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Chiamata in correità: credibilità e riscontri esterni

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per spaccio. La sentenza si concentra sulla validità della chiamata in correità, sottolineando che la sua attendibilità è provata non solo dalla credibilità del dichiarante, ma soprattutto dalla presenza di solidi riscontri esterni. La Corte ribadisce che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in una nuova valutazione dei fatti, se la motivazione delle sentenze di merito è logica e coerente.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata in Correità: Guida alla sua Validità nel Processo Penale

La chiamata in correità, ovvero la dichiarazione accusatoria di un imputato verso un altro, rappresenta uno degli strumenti probatori più delicati e discussi nel processo penale. La sua validità non è mai automatica ma dipende da un’attenta valutazione del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’opportunità di approfondire i criteri che ne determinano l’attendibilità, in particolare l’importanza cruciale dei riscontri esterni.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti (hashish e cocaina). La condanna si fondava su diversi elementi: l’esito di una perquisizione domiciliare, le dichiarazioni di alcuni acquirenti e, soprattutto, la testimonianza del suo coabitante e coimputato. Quest’ultimo, infatti, aveva ammesso le proprie responsabilità e accusato il ricorrente di essere coinvolto pienamente nell’attività illecita.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi della sentenza d’appello. I punti principali del ricorso erano:

1. Inattendibilità della chiamata in correità: Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero motivato adeguatamente sulla credibilità del coimputato, le cui dichiarazioni presentavano incongruenze.
2. Inutilizzabilità di una testimonianza: Si contestava l’utilizzabilità delle dichiarazioni di un acquirente, sostenendo che avrebbe dovuto essere interrogato con le garanzie previste per gli indagati.
3. Mancato riconoscimento del fatto di lieve entità: La difesa chiedeva l’applicazione della circostanza attenuante prevista dall’art. 73, comma 5, del Testo Unico Stupefacenti, sostenendo che le cessioni fossero di minima entità.

La Valutazione della Chiamata in Correità secondo la Corte

La Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la solidità delle decisioni dei giudici di merito. Il cuore della motivazione risiede proprio nella valutazione della chiamata in correità. La Corte ha ribadito che la credibilità di tali dichiarazioni deve essere vagliata con estremo rigore attraverso un duplice controllo:

* Credibilità soggettiva del dichiarante: Si valuta la personalità del dichiarante, i suoi rapporti con l’accusato e i motivi che potrebbero spingerlo a mentire (ad esempio, astio o desiderio di ottenere benefici). Nel caso di specie, non sono emersi motivi di risentimento tra i due coimputati, che anzi avevano un rapporto di amicizia.
* Attendibilità oggettiva e riscontri esterni: Le dichiarazioni devono trovare conferma in altri elementi di prova esterni, autonomi e convergenti. Questi riscontri devono essere solidi e significativi.

Nel caso specifico, i riscontri erano numerosi: il ritrovamento di droga e materiale per il confezionamento nelle aree comuni dell’appartamento, un appunto manoscritto che documentava un debito per droga, e i messaggi recuperati dai social network che provavano l’attività di spaccio condivisa.

Le Motivazioni

I giudici della Suprema Corte hanno spiegato che le censure del ricorrente erano semplici reiterazioni di argomenti già esaminati e respinti con motivazioni logiche e coerenti nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha sottolineato che, in presenza di una “doppia conforme” (due sentenze di condanna uguali), le motivazioni si integrano a vicenda. L’appello non può diventare un pretesto per chiedere ai giudici di legittimità una nuova e non consentita rivalutazione dei fatti. La credibilità del coimputato è stata ritenuta correttamente fondata su elementi oggettivi e sulla sua spontaneità, come la consegna di parte della droga agli agenti durante la perquisizione. Anche la mancata concessione dell’attenuante del “fatto di lieve entità” è stata giustificata dalla pluralità delle cessioni, dalla varietà delle sostanze e dalla professionalità dimostrata, elementi incompatibili con una minima offensività del reato.

Le Conclusioni

L’ordinanza riafferma un principio fondamentale della procedura penale: la chiamata in correità è una prova valida se la sua attendibilità è corroborata da riscontri esterni gravi, precisi e concordanti. Anche piccole incongruenze nel racconto del dichiarante non ne inficiano la credibilità complessiva se il nucleo centrale dell’accusa è solidamente provato da altri elementi. Questa decisione serve da monito: il ricorso in Cassazione è uno strumento per verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione, non per tentare di ottenere una terza valutazione del merito dei fatti.

Quando le dichiarazioni di un coimputato (chiamata in correità) sono considerate attendibili?
Le dichiarazioni di un coimputato sono ritenute attendibili quando superano un doppio vaglio: la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante (verificando l’assenza di motivi di inimicizia o interesse personale) e, soprattutto, la presenza di plurimi e solidi elementi di riscontro esterni che confermino il suo racconto.

Una piccola imprecisione nelle dichiarazioni del coimputato le rende del tutto inutilizzabili?
No. Secondo la Corte, l’accertata falsità di uno specifico e marginale fatto narrato dal dichiarante non impedisce la valorizzazione di altre parti del suo racconto, a condizione che queste siano supportate da precisi riscontri idonei a compensare il difetto di attendibilità soggettiva.

Perché nel caso di specie non è stata riconosciuta l’ipotesi del ‘fatto di lieve entità’?
L’attenuante non è stata riconosciuta perché i giudici hanno considerato la condotta nel suo complesso, tenendo conto di elementi indicativi di una certa professionalità e offensività, come la diversità delle sostanze spacciate, la pluralità delle cessioni accertate, le modalità di contatto con gli acquirenti e i rilevanti quantitativi di droga sequestrati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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