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Chiamata in correità: la Cassazione annulla condanna

La Corte di Cassazione ha esaminato le condanne per un omicidio del 2004 legato a faide di stampo mafioso, basate sulla valutazione della chiamata in correità di più collaboratori di giustizia. La Corte ha annullato con rinvio le condanne per due imputati a causa di una motivazione insufficiente sulla convergenza delle testimonianze, ritenendo le prove restanti non autosufficienti. Per un altro imputato, la condanna è stata confermata data la solidità e convergenza delle prove a suo carico. Un’accusa minore è stata dichiarata prescritta per tutti.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in correità: la Cassazione annulla condanna per motivazione apparente

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3777 del 2024, è intervenuta su un complesso caso di omicidio, offrendo chiarimenti cruciali sui criteri di valutazione della chiamata in correità. La decisione sottolinea il rigore necessario quando una condanna si fonda sulle dichiarazioni di più collaboratori di giustizia, specialmente in presenza di contraddizioni. L’analisi della Suprema Corte evidenzia come una motivazione meramente formale, che non affronti nel merito le discrepanze narrative, possa portare all’annullamento della sentenza.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da un omicidio premeditato e un tentato omicidio avvenuti nel luglio del 2004, nel contesto di una faida tra clan rivali. I giudizi di merito, sia in primo che in secondo grado, si erano conclusi con l’affermazione di responsabilità per cinque imputati, con pene severe. Le condanne si basavano principalmente sulle dichiarazioni rese da diversi collaboratori di giustizia, tra cui due degli stessi imputati, che avevano fornito versioni sulla pianificazione e l’esecuzione del delitto. La Corte d’Appello aveva confermato l’impianto accusatorio, pur riqualificando il tentato omicidio in lesioni.

La Valutazione della Chiamata in Correità secondo la Cassazione

Il fulcro del ricorso per cassazione ha riguardato la corretta applicazione dell’art. 192 del codice di procedura penale, che disciplina la valutazione della prova e, in particolare, della chiamata in correità. La Corte ha ribadito i principi consolidati, secondo cui le dichiarazioni accusatorie provenienti da coimputati devono essere attentamente vagliate sotto il profilo dell’attendibilità intrinseca e devono trovare riscontro in ‘altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità’.

Quando le fonti di accusa sono molteplici (cosiddetto riscontro incrociato), il giudice deve verificare non solo la generica attendibilità dei dichiaranti, ma anche la convergenza, l’indipendenza, la specificità e l’autonomia genetica delle narrazioni. Non è sufficiente una semplice sommatoria di dichiarazioni, ma è richiesta un’analisi critica che sciolga eventuali nodi di contraddizione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha adottato decisioni diverse per i vari ricorrenti, basandosi proprio sulla solidità del quadro probatorio a carico di ciascuno.

Per due degli imputati, la Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza di condanna per l’omicidio e disponendo un nuovo processo d’appello. La motivazione della Corte d’Appello è stata giudicata ‘apparente’, poiché non aveva adeguatamente affrontato una palese contraddizione tra le versioni dei due principali collaboratori. Tale divergenza riguardava un dettaglio cruciale: le modalità di consegna della motocicletta utilizzata per l’agguato. Secondo i giudici di legittimità, un contrasto su un segmento operativo compiuto in prima persona dai dichiaranti non è un dettaglio trascurabile, ma un elemento che incrina la loro credibilità e la presunta convergenza del narrato. In assenza di un’analisi approfondita su questo punto, e data la carenza di altri elementi di prova decisivi, la condanna non poteva reggere.

Per un altro imputato, il ricorso è stato invece rigettato. A suo carico, le prove erano state ritenute solide e convergenti. Le accuse provenivano da fonti diverse e autonome, ed erano corroborate dalle stesse parziali ammissioni dell’imputato, che aveva riconosciuto di aver fornito informazioni sulle abitudini della vittima. Di fronte a un quadro così robusto, le criticità relative alle altre testimonianze sono state giudicate irrilevanti per la sua posizione.

Infine, per tutti gli imputati, la Corte ha annullato senza rinvio la condanna per il reato di lesioni (originariamente tentato omicidio), dichiarandolo estinto per intervenuta prescrizione.

Le Conclusioni

La sentenza in esame costituisce un importante monito per i giudici di merito sulla necessità di un vaglio probatorio rigoroso e non superficiale. La valutazione della chiamata in correità non può risolversi in una formula di stile che attesti una generica convergenza. Il giudice ha il dovere di analizzare criticamente le dichiarazioni, confrontarle e, soprattutto, dare conto nella motivazione del percorso logico seguito per superare eventuali contraddizioni. Una ‘motivazione apparente’, che elude i punti critici sollevati dalla difesa, equivale a un’assenza di motivazione e vizia irrimediabilmente la sentenza. Questo principio garantisce che nessuna condanna possa fondarsi su prove incerte o su una ricostruzione dei fatti che presenti insanabili fratture logiche.

Quando la testimonianza di più collaboratori di giustizia è considerata prova sufficiente per una condanna?
Le dichiarazioni di più collaboratori possono costituire prova sufficiente solo se il giudice ne verifica rigorosamente l’attendibilità e se sussistono specifici requisiti: la convergenza delle narrazioni sul nucleo essenziale del fatto, l’indipendenza reciproca (assenza di accordi fraudolenti), la specificità dei racconti e l’autonomia genetica (le dichiarazioni non devono derivare da un’unica fonte comune). Il giudice deve motivare in modo approfondito su ciascuno di questi punti.

Cosa succede se le dichiarazioni di due collaboratori sono in palese contraddizione su un punto rilevante?
Una contraddizione palese su un punto rilevante, specialmente se riguarda un’azione compiuta in prima persona dai dichiaranti, non può essere ignorata. Come stabilito dalla Cassazione in questa sentenza, il giudice ha l’obbligo di analizzare e risolvere tale contrasto. Se non lo fa, o se lo liquida con argomentazioni generiche, la motivazione della sentenza è considerata ‘apparente’ e la condanna può essere annullata.

Un imputato può essere condannato per un reato con finalità mafiosa anche se è stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa?
Sì. La Corte ha ribadito che l’aggravante del fine mafioso può essere contestata e ritenuta sussistente anche nei confronti di un soggetto non affiliato formalmente a un’associazione criminale. È sufficiente che la sua condotta sia stata posta in essere con la consapevolezza di agevolare l’associazione e condividendone le logiche e gli obiettivi criminali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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