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Chiamata in correità: la Cassazione e i riscontri

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per rapina e furto sulla base delle dichiarazioni di due coimputati. La sentenza analizza il valore della chiamata in correità, stabilendo che le dichiarazioni convergenti di più coimputati e i dati dei tabulati telefonici costituiscono validi riscontri esterni, sufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza, anche alla luce delle recenti normative sul trattamento dei dati del traffico telefonico.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in correità: quando le accuse dei complici sono prova?

La valutazione della chiamata in correità, ovvero l’accusa mossa da un imputato verso un suo presunto complice, rappresenta uno dei temi più delicati del processo penale. La sua attendibilità è sempre soggetta a un vaglio rigoroso da parte del giudice. Con la sentenza n. 12629 del 2024, la Corte di Cassazione torna su questo punto cruciale, chiarendo quali elementi possono fungere da valido riscontro a tali dichiarazioni e confermando la solidità di un impianto accusatorio basato su prove dichiarative convergenti e dati oggettivi come i tabulati telefonici.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per una serie di episodi di rapina aggravata e furto pluriaggravato, commessi in concorso con altri. La condanna si fondava principalmente sulle dichiarazioni accusatorie di due coimputati, i quali avevano descritto in dettaglio il ruolo del ricorrente all’interno del gruppo criminale: egli era incaricato di reperire i veicoli (furgoni) utilizzati per raggiungere le banche da rapinare e per la successiva fuga.

Le Obiezioni alla Chiamata in Correità

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello. Secondo il ricorrente, le dichiarazioni dei coimputati non erano state adeguatamente verificate e mancavano di riscontri esterni ‘individualizzanti’, come richiesto dall’articolo 192 del codice di procedura penale. In particolare, si sosteneva che:

1. I riscontri indicati dai giudici (tabulati telefonici, contatti con altri membri del gruppo, noleggio di furgoni) erano generici e non collegavano direttamente l’imputato alle singole rapine.
2. I tabulati telefonici, che attestavano la presenza dell’imputato in aree limitrofe ai luoghi dei crimini, non avevano una reale capacità indiziante.
3. La Corte non aveva considerato precedenti sentenze di assoluzione in altri procedimenti, dove la credibilità degli stessi accusatori era stata messa in dubbio.
4. Una recente normativa (L. 178/2021) limiterebbe l’uso dei tabulati, che potrebbero essere utilizzati solo ‘unitamente ad altri elementi di prova’, sostenendo che non potessero quindi servire a riscontrare una prova (la chiamata in correità) che a sua volta necessita di riscontri.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici di legittimità hanno confermato la correttezza del percorso logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello, le cui motivazioni si integravano perfettamente con quelle del giudice di primo grado.

Le Motivazioni della Sentenza

Il cuore della decisione risiede nella riaffermazione di principi consolidati in materia di valutazione della prova. La Cassazione ha spiegato perché le censure difensive non potevano essere accolte.

In primo luogo, la Corte ha sottolineato che l’attendibilità dei dichiaranti era stata correttamente valutata. Le dichiarazioni di uno dei coimputati erano precise, circostanziate e rese in una fase iniziale delle indagini, escludendo così la possibilità di accordi o intenti calunniatori. Inoltre, un primo e fondamentale riscontro proveniva dalle dichiarazioni dell’altro coimputato, che aveva confermato il ruolo del ricorrente nel gruppo, ammettendo le proprie responsabilità per i furti commessi su sua commissione. La giurisprudenza è costante nell’affermare che le dichiarazioni di più coimputati, se convergenti sul nucleo centrale della narrazione, possono riscontrarsi a vicenda.

In secondo luogo, i riscontri esterni non devono necessariamente costituire una prova autonoma del fatto, ma devono essere elementi ulteriori che collegano l’accusato al reato. In questo caso, i dati del traffico telefonico, che collocavano l’imputato in prossimità dei luoghi e negli orari dei delitti, non erano l’unico riscontro, ma si aggiungevano alle dichiarazioni incrociate dei due complici, rafforzando l’impianto accusatorio.

Riguardo alla nuova normativa sui dati del traffico telefonico, la Corte ha chiarito che la regola legale è rispettata quando la condanna non si fonda esclusivamente su tali dati, ma anche su ‘elementi di prova ulteriori’, come le stesse chiamate in correità. Si tratta di un sistema di reciproca conferma che non viola la legge. Infine, è stato ribadito il principio dell’autonomia dei giudizi: eventuali sentenze di assoluzione in altri processi non possono condizionare la valutazione delle prove in un procedimento diverso, che si basa su emergenze processuali proprie.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce che la chiamata in correità è uno strumento probatorio valido, a condizione che sia sottoposta a un’attenta verifica di credibilità e supportata da riscontri esterni. Tali riscontri possono legittimamente consistere in altre dichiarazioni accusatorie convergenti e in elementi di fatto, come i tabulati telefonici. La decisione chiarisce che il rigore richiesto dalla legge non si traduce in una ‘prova diabolica’, ma in una valutazione complessiva e logica di tutti gli elementi a disposizione del giudice, al fine di raggiungere un giudizio di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio.

La dichiarazione di un complice è sufficiente per una condanna?
No, da sola non è sufficiente. L’articolo 192 del codice di procedura penale richiede che la chiamata in correità sia valutata unitamente ad altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità e la veridicità.

Le dichiarazioni di due complici possono confermarsi a vicenda?
Sì. La Corte di Cassazione ha ribadito che, qualora i riscontri esterni siano costituiti da ulteriori dichiarazioni accusatorie, queste devono convergere sul fatto materiale e avere portata individualizzante, cioè riferirsi specificamente all’incolpato e alle accuse a lui ascritte. In tal caso, possono fungere da reciproco riscontro.

I tabulati telefonici possono essere usati come riscontro a una chiamata in correità?
Sì. Secondo la sentenza, i dati del traffico telefonico che collocano l’imputato in prossimità dei luoghi del delitto costituiscono un valido elemento di riscontro esterno, soprattutto se valutati insieme ad altre prove, come le dichiarazioni di un altro coimputato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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