Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 18423 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 18423 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Caltagirone il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/12/2023 del Tribunale di Catania visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME AVV_NOTAIO, il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 08/12/2023, il Tribunale di Catania rigettava la richiesta di riesame che era stata proposta da NOME COGNOME contro l’ordinanza del 15/11/2023 del G.i.p. del Tribunale di Catania con la quale era stata disposta, nei confronti dell’COGNOME, la misura della custodia cautelare in carcere per essere lo stesso %gravemente indiziato dei delitti di tentato omicidio pluriaggravato (dal metodo mafioso e dall’avere agito per motivi abietti) ai danni di NOME e di NOME COGNOME (capo A dell’imputazione provvisoria) e di detenzione e porto illegali di arma da fuoco aggravati (sempre ai sensi dell’art. 416-bis.1 cod. pen; capo B dell’imputazione provvisoria).
Il delitto di tentato omicidio sarebbe stato commesso dall’COGNOME in occasione di uno scontro a fuoco che ebbe luogo il 08/08/2020 a Catania nel quartiere Librino tra due clan mafiosi rivali, quello dei “COGNOME” (facente capo a NOME COGNOME e a NOME COGNOME e del quale avrebbe fatto parte l’COGNOME) e quello dei “RAGIONE_SOCIALE“.
2. Avverso tale ordinanza del 08/12/2023 del Tribunale di Catania, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a un unico motivo, con il quale deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. – e con riguardo alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dei due reati che gli vengono contestati l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 192 dello stesso codice, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in «ordine alla valutazione della cd. chiamata in correità» da parte del collaboratore di giustizia NOME COGNOME.
Il ricorrente premette che il proprio coinvolgimento nel menzionato scontro a fuoco si ebbe solo a seguito della collaborazione con la giustizia di NOME COGNOME, che lo aveva chiamato in correità, dopo che nessuno dei soggetti che avevano in precedenza deciso di collaborare con la giustizia aveva fatto a lui riferimento.
Ciò premesso, dopo avere richiamato i principi affermati dalla Corte di cassazione sul tema della valutazione delle chiamate in correità, il ricorrente deduce che quella fatta dal NOME nei propri confronti sarebbe priva dei cosiddetti riscontri esterni.
In particolare, contrariamente a quanto reputato dal Tribunale di Catania, non si potrebbe ritenere adeguato riscontro esterno il fatto che la denuncia che egli aveva presentato la sera stessa dello scontro a fuoco ai Carabinieri di Palagonia di avere subito la rapina del ciclomotore a lui in uso (il TARGA_VEICOLO targato TARGA_VEICOLO) – e che era stato rinvenuto abbandonato sul luogo della sparatoria – avrebbe mostrato «la assoluta inverosimiglianza di una versione, artatamente costruita per sottrarsi alle indagini, inevitabili una volta individuato, perché abbandonato sui luoghi della sparatoria, il mezzo in uso all’COGNOME» (pag. 29 dell’ordinanza impugnata). Secondo il ricorrente, «non si comprende tuttavia in che modo la denuncia possa convergere in ordine alla condotta materiale contestata all’indagato» e costituire un adeguato riscontro esterno individualizzante in ordine sia alla sua presenza sulla scena della sparatoria – considerato che, come già ricordato, nessuno dei precedenti collaboratori di giustizia aveva riferito di averlo colà visto – sia a condotta materiale da lui posta in essere nella fase preparatoria ed esecutiva della stessa sparatoria, trattandosi di «”riscontro” eccessivamente generico e non idoneo, in modo causale e rappresentativo, a ricondurre l’indagato alla fattispecie di reato allo stesso contestata». La conclusione del Tribunale di Catania secondo
cui «non vi è dubbio che chi partecipò al conflitto a fuoco, ingaggiato con il gruppo rivale, detenendo ed utilizzando armi in una pubblica via, abbia compiuto per ciò stesso atti idonei univocamente diretti a commettere omicidio, a prescindere dalle caratteristiche concrete delle lesioni in tal modo provocate» (pag. 32 dell’ordinanza impugnata) sarebbe «assolutamente fuorviante, nonché in evidente contrasto con l’art 192 comma 3 c.p.p., che tale valutazione si estenda anche nei confronti dell’indagato COGNOME NOME, atteso che solo il collaboratore COGNOME NOME riferisce che l’COGNOME avrebbe detenuto e utilizzato un’arma da fuoco il giorno della sparatoria e non c’è alcun ulteriore riscontro a tali dichiarazioni che possa avvalorare tale circostanza».
Il ricorrente contesta altresì che il Tribunale di Catania abbia ritenuto «le obiezioni difensive senz’altro recessive» (pag. 28 dell’ordinanza impugnata), con particolare riguardo alle obiezioni che: a) non potrebbe essere «priva di rilevanza la circostanza che un solo Collaboratore di Giustizia descriva la condotta materiale che l’COGNOME NOME avrebbe posto in essere nell’episodio delittuoso contestato e che solo un unico e solo Collaboratore di Giustizia abbia riferito circa la presenza del predetto durante la sparatoria»; b) «non è revocabile in dubbio che una pregressa lite intercorsa tra il collaboratore e l’indagato COGNOME NOME per il recupero di un credito da parte dell’COGNOME – con allegata documentazione sia una circostanza che vada ad incidere sull’attendibilità del COGNOME quantomeno in relazione alla “credibilità del dichiarante in relazione, tra l’altro .. ai suoi rap con il chiamato in correità”».
CONSIDERATO IN DIRITTO
L’unico motivo non è consentito.
Occorre preliminarmente rammentare che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno da tempo chiarito che, «n tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad ess ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi d diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie» (Sez. U., n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828-01).
Tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti di
questa Corte (tra le altre: Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, Tiana, Rv. 25546001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012-01).
Da ciò consegue che «’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 stesso codice è rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di specifiche norme di legge od in mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. (In motivazione, la S.C. ha chiarito che il controllo di legittimità non concerne né la ricostruzione dei fatti, n l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanz e concludenza dei dati probatori, onde sono inammissibili quelle censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze già esaminate dal giudice di merito)» (tra le altre: Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400-01).
Più in generale, con riguardo all’illogicità della motivazione, si deve ricordare che l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha u orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu ()culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794-01; in senso analogo, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074-01).
In tema di chiamata in correità (o in reità), le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno chiarito che, nella valutazione di tali chiamate, il giudice, ancora prima di accertare l’esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibili soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del su racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145-01).
Pure tale orientamento, dal quale il Collegio non ha ragione di discostarsi e al quale intende, perciò, dare continuità, è stato ribadito anche in pronunce più recenti della Corte di cassazione (Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, Khess, Rv. 276676-01; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348-01).
In tema di riscontri dei quali necessitano le menzionate chiamate in correità o in reità, la Corte di cassazione ha costantemente affermato che essi possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, e a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbian lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Campo, Rv. 276744-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260607-01; Sez. 4, n. 5821 del 10/12/2004, dep. 2005, COGNOME, Rv. 231301-01).
È altresì consolidato, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, il principio secondo cui il sindacato di legittimità sulla valutazione delle chiamate di correo non consente il controllo sul significato concreto di ciascuna dichiarazione e di ciascun elemento di riscontro, perché un tale esame invaderebbe inevitabilmente la competenza esclusiva del giudice di merito, potendosi solo verificare la coerenza logica delle argomentazioni con le quali sia stata dimostrata la valenza dei vari elementi di prova, in sé stessi e nel loro reciproco collegamento (Sez. 1, n. 36807 del 13/11/2020, COGNOME, Rv. 280058-01; Sez. 6, n. 33875 del 12/05/2015, COGNOME, Rv. 264577-01; Sez. 5, n. 2086 del 17/09/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 245729-01).
4. Richiamati tali principi, affermati dalla Corte di cassazione, si deve anzitutto rilevare come il Tribunale di Catania abbia in primis specificamente verificato sia la credibilità soggettiva del collaboratore di giustizia NOME – il quale aveva riferi che alla spedizione armata che era stata ordita dagli appartenenti al clan “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti degli appartenenti al clan dei “RAGIONE_SOCIALE” aveva partecipato, tra gli altri, oltre a lui stesso, anche l’COGNOME, a bordo del ciclomoto Tmax a lui in uso, e che lo stesso COGNOME, con una pistola a tamburo cromata, aveva sparato in direzione degli occupanti di una Fiat Panda azzurra e aveva poi minacciato, con la stessa pistola, il conducente di un’autovettura costringendolo così a consegnargli l’automezzo – sia l’attendibilità oggettiva delle dichiarazioni dello stesso collaboratore (pag. 28 dell’ordinanza impugnata).
In particolare, lo stesso Tribunale di Catania, nel sottolineare come il COGNOME, al momento della propria decisione di collaborare con la giustizia, non fosse indagato per i fatti de quibus, ha affrontato le questioni, sollevate dalla difesa: a) dell’asserita inimicizia del collaboratore nei confronti dell’COGNOME, la quale sarebbe stata determinata da un debito che il COGNOME avrebbe avuto nei confronti dell’COGNOME per una fornitura di carne non pagata a quest’ultimo, rilevando come i documenti che erano stati prodotti al riguardo dalla difesa dell’indagato fossero costituiti da mere fotocopie e fossero comunque inidonei a provare che il suddetto debito non era stato pagato; b) che gli altri precedenti collaboratori di giustizia non avevano menzionato l’COGNOME tra i partecipanti alla sparatoria, ritenendo che ciò poteva trovare una spiegazione non nella mendacità delle dichiarazioni del COGNOME ma nell’alto numero di coloro che avevano partecipato alla spedizione armata e nel fatto che non tutti, perciò, si dovevano necessariamente conoscere.
In secondo luogo, con riguardo ai necessari riscontri estrinseci a tale chiamata in correità da parte del COGNOME, il Tribunale di Catania ha valorizzato l’elemento costituito dalla falsità della denuncia di rapina del ciclomotore Tmax che era in uso all’COGNOME, da questi presentata, la sera stessa della sparatoria, ai Carabinieri d Palagonia, motivandone, sulla base di un’analisi particolareggiata dello stessa denuncia, l’inverosimiglianza dei relativi contenuti (pagg. 29-30 dell’ordinanza impugnata), il che comprovava sia che l’COGNOME aveva artatamente cercato di sottrarsi alle indagini, le quali avrebbe ct, inevitabilmente fatto seguito al rinvenimento del suddetto ciclomotore nei luoghi della sparatoria, sia che egli, con lo stesso ciclomotore, era stato effettivamente presente in tali luoghi, come era stato affermato dal collaboratore di giustizia. Si tratta di un riscontro certamente individualizzante, atteso che esso costituisce un elemento che è evidentemente idoneo a collegare il fatto della sparatoria alla persona del chiamato in correità COGNOME.
Tale motivazione del Tribunale di Napoli, che l’ha indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’COGNOME, appare del tutto congruente rispetto agli elementi indizianti costituiti dalla più volte menzionata riscontrat chiamata in correità e dal rinvenimento del ciclomotore in uso allo stesso COGNOME nei luoghi della sparatoria, avuto riguardo sia ai canoni della logica sia alle regole che governano la valutazione delle chiamate in correità.
A fronte di ciò, il motivo di ricorso risulta sostanzialmente diretto a sollecitar una diversa valutazione in ordine alla credibilità del COGNOME e all’attendibilità de sue dichiarazioni, oltre che al significato da attribuire all’indicato elemento d riscontro delle stesse, il che, come si è visto ai punti 2 e 3, non è consentito fare in sede di legittimità.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 22/03/2024.