contraddittoriamente rilevato che la vittima veniva rinvenuta in una pozza di sangue fuori dal locale, mentre all’interno di esso non vi erano tracce ematiche.
Solo dopo l’invio della suddetta missiva ai pubblici ministeri, NOME COGNOME aveva escluso COGNOME e COGNOME dalla lista dei mandanti dell’omicidio COGNOME, includendovi contemporaneamente egli stesso e NOME COGNOME
Altrettanto confuse ed inverosimili risultavano le dichiarazioni dibattimentali del collaboratore circa la “confessione stragiudiziale” che egli avrebbe ricevuto.
Analoghe considerazioni dovevano valere per le dichiarazioni di NOME COGNOME in ragione delle implicazioni afferenti ai comuni motivi di astio che avevano portato entrambi gli COGNOME ad un certo punto ad accusare in modo circostanziato NOME COGNOME quale mandante dell’omicidio e uno dei reggenti del clan sulla base di uno specifico incarico del padre, per poi finire per asserire, a seguito delle contestazioni, che il comando del sodalizio attribuibile ad NOME COGNOME sarebbe stato solo “a livello economico”, fatto, però, anch’esso smentito dalle altre dichiarazioni acquisite, e in particolare da quelle di COGNOME in ordine al succedersi nel tempo dei “reggenti”.
Le falsità contenute nelle propalazioni dei fratelli COGNOME, anche volendo sorvolare su tutte le incongruenze e le imprecisioni (fra cui quelle relative alla comparsa di NOME COGNOME e agli spostamenti prima e dopo la commissione dell’omicidio), non avrebbero potuto essere in alcun modo superate facendo riferimento alla valutazione frazionata dell’attendibilità delle accuse e a una !abilità di ricordi in realtà ravvivatisi dopo anni con la missiva che accusava NOME COGNOME.
Né poteva omettersi di considerare che i fratelli COGNOME ben potevano aspettarsi, nel momento in cui rendevano le loro prime dichiarazioni, di essere accusati dai cugini COGNOME, avendone già conosciuto l’avvio della collaborazione.
Quanto a COGNOME non poteva tacersi che egli aveva accusato COGNOME per altro omicidio, per poi ritrattare e dichiarare di non averne mai chiesto l’intervento.
Tale collaboratore nulla aveva riferito in ordine all’allontanamento all’epoca da Napoli di COGNOME, parimenti mai rimasto coinvolto in altri fatti di sangue.
I Giudici di secondo grado hanno ritenuto plausibile: o che gli esecutori dell’omicidio, recatisi nel luogo dei fatti con un’auto rubata di cui nessuno aveva parlato, sarebbero in seguito tornati nel rione INDIRIZZO per cambiare detta auto e utilizzarne una pulita, in modo da riparare ancora dopo a Casalnuovo; ovvero che tale ultima auto, riconducibile a Tubello e dunque facilmente rintracciabile, sarebbe stata lasciata sui luoghi prima di un agguato però deciso al momento.
NOME COGNOME aveva riferito circa le pistole che gli erano state restituite e su l’altro retroscena, in sé inverosimile, secondo cui i killer si sarebbero allontanati
da Casalnuovo non con l’auto “pulita”, ma con un’altra riconducibile ad un latitante.
Infine, risultavano confuse e contraddittorie le dichiarazioni dibattimentali di NOME COGNOME che intendevano accreditare la partecipazione al fatto di NOMECOGNOME descrivendo una scena surreale verificatasi in un’udienza tenuta tre mesi dopo.
4.3. Con il quarto motivo lamenta violazione di legge e vizi della motivazione, con riguardo alla ricostruzione del concorso di COGNOME nell’omicidio, in particolare quanto alla fase deliberativa e alla consapevolezza della decisione di eliminare COGNOME e dell’assunzione del ruolo di killer per conto dell’organizzazione.
Deduce che dalle motivazioni delle sentenze di merito non è dato cogliere la compiuta ricostruzione dell’arrivo del commando nel luogo del delitto, del compito assunto da COGNOME e dell’utilizzo delle autovetture ai fini dell’allontanamento.
La presenza di COGNOME sui luoghi era stata riferita solo da NOME COGNOME.
Rimane inverosimile che dopo l’omicidio il gruppo di fuoco avesse utilizzato un’auto non perfettamente funzionante per spostarsi in un altro comune, così come che fossero intervenuti due cambi di autovettura, senza che ciò peraltro risultasse supportato da logiche spiegazioni circa i tempi delle relative operazioni.
Al riguardo le dichiarazioni di NOME COGNOME e COGNOME rimanevano divergenti.
Si è ritenuto che un’altra autovettura fosse stata collocata nei luoghi della commissione dell’omicidio e poi utilizzata dai killer per allontanarsi, senza però considerare che nessuna auto abbandonata era stata ivi in seguito ritrovata, mentre un’auto rubata, ben diversa da quella descritta da NOME COGNOME e da COGNOME, quella stessa sera era stata rinvenuta data alle fiamme a Ponticelli.
La sentenza, incorrendo in un irrimediabile corto circuito motivazionale quanto al tema di cui sopra delle auto, ha finito per accreditare la necessità della partecipazione di un altro compartecipe nella fase esecutiva o che l’auto usata per allontanarsi fosse stata collocata nei luoghi dei fatti prima della partenza dei killer
4.4. Con il quinto motivo denunzia violazione di legge e vizi della motivazione in punto di diniego dell’attenuante di cui all’art. 114, cod. pen., in favore di COGNOME a fronte del carattere del tutto marginale della condotta che gli era addebitata.
Il ricorso nell’interesse di Tubello, proposto dall’Avv. NOME COGNOME espone quattro motivi.
5.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 121, 178, 546, 192 cod. proc. pen., nonché vizi della motivazione, con riguardo alle risposte alle censure dedotte con l’atto di appello e con la successiva memoria, circa l’impossibilità di ravvisare, quanto alle accuse dei collaboratori, la “convergenza del molteplice”, nel rispetto dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.
Rileva che era stato rappresentato come le accuse mosse da NOME COGNOME fossero tardive e incerte, mostrando egli di non ricordare di avere parlato dopo il fatto con COGNOME e se lo stesso fosse stato presente insieme a COGNOME e COGNOME.
Il medesimo collaboratore, inoltre, aveva fornito indicazioni in contrasto con quelle di tutti gli altri quando aveva riferito che COGNOME era rientrato a Napoli.
La Corte di secondo grado ha ritenuto di superare i rilievi affermando che le tardive dichiarazioni de relato di NOME COGNOME non sarebbero state utilizzate ai fini della prova a carico di COGNOME senza però considerare le interferenze di tale parte del narrato sulle restanti dichiarazioni, a fronte della comune detenzione dei fratelli COGNOME dopo l’inizio della collaborazione, dei dettagli aggiunti da NOME nel suo resoconto, degli inediti riferimenti apportati dallo stesso solamente in dibattimento e delle altre accuse risultate non veritiere rivolte ad NOME COGNOME
Da ciò l’immotivata esclusione di un “allineamento” dichiarativo per effetto di condizionamenti o reciproche influenze, tali da inficiare per intero l’attendibilità.
La Corte di merito, inoltre, da un lato, ha ribadito che NOME COGNOME aveva riferito che i due killer partirono da Napoli a bordo di un’auto rubata alcuni giorni prima e guidata da Tubello, dall’altro ha ritenuto di potere utilizzare, quale riscontro a tal riguardo, le dichiarazioni di NOME COGNOME sebbene i racconti dei due collaboratori, come rilevato nei motivi di appello, su punto non coincidessero.
Così procedendo, i Giudici distrettuali hanno proposto una ipotetica ricostruzione manifestamente illogica che avrebbe visto il commando cambiare auto, sì da spostarsi con le armi da quella rubata per commettere l’omicidio, ad un’altra auto intestata ad uno degli esecutori materiali, per di più malfunzionante.
Come rilevato in sede di appello, invero, COGNOME aveva inequivocabilmente fatto riferimento ad un intervento di Tubello solo successivo alla consumazione del delitto e di non ricordare se il veicolo rubato, utilizzato e poi incendiato, fosse u motorino o altra macchina, circostanza questa da ricollegare a quanto riferito da NOME COGNOME e al sequestro di una motocicletta a poca distanza dai luoghi.
5.2. Con il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 603, commi 1 e 3, 190 e 192, cod. proc. per., laddove è stata rigettata – con conseguente lesione del diritto alla prova – la richiesta di rinnovazione dell’istruzione per procedere a nuovo esame del Commissario COGNOME al fine di domandargli se intendesse rivelare la fonte da cui aveva appreso informazioni contrastanti da quelle fornite da NOME COGNOME nonché della teste NOME COGNOME che, secondo quanto riferito dal collaboratore COGNOME, era una testimone oculare dei fatti, presente sui luoghi.
L’assunzione di tali prove in appello si rendeva indispensabile alla stregua di quanto riferito nel giudizio di primo grado dai collaboratori COGNOME e COGNOME
Nel motivare il rigetto delle richieste di cui trattasi, i Giudici di appello han proceduto a una valutazione solo frazionata e atomistica dei singoli elementi, mentre si trattava di una verifica indispensabile per l’intero accertamento dei fatti.
5.3. Con il terzo motivo lamenta violazione degli artt. 546 e 192, cod. proc. pen., nonché carenza di motivazione, con riguardo alla risposta ai rilievi in ordine alla smentita di NOME COGNOME desumibile dalle dichiarazioni di NOME COGNOME che avevano escluso il coinvolgimento di COGNOME nella “squadretta” a suoi ordini fino ad un periodo di tempo immediatamente precedente al proprio arresto.
5.4. Con il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 577, primo comma n. 3), cod. pen., nonché omessa motivazione in punto di riconoscimento della premeditazione, poiché, a fronte degli specifici rilievi mossi in sede di appello anche su tale punto, i Giudici di secondo grado si sono limitati ad opporre non verificate asserzioni in ordine alle pregresse conoscenze da parte di Tubello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono entrambi infondati, per le ragioni di seguito illustrate.
Quanto all’eccezione preliminare di nullità dedotta con il primo motivo del ricorso dell’Avv. COGNOME va rilevato che le nomine effettuate in carcere degli Avv.ti COGNOME e COGNOME, come si ribadisce a pagina 7 della sentenza di appello e risulta del resto incontroverso, richiamavano il solo procedimento del riesame in quel momento pendente ed erano indirizzate unicamente al Tribunale che doveva trattarlo, specificando anche il solo numero di registro di tale procedimento e dunque non già quello del procedimento principale. La sola manifestazione di volontà degli interessati che poteva e può, pertanto, constatarsi è quella di effettuare le nomine di cui trattasi nel procedimento incidentale de libertate pendente in sede di impugnazione davanti ad un giudice diverso da quello del procedimento principale, affinché nel primo dei due procedimenti i difensori di cui sopra affiancassero quelli già nominati da ciascun interessato che aveva avanzato la richiesta di riesame ed in quella sede intendeva far valere, quanto alla legittimità della misura cautelare, le proprie ragioni davanti al competente Tribunale.
Gli assunti difensivi in questa sede mancano di considerare non solo tale corretta ricostruzione, ma anche che, trattandosi di dichiarazioni provenienti da indagati in stato di detenzione, esse, ai sensi dell’art. 123, comma 1, cod. proc. pen., venivano ricevute con l’atto formato davanti al direttore del carcere che ne rappresentava e ne attestava l’esatto contenuto. Le dichiarazioni con tale forma valevano come se fossero direttamente ricevute dall’autorità giudiziaria cui venivano dirette e correttamente venivano trasmesse. Sicché, si tratta di nomine
da ritenere, ai sensi dell’art. 96, comma 2, cod. proc. pen, come effettuate davanti allo stesso Tribunale per il riesame al quale solo erano indirizzate e trasmesse.
Ne deriva che le doglianze dedotte in questa sede non possono smentire la correttezza delle considerazioni su cui si è fondato il rigetto dell’eccezione di nullità, in conformità con il consolidato insegnamento di legittimità, già richiamato nella sentenza impugnata, secondo cui la nomina del difensore di fiducia fatta dall’indagato per il procedimento incidentale di riesame non dispiega effetto alcuno nel procedimento principale, del tutto autonomo e separato dal primo, non essendone prevista la conoscenza da parte dell’autorità giudiziaria procedente che viene avvisata della richiesta di riesame ai soli fini della trasmissione degli atti (fr le tante, Sez. 3, n.2199 del 19/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv.277646-02).
Dunque, il primo motivo del ricorso dell’Avv. COGNOME risulta infondato.
Il secondo e terzo motivo dello stesso ricorso si riferiscono alla verifica delle dichiarazioni accusatorie ritenute idonea ad integrare la prova della responsabilità.
3.1. La sentenza di appello ha puntualmente richiamato, preliminarmente, gli insegnamenti giurisprudenziali che vengono in rilievo nella materia di cui trattasi.
Nel far ciò, ha anche rammentato che la chiamata in correità o in reità “de relato”, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purché siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogn singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, dell costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del “thema probandum”; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, Rv. 255143 – 01).
I Giudici di appello hanno, altresì, richiamato il consolidato insegnamento di legittimità secondo cui ; in tema di chiamata di correo, l’esclusione dell’attendibilità per una parte del racconto non implica, per il principio della cosiddetta “frazionabilità” della valutazione, un giudizio di inattendibilità con riferimento al altre parti intrinsecamente attendibili e adeguatamente riscontrate, a condizione che: non sussista un’interferenza fattuale e logica tra la parte del narrato ritenuta
falsa e le rimanenti parti; l’inattendibilità non sia talmente macroscopica, per conclamato contrasto con altre sicure emergenze probatorie, da compromettere la stessa credibilità del dichiarante; sia data una spiegazione alla parte della narrazione risultata smentita – per esempio, con riferimento alla complessità dei fatti, al tempo trascorso dal loro accadimento o alla scelta di non coinvolgere un prossimo congiunto o una persona a lui cara – in modo che possa, comunque, formularsi un giudizio positivo sull’attendibilità soggettiva del dichiarante (fra altre, Sez. 6, n. 25266 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270153 – 01).
3.2. Misurandosi con tale genere di verifica, la sentenza di appello (da pag. 30) rileva che i contenuti delle accuse mosse ad NOME COGNOME per come rappresentati per conoscenza diretta da NOME COGNOME e solamente de relato da NOME COGNOME non potevano risultare frutto di deliberate falsità per motivi di astio, come invece era stato sostenuto in quella sede dai difensori degli imputati.
In proposito, i Giudici di merito non solo richiamano le osservazioni di primo grado che avevano rappresentato una condizione di mera assenza di adeguati riscontro alle accuse di cui trattasi (riferendosi con ciò al confronto con le altr fonti accusatorie), ma anche descrivono precise circostanze che avevano potuto dare causa a mere deduzioni o a cattivi ricordi da parte di NOME COGNOME che, a sua volta, aveva riferito le informazioni sul ruolo di NOME COGNOME al fratello NOME.
Spiegano, al contempo, che le dichiarazioni sulla posizione di mandante assunta anche da NOME COGNOME non presentavano comunque interferenze con quelle sulla partecipazione al fatto dei odierni ricorrenti secondo quanto già ritenuto in primo grado, posto che era rimasta sempre riscontrabile, in termini immutati, l’affidabile convergenza delle dichiarazioni degli COGNOME e di quelle degli altri collaboratori sui profili essenziali non solo riguardanti il movente, le dinamich deliberative all’interno della cosca in quel determinato periodo e gli altri mandanti, ma anche gli autori materiali, le modalità esecutive e la stessa distribuzione dei compiti fra i correi, cioè tutti gli aspetti cui si riferivano le accuse agli imputat
Aspetti della ricostruzione dei fatti, questi, risultati confermati anche da emergenze acquisite in altri processi e dalle altre attività di indagine compiute sull’omicidio, secondo quanto rappresentato nelle restanti parti della motivazione.
Delle ricadute dell’assoluzione di NOME COGNOME, la sentenza di appello torna ad occuparsi nella pagine 38 e 39, laddove ribadisce e sviluppa ancora le precedenti considerazioni, sottolineando, fra l’altro, che, a fronte dell’esclusione da parte di NOME COGNOME e COGNOME del coinvolgimento di NOME COGNOME, poteva però registrarsi, considerando le medesime fonti, l’acquisizione del riscontro “individualizzante” quanto alle precise accuse rivolte dagli COGNOME agli esecutori materiali del raid omicida, ossia ai due ricorrenti, oltre che a Cece, il quale aveva reso confessione ed era stato già condannato con sentenza divenuta irrevocabile.
Inoltre, l’indicazione anche di altri (COGNOME) fra i mandanti del delitto er rinvenibile pure nelle dichiarazioni di COGNOME in forza di deduzioni logiche che lo stesso aveva lasciato comprendere, in ragione degli assetti dell’epoca del clan.
La sentenza si sofferma ancora sul tema alle pagine 45 e 46, ove si fa riferimento anche alla missiva di NOME COGNOME del 2014, in cui lo stesso aveva attribuito il ruolo di mandante ad NOME COGNOME e non più a NOME COGNOME spiegandosi come NOME COGNOME sulla fase di cui trattasi, ferma restando l’assenza di progressioni accusatorie per il resto, avesse riferito quanto ricordava essergli stato detto dal fratello NOMECOGNOME il quale – con COGNOME – incontestabilmente aveva dato avvio dell’azione criminosa, come era ben noto anche allo stesso NOMECOGNOME
Inoltre, il tema della frazionalibilità delle accuse degli COGNOME viene affrontato nella successiva parte della sentenza di appello riservata alle articolate e precise risposte alle doglianze rappresentate nella memoria di replica dell’Avv. COGNOME.
Le pagine 48 e 49 riesaminano così le dichiarazioni di NOME COGNOME che, secondo la difesa, avrebbero reso palese la ritorsione degli COGNOME in danno dello stesso, colpendone il figlio NOME tramite il falso addebito del ruolo di mandante.
In proposito, i Giudici di merito rassegnano altre motivate confutazioni che pongono in risalto la lettura parziale della sentenza di primo grado rappresentata dai rilievi della difesa, relativamente all’ambito di operatività attribuito a NOME COGNOME e alle interlocuzioni in merito con NOME COGNOME come riferite da NOME COGNOME.
Tanto viene esposto nel contesto di più ampie ricostruzioni degli assetti del clan dopo la detenzione di NOME COGNOME che smentiscono, sulla base di quanto riferito da NOME COGNOME e da COGNOME, la tesi secondo cui i fratelli COGNOME (stante quanto affermato da NOME COGNOME), non avrebbero avuto alcun ruolo nel sodalizio e dunque NOME COGNOME non ne avrebbe assunto la “reggenza” che, dopo la detenzione di NOME COGNOME, gli avrebbe consentito di conferire il mandato agli imputati.
Ancora, la sentenza alle pagine 50 e 51 ha modo di ritornare nuovamente anche sul tema della missiva del 2014 che, secondo quanto esposto dalla difesa, proverebbe la contaminazione delle dichiarazioni accusatorie degli COGNOME, tanto più che, sempre secondo l’argomentare difensivo, l’iniziativa di cui trattasi si sarebbe verificata quando NOME COGNOME era autorizzato ai colloqui telefonici con il fratello NOMECOGNOME in modo da potere i due allineare le loro accuse sul mandato.
In merito, la Corte distrettuale, oltre a ribadire alcune delle precedenti confutazioni a precisa giustificazione della diversa lettura delle indicazioni di NOME COGNOME riferibili a NOME COGNOME e a COGNOME, puntualizza che fin dall’inizio sul tema del mandato detto collaboratore aveva menzionato quale fonte della sue conoscenze il fratello NOMECOGNOME sicché le dichiarazioni dei due COGNOME al riguardo non erano state ritenute idonee a riscontrarsi, mentre nel caso delle
notizie riguardanti gli esecutori materiali, NOME aveva attinto notizie direttamente da questi ultimi, elevando così altre accuse de relato rimaste sempre ferme, costanti e riscontrate, con riguardo all’attribuzione della responsabilità.
Con riferimento a quest’ultimo profilo, la sentenza immediatamente dopo confuta appropriatamente e in modo altrettanto puntuale, le ulteriori doglianze sia relative al passaggio dichiarativo in cui secondo la difesa NOME COGNOME avrebbe dato prova della sua accondiscendenza ad assumere un ruolo nei fatti, sia a proposito della certezza manifestata dallo stesso, secondo i ricordi serbati nel tempo, sulla “confessione” ricevuta da parte di COGNOME, ma non anche di COGNOME.
Da tutto ciò risulta la ragionevole ed esaustiva verifica riservata al merito delle condizioni di attendibilità e convergenza delle accuse dei collaboratori, in perfetta coerenza con gli insegnamenti di legittimità precedentemente richiamati.
3.3. Il secondo e il terzo motivo di cui trattasi introducono doglianze prive di un adeguato confronto con l’articolato iter motivazionale che si è appena richiamato, anzitutto in punto di sussistenza delle condizioni per l’applicazione del principio di frazionabilità delle accuse, per come rappresentate nella sentenza.
La difesa, invero, ripropone al riguardo un serie di argomenti critici riferiti circostanze talvolta incontroverse ed in altri casi solo asserite, isolando certe parti delle dichiarazioni e certi passaggi motivazionali che si riferiscono ad esse o altro.
L’assenza della considerazione dei restanti passaggi, la discorsiva esposizione di una posizione di non condivisione, la sovrapposizione di apprezzamenti che evocano solo un altro genere di valutazioni sulla base di rilievi per lo più assertivi costituiscono tutti fattori che rendono le doglianze sull’intero tema irricevibili.
Sotto altro profilo, gli stessi motivi chiamano in causa le critiche in appello a proposito dell’individuazione delle auto utilizzate quel giorno, evocando ricadute sulla corretta focalizzazione del ruolo di COGNOME quale autista del commando.
Anche tale tema risulta attentamente scrutinato dalla sentenza di appello. Ed invero, a pagina 36 si ribadisce la ricostruzione, riferita in primo luogo da NOME COGNOME per cognizione diretta, secondo cui COGNOME ebbe il ruolo di guidare l’auto rubata a bordo della quale si mosse il commando in occasione dell’omicidio: egli cioè non si limitò a prelevare i killer a bordo della suddetta auto dopo i fatti.
Un ridimensionamento del ruolo, questo, configurato dalle doglianze difensive in quella sede, che in sé, come pure puntualizzato nella sentenza di appello, neppure potrebbe escludere il concorso di Tubello, comportando solo un minor ambito operativo del suo pur rilevante contributo causale sul piano morale e materiale, nell’ambito della programmazione ed esecuzione del raid omicida.
L’appagante riscontro alle dichiarazioni di NOME COGNOME al riguardo, oltre ad essere agganciato a quanto negli stessi termini riferito da NOME COGNOME sulla base di ciò che gli era stato detto da almeno uno dei due esecutori materiali, viene
individuato nelle dichiarazioni di COGNOME, dovendosi ritenere irragionevole, considerando l’intero contesto di programmazione e di esecuzione dell’omicidio, la lettura secondo cui il riferimento di COGNOME al solo “recupero” dei complici potesse escludere il loro precedente accompagnamento dello stesso COGNOME alla guida dell’auto rubata e in seguito la sua attesa, fino a dopo la consumazione dell’omicidio, appunto per “recuperare” il correi, in modo da garantirne la fuga, secondo l’unica plausibile pianificazione di quel genere di delitto di camorra.
Successivamente, la sentenza ritorna sull’argomento (incidentalmente alle pagg. 39 e 40, e direttamente alle pagg. 43 e 44), analizzando ancora, in forza di ragionate e logiche letture, quanto rappresentato da COGNOME e da NOME COGNOME.
Infine, la Corte di merito, quando confuta i rilievi dedotti in sede di appello con la memoria dell’Avv. COGNOME (pagg. 49 e 50), spiega anche come certi particolari non ricordati o non perfettamente focalizzati a distanza di tanto tempo da NOME COGNOME, ad esempio sul tipo di auto utilizzata e su dove fosse stata posizionata, non potevano compromettere la tenuta delle sue accuse circa il ruolo di autista, alla guida dell’auto, assegnato a Tubello e da lui svolto, così come confermato da quanto appreso autonomamente dagli altri due collaboratori.
Su questi e altri risvolti dei fatti il secondo e terzo motivo del ricorso dell’av COGNOME continuano a proporre valutative parziali, solo reiterative o inconferenti, come risultano tutte quelle riferite al rientro a Napoli e all’agire associativo COGNOME, alle precisazioni e ai ricordi sui movimenti e sui passaggi delle armi, all’apporto ai fatti del fratello di COGNOME (come conosciuto e focalizzato solo da NOME COGNOME), alle circostanze dell’incontro con COGNOME, alle scelte operate in ordine all’utilizzo delle auto, alle modalità di esecuzione del delitto in parte dentro e i parte fuori il locale ove era individuata la vittima attraverso l’apporto di Cece (tal ultime modalità vengono definite dalla difesa implausibili o smentite da altre risultanze tramite mere asserzioni e ponendo interrogativi basati su rielaborazioni e parcellizzazioni della ricostruzione di merito che neppure si rapportano agli esiti delle indagini descritti già nelle pagine 9, 10 e11 della sentenza di primo grado).
3.4. Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo ai restanti rilievi, fra cui quelli solo assertivi circa le smentite delle accuse in altri processi e al giudizi di attendibilità delle indicazioni che NOME COGNOME ebbe modo di recepire da COGNOME e COGNOME circa la partecipazione degli stessi all’omicidio, in ragione del genere di segnali da loro inviati e del particolare interesse del primo a tale fatto.
3.5. Dunque, tutte le doglianze mosse nei predetti motivi risultano infondate.
Il quarto motivo del ricorso dell’Avv. COGNOME avente ad oggetto nuovamente la ricostruzione del ruolo di autista del commando attribuito a COGNOME muove altre critiche solo rivalutative al motivato e logico apprezzamento della convergenza
dichiarativa, che non manca di misurarsi con la diversità delle modalità e dei momenti delle conoscenze acquisite sulla fase di cui trattasi da NOME COGNOME, da NOME COGNOME e da COGNOME, in modo da aggiungersi le une alle altre e da consentire una lettura coordinata di ciascun personale tassello informativo avente essenziale rilievo, per giungere ad un sicuro apprezzamento della stessa direzione accusatoria in un contesto ben lontano da qualsiasi sospetto “allineamento”.
La difesa, al contempo, dirotta l’attenzione delle critiche sugli altr ragionamenti motivazionali circa i movimenti delle auto citate dai collaboratori, senza considerare che si tratta delle ulteriori osservazioni volte a dare conto della plausibilità della ricostruzione desumibile dai convergenti contenuti dichiarativi, riguardanti invece quanto i propalanti appresero (di volta in volta direttamente o dai protagonisti dei fatti) e hanno continuato a ricordare in termini di certezza.
Il motivo in proposito focalizza certi passaggi motivazionali, isolandoli impropriamente dai restanti in connessione ai quali invece sono stati rassegnati, giungendo ad asserire la presenza di un corto circuito motivazionale solamente in ragione della formulazione di personali letture alternative dei modi e tempi in cui il commando, dopo la commissione del fatto, abbondonò l’auto rubata e poté disporre dell’altra auto con la quale raggiunse il luogo ove si trovava Caniello.
Dunque, anche le doglianze mosse in tale motivo sono prive di fondamento.
Infine, risulta parimenti infondato il quinto motivo del ricorso dell’Avv. COGNOME laddove lamenta il mancato riconoscimento per Tubello dell’attenuante di cui all’art. 114, cod. pen., mancando del tutto di confrontarsi con la rilevanza dell’apporto da questi fornito nella condotta concorsuale, componendo, con il ruolo di autista, il commando che pose in esecuzione l’omicidio come programmato.
Le censure esposte nel primo motivo del ricorso dell’Avv.ssa COGNOME oltre a risultare tutte infondate quando si riferiscono (con il medesimo approccio di quelle mosse dall’altro difensore) ai temi sopra già esaminati, non possono rappresentare alcuna sospetta progressione delle accuse, laddove mancano di cogliere che le insicurezze in dibattimento di NOME COGNOME a distanza di tanto tempo, hanno riguardato, secondo quanto chiaramente rappresentato in sentenza, semplicemente l’individuazione di COGNOME come una delle fonti delle sue informazioni dopo la consumazione dell’omicidio, in aggiunta comunque a quella, rimasta certa e in precedenza indicata, costituita da COGNOME (pagg 45 e 51 sent.).
Il motivo, inoltre, sviluppando altri rilievi sul tema, assume che NOME COGNOME avrebbe affermato che subito dopo l’omicidio COGNOME sarebbe ritornato nel rione a Napoli, riferendogli proprio nell’occasione le informazioni sull’omicidio.
La difesa non chiarisce però da dove si ricaverebbe tale lettura delle dichiarazioni, né considera l’esposizione di segno apposto della sentenza di primo grado (pagg. 30 e ss.) e quant’altro precisato da quella di appello (pagg. 39 e 45), circa la frequentazione quotidiana fra NOME COGNOME e gli altri correi, sì da rappresentarsi proprio contesti e momenti della trasmissione delle informazioni di cui trattasi non coincidenti con quelli immediatamente successivi all’omicidio.
Il motivo nel prosieguo continua a confrontarsi solo con alcune delle risposte intervenute e ne isola e rilegge il significato, mancando di considerare le coordinate funzionali e gli spazi consentiti in sede di verifica dell’attendibilità dì tipo frazion avuto riguardo in particolare a certe parti delle dichiarazioni dei fratelli COGNOME.
In tal modo ogni censura, centrata sulla non condivisione degli apprezzamenti di merito sul percorso dichiarativo riguardante la posizione dei soli mandanti, a prescindere dalle mere rivalutazioni che si introducono, non può rappresentare alcuna inadeguatezza del giudizio di attendibilità sulle accuse mosse dai predetti.
La difesa, al contempo, riferendosi all’esistenza a carico di COGNOME di una sola chiamata diretta, ignora o genericamente svaluta l’apprezzamento dei riscontri “individualizzanti” rinvenuti nelle altre due chiamate de relato (provenienti da NOME COGNOME e COGNOME) aventi come fonti autonome gli stessi autori materiali dei fatti.
A fronte delle precise e logiche risposte sul tema, si oppongono solo asserzioni, rivalutazioni e interpretazioni di certi spezzoni di frasi pronunziate da COGNOME nel corso dell’esame, così da isolarne impropriamente la reale valenza.
In tal modo si propone un iter argornentativo che rappresenta ancora la sola non condivisione del significato dimostrativo dei contributi dichiarativi, posto peraltro che le lacune conoscitive e nei ricordi via via citate, a fronte di tutte spiegazioni idonee a renderle irrilevanti, non possono compromettere la sicura lettura nel senso della convergenza delle accuse mosse a COGNOME quale autista che portò in auto i correi sui luoghi, li attese e poi ne garantì l’allontanamento.
Lo stesso irricevibile approccio si coglie nelle altre critiche alla ricostruzion del ruolo di autista svolto da COGNOME a proposito della quale il motivo ripropone lo stesso genere di considerazioni critiche contenute nel ricorso dell’altro difensore.
Tali considerazioni, come già osservato, mancano di tenere appropriatamente conto che i ragionamenti di merito al riguardo spiegano come la lettura del ruolo di autista del commando omicida assegnato a COGNOME potesse precisamente desumersi dalla combinazione dei contenuti dichiarativi dei collaboratori, sempre secondo quanto da ciascuno appreso e ricordato, in termini ragionevolmente non sovrapponili e non completi avuto riguardo a dettagli non essenziali, rimanendo comunque ferma la sicura convergenza sull’apporto che dall’inizio poté essere garantito da COGNOME quale affiliato al clan, in quel genere di agguato di camorra di interesse associativo e secondo quanto ideato e comunicato dai mandanti. i
Al riguardo la difesa, continuando a richiamare deduzioni in sede di appello come quelle sull’individuazione del veicolo utilizzato dal commando che commise l’omicidio e su quanto riferito dal collaboratore NOME COGNOME manca di confrontarsi con le appropriate risposte intervenute anche in proposito nella sentenza d’appello (pagg. 37, 38, 40, 43, 49, 51 e 52) o intende opporvi riletture che focalizzano, reinterpretano o isolano soltanto alcuni passaggi motivazionali.
Ne discende l’infondatezza delle doglianze mosse con il motivo di cui trattasi.
Il secondo motivo del ricorso dell’Avv. COGNOME nel lamentare il rigetto della richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale per escutere i test NOME COGNOME e NOME COGNOMENOME COGNOME richiama quanto dedotto al riguardo dalla difesa in sede appello, al fine di opporsi alle appropriate motivazioni del diniego, per come rappresentate a pagina 43 della sentenza laddove si dà conto dell’assenza della prognosi circa la possibile decisività dei suddetti mezzi di prova.
La difesa in questa sede non solo intende rappresentare tale decisività alla stregua di una rivisitazione di merito di alcuni altri elementi che via via apprezza, ma anche manca di considerare quanto rappresentato su tali stessi elementi in altre parti della motivazione della sentenza sempre a proposito del tema di cui trattasi (pagg. 37, 38, 40, 43, 49, 51 e 52), così non potendo smentire l’intera struttura argomentativa di merito che nel complesso ben illustra tutte le ragioni che giustificano quanto è stato riassuntivamente riportato nella suddetta pag. 43.
Seguendo tale irricevibile percorso, il motivo neppure considera quanto rilevato a pagina 18 della sentenza a proposito dell’inaffidabilità di ciò che era stato riferito da COGNOME sui fatti e, pertanto, anche di quanto si sarebbe detto “in giro” circa la presenza sui luoghi di NOME COGNOME, già esaminata in primo grado quale teste, senza che però la stessa avesse detto nulla in proposito, non avendo peraltro la difesa (che pur l’aveva citata) ritenuto di porle domande su quanto avesse visto.
Nessun difetto motivazionale può, dunque, essere rinvenuto sul tema.
Il terzo motivo dello stesso ricorso rileva che in sede di appello si era dedotto che, secondo quanto riferito da NOME COGNOME, COGNOME faceva parte della “squadretta” di NOME COGNOME mentre questi aveva escluso tale circostanza.
Il motivo deduce ciò tramite il mero richiamo di parti dei precedenti scritti difensivi, accompagnato solo da generici riferimenti a trascrizioni delle audizioni che evocano sola la laconica risposta di NOME COGNOME che si intende valorizzare.
Inoltre, ci si propone di rilevare l’insufficienza motivazionale sul punto della sentenza di appello facendo riferimento a pag. 44 di tale sentenza e non anche alla successiva pag. 49, ove ci si sofferma specificatamente sul tema dell’evolversi
nel tempo della posizione di COGNOME anche nell’ambito del contesto esecutivo delle azioni violente del clan, sia pure con il ruolo non di killer.
Né la difesa, quando fa riferimento alla “squadretta” di NOME COGNOME di cui avrebbe parlato NOME COGNOME, illustra i passi dichiarativi dai quali risulterebbe che
all’interno di tale “squadretta” avrebbero dovuto allora operare tutte persone direttamente designate per azioni violente poste in essere agli ordini di Sarno.
Ne deriva che il motivo non dà alcuna contezza della specificità e rilevanza delle deduzioni difensive in appello, così come della decisività dell’omissione della
risposta che si critica senza mai rapportarsi all’intero contenuto motivazionale.
Si tratta, pertanto, di un motivo che risulta per intero inammissibile.
9. L’ultimo motivo del ricorso dell’Avv.COGNOME avente ad oggetto il riconoscimento dell’aggravante della premeditazione mostra di considerare la
risposta motivazionale a pag. 52 della sentenza, ma non anche quella a pag. 51
ove si richiama quanto più diffusamente esposto alle pagg. 46 e 47, a specifica confutazione del motivo dell’appello dellAavv. Senese in punto di premeditazione.
Peraltro, le doglianze neppure si misurano con quanto rilevato nella stessa pag. 52, laddove si precisa altresì come i rilievi difensivi sul punto si fondavano sull’assunto, in altre parti specificatamente confutato, secondo cui COGNOME sarebbe comparso nell’ambito dell’intera vicenda solo con il compito di recuperare i correi.
Né ancora il motivo considera l’intera dinamica ideativa e della ferma risoluzione del proposito omicida secondo le deliberazioni e disposizioni dei mandanti e quanto comunicato da loro ai correi, sì da poter rilevare, comunque, l’insegnamento di legittimità secondo cui l’aggravante della premeditazione si applica anche al concorrente che non abbia direttamente premeditato il reato nel caso in cui lo stesso abbia acquisito, prima che si sia esaurito il proprio apporto volontario all’evento criminoso, l’effettiva conoscenza della altrui premeditazione (fra le altre, Sez. 1, n. 37621 del 14/07/2023, C., Rv. 285761 – 02).
Ne deriva l’infondatezza anche di quest’ultimo motivo.
10. Alla stregua delle considerazioni che precedono, i ricorsi vanno rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/03/2025.