Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44123 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44123 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a VISO VALENTIA il 27/08/1989 avverso l’ordinanza del 28/05/2024 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. NOME COGNOME che ha richiesto il rigetto del ricorso; udite le conclusioni del difensore dell’indagato Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il provvedimento con il quale è stata applicata a COGNOME NOME la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di omicidio pluriaggravato e per quelli in armi e di ricettazione connessi. La vicenda riguarda l’assassinio, avvenuto nel marzo del 2010, di COGNOME NOME, esponente del clan ‘ndranghetista “COGNOME“, deliberato ed eseguito da appartenenti alle cosche rivali “Piscopisani” e “Tripodi” nel corso di un conflitto insorto per il conseguimento dell’egemonia delle attività estorsive nell’ambito del comune territorio di riferimento. Al COGNOME viene in particolare contestato, sulla base delle rivelazioni effettuate da alcuni collaboratori di giustizia, di aver partecipato alla fase ideativa del delitto.
2. Avverso l’ordinanza ricorre il COGNOME articolando due motivi.
2.1 Con il primo deduce violazione di legge e vizi di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’indagato. Anzitutto il ricorrente lamenta l’omessa confutazione – ovvero l’apodittica confutazione – delle obiezioni sollevate dalla difesa con la memoria depositata nel giudizio di riesame. In particolare osserva come il Tribunale avrebbe affermato la piena attendibilità del collaboratore COGNOME senza considerare che questi non era stato in grado di datare con la dovuta precisione l’agguato ai danni del Palumbo, né aveva riferito dell’attentato perpetrato ai danni del medesimo nei mesi precedenti all’omicidio adoperando le stesse armi utilizzate dal collaboratore per commettere altri reati. Dopotutto i giudici del riesame avrebbero apoditticamente confutato la decisiva obiezione sollevata dalla difesa, ossia quella relativa al progressivo arricchimento del contributo dichiarativo del collaboratore Infatti, nei primi interrogatori in cui il COGNOME ha narrato dell’omicidio del COGNOME mai ha menzionato l’indagato il cui coinvolgimento nella vicenda veniva evocato per le prima volta, peraltro in termini assai generici, solo in quello del 24 aprile 2015, mentre dichiarazioni più dettagliate e del tutto inedite in merito al ruolo assunto dal COGNOME nella ideazione del delitto sono state fornite soltanto sette anni dopo, nel corso dell’interrogatorio sostenuto nel 2022. Tra l’altro in tale occasione il collaboratore avrebbe attribuito all’indagato non solo il ruolo di mandante, ma altresì quello di esecutore dell’omicidio, in contraddizione con quanto dallo stesso riferito in ordine al fatto di averlo incontrato contestualmente alla consumazione del delitto presso l’abitazione del Maccarone. Non di meno i giudici del riesame avrebbero altresì travisato le dichiarazioni del collaboratore, ritenendo che l’episodio in cui la
conversazione con il COGNOME nel corso della quale il COGNOME avrebbe implicitamente ammesso la sua partecipazione all’omicidio risalirebbe alla sera stessa della sua consumazione, quando, invece, il COGNOME ha affermato che tale colloquio sarebbe avvenuto esattamente un anno dopo.
Quanto al contributo fornito dal citato COGNOME, parimenti ritenuto attendibile dall’ordinanza impugnata, i giudici del riesame non avrebbero valutato che questi, al momento in cui ha reso le proprie dichiarazioni e per sua stessa ammissione, era a conoscenza di quelle rilasciate dal COGNOME. Non solo, il Tribunale non avrebbe considerato che l’COGNOME ha parlato per la prima volta dell’omicidio COGNOME quando già erano decorsi 180 giorni dall’inizio della sua collaborazione.
Sotto altro profilo il ricorrente contesta l’affermazione del Tribunale per cui quelle del COGNOME non sarebbero nemmeno dichiarazioni de relato, avendo ad oggetto informazioni di cui il collaboratore sarebbe venuto a conoscenza in ragione della sua militanza associativa, evidenziando come sia stata comunque omessa una effettiva verifica sull’effettiva classificabilità delle stesse come patrimonio conoscitivo comune degli appartenenti al sodalizio.
Il provvedimento impugnato avrebbe poi omesso di individuare la fonte primaria delle informazioni fornite de relato dall’Arena, che per sua stessa ammissione le avrebbe apprese da NOME NOME NOME, il quale a sua volta le avrebbe mutuate da altri. Secondo il ricorrente i giudici del riesame illogicamente hanno ritenuto sostanzialmente ininfluente tale accertamento, invece necessario al fine di escludere che tale fonte primaria non si identifichi nel Battaglia, ossia colui dal quale anche il Moscato ha appreso Fe informazioni che ha riferito. Ed in proposito meramente congetturale è l’ipotesi formulata dal Tribunale per cui il COGNOME sarebbe venuto a conoscenza dei particolari dell’omicidio da COGNOME NOME.
Infine il giudice del riesame avrebbe omesso di considerare alcuni elementi emergenti dagli atti, primo fra tutti il fatto che il COGNOME, fino ad un mese prima de consumazione dell’omicidio, era stato sottoposto all’obbligo di dimora nel comune di Bologna, circostanza comunque incompatibile con il suo coinvolgimento nella ricettazione, avvenuta nel gennaio del 2010, della vettura utilizzata per commettere l’omicidio.
2.2 Analoghi vizi vengono dedotti con il secondo motivo in merito alla ritenuta sussistenza nell’attualità del pericolo di recidivanza. In proposito il Tribunale non avrebbe considerato, anche tenuto conto della presunzione relativa di cui all’art. 275 comma 3 c.p.p., la notevole distanza temporale che separa la consumazione del reato dall’intervento cautelare, tanto più rilevante se si considera che l’indagato è in realtà incensurato e che il suo contributo all’azione criminosa sarebbe stato marginale. Infine
l’ordinanza impugnata avrebbe omesso di motivare sull’adeguatezza di misure meno afflittive della detenzione carceraria e sulla possibilità di arginare l’esigenza cautelare attraverso il ricorso agli arresti domiciliari garantiti dalle procedure di controllo distanza di cui all’art. 275-bis c.p.p.
Il difensore dell’indagato ha presentato motivi nuovi ribadendo le censure proposte con il ricorso principale in merito all’attendibilità del COGNOME e denunziando il travisamento della prova in cui sarebbe incorso il Tribunale laddove ha affermato che l’arma utilizzata per l’omicidio del COGNOME sarebbe la stessa usata dal clan dei Piscopisani per commettere altri reati, mentre gli accertamenti tecnici compiuti sull’arma avrebbero appurato invece che si tratta di quella impiegata per compiere un attentato ai danni dello stesso COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito esposti.
In particolare risultano fondate alcune delle censure proposte con il primo motivo. 2.1 In proposito va preliminarmente ricordato che, in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità ed ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. In tal senso, premesso che la richiesta di riesame ha la specifica funzione, come mezzo di impugnazione, sia pure atipico, di sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali elencati nell’art. 292 c.p.p. ed ai presupposti ai quali è subordinata la legittimità del provvedimento coercitivo, va evidenziato che la motivazione della decisione del tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale, deve essere conformata a, modello delineato dal citato articolo, ispirato al modulo di cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di colpevolezza (ex multis Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828). Così ricostruito l’oggetto della cognizione del
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giudice del riesame e, di riflesso, del sindacato di quello di legittimità sulla motivazione posta a sostegno della decisione impugnata, va peraltro ribadito che il primo è comunque tenuto a confrontarsi con le osservazioni critiche articolate con l’istanza di riesame ovvero con eventuali memorie depositate nel corso del susseguente giudizio, fermo restando che ciò non si traduce nell’onere di specifica confutazione di ogni singola argomentazione formulata dalla difesa, ma in quello di esplicitare le ragioni poste a sostegno della conferma della valutazione compiuta nell’ordinanza genetica in merito alla sussistenza dei presupposti applicativa della misura cautelare, dimostrando di aver tenuto conto dei rilievi difensivi e delle circostanze di fatto sui quali gli stessi fondano.
Nel percorso argomentativo sviluppato dal giudice del riesame nel caso di specie l’affermazione relativa alla sussistenza dei gravi indizi della partecipazione del Vita all’omicidio di COGNOME Michele nel 2010 trova la sua giustificazione nella convergenza delle dichiarazioni rilasciate da alcuni collaboratori di giustizia, la cui conoscenza dei fatti sarebbe però solo indiretta, avendo gli stessi riferito informazioni mutuate da soggetti direttamente coinvolti nella vicenda o addirittura a loro volta portatori di informazioni acquisite de relato.
3.1 In proposito va anzitutto precisato che non è qui in discussione il consolidato principio, richiamato anche dall’ordinanza impugnata, per cui la chiamata in correità o in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore. Deve però doverosamente ricordarsi che le Sezioni Unite, così come le successive pronunzie delle Sezioni semplici di questa Corte, hanno però precisato come il suddetto principio possa considerarsi valido solo qualora vengano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e) sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di informazione diverse (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255143 e, ex multis, Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134).
3.2 Ciò premesso deve rilevarsi che le obiezioni articolate nel ricorso in merito all’attendibilità intrinseca del narrato del collaboratore COGNOME risultano in parte infondate o si traducono in mere censure di fatto. Infatti il Tribunale ha fornito giustificazione tutt’altro che illogica circa le difficoltà incontrate dal collaborante n datare con precisione i fatti sui quali ha riferito. Generico era invece il rilievo svolt con la memoria difensiva depositata nel giudizio di riesame per cui il COGNOME avrebbe taciuto a proposito di un precedente attentato consumato ai danni del Palumbo, nonostante questo fosse stato consumato utilizzando armi già in uso allo stesso COGNOME. È una mera congettura che il collaboratore dovesse necessariamente essere a conoscenza di entrambe le circostanze ed in quanto tale alcun appunto può essere mosso all’ordinanza impugnata per non aver specificamente confutato l’obiezione difensiva.
3.3 Colgono invece nel segno le residue doglianze formulate con il motivo in esame. Anzitutto il Tribunale non ha risposto all’obiezione difensiva relativa alla formazione progressiva della narrazione del Moscato ed alla rilevanza della circostanza ai fini della valutazione dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni. In particolare il riliev appare fondato non tanto con riguardo alla graduale specificazione del racconto del collaboratore nel corso dei suoi primi interrogatori del 2015, quanto in riferimento alle successive dichiarazioni rilasciate a distanza di ben sette anni dalle precedenti e nelle quali per la prima volta avrebbe indicato il COGNOME tra i protagonisti della vicenda. Ed in proposito fondate appaiono anche le doglianze del ricorrente circa il momento in cui il collaboratore avrebbe appreso dal Battaglia le informazioni poi riportate agli inquirenti’ posto che dall’ordinanza non si comprende se il colloquio sia avvenuto la stessa sera dell’omicidio ed alla presenza del COGNOME, poi allontanatosi, ovvero solo un anno dopo, successivamente all’omicidio COGNOME
3.4 Come accennato, poi, la vocazione di tali dichiarazioni ad assurgere alla dignità d gravità indiziaria nei confronti dell’Indagato è stata riconosciuta dal Tribunale, ai sensi dell’art. 192 commi 3 e 3-bis c.p.p., in ragione della ritenuta convergenza del suo narrato con quello del collaboratore COGNOME. Con la già citata memoria depositata nel giudizio di riesame era stato però anzitutto eccepito come i due compendi dichiarativi non coincidessero su di un punto tutt’altro che marginale, ossia l’indicazione del numero e dell’identità dei componenti del gruppo di fuoco che eseguì l’omicidio, evidenziandosi altresì come il narrato di entrambi i collaboratori sul punto sarebbe in contrasto altresì co quanto riferito da uno dei testimoni oculari del delitto. Obiezione che non ha trovato specifica confutazione da parte dei giudici del merito, come invece necessario, a maggior ragione attesa la natura indiretta delle conoscenze riportate dai dichiaranti.
3.5 Fondate sono altresì le censure del ricorrente relative all’attitudine delle dichiarazioni dell’Arena a costituire un valido riscontro a quelle del Moscato alla luce dei principi fissati dalle menzionate Sezioni Unite Aquilina e ribaditi dalla giurisprudenza successiva. In particolare,. con riguardo al requisito dell’indipendenza delle chiamate, l’ordinanza impugnata, pur ammettendo sostanzialmente che quelle riportate dal primo collaboratore – secondo quanto da questi riferito – sarebbero informazioni frutto di un doppio de relato, il giudice del riesame in maniera solo congetturale – o se si preferisce probabilistica, il che non sposta i termini della questione – ha ritenuto di individuare la fonte primaria in COGNOME NOME e non nel Battaglia, pure indicato alternativamente dal collaboratore come la possibile fonte del COGNOME. In tal modo il Tribunale ha sostanzialmente aggirato il necessario accertamento sull’individuazione della fonte delle conoscenze de relato e soprattutto sul fatto che questa non si identifichi proprio nel Battaglia, ossia colui dal quale il Moscato avrebbe mutuato le proprie conoscenze.
3.6 E sempre in merito all’autonomia delle dichiarazioni dell’Arena, la difesa aveva altresì eccepito nel giudizio di riesame come lo stesso avesse ammesso di essere a conoscenza delle prime dichiarazioni rese dal COGNOME, in quanto presenti nel patrimonio probatorio di un processo nel quale era stato parte. Nemmeno tale lamentela è stata affrontata dal giudice del riesame nel soppesare l’attendibilità del collaboratore e l’idoneità delle sue dichiarazioni a fungere da riscontro a quelle del COGNOME.
3.7 Né supplisce allí ) carenze motivazionali evidenziate l’estremo tentativo del Tribunale di svincolare la valutazione del compendio probatorio di riferimento dai principi giurisprudenziali illustrati in precedenza evocando la circolazione in ambito associativo delle informazioni acquisite dal Moscato. In proposito, infatti, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su fatti e circostanze attinenti la vita e le attività del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso, seppure non sono assimilabili a dichiarazioni de relato, possono assumere rilievo probatorio, purché supportate da validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell’informazione resa, che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati (ex multis Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279185). Verifica omessa dal giudice del riesame, che non ha spiegato per quali ragioni debba ritenersi credibile che le circostanze riferite dal COGNOME costituissero effettivamente “patrimonio conoscitivo comune”.
Alla luce delle evidenziate lacune motivazionali l’ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro. L’accoglimento nei termini indicati del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo, spettando dunque al giudice del rinvio esaminare le censure proposte con il medesimo.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 24/10 024