Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20035 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20035 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/03/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 25 maggio 2023 la Corte di appello di Napoli, confermando la sentenza emessa in data 13 dicembre 2021 dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli, ha condannato NOME COGNOME alla pena di anni diciotto di reclusione e NOME COGNOME alla pena di anni sedici, mesi tre e giorni venti di reclusione, entrambi per i reati di cui agli artt. 56, 575, 577, 416-bis.1 cod.pen. e 10 e 14 legge n. 497/1974, per avere in data 04/05/2013 compiuto atti idonei diretti ad uccidere NOME COGNOME, colpendolo all’addome con colpi di arma da fuoco sparati con armi portate illegalmente, agendo con premeditazione e con metodo mafioso, e per agevolare il RAGIONE_SOCIALE, a cui appartenevano.
La Corte di appello ha respinto i motivi di appello nel merito, ritenendo provati i fatti dalle dichiarazioni di un originario coimputato divenuto collaboratore di giustizia, riscontrate da quelle di un altro collaboratore e da una intercettazione telefonica disposta in un diverso procedimento, mentre le difformi dichiarazioni della persona offesa sono state ritenute inattendibili. Ha infine confermato il trattamento sanzionatorio, ritenendolo congruo con riferimento alla gravità del fatto e all’assenza di elementi di resipiscenza in ciascuno degli imputati.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, articolando un unico motivo, e NOME COGNOME, per mezzo del proprio difensore avv. NOME COGNOME, articolando anch’egli un unico motivo.
Il ricorrente COGNOME deduce la insufficienza e illogicità della motivazione, in relazione all’art. 192 cod.proc.pen.
La sentenza non rispetta i criteri individuati dal legislatore per la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In particolare essa è viziata quanto alla valutazione di credibilità del collaboratore COGNOME, e quanto all’utilizzo delle sue dichiarazioni e di altre fonti di prova quale riscontro all chiamata di correità del coimputato COGNOME.
Già il giudice per le indagini preliminari, nel rigettare la richiesta di misura cautelare, aveva ritenuto non credibile il COGNOME, che asseriva di essere stato testimone oculare dell’agguato indicando, però, di essersi trovato presso un’abitazione distante circa m. 250 da tale luogo, e descrivendo alcuni particolari che contrastavano con quanto dichiarato dal COGNOME. I giudici di merito hanno superato tali incongruenze con argomentazioni illogiche e apodittiche. Le
affermazioni del COGNOME non possono, quindi, costituire un riscontro alla chiamata in correità del COGNOME.
Anche gli altri elementi indicati come riscontro non sono idonei: si indicano delle intercettazioni a carico di tale NOME COGNOME, in cui però è descritto un agguato con modalità del tutto diverse. Mancano del tutto, pertanto, i riscontri esterni individualizzanti necessari per la condanna.
Il ricorrente COGNOME deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod.proc.pen. in ordine alla valutazione di credibilità del collaboratore COGNOME e all’utilizzo delle sue dichiarazioni e di altre fonti di prova quale riscontro alla chiamata di correità del coimputato COGNOME.
Anche questo ricorrente riporta la valutazione di inattendibilità del COGNOME espressa dal g.i.p. del Tribunale di Napoli, e lamenta che i giudici di merito l’hanno superata con argomentazioni illogiche, irragionevoli e non plausibili, non tenendo conto neppure della incongruenza delle sue dichiarazioni rispetto alla chiamata di correità del COGNOME, che non ha mai riferito della presenza del COGNOME sul luogo dell’attentato.
Peraltro, sia le dichiarazioni del COGNOME sia gli altri elementi probatori acquisiti non forniscono un riscontro individualizzante circa la partecipazione all’agguato di questo ricorrente, non risultando mai affermata la sua presenza, oltre a quanto dichiarato dal COGNOME, la cui chiamata di correità, quindi, deve essere ritenuta non sufficiente per la condanna.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per un nuovo giudizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato, e deve essere rigettato.
1.1. La valutazione della credibilità del chiamante in correità COGNOME è stata effettuata in modo approfondito, completo e conforme ai principi e alle indicazioni della giurisprudenza di legittimità.
Le due sentenze di merito, che hanno la struttura della c.d. “doppia conforme”, hanno infatti esaminato con attenzione la credibilità soggettiva del predetto collaboratore e l’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni. La sentenza di primo grado riporta ampi stralci delle stesse e indica le molte sentenze che confermano l’inserimento del chiamante nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il suo successivo avvicinamento al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, l’attività criminosa di dette
associazioni, la figura della vittima, appartenente al primo RAGIONE_SOCIALE, ritenendo perciò provate le affermazioni del chiamante quanto ai motivi e alle modalità dell’agguato. La seconda sentenza esamina criticamente, alla luce dei motivi di appello, la precedente valutazione, alle pagine da 11 a 14, e la conferma, ritenendo quelle dichiarazioni connotate da «precisione» e da «coerenza», e sottolineando che il dichiarante si è autoaccusato del delitto quando non emergevano a suo carico indizi di reità, ha reso «un’unica versione, mai contraddetta, caratterizzata dalla costanza e dalla precisione dei particolari», e infine non risulta spinto da motivi di astio contro i correi da lui accusati, né da intendimenti che facciano ipotizzare la falsità della sua chiamata. Lo stesso ricorrente, così come il coimputato, non contesta, infatti, l’affermazione di credibilità soggettiva del dichiarante COGNOME, né fornisce alcun elemento che consenta di dubitare della veridicità della sua dichiarazione.
1.2. Il ricorrente contesta, invece, la valutazione circa la sussistenza di adeguati riscontri a tale chiamata, così come richiesto dall’art. 192, comma 3, cod.proc.pen. affinché essa possa costituire una prova sufficiente per la condanna, in particolare perché l’altro dichiarante, NOME COGNOME, sarebbe inattendibile ed avrebbe, comunque, reso una versione non convergente con quella del COGNOME.
Questa Corte ha stabilito che «In tema di chiamata in correità, i riscontri dei quali necessita la narrazione, possono essere costituiti da qualsiasi elemento o dato probatorio, sia rappresentativo che logico, a condizione che sia indipendente e, quindi, anche da altre chiamate in correità, purché la conoscenza del fatto da provare sia autonoma e non appresa dalla fonte che occorre riscontrare, ed a condizione che abbia valenza individualizzante, dovendo cioè riguardare non soltanto il fatto-reato, ma anche la riferibilità dello stesso all’imputato, mentre non è richiesto che i riscontri abbiano lo spessore di una prova “autosufficiente” perché, in caso contrario, la chiamata non avrebbe alcun rilievo, in quanto la prova si fonderebbe su tali elementi esterni e non sulla chiamata di correità» (Sez. 2, n. 35923 del 11/07/2019, Rv. 276744)
La Corte di appello ha applicato correttamente tale principio. In primo luogo ha ribadito la rilevanza delle dichiarazioni rese da altri collaboratori, quali NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali riscontri circa il ruolo del COGNOME e la credibilità delle sue conoscenze anche in merito all’agguato in danno del NOME. Ha poi esaminato con attenzione le dichiarazioni rese dal dichiarante COGNOME, rivalutando e confermando la sua credibilità soggettiva e l’autonomia della sua conoscenza, e soprattutto valutando dettagliatamente le contraddizioni del suo racconto, indicate nell’atto di appello. Tali assente contraddizioni e difformità, rispetto alla versione resa dal COGNOME
NOME, sono state riconosciute dalla Corte di appello, ma i giudici hanno escluso che esse siano insanabili rispetto al racconto di quest’ultimo, e alle pagine 16 e 17 della sentenza le hanno spiegate e giustificate in modo logico e plausibile, come conseguenti alle effettive modalità di svolgimento dell’agguato, accertate dalla polizia giudiziaria, e alla diversa posizione dei due dichiaranti. Questa motivazione non è manifestamente illogica né contraddittoria, e le conclusioni della sentenza circa la utilizzabilità delle dichiarazioni del COGNOME quale riscontro esterno alla chiamata di correità del COGNOME sono, pertanto, prive dei vizi dedotti dal ricorrente. Tale riscontro, inoltre, è sufficientemente individualizzante, perché il COGNOME sin dal suo primo racconto ha attribuito l’agguato anche al COGNOME, da lui visto personalmente sul luogo con una mitragliatrice, e successivamente riconosciuto in fotografia.
1.3. Inoltre la Corte di appello ha ribadito la rilevanza, quale riscontro esterno alla chiamata di correità, delle intercettazioni svolte, in altro procedimento, a carico di NOME COGNOME. La sentenza di primo grado ne ha riportato per esteso molti stralci, e la sentenza di appello ha rinviato ad essa, confermandone l’interpretazione e ribadendo che esse si riferiscono senza alcun dubbio al tentato omicidio del NOME, di cui confermano sia il probabile movente, sia il luogo del fatto, sia parte delle sue modalità, conferendo ulteriore credibilità alla chiamata di correità del COGNOME. Anche in ordine a questo riscontro, quindi, le obiezioni del ricorrente sono infondate, in quanto la sentenza impugnata ha ribadito la riferibilità di tali conversazioni esclusivamente alla vicenda in oggetto basandosi sul loro esplicito contenuto, con motivazione logica e aderente al testo delle stesse, riportato nella sentenza di primo grado.
1.4. Il ricorso proposto dal ricorrente COGNOME, pertanto, deve essere rigettato, stante l’assenza dei vizi motivazionali lamentati, ed essendo stati rispettati, nella sentenza, i criteri valutativi della chiamata di correità e de necessari riscontri individualizzanti richiesti dall’art. 192, comma 3, cod.proc.pen., indicando con precisione i vari riscontri esterni a tale chiamata, la loro riferibilità a questo ricorrente, e concludendo, in modo logico e non contraddittorio, per la sussistenza di elementi sufficienti per la condanna.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME, invece, deve essere accolto nei termini sotto precisati.
2.1. Anche questo ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza nella valutazione della credibilità del collaboratore COGNOME e della rilevanza delle sue dichiarazioni quale riscontro alla chiamata di correità del COGNOME, per non avere essa adeguatamente esaminato le difformità rispetto al racconto di quest’ultimo, e la non plausibilità della sua ricostruzione del fatto.
Su tale punto il ricorso è infondato in quanto, come già ritenuto al superiore paragrafo 1.2., la credibilità soggettiva ed oggettiva del collaboratore COGNOME è stata approfonditamente valutata dalla sentenza impugnata. L’affermazione che essa costituisca un sufficiente riscontro esterno alle dichiarazioni del COGNOME, in merito alle modalità dell’agguato e alla partecipazione ad esso del COGNOME, oltre che dello stesso COGNOME, è pertanto conseguente ad un ragionamento logico, non contraddittorio, e fondato sull’applicazione dei principi dettati dall’art. 192, comma 3, cod.proc.pen. e dalla sua interpretazione giurisprudenziale.
2.2. La Corte di appello, però, non ha adeguatamente valutato l’ampiezza e il contenuto del riscontro costituito dalle dichiarazioni del collaborante COGNOME. Infatti, come denunciato dal ricorrente, questi non ha confermato la partecipazione dell’COGNOME all’agguato, in quanto ha parlato della presenza di un terzo soggetto, indicandolo però solo con un nome di battesimo che non appartiene a detto ricorrente. Dalle due sentenze di merito non risulta neppure che al dichiarante sia stata sottoposta una fotografia di questo imputato, per verificare se egli intendesse comunque affermare la presenza sul posto di tale soggetto, che poteva essere da lui conosciuto con un altro nome.
Per fungere da idonea conferma di una chiamata di correità, però, il riscontro deve essere individualizzante, cioè non deve consistere semplicemente nell’oggettiva conferma del fatto riferito dal chiamante, ma deve offrire elementi che collegano il fatto stesso alla persona del chiamato, fornendo un preciso contributo dimostrativo dell’attribuzione a quest’ultimo del reato contestato (vedi Sez. 6, n. 45733 del 11/07/2018, Rv: 274151). La Corte di appello, anche sotto questo aspetto conformandosi alla sentenza di primo grado, non ha applicato correttamente questo principio, in quanto, dopo avere accuratamente valutato la credibilità del chiamante in correità COGNOME e la sussistenza di sufficienti riscontri alle sue dichiarazioni, non ha preso atto della idoneità individualizzante di questi ultimi solo con riferimento al chiamato COGNOME, per lo meno per quanto riferito nelle due sentenze di merito. Nessuna delle due sentenze, infatti, approfondisce la valutazione circa la rilevanza individualizzante delle dichiarazioni del COGNOME, che però è evidente solo con riferimento al COGNOME, che viene citato per nome ed anche riconosciuto in fotografia, mentre nessun elemento è stato addotto con riferimento alla partecipazione all’agguato anche dell’COGNOME, il cui nome non risulta essere emerso neppure dalle intercettazioni, sebbene riportate in modo ampio nella sentenza di primo grado.
La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, è carente quanto alla valutazione della sussistenza di sufficienti riscontri individualizzanti in merito alla persona dell’COGNOME, contro il quale è riportata solo la chiamata di correità da parte del COGNOME, senza indicare quali elementi riscontrino, oltre al suo
racconto complessivo e all’accusa nei confronti del coimputato COGNOME, anche la esplicita chiamata nei confronti del ricorrente.
Sulla base delle considerazioni che precedono, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve pertanto essere accolto, limitatamente alla valutazione circa la sussistenza di riscontri individualizzanti sufficienti per la sua condanna. La sentenza impugnata deve perciò essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli per un nuovo giudizio in merito alla responsabilità del solo ricorrente NOME COGNOME per il reato ascrittogli, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME deve, invece, essere rigettato, e questo ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Napoli.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 07 marzo 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente