Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3777 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3777 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a COSENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 22/09/2022 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANZARO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il P.G. conclude chiedendo annullamento limitatamente al reato contestato al capo b) trattandosi di reato estinto per sopravvenuta prescrizione con conferma della pena inflitta a COGNOME NOME , COGNOME NOME e COGNOME NOME. Riduzione di mesi 8 di reclusione per la pena inflitta a COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Inammissibilità dei restanti motivi.
udito il difensore
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi e deposita conclusioni e nota spese.
L’AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo il rigetto dei ricorsi e deposita le conclusioni e nota spese per le sue parti e per quelle di cui è delegato.
AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’AVV_NOTAIO NOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME NOME conclude chiedendo l’accoglimentc del ricorso.
L’AVV_NOTAIO COGNOME conclude chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. I giudizi di merito hanno avuto ad oggetto le contestazioni elevate a COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME in riferimento al concorso nell’omicidio (premeditato) di COGNOME NOME (capo a) ed al tentato omicidio di COGNOME NOME (capo b), fatti avvenuti in Cosenza il 28 luglio del 2004.
L’esito dei due giudizi di merito – sentenza di primo grado emessa dal GUP del Tribunale di Catanzaro in data 11 maggio 2020; sentenza di secondo grado emessa COGNOME Corte di Assise di Appello di Catanzaro il 22 settembre 2022 – è nel senso della affermazione di responsabilità per i fatti contestati (riqualificato in lesioni capo b) , con condanne come segue (in secondo grado): COGNOME NOME anni 30 di reclusione; COGNOME NOME anni 30 di reclusione; COGNOME NOME anni 30 di reclusione; COGNOME NOME anni 8 di reclusione; COGNOME NOME anni 8 di reclusione.
Secondo le decisioni di merito, l’omicidio di COGNOME NOME – ritenuto esponente del clan RAGIONE_SOCIALE – è maturato in un contesto di contrapposizione mafiosa insorta tra il clan RAGIONE_SOCIALE e il gruppo RAGIONE_SOCIALE.
La decisione di eliminare COGNOME sarebbe stata presa da COGNOME NOME, successivamente deceduto, con il concorso – a vario titolo – degli attuali ricorrenti, nonché di COGNOME NOME (non ricorrente).
La sentenza di primo grado ricostruisce il fatto delittuoso sulla base, essenzialmente, dei seguenti elementi di prova:
le risultanze di prova generica sul fatto delittuoso, avvenuto alle ore 8.30 del 28 luglio 2004 con utilizzo di una arma da fuoco (le vittime erano insieme all’interno di una vettura condotta dal COGNOME / gli aggressori viaggiavano a bordo di una moto Yamaha e indossavano caschi integrali / la moto, successivamente rinvenuta, era stata oggetto di furto il 25 luglio del 2004) ;
la coincidenza di ‘data’ tra l’omicidio del COGNOME e quello di NOME COGNOME (padre di NOME COGNOME), avvenuto il 29 luglio di 5 anni prima;
le dichiarazioni rese, nel corso del tempo, da diversi collaboratori di giustizia (intranei al gruppo RAGIONE_SOCIALE o a quello COGNOME) per lo più de relato, nonché quelle ‘dirette’ rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME, coimputati e attuali ricorrenti, cui si unisce il contributo di COGNOME NOME, già compagna di NOME COGNOME.
Rimandando al testo della decisione per l’esposizione dei contenuti narrativi, va ricordato che secondo la valutazione del GUP vi è sostanziale convergenza tra i diversi apporti narrativi sui punti essenziali della vicenda (genesi e modalità esecutive). Si afferma che l’esistenza di alcune discordanze (in particolare tra il narrato del COGNOME e quello del COGNOME) non intacca il nucleo essenziale dei racconti provenienti dai diversi dichiaranti.
L’omicidio sarebbe stato progettato ed eseguito da NOME COGNOME unitamente a NOME COGNOME (autista della moto). NOME COGNOME avrebbe svolto ausilio pedinando la vittima designata nei giorni antecedenti e avrebbe avvisato i Killers della presenza del COGNOME. Quanto ai ruoli svolti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME (soggetto che in quel periodo ospitava il COGNOME, latitante), costoro vengono indicati come coinvolti nella fase organizzativa da COGNOME NOME e da COGNOME NOME (soggetti che avrebbero svolto compiti di supporto logistico).
La decisione di secondo grado conferma il giudizio di attendibilità dei collaboranti
e la sostanziale convergenza dei contenuti narrativi.
Le discordanze tra alcuni segmenti della narrazione vengono ritenute da un lato indicative di genuinità della collaborazione di ciascuno (perché dimostrative della assenza di accordi fraudolenti), dall’altro il ‘portato ineliminabile’ del decorso del tempo tra ‘accadimento storico’ e ‘narrazione’, in alcuni casi superiore al decennio. Si conferma, altresì, la individuazione dei ruoli concorsuali come specificati nella decisione di primo grado e si ritengono infondate le prospettazioni difensive. La Corte di secondo grado riqualifica in termini di lesioni la fattispecie di reato di cui al capo b), ossia la condotta tenuta in danno del COGNOME.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge – COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
4.1 Due atti di ricorso sono stati introdotti nell’interesse di COGNOME NOME.
4.1.1 D primo, a firma del difensore AVV_NOTAIO, articola due motivi. Al primo motivo si deducono plurimi vizi argomentativi, violazione delle regole valutative della chiamata in correità e mancata risposta ai motivi di appello. In sintesi la difesa prospetta che la Corte di secondo grado, pure a fronte di specifiche critiche espresse nei motivi di appello circa la ritenuta attendibilità
intrinseca di COGNOME e COGNOME (fonti esclusive di accusa a carico di COGNOME) abbia finito col banalizzare il tema, realizzando una motivazione apparente.
Si evidenziano i punti di contrasto tra le due dichiarazioni (anche in merito alla condotta tenuta da costoro il giorno in cui venne consumato l’omicidio) e si precisa ulteriormente che manca del tutto l’analisi dell’apporto fornito, in ipotesi, dall’COGNOME all’ azione delittuosa.
Non è, inoltre, di poco momento, l’assenza di riferimenti ad COGNOME NOME da parte sia di COGNOME NOME (che lo indica come presente solo al momento conviviale posteriore al delitto, da ritenersi un post factum) che di COGNOME NOME, data la particolare ‘caratura’ dei dichiaranti.
Secondo la difesa la stessa genesi del delitto è caratterizzata non già da una deliberazione collettiva quanto COGNOME esistenza di un motivo di vendetta ‘personale’ da parte di NOME COGNOME (COGNOME era ritenuto autore dell’omicidio di NOME COGNOME, come si è detto).
Si sostiene, dunque, che la Corte di secondo grado abbia solo in apparenza dato applicazione ai contenuti normativi ed ai principi giurisprudenziali in tema di valutazione di dichiarazioni accusatorie.
Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge in riferimento alla negazione delle circostanze attenuanti generiche.
4.1.2 Il secondo atto di ricorso relativo ad COGNOME NOME è a firma del difensore AVV_NOTAIO. Le linee espressive di doglianza sono del tutto assimilabili a quelle dell’atto già menzionato, in rapporto alla assenza di reale motivazione sui profili di attendibilità dei dichiaranti COGNOME e COGNOME.
4.2 Anche nell’interesse di NOME NOME sono stati introdotti due atti di ricorso.
4.2.1 Il primo, a firma del difensore AVV_NOTAIO, è articolato in due motivi.
Al primo motivo si deduce vizio di motivazione in punto di responsabilità.
La posizione di COGNOME si ritiene valutata in modo apparente, a fronte dei medesimi dubbi circa la convergenza del portato narrativo proveniente dai dichiaranti COGNOME e COGNOME (fonti prioritarie a carico).
Vengono richiamati i – non risolti – contrasti tra i due dichiaranti.
Si rammenta che NOME, in diverso procedimento, è stato assolto dall’accusa di partecipazione al clan RAGIONE_SOCIALE.
Ciò esclude che il ricorrente – che pure forniva ospitalità al latitante COGNOME – possa essere stato coinvolto nelle riunioni in cui si decise di commettere l’omicidio.
Si evidenzia inoltre che la decisione di secondo grado pare desumere la responsabilità dell’COGNOME dal fatto che anche il giorno dell’omicidio NOME COGNOME partì COGNOME abitazione dell’COGNOME (ove dimorava) e lì fece rientro dopo il fatto. Ma si tratta, in realtà, di un dato probatorio neutro, posto che da nulla si rileva la consapevolezza dell’COGNOME circa le condotte tenute, all’esterno della abitazione dal COGNOME.
Non vi è pertanto una coerente dimostrazione del ruolo, in ipotesi, tenuto dall’NOME.
Al secondo motivo si rappresenta la violazione di legge per l’intervenuta prescrizione del fatto di reato di cui al capo t)), come qualificato in secondo grado. La prescrizione è maturata prima della decisione di secondo grado.
4.2.2 U secondo atto di ricorso è a firma del difensore AVV_NOTAIO ed articola sei motivi.
Al primo motivo si deduce vizio di inutilizzabillità delle dichiarazioni rese da COGNOME NOME.
La Corte di Appello non si è espressa su tale punto, contenuto nei motivi colà proposti, relativo alla pubblicazione di un video del COGNOME su un social network, in violazione del codice di comportamento dei collaboranti.
Al secondo motivo si deduce vizio di motivazione in punto di responsabilità ed in riferimento al reato di cui al capo a).
Le doglianze sono analoghe a quelle introdotte con il motivo già oggetto di sintesi. Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo b).
Al quarto motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alle ritenute aggravanti.
Al quinto motivo si deduce vizio di motivazione per l’omessa valutazione di un memoriale dell’imputato, che viene allegato all’atto di ricorso.
Al sesto motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento al trattamento sanzionatorio.
4.3 Il ricorso proposto nell’interesse di NOME – a firma dei difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO – è affidato a cinque motivi.
4.3.1 Al primo motivo si deduce l’intervenuta prescrizione, maturata prima della decisione impugnata, del reato di cui al capo b), come riqualificato in secondo grado. La decisione è intervenuta a distanza di diciotto anni dal fatto, ampiamente prescritto.
4.3.2 Al secondo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla consapevolezza del finalismo mafioso in capo al ricorrente.
COGNOME è estraneo alle logiche di appartenenza mafiosa ed è stato assolto, in separato procedimento, COGNOME contestazione associativa.
Non può ipotizzarsi, pertanto, una condivisione di simile finalità, in un contesto dimostrativo che, peraltro, è dominato COGNOME emersione di una causale ‘personale’ di NOME COGNOME.
4.3.3 Al terzo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla affermazione di responsabilità.
Si evidenzia che le dichiarazioni della COGNOME NOME e quelle del COGNOME sono de relato, aspetto che avrebbe dovuto condurre ad un maggior rigore valutativo e che i dichiaranti COGNOME e COGNOME hanno reso versioni non coincidenti su taluni punti essenziali.
Da ciò la denunzia di cattiva applicazione delle regole normative e dei principi giurisprudenziali in tema di valutazione della chiamata in correità.
4.3.4 Al quarto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione con particolare riferimento alla carenza di elemento psicologico del reato.
Il COGNOME ha ammesso di aver fornito indicazioni al COGNOME sui luoghi frequentati dal COGNOME ma da ciò non può desumersi la consapevolezza soggettiva circa le intenzioni lesive coltivate dal COGNOME. La motivazione su questo punto è, in tesi, illogica e contraria al principio per cui ogni contributo materiale deve essere assistito dal dolo di concorso.
4.3.5 Al quinto motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il ruolo svolto dal COGNOME era di certo marginale e la negazione delle circostanze attenuanti generiche non è argomentata in modo adeguato.
4.4 Il ricorso proposto, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, da NOME NOME è affidato a due motivi.
4.4.1 Al primo motivo si deduce erronea applicazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla determinazione del trattamento sanzionatorio. La Corte di secondo grado ha applicato le circostanze attenuanti generiche, ma
con giudizio di equivalenza.
Si ritiene tale motivazione illogica e non adeguata, in ragione del mutamento di personalità e del rilievo della collaborazione.
4.4.2 Al secondo motivo si rappresenta la violazione di legge per l’intervenuta prescrizione del fatto di reato di cui al capo b), come qualificato in secondo grado. La prescrizione è maturata prima della decisione di secondo grado.
4.5 Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME, dal medesimo difensore, propone i medesimi motivi.
CONSIDERATO IIN DIRITTO
Sono fondati i ricorsi proposti nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in riferimento al capo a). Il reato di cui al capo b), così come qualificato in secondo grado, è estinto per intervenuta prescrizione, con effetto estensibile a tutti i ricorrenti. I ricorsi proposti da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME sono, nel resto, da respingersi, per le ragioni che seguono.
1.1 Nell’affrontare i temi posti dai ricorrenti conviene premettere alcune considerazioni di ordine generale circa l’ambito del controllo esercitabile in sede di legittimità sul vizio di motivazione e sulla corretta applicazione delle regole normative che esprimono criteri generali di valutazione del materiale probatorio (ex artt. 192, 533 cod.proc.pen.).
Secondo il costante insegnamento di questa Corte il sindacato sulla motivazione del provvedimento impugnato va compiuto attraverso l’analisi dello sviluppo motivazionale espresso nell’atto e della sua interna coerenza logico-giuridica,
trattandosi di valutare non già il fatto – in quanto tale – ma l’opzione de/fatto come recepita dal giudice di merito (Sez. I, 6.6.11)96, ric. Lombardi).
In tal senso, è sovente evidenziato il limite di apprezzamento delle risultanze istruttorie da parte di questa Corte, non essendo possibile compiere – in sede di legittimità – nuove attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa lettura, maggiormente esplicativa, e sempre che non sia rilevabile, in sede di verifica, un vizio specifico, tale da comportare di per sè d’annullamento della decisione (si veda, ex multis, Sez. VI n. 11194 del 8.3.2012, ric. Lupo, Rv 252178).
Ciò, peraltro, non esclude la necessità di apprezzare – anche in sede di controllo di legittimità e sempre restando nel ‘perimetro’ della verifica dei motivi espressi nella decisione di merito – l’avvenuto assolvimento del dovere di «completezza e persuasività» della motivazione in rapporto alle regole di giudizio che presidiano l’affermazione della penale responsabilità (art. 533 comma l cod. proc. pen.) e normativizzano talune coordinate essenziali della parte ricostruttiva del giudizio (art. 192 commi 2 e 3 cod.proc.pen.).
Il principio – ormai definitivamente recepito nel sistema processuale italiano – per cui la penale responsabilità deve essere accertata «al di là di ogni ragionevole dubbio» (nel senso che il dato probatorio acquisito deve essere tale da lasciar fuori solo eventualità remote, pur astrattamente formulabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione nella fattispecie concreta risulti priva del benchè minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose e della ordinaria razionalità umana, secondo l’assunto di Sez. I n. 31456 del 21.5.2008, iv 240763) altro non è che la plastica rappresentazione dell’ordinario procedimento logico sulla base del quale si può ritenere raggiunta, in sede giudiziaria, la prova positiva di una «proposizione» che racchiude in sè un rapporto tra un fatto e il suo autore, quale è l’imputazione.
L’avvenuta ricezione normativa del criterio epistemologico chiude un percorso di generalizzazione condivisa, che trova origine nella indicazione di specifiche regole (già nel testo del codice del 1988) tese a guidare l’attribuzione di rilevanza probatoria agli elementi di prova indiziaria (art. 192 comma 2) e agli elementi di prova dichiarativa diversi COGNOME testimonianza (art. 192 comrru 3 e 4) e connotati COGNOME non ‘autosufficienza’ dimostrativa (in tal senso già Sez. I, n. 2100 del 6.5.’94, ric. rv 198079) .
In tal senso, le diverse norme in questione si completano e si influenzano a vicenda, trattandosi di criteri logici tesi da un lato a garantire il metodo (art.192)
dall’altro a rendere accettabile il risultato (art. 533) dell’intera operazion ricostruttiva.
Lì dove si apprezzi l’inosservanza di tali precetti, pertanto, la motivazione della sentenza può risultare viziata non tanto in punto di mera logicità interna quanto in ragione del generale dovere di rapportare il giudizio sul fatto alle regole decisòrie tipiche della fase presa in esame, come affermato in più occasioni da questa Corte di legittimità (si veda, tra le altre, Sez. VI n. 8705 del 24.1.2013, che, pur occupandosi in via diretta del caso di una condanna intervenuta nel giudizio di secondo grado, efficacemente qualifica in via generale la tipologìa di vizio in questione – derivante COGNOME violazione del canone di giudizio di cui all’art. 533 – in termini di «peculiare concretizzazione del vizio dell’apparenza di motivazione»).
1.2 Ciò posto, vanno ricordate le principali coordinate giurisprudenziali in tema di controllo motivazionale emerse nella presente sede di legittimità.
Le funzioni di controllo sull’apparato argomentativo, delimitate COGNOME avvenuta esplicazione dei motivi di ricorso, possono comportare diversi livelli di verifica :
verifica circa la completezza e la globalità della valutazione operata in sede di merito, non essendo consentito operare irragionevoli parcelliz2:azioni del materiale indiziario raccolto (in tal senso, tra le molte,, Sez. H n. 9269 del 5.12.2012, COGNOME, Rv. 254871) nè omettere la valutazione di elementi obiettivamente incidenti nella economia del giudizio (in tal senso Sez. IV, n.14732 del :1.3.2011, Molinario, Rv 250133 nonchè Sez. I, n.25117 del 14.7,2006, COGNOME, Rv 234167) ;
verifica circa l’assenza di evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica tali da compromettere passaggi essenziali del giudizio formulato (si veda in particolare la ricorrente affermazione della necessità di scongiurare la formulazione di giudizi meramente congetturali, basati cioè su dati ipotetici e non su massime di esperienza generalmente accettate, rinvenibile di recente in Sez. VI n. 6582 del 13.11.2012, COGNOME, Rv 254572 nonchè in Sez. H n. 44048 del 13.10.2009, Cassarino, Rv 245627) ;
verifica circa l’assenza di insormontabili contraddizioni interne tra i diversi momenti di articolazione del giudizio (cd. contradditorietà interna) ;
verifica circa la corretta attribuzione di significato dimostrativo agli elementi valorizzati nell’ambito del percorso seguito (applicazione dell’art. 192) e circa l’assenza di incompatibilità di detto significato con specifici atti del procedimento indicati ed allegati in sede di ricorso (cd. travisamento della prova) lì dove tali att siano dotati di una autonoma e particolare forza esplicativa, tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante (in tema di incidenza del travisamento,
ex multis , v. Sez. I n. 41738 del 19.10.2011, Rv 251516, ove si è precisato, sul punto, che «.. non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante; ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento» ).
Nell’applicare tali principi al caso qui trattato, occorre anche evidenziare che la copiosa elaborazione della regola normativa di cui all’art. 192 comma 3 cod.proc.pen. in tema di valore probatorio della chiamata in correità consente di attenuare lo scetticismo iniziale espresso da autorevole dottrina nei confronti del dato normativo in questione (definito come formula ma/riuscita, trattandosi di argomento non codificabile, in quanto involge questioni da clinica giurisprudenziale).
Nell’interpretare la locuzione NOME elementi di prova che ne confermano l’attendibilità contenuta nell’art. 192 connma 3 cod.proc.pen. – va anzitutto precisato che la conferma imposta COGNOME norma non è direzionata alla persona del dichiarante (soggetto la cui attendibilità è da valutarsi preventivamente, in rapporto alla esistenza di indicatori tali da asseverare la sua partecipazione al fatto narrato o comunque da rappresentare con assoluta chiarezza le modalità della sua conoscenza) ma alle specifiche dichiarazioni (come già ritenuto, tra le altre, da Sez. VI nella decisione del 7.5.1999, ric. Emmanuello non nnassimata – ove si afferma con chiarezza che una lettura del genere sarebbe, infatti, contraria non solo alla ratio legis, ma anche alla lingua italiana, perché la particella .. ne.., nell’espressione ‘ ne confermano l’attendibilità’ va riferita al soggetto della frase, che è il sostantivo ‘le dichiarazioni’ , le quali, appunto, devono essere confortate da NOME elementi che ne confermino l’attendibilità).
Va anche precisato che nell’utilizzare l’espressione elementi di prova il legislatore ha di certo inteso evidenziare :
la natura ontologica degli elementi utilizzati come riscontro, nel senso che gli stessi non possono concretizzarsi in meri sospetti (non basati su dati sensibili
ma solo su elaborazioni soggettive) ma devono possedere una autonoma consistenza e una, sia pur limitata, capacità rappresentativa;
la correlazione con il principio di pertinenza (ai sensi dell’art. 187 cod.proc.pen.) tra detti elementi e l’imputazione contestata. Dunque il riscontro – seppure in via mediata – non può limitarsi ad accrescere l’attendibilità intrinseca del dichiarante (in punto di attendibilità soggettiva) ma deve comunque essere riferibile (sia pure solo sul piano logico-deduttivo)
ai fatti delittuosi attribuiti nella specifica decisione all’indagato .
Ovviamente, tale idoneità probatoria dell’elemento di riscontro non va intesa in termini di «autosufficienza», dovendo comunque lo stesso fungere da ‘necessario completamento’ della narrazione oggetto di verifica (cfr., tra le molte, già Sez. VI n. 5649 del 22.1.1997, ric. Dominante, nella parte in cui si precisa che la funzione processuale degli ‘NOME elementi di prova’ è semplicemente quella di confermare l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie’ il che significa che tali elementi sono in posizione subordinata ed accessoria rispetto alla prova derivante COGNOME chiamata in correità, avendo essi idoneità probatoria rispetto al thema decidendum non da soli, ma in riferimento alla chiamata; NOMEmenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità dell’imputato, non entra in gioco la regola dell’art.192 co.3, ma quella generale in tema di pluralità di prove e di libera valutazione di esse da parte del giudice; nello stesso senso, Sez. VI n.4108 del 17.2.1996, ric. COGNOME, rv 204439).
Così come, secondo il chiaro insegnamento derivante da Sez. VI, 6.3.2000 ric. Fortugno, il dato probatorio (della più diversa natura e provenienza) valorizzabile in chiave di riscontro può anche riferirsi a fatti apparentemente secondari, dai quali sia possibile risalire, con logica deduzione, all’oggetto dell’accusa.
Nel compiere l’ operazione valutativa, pertanto, va accuratamente vagliata la ‘capacità dimostrativa’ del singolo elemento di riscontro, secondo criteri capaci di selezionare – sul piano logico – l’apporto fornito.
2.1 Non appare inutile, pertanto, evidenziare una distinzione di carattere generale
nel territorio qui esaminato – tra :
elementi che rappresentano la mera possibilità che il narrato del collaborante corrisponda al vero (ciò accade, ad esempio, nell’ipotesi in cui il dichiarante abbia rappresentato, come elemento rilevante, l’avvenuto colloquio con altre persone in carcere o in un determinato luogo frequentato dai protagonisti del colloquio. La comune detenzione di tali soggetti nel periodo indicato o la frequentazione del luogo in questione è un dato che obiettivamente sorregge la possibile verificazione
del colloquio, ma nulla dimostra, in via aggiuntiva, circa la sua effettività o il suo contenuto. O ancora, lo stato di libertà dell’incolpato al momento della commissione del fatto rende solo astrattamente possibile la sua attribuzione al soggetto indicato, e così via): si tratta, in tal caso , di semplici elementi di non/smentita, di certo utili sul piano della verifica di attendibilità intrinseca del dichiarante, ma che non possiedono una ‘autonoma’ capacità di asseverazione dei fatti posti a base della contestazione e non possono, quindi ritenersi riscontri alla narrazione operata nel senso imposto dall’art. 192 comma 3 ;
– elementi che accrescono la verosimiglianza della narrazione, rapportandosi, in via diretta ai fatti (o alle persone) oggetto di prova (in tal senso, la verifica positiv circa particolari specifici dell’azione delittuosa – difficilmente conoscibili o no divulgati in precedenza – accresce la complessiva idoneità rappresentativa della narrazione ; il possesso di mezzi o cose utilizzate per la commissione del reato o dallo stesso derivate, conformemente alla narrazione del dichiarante, in capo all’incolpato, è da ritenersi significativa, in assenza di razionali ipotesi alternative la stessa acclarata convergenza di più fonti dichiarative – dotate di reciproca autonomia genetica- parimenti si pone come dato accrescitivo rispetto alla dichiarazione di base, come riaffermato da Sez. U. n. 20804 del 29.11.2012) : si
– elementi che accrescono la verosimiglianza della narrazione, pur rappresentando un fatto diverso da quello oggetto di prova, ma ad esso ricollegabile sia sul piano oggettivo che, soprattutto, soggettivo; sul punto, è stato ritenuto, in molti arresti, che la riscontrata, duratura appartenenza ad un gruppo delittuoso, con uno specifico ruolo, rende probabile la partecipazione, dei diversi soggetti chiamati, alle azioni delittuose commesse da quel gruppo, in ciò incrementando il quantum di conoscenza posto a base della chiamata, e ciò specie in relazione alla 12- 17 consumazione di quei reati che siano concretamente ‘espressivi’ del programma delittuoso e sempre valutandosi in concreto la posizione del chiamato ( tra le molte, Sez. I, 30.3.’04, n.17886, ric. Voi/aro rv 228282; Sez. IV, 10.12.’04 n. 5821, COGNOME ; nonché Sez. VI n. 1472 del 2.11.1998, ric. COGNOME, rv 213446; Sez.II, 23.10.’03, ric. Avare//o e Sez. VI, n.41352 del 24.9.2010, ric. COGNOME, rv 248713) così come gli elementi tesi ad asseverare taluni antecedenti causali del fatto, indicati nella dichiarazione principale, accrescono il valore persuasivo della chiamata in correità. Si tratta, in tal caso, di riscontri indiretti, di natura logicoindiziaria , atteso che il rapporto tra il fatto da provare e il contenuto informativo del dato conoscitivo «di supporto» richiede l’applicazione di un criterio inferenziale che consente di operare, nell’ambito della necessaria valutazione unitaria e congiunta, il raccordo tra le diverse circostanze ; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
tratta di elementi qualificabili come riscontri «diretti», atteso il rapporto immediato tra il fatto da provare e il contenuto informativo dell’elemento di sostegno alla narrazione .
Ma la identificazione della esatta direzione (fermo restando il vaglio preliminare di attendibilità intrinseca) e delle possibili ‘categorie di elementi di riscontr esterno, qui abbozzata, non esaurisce, ovviamente, il tema in trattazione.
Se si risale alla ratio della cautela valutativa, imposta circa l’affidabilità probatoria delle dichiarazioni del correo, si comprende agevolmente quale sia il rilievo del metodo valutativo da seguire nell’ipotesi in cui ci si trovi di fronte a più dati istruttori accomunati – come nel presente processo – COGNOME provenienza «interna» al circuito criminale posto a monte dell’evento trattato.
La condivisibile preoccupazione del legislatore (espressa anche da norme apparentemente solo descrittive di adempimenti procedurali come l’art. 141 bis cod.proc.pen. o delimitanti l’area del diritto di difesa come l’art. 106 comma 4bis ) è anche quella di evitare suggestive e inquinanti circolarità dichiarative tra le varie fonti, tali da determinare una pluralità i:;olo apparente di dati dimostrativi tesi ad asseverare il coinvolgimento dell’imputato nel fatto.
Se infatti è corretto ipotizzare il reciproco incremento probatorio, tra le diverse chiamate, ciò chiama in causa la constatazione di tipo logico per cui quando più fonti, dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, finiscono con il riferire fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò aumenta oggettivamente le probabilità che i fatti narrati corrispondano al vero.
Ma tale assunto è strettamente correlato alla verifica non solo in punto di attendibilità generica del dichiarante quanto da operarsi sul versante della coerenza e costanza narrativa (con assenza di sospetti incrementi tra il contenuto originario delle dichiarazioni e le affermazioni successive) nonchè sulla ricorrenza degli ulteriori presupposti messi in rilievo – per tutte – nella decisione Sez. U. n. 20804/2013 del 29.11.2012 COGNOME NOME (rv 255143 – 255145) intervenuta sul tema del cd. riscontro «incrociato» tra più chiamate in reità (fonti plurime de auditu).
2.2 Nella indicata pronunzia (a sua volta punto di approdo di precedenti orientamenti che risulta inutile citare) pur constatandosi l’assenza di una «catalogazione gerarchica in senso piramidale» dei tipi di prova, sganciata dal concreto contesto processuale, e pur riaffermandosi, in via generale, il valore e l’immanenza del principio del libero convincimento, si pone particolare attenzione
al rigore metodologico che deve governare un simile procedimento valutativo e al correlato «aggravio» dell’onere motivazionale.
In termini generali, la valutazione congiunta delle chiamate risulta significativa – a fini di dimostrazione del fatto- lì dove ricorrano :
la convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;
l’indipendenza delle medesime, intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente o di NOME condizionamenti inquinanti;
la specificità nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e deve riguardare sia il fatto nella sua oggettività che la riferibilità dello stesso all’incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni di accusa sul nucleo centrale e più significativo della questione fattuale da decidere; onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza dell’elemento di riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza
l’autonomia genetica, vale a dire la derivazione non ex unica fonte del molteplice.
L’assenza di simili condizioni (da apprezzarsi sempre in modo congiunto) può pertanto determinare – nei casi in cui non risulti possibile una autonoma «prova di resistenza» dell’apparato argomentativo- l’annullamento della decisione impugnata, per quanto sinora argomentato.
Va detto, infatti, che la possibilità di una autonoma valutazione da parte di questa Corte dell’eventuale apparato argomentativc residuo (lì dove, ad esempio, si rilevi un punto non chiarito in sede di verifica dell’attendibilità o un difetto di autonomia o convergenza di una delle dichiarazioni utilizzate come riscontro incrociato) pure ritenuta – in via generale – operazione possibile in ipotesi di rilevazione del vizio di inutilizzabilità di un singolo elemento di prova (tra le altre, da Sez. VI n. 10094 del 22.2.2005, rv 231832 e Sez. V n.569 del 18.11.2003, rv 226972) da un lato tende a scontrarsi con la stessa struttura e conformazione normativa del giudizio di legittimità, in quanto implica la formulazione di un giudizio autonomo da parte della Corte sul fatto oggetto del processo (da ritenersi esorbitante anche dall’ambito applicativo dell’art. 619 cod.procpen. come ben precisato da Sez. I n. 9707 del 10.8.1995, rv 202302), dall’altro va ritenuta possibile solo nelle ipotesi in cui le residue fonti di prova offrano – in modo evidente – pieno sostegno alla affermazione di responsabilità.
Poste siffatte premesse, va in primis rilevata la fondatezza dei ricorsi introdotti, quanto alla esistenza di adeguata ed effettiva motivazione sul concorso nell’omicidio di cui al capo a) , da COGNOME NOME e COGNOME NOME.
3.1 Ad essere fondata, in entrambi i casi, è la denunzia di motivazione apparente circa la superata verifica di attendibilità dei dichiaranti COGNOME e COGNOME e circa la effettiva convergenza del portato narrativo da tali soggetti proveniente (in riferimento ad COGNOME e COGNOME), con impossibilità di ricorrere – quanto alle posizioni qui esaminate – ad una affidabile prova di resistenza del residuo compendio probatorio.
3.2 In particolare va rilevato che la Corte di secondo grado esprime, su tale aspetto, mere petizioni di principio inidonee a risolvere i dubbi (decorso del tempo dal fatto, divergenza come sintomo di assenza di accordi collusivi) e finisce con l’omettere il vaglio su alcuni punti essenziali, sollevati dai due ricorrenti già con l’atto di appello e successivamente con il ricorso.
Ad avviso del Collegio il punto di rilievo, quanto al profilo preliminare di attendibilità, è rappresentato dalle diverse versioni fornite dal COGNOME e dal COGNOME circa l’attività compiuta da ciascuno di loro il giorno in cui è stato commesso l’omicidio.
Ed invero, il primo gradino logico di verifica di attendibilità narrativa sta nella rappresentazione, da parte del dichiarante, delle modalità con cui egli stesso ha fornito ausilio alla realizzazione del fatto delittuoso.
Anche sul piano del funzionamento ‘ordinario’ della memoria umana, la propria condotta (collegata funzionalmente alla esecuzione di un delitto) è ciò che dovrebbe difficilmente andare perso, a differenza (ad esempio) della presenza di uno o di un altro soggetto ad una riunione collettiva.
Dunque non è di poco momento il contrasto narrativo tra i due dichiaranti circa la modalità della ‘consegna’ a NOME COGNOME della motocicletta utilizzata la mattina del 28 luglio del 2004 per realizzare l’omicidio.
La divergenza, infatti, vede non già su una condotta altrui (che potrebbe essere stata mal rievocata o mal percepita all’epoca del fatto) ma su una condotta ‘propria’, atteso che ciascuno dei due dichiaranti riferisce di aver realizzato tale segmento operativo: COGNOME afferma.. la mattina seguente tra le sei e le sei e trenta mi misi in sella alla moto.., e a bordo della moto raggiunsi la casa ove era latitante NOME COGNOME..; COGNOME riferisce che il giorno dell’omicidio, dopo essere
stato accompagnato da COGNOME e NOME nel luogo di ricovero, intorno alle 8 .. io presi la moto e la portai a casa di NOME .
Ognuno si attribuisce un segmento – non irrilevante – della condotta, peraltro con dovizia di particolari (viene evocato l’orario), il che effettivamente avrebbe imposto una verifica ulteriore di siffatto profilo, anche tramite l’esercizio di poteri istrut ex art. 603 cod.proc.pen. .
In ogni caso si tratta di una omessa risposta alle doglianze introdotte con l’atto di appello che impedisce – allo stato – di ritenere effettivamente ‘duplice’ il contributo dichiarativo posto a carico dell’COGNOME e dell’COGNOME e rappresentato dagli apporti narrativi del COGNOME e del COGNOME.
La valutazione dei contributi narrativi resta, allo stato, inibita, né può essere realizzata in sede di legittimità.
3.3 Le residue fonti di prova, per come riportate nella economia complessiva delle argomentazioni esposte in sede di merito, non consentono di mantenere in essere la conclusione cui si è pervenuti – in sede di merito – in punto di responsabilità. Ed invero le fonti residue sono in massima parte de relato (tranne che per alcuni segmenti del fatto la COGNOME) e soprattutto non attribuiscono alcun ruolo nello specifico fatto delittuoso né ad COGNOME NOME né ad COGNOME NOME. Così è in particolare per i dichiaranti COGNOME,, COGNOME, COGNOME e COGNOME NOME. Quanto alla COGNOME la dichiarante fornisce un contributo che, quanto alle due posizioni qui in trattazione, pur non essendo del tutto neutro, manifestamente non può essere ritenuto autosufficiente.
In particolare :
quanto ad COGNOME NOME, se è vero che la donna conferma l’ospitalità (di lei stessa e di NOME COGNOME) presso i’abitazione Attanéisio/COGNOME, è esatto sostenere che da ciò non può dedursi un effettivo indizio di consapevolezza in capo ad COGNOME NOME della attività delittuosa che quel giorno era in programma (come evidenziato nei motivi di ricorso). Residua la affermazione secondo cui, dopo la consumazione del delitto, NOME COGNOME e NOME COGNOME rientrarono presso l’abitazione ‘accompagnati da NOME COGNOME‘, di certo rilevante, ma si tratta di una affermazione non assistita da NOME dettagli, in quanto tale non decisiva in chiave di mantenimento della statuizione di responsabilità;
quanto ad COGNOME NOME, la COGNOME lo indica come presente al ‘festeggiamento’ successivo alla realizzazione del delitto, aspetto che può
manifestare tanto la conseguenza di una compartecipazione progettuale che di una soddisfazione ex post e che dunque, parimenti, non appare decisivo ai fini qui considerati.
Ne deriva, quanto alle posizioni di COGNOME e COGNOME in riferimento al reato di cui al capo a), l’annullamento della decisione impugnata con rinvio per nuovo giudizio, come da dispositivo. I motivi diversi da quelli in punto di responsabilità sono assorbiti ma non preclusi.
Giova qui affermare che in riferimento al fatto di cui al capo b), come qualificato in secondo grado, è effettivamente decorso il termine di prescrizione (secondo la disciplina di legge antecedente alle modifiche apportate nel 2005, trattandosi di fatto avvenuto nel 2004), come evidenziato anche dal Procuratore Generale in sede di requisitoria.
Il capo della sentenza va pertanto, per tutti i ricorrenti, annullato senza rinvio.
In riferimento alla contestazione di cui al capo a), il ricorso di NOME è infondato.
5.1 Ed invero la posizione del COGNOME non risente della debolezza argomentativa evidenziata a proposito dell’COGNOME e dell’NOME.
Ciò perché, come correttamente argomentato in sede di merito, a carico del COGNOME non solo vi è un solido e convergente (anche quanto al ruolo) incrocio narrativo tra le dichiarazioni rese da COGNOME NOME e COGNOME NOME (fonti de relato ma del tutto autonome), corroborate dalle stesse parziali ammissioni rese dall’imputato (di aver, pur senza saperne il motivo, dato indicazioni al COGNOME sui luoghi frequentati dal COGNOME).
A fronte di tale convergenza dimostrativa, la segnalata necessità di approfondimento dei profili di attendibilità dei dichiaranti COGNOME e COGNOME finisce per essere irrilevante, con rigetto del terzo motivo di ricorso.
5.2 Sono inoltre inammissibili i restanti motivi (secondo, quarto e quinto) del ricorso di NOME, per manifesta infondatezza.
In riferimento alla ritenuta sussistenza del finalismo mafioso, va rilevato che la circostanza aggravante può essere pacificamente ritenuta sussistente nei confronti del soggetto non affiliato alla associazione beneficiaria dela condotta, il che esclude possa darsi rilievo alla assoluzione del COGNOME COGNOME contestazione di appartenenza al clan COGNOME.
Né può dirsi illogica la motivazione espressa in sede di merito, anche sulla base di quanto riferito da COGNOME NOME, secondo cui nei giorni precedenti l’agguato il COGNOME veniva quotidianamente informato dal COGNOME degli spostamenti e delle abitudini del COGNOME. Ciò è infatti indicativo, secondo logica comune, di condivisione della progettualità e di conoscenza delle logiche criminali sottese a simile tipologìa di agguato, il che porta a ritenere del tutto esaustiva la motivazione espressa in sede di merito.
Analogamente, del tutto assertivo – secondo quanto si è detto sinora – è il quarto motivo di ricorso, posto che le informazioni – ripetute – fornite al COGNOME sono comprensibili solo in chiave di condivisione del proposito ornicidiario anche sul piano del dolo.
Del tutto generico è il quinto motivo in punto di negazione delle circostanze attenuanti generiche, essendo stata correttamente argomentata in sede di merito, la rilevanza del ruolo svolto e non essendovi elementi sul fatto o sulla personalità tali da imporre l’attenuazione del trattamento sanzionatorio, come argomentato nella decisione impugnata.
Da ultimo va rilevato che l’annullamento senza rinvio riferito al capo b) non ha conseguenza alcuna in punto di determhnazione della pena, trattandosi di incremento che non ha condotto, in sede di merito, alla applicazione dell’isolamento diurno, con pena stabilita in anni trenta di reclusione in rapporto alla scelta del rito abbreviato.
Il rigetto del ricorso in riferimento al capo a), vertente anche sulla responsabilità, comporta la condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili, che si liquidano come da dispositivo.
Quanto alle posizioni del COGNOME e del COGNOME, va rilevato che l’annullamento senza rinvio del fatto di cui al capo b) comporta la esclusione del relativo incremento sanzionatorio, con rideterminazione della pena in quella di anni sette e mesi quattro di reclusione ciascuno.
6.1 Quanto al motivo comune, in punto di ritenuta equivalenza delle circostanze attenuanti generiche, lo stesso va dichiarato inammissibile per genericità. La Corte di secondo grado ha correttamente argomentato la scelta e le doglianze non si confrontano con la puntuale motivazione operata, tendendo a proporre temi che riguardano l’aspetto della collaborazione, assorbito COGNOME attenuante speciale.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti dei ricorrenti in ordine al reato di cui al capo b) perché estinto per prescrizione.
Ridetermina per l’effetto la pena inflitta a COGNOME NOME e COGNOME NOME nella misura di anni sette e mesi quattro di reclusione.
Dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME in riferimento al reato di cui al capo a) con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Assise di Appello di Catanzaro.
Rigetta, nel resto, il ricorso di COGNOME NOME e lo condanna alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili: COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge; COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 4.000,00 oltre accessori di legge; COGNOME NOME e COGNOME NOME che liquida in complessivi euro 5.000,00 oltre accessori di legge; COGNOME NOME, parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata COGNOME Corte di Assise di Appello di Catanzaro, con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt.82 e 83 DPR n.115/2002, disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in data 20 ottobre 2023
Il Consigliere estensore