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Chiamata de relato: la Cassazione annulla la custodia

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per plurimi omicidi, basata principalmente sulla chiamata de relato di un collaboratore di giustizia. Secondo la Corte, il Tribunale ha errato nel qualificare tale testimonianza come diretta e nel considerare sufficienti i riscontri probatori, che sono risultati generici e non individualizzanti. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame che applichi i corretti e più rigorosi principi di valutazione della prova.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chiamata de relato: quando la testimonianza indiretta non basta per la custodia cautelare

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. Sez. 1 Num. 44287 Anno 2024) ha riaffermato i rigorosi criteri per la valutazione della prova penale, in particolare riguardo alla chiamata de relato proveniente da un collaboratore di giustizia. La Corte ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per plurimi omicidi, sottolineando come la testimonianza indiretta richieda riscontri esterni, convergenti e, soprattutto, specificamente collegati all’indagato. Questa decisione offre importanti chiarimenti sulla distinzione tra prova diretta e indiretta e sui limiti del loro utilizzo in fase cautelare.

I Fatti: una grave accusa basata su una confidenza

Il caso riguarda un uomo indagato per omicidio plurimo, tentato omicidio e associazione mafiosa. La principale fonte di accusa a suo carico era la dichiarazione di un collaboratore di giustizia. Quest’ultimo, tuttavia, non aveva assistito direttamente ai fatti, ma aveva riferito di aver appreso della partecipazione dell’indagato all’azione criminale tramite una confidenza ricevuta da uno degli autori materiali del delitto. Si trattava, quindi, di una classica chiamata de relato.
A supporto di tale dichiarazione, le indagini avevano portato al sequestro di autovetture, armi e altri reperti in una località prossima alle abitazioni dell’indagato e di altri soggetti. Su questi elementi, il Giudice per le Indagini Preliminari prima, e il Tribunale del Riesame poi, avevano fondato la misura della custodia cautelare in carcere.

La decisione del Tribunale e l’errata qualificazione della prova

Il Tribunale del Riesame aveva rigettato l’appello della difesa, confermando la misura cautelare. La motivazione si basava su due pilastri principali: la ritenuta attendibilità del collaboratore di giustizia e la presunta natura ‘diretta’ della sua testimonianza. Secondo il Tribunale, poiché le informazioni rientravano nel ‘patrimonio comune delle conoscenze degli associati’, la dichiarazione non doveva essere considerata de relato, ma diretta. Inoltre, gli elementi emersi dai sequestri (impronte su un fucile, un passamontagna, cartucce) venivano considerati validi riscontri.

L’analisi della Cassazione sulla chiamata de relato

La Corte di Cassazione ha smontato completamente l’impianto accusatorio, accogliendo il ricorso della difesa. Il punto centrale della decisione è la corretta qualificazione giuridica della testimonianza. La Corte ha chiarito che si è in presenza di una chiamata de relato quando il dichiarante riferisce un’informazione appresa da una fonte terza. Questa non può essere equiparata a una dichiarazione diretta, basata sulla conoscenza di fatti rientranti nel patrimonio comune di un’associazione criminale.
Quest’ultima ipotesi si verifica solo quando la notizia è talmente diffusa e consolidata all’interno del clan da diventare un fatto noto a tutti i membri. Nel caso di specie, invece, si trattava di una confidenza specifica, fatta da un soggetto a un altro. Come tale, essa doveva essere valutata con la massima cautela e necessitava di riscontri esterni ‘individualizzanti’.

Le Motivazioni: l’assenza di riscontri specifici

La Corte ha ritenuto la motivazione del Tribunale carente e manifestamente illogica. Innanzitutto, è stato censurato il mancato approfondimento sull’attendibilità intrinseca del collaboratore, a fronte delle specifiche critiche mosse dalla difesa.
Ma l’aspetto decisivo è stata l’analisi dei riscontri. La Cassazione ha stabilito che gli elementi raccolti non avevano alcuna ‘consistenza individualizzante’ rispetto alla posizione dell’indagato:

* Le autovetture e le armi: sono state rinvenute in una zona riconducibile a diverse persone, tra cui altri sospettati, ma non vi era prova di un collegamento diretto ed esclusivo con l’indagato.
* L’impronta digitale sul fucile: apparteneva a un’altra persona, non all’indagato.
* La fibra del passamontagna: è stata trovata in un’auto nella disponibilità di un altro soggetto.
* Il contrassegno di un motorino: sebbene rinvenuto in un contesto sospetto, si trovava in un’auto diversa da quelle usate per la strage e insieme a cartucce di calibro non compatibile.

In sostanza, nessuno degli elementi probatori era in grado di corroborare specificamente l’accusa mossa dalla chiamata de relato nei confronti dell’indagato. Erano elementi generici, riferibili al contesto criminale nel suo complesso, ma inefficaci a provare la partecipazione di quella specifica persona.

Le Conclusioni: un principio di garanzia

La sentenza si conclude con l’annullamento dell’ordinanza e il rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio. La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale di garanzia: per privare una persona della libertà personale, anche in fase cautelare, sono necessari ‘gravi indizi di colpevolezza’ basati su prove solide. Una chiamata de relato può contribuire a formarli solo se supportata da altri elementi che, al di là di ogni ragionevole dubbio, la confermino e la colleghino direttamente e univocamente all’accusato. In assenza di tali riscontri ‘individualizzanti’, la testimonianza indiretta rimane una semplice notizia, insufficiente a fondare una misura così grave come la custodia in carcere.

Quando la dichiarazione di un collaboratore di giustizia è considerata ‘de relato’?
Si considera ‘de relato’ quando il collaboratore riferisce informazioni che non ha percepito direttamente, ma che gli sono state confidate da un’altra persona. È diversa dalla dichiarazione su fatti che costituiscono ‘patrimonio conoscitivo comune’ di un’associazione criminale, che sono notizie note a tutti i membri.

Quali caratteristiche devono avere i riscontri a una chiamata de relato per essere validi?
I riscontri devono essere esterni alla dichiarazione stessa, convergenti (cioè puntare nella stessa direzione) e, soprattutto, ‘individualizzanti’. Quest’ultima caratteristica significa che devono collegare in modo specifico la persona accusata al fatto contestato, non essendo sufficienti elementi generici o riferibili ad altre persone.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di custodia cautelare in questo caso?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché il Tribunale del Riesame ha commesso un duplice errore: ha qualificato erroneamente come ‘diretta’ una testimonianza che era palesemente ‘de relato’ e ha considerato come validi riscontri degli elementi (armi, auto, reperti) che erano del tutto generici e privi di un collegamento specifico e univoco con l’indagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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