Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44287 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44287 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 22/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a Vibo Valentia il 28/07/1975 avverso l’ordinanza del 17/07/2024 del Tribunale di Catanzaro udita la relazione svolta dal Consigliere NOME Maria COGNOME sentite le conclusioni del Sost. Proc. Gen. NOME COGNOME per il rigetto del ricorso;
uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME che, in difesa di NOME COGNOME illustrano i motivi, ai quali si riportano chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro, Sezione per il riesame, con ordinanza del 17 luglio 2024 ha rigettato il riesame proposto avverso l’ordinanza con la quale il 4 giugno 2024 il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Catanzaro ha applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui agli artt. 110, 575, 577 n. 3 e 416 bis cod. pen.
NOME COGNOME è sottoposto a indagini per gli omicidi di NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e per il tentato omicidio di NOME COGNOME
I reati sono stati commessi il 25 ottobre 2003 nella località INDIRIZZO, sita nella frazione di Ariola del Comune di Gerocarne a Vibo Valenzia e la vicenda è nota come la strage di Ariola.
L’azione si è svolta facendo un agguato alla macchina sulla quale viaggiavano le vittime.
Sono stati usati dei fucili da caccia calibro 12 a pallettoni con i quali, dal margine sinistro della strada, sono stati esplosi numerosi colpi verso l’autovettura e dopo, quando questa si è fermata, gli autori si sono avvicinati e hanno sparato frontalmente.
La dinamica è stata ricostruita attraverso gli accertamenti effettuati nell’immediatezza e dalle dichiarazioni rese da NOME COGNOME sopravvissuto all’agguato che ha chiamato i soccorsi e ha descritto uno degli autori del reato.
Nei giorni immediatamente seguenti i fatti sono stati effettuate delle intercettazioni e tra queste sono risultate particolarmente significative alcune conversazioni di NOME COGNOME, che era stato da poco vittima di un tentato omicidio. Nello specifico COGNOME ha chiesto l’intervento della “zio NOME“, da identificarsi in NOME COGNOME per cercare di sistemare la situazione.
Nei mesi successivi, nel marzo 2004, sono state sequestrate quattro autovetture, due delle quali ritenute riconducibili all’azione, e alcune armi (tra cui tre fucili calibro 12), in località prossima all’abitazione di NOME COGNOME, di NOME COGNOME e di NOME COGNOME.
In ordine al fatto, nel corso del tempo, hanno reso dichiarazioni numerosi collaboratori di giustizia: NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Questi hanno consentito di ricostruire il contesto criminale nel quale si inserisce la c.d. strage di Ariola.
NOME COGNOME ha spiegato il contesto e ha indicato come promotore della strage NOME COGNOME e come esecutori materiali lo stesso NOME COGNOME oltre a NOME COGNOME cl. 83 e NOME COGNOME. Nello specifico il collaboratore ha spiegato che COGNOME aveva anche saputo che NOME COGNOME aveva intenzione di farlo eliminare e ha fornito ulteriori indicazioni in ordine a tali fatti.
NOME COGNOME ha dichiarato di avere appreso da NOME COGNOME mentre questo era latitante, che all’omicidio aveva partecipato come esecutore materiale anche NOME COGNOME
NOME COGNOME ha dichiarato che alcuni mesi prima che venisse commesso il triplice omicidio, nel gennaio 2003, aveva sentito NOME COGNOME che avanzava la proposta di uccidere i COGNOME e che NOME COGNOME gli aveva detto di stare zitto.
Sulla base di tali elementi il giudice per le indagini preliminari ha disposto la misura cautelare che la difesa ha impugnato censurando sia la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (in specifico evidenziando l’inattendibilità COGNOME, rilevando che la chiamata era de relato e che era unica e non riscontrata) che delle esigenze cautelari, ciò anche considerato il tempo trascorso.
Il Tribunale ha rigettato il riesame e la conclusone in merito alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza si fonda sul valore attribuito alla dichiarazione accusatoria di NOME COGNOME
Secondo i giudici del riesame la chiamata in reità, infatti, non sarebbe de relato ma sarebbe qualificabile come diretta in quanto il collaboratore avrebbe riferito fatti e circostanze che rientravano nel patrimonio comune delle conoscenze degli associati.
Sotto altro profilo, poi, la chiamata proverrebbe da un soggetto attendibile e sarebbe riscontrata dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, nonché dal rinvenimento delle autovetture e delle armi.
Nello specifico le quattro macchine e le armi sarebbero state sequestrate in località prossima alle abitazioni del ricorrente e del fratello e all’interno queste sarebbero stati rinvenuti dei fucili calibro 12, sopra uno dei quali vi sono le impronte di NOME COGNOME cl. 83, e un passamontagna nell’autovettura riconducibile a NOME COGNOME nonché, all’interno di un’altra autovettura contenente delle cartucce di fucile calibro sedici, il contrassegno di un motorino riferibile al ricorrente.
In ordine alle esigenze cautelari il Tribunale ha ritenuto che la gravità dei fatti e il contesto complessivo non consenta di superare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso l’indagato a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha dedotto i seguenti motivi.
4.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192 e 309 cod. proc. pen. Nel primo motivo la difesa rileva, sotto vari profili, che la conclusione cui è pervenuto il Tribunale sarebbe errata.
Nello specifico:
la chiamata in reità non sarebbe qualificabile come diretta in quanto le circostanze narrate da NOME COGNOME, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, non facevano parte del patrimonio comune dell’associazione e sono, pertanto, delle dichiarazioni de relato che devono essere valutate con particolare
attenzione e rigore in ossequio alla pacifica giurisprudenza di legittimità sul punto;
l’attendibilità di NOME COGNOME non sarebbe stata adeguatamente e correttamente valutata e la motivazione sul punto sarebbe carente. Il Tribunale, infatti, non avrebbe considerato che il collaboratore è stato escluso dal programma di protezione. Sul punto non avrebbe alcun valore il parere reso nell’anno 2012 che, peraltro, sarebbe superato da una più recente sentenza, emessa nel 2017, nella quale il collaboratore è stato ritenuto non credibile. Lo stesso COGNOME, poi è stato anche recentemente condannato alla pena di anni venti e non gli sono state riconosciute le attenuanti previste per la collaborazione;
Non sussisterebbero i necessari riscontri individualizzanti:
-nessun altro collaboratore indica il ricorrente tra gli esecutori degli omicidi (COGNOME ha indicato NOME COGNOME, NOME COGNOME cl 83 e NOME COGNOME; COGNOME ha indicato i figli di NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME e uno dei Forastefano; COGNOME i due COGNOME e COGNOME; COGNOME non ha riferito nulla a carico di NOME COGNOME);
-le dichiarazioni di COGNOME, pure lui escluso dal programma di protezione, non avrebbero alcuna effettiva consistenza, anche perché non si riferiscono direttamente agli omicidi ma a un periodo antecedente e generico e, quindi, mancherebbe la necessaria convergenza sul thema probandum (lo stesso COGNOME avrebbe ammesso di non sapere nulla degli omicidi e di non essersi neanche confrontato con gli altri membri del gruppo quanto è tornato in Calabria);
-assenza di riscontri di generica in quanto gli elementi acquisiti con i sequestri non sarebbero riferibili al ricorrente, tanto che nulla gli è stato contestato all’epoca.
4.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 192, 309, 274 e 275 cod. proc. pen. Nel secondo motivo la difesa censura la conclusione cui è pervenuto il Tribunale soprattutto con riferimento alla mancata considerazione del tempo trascorso e, pertanto, in ordine all’attualità delle esigenze cautelari.
In data 15 ottobre 2024 è pervenuta una memoria difensiva redatta dagli avvocati NOME COGNOME nel frattempo nominato difensore di fiducia, e NOME COGNOME nella quale vengono ulteriormente illustrati i motivi di ricorso.
5.1. In ordine alla insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza i difensori ribadiscono che:
le dichiarazioni di NOME COGNOME sono de relato e il Tribunale è pertanto incorso in errore di diritto sul punto.;
la motivazione del provvedimento impugnato è contraddittoria laddove ritiene che le dichiarazioni di COGNOME e COGNOME siano convergenti in quanto il secondo non ha mai parlato di NOME COGNOME
il giudice ha violato l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. in quanto la motivazione è inesistente in merito ai profili relativi all’inattendibilità intrinse ed estrinseca di Forastefano e quanto all’inattendibilità intrinseca di Oppedisano.
La difesa, poi, evidenzia le ragioni per le quali i reperti balistici e quanto rinvenuto nelle quattro autovetture sequestrate sia nella sostanza irrilevante in merito alla posizione del ricorrente e non possa essere, quindi, indicato come elemento di riscontro individualizzante delle generiche dichiarazioni rese da COGNOME. Nello specifico: l’impronta sul fucile calibro 12 è di NOME COGNOME cl 83 e non del ricorrente; il passamontagna è stato rinvenuto in una macchina riferibile a NOME COGNOME; il contrassegno riferibile al ricorrente era in un’autovettura diversa da quelle usate per l’omicidio, all’interno della quale vi erano cartucce calibro 16 e non 12, come quelle usare per l’azione; quanto sequestrato, in generale, non è riferibile al ricorrente, tanto che allorché si è proceduto al sequestro nulla è stato contestato a NOME COGNOME.
5.2. In ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari ribadiscono che il Tribunale avrebbe omesso di considerare in termini adeguati il lungo tempo trascorso e come questo renda prive di attualità e concretezza le esigenze cautelari.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei termini che seguono.
Nel primo motivo di ricorso e nei motivi nuovi la difesa deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 192, 273 e 309 cod. proc. pen. con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
La doglianza è fondata.
2.1. L’art. 192 cod. proc. pen. nei commi 3 e 4 indica i criteri di valutazione della chiamata in correità o in reità, diretta o de relato evidenziando che le dichiarazioni etero accusatorie rese da un coimputato o imputato in procedimento connesso o collegato devono trovare conferma in altri elementi di prova, con conseguente accentuazione, in ossequio alla previsione di cui al
comma 1 dello stesso articolo, dell’obbligo di motivazione del convincimento del giudice.
La corretta individuazione dei criteri indicati nella norma, che costituisce la trasposizione legislativa dell’elaborazione della giurisprudenza di legittimità antecedente l’entrata in vigore del codice del 1989, è stata oggetto di numerose sentenze di questa Corte e, principalmente, di tre pronunce delle Sezioni Unite.
2.2. Da principio le Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465, hanno evidenziato che la corretta valutazione del mezzo di prova deve essere articolato dal giudice di merito in tre tempi:
prima deve essere verificata la credibilità soggettiva del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socioeconomiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all’accusa nei confronti del chiamato;
in un secondo momento si deve procedere alla valutazione dell’attendibilità intrinseca della chiamata, in base ai criteri della precisione, dell coerenza, della costanza, della spontaneità;
da ultimo si effettua la verifica esterna dell’attendibilità dell dichiarazione, attraverso l’esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa.
Come specificato successivamente dalla giurisprudenza di questa Corte, d’altro canto, i tre tempi indicati non delineano una sequenza rigorosamente rigida in quanto il percorso valutativo dei vari passaggi non deve, e spesso non può, muoversi lungo linee separate.
La credibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva del suo racconto, influenzandosi reciprocamente, al pari di quanto accade per ogni altra prova dichiarativa, ad esempio, devono essere valutate unitariamente e ciò in quanto l’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., non pone alcuna deroga al riguardo (cfr. Sez. 4, n. 34413 del 8/06/2019, COGNOME, Rv. 276676 – 01 Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348 – 01; Sez. 1, n. 19759 del 17/05/2011, COGNOME, n. m. sul punto; Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, COGNOME, Rv. 236151) così che le eventuali riserve circa l’attendibilità del narrato, vagliata la valenza probatoria anche alla luce di tutti gli altri elementi di informazione legittimamente acquisiti, possono essere superate.
2.3. La procedura di verifica delle dichiarazioni etero accusatorie dei coimputati o degli imputati in procedimento connesso o collegato, come già evidenziato da Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090 e più recentemente da Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01, deve essere più attenta e rigorosa nei casi di conoscenza de auditu.
Il giudizio di attendibilità intrinseca soggettiva del chiamante e della specifica attendibilità intrinseca oggettiva della dichiarazione da costui resa, infatti, impone, un’indagine accurata sulla causa scientiae del dichiarante, la cui conoscenza, traendo origine dalla trasmissione di informazioni ad opera di un altro soggetto, può essere esposta a maggiori rischi di errore.
La chiamata de relato, d’altro canto, presentando una struttura analoga alla testimonianza indiretta, mutua da questa, almeno per quanto attiene alla valutazione dell’attendibilità intrinseca, il metodo di verifica, che implica necessariamente uno sdoppiamento della valutazione, nel senso che occorre verificare non soltanto l’attendibilità intrinseca soggettiva ed oggettiva del dichiarante in relazione al fatto storico della narrazione percepita, ma anche l’attendibilità della fonte primaria di conoscenza e la genuinità del suo narrato, che integra l’elemento di prova più significativo del fatto sub iudice.
Nel caso specifico della chiamata de auditu non asseverata dalla fonte primaria, inoltre, la valutazione della credibilità intrinseca delle dichiarazion impone di apprezzarne la spontaneità, la coerenza, la costanza e la precisione, indagando, in particolare, proprio per il maggiore rigore valutativo imposto dalla peculiarità del caso, sulle circostanze concrete di tempo e di luogo in cui avvenne il colloquio tra il dichiarante e il soggetto di riferimento nonché sulla natura dei rapporti (di frequentazione e di familiarità) tra i due, sì da giustificare confidenze, di tenore certamente compromettente, ricevute dal primo.
In questa situazione, nella quale il racconto proviene dalla fonte di seconda mano ed è sicuramente più complicato saggiare l’attendibilità intrinseca del terzo, poi, assume rilievo l’analisi specifica della compatibilità dei particolar forniti con il quadro probatorio già acquisito così che, se non sussistono ragioni sintomatiche di una comunicazione di notizie false, può agevolmente ritenersi, per consequenzialità logica e in base ad una consolidata massima di esperienza, la corrispondenza al vero della confidenza extraprocessuale proveniente dal soggetto di riferimento, anche se dal medesimo non asseverata in sede processuale.
2.4. Diversa, d’altro canto, è l’ipotesi delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia in ordine fatti e circostanze attinenti alla vita e al attività del sodalizio criminoso, appresi come componente dello stesso.
Questi, infatti, non sono assimilabili alle dichiarazioni de relato e possono pertanto assumere, purché supportate da validi elementi di verifica circa le modalità di acquisizione dell’informazione resa che consentano di ritenerle effettivamente oggetto di patrimonio conoscitivo comune agli associati, il medesimo rilievo probatorio delle chiamate dirette (cfr. Sez. 1, n. 17647 del 19/02/2020, COGNOME, Rv. 279185 – 02; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep.
2015, COGNOME, Rv. 262309; Sez. 2, n. 29923 del 04/07/2013, COGNOME, Rv. 256065; Sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010, COGNOME, Rv. 247585; Sez. 2, n. 6134 del 20/01/2009, COGNOME, Rv. 243425).
2.5. L’operazione logica di verifica giudiziale al fine di ritenere che la chiamata’ possa assurgere a prova idonea a giustificare l’affermazione di responsabilità si deve in ogni caso concludere con la verifica circa l’esistenza di riscontri esterni, convergenti e individualizzanti in relazione al fatto che forma oggetto dell’accusa e alla specifica condotta criminosa dell’incolpato e in tal caso, qualora la dichiarazione sia de relato, il controllo narrativo della stessa e della sua efficacia dimostrativa deve essere particolarmente rigoroso e approfondito essendo necessario, per la natura indiretta dell’accusa, un più attento e approfondito controllo del contenuto (cfr. Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, COGNOME, Rv. 226090 – 01).
In ordine alla tipologia e all’oggetto dei riscontri, come affermato dalle Sezioni Unite, deve ritenersi che la genericità dell’espressione “altri elementi di prova” utilizzata dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. legittimi l’interpretazione secondo cui in questa materia vige il principio della “libertà dei riscontri”, nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura così da poter essere costituiti non soltanto da prove storiche dirette, ma da ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo e idoneo, anche sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell’ambito di una valutazione probatoria unitaria, il mezzo di prova ritenuto ex lege bisognoso di conferma.
Il riscontro, d’altro canto, non deve integrare ex se la prova del fatto in quanto, se così fosse, l’elemento perderebbe la sua funzione e gregaria e sarebbe da solo sufficiente a sostenere il convincimento del giudice facendo nella sostanza venire meno la necessità della prova principale, da sola non sufficiente.
L’unico dato certo, evincibile dalla previsione letterale dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., è costituito dall’esigenza che i riscontri alle devono essere caratterizzati dalla necessaria estraneità, devono cioè essere esterni, rispetto alla dichiarazione stessa.
Tenuto conto della mancanza di qualsiasi indicazione normativa in senso contrario, d’altro canto, deve escludersi che i riscontri debbano essere necessariamente di natura diversa rispetto alla categoria probatoria considerata.
La norma, infatti, fa riferimento ad “altri” elementi di prova, da intendersi come elementi “ulteriori”, da utilizzare in chiave corroborativa, il che chiarisce che si è inteso evocare un parametro meramente quantitativo e non qualitativo
di tali elementi, senza alcuna pretesa di una imprescindibile differenziazione di tipo ontologico dei medesimi rispetto alla prova dichiarativa da riscontrare.
Ciò posto, il riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità, diretta o de relato, ben può essere offerto dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più degli altri soggetti indicati nella norma in quanto elemento probatorio, diretto o indiretto che sia, purché estraneo alle dichiarazioni da riscontrare, può essere legittimamente utilizzato a conferma dell’attendibilità delle stesse.
In tale prospettiva, pertanto, il riscontro di qualsivoglia chiamata, sia esse diretta o indiretta, può essere costituito anche da una diversa e seconda chiamata, anche se questa è del pari de relato, ciò in quanto nessuna norma processuale prevede una tale limitazione al principio del libero convincimento del giudice.
Qualora l’elemento di riscontro sia costituito da un’altra chiamata il giudice, al fine di evitare che la c.d. mutual corroboration sia il risultato di falsità concordate e finalizzate a incolpare una persona estranea ai fatti, è tenuto a procedere a una verifica rigorosa e attenta dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione e, quindi, l’attitudine di una o più di esse a fungere da riscontro estrinseco di quella o di quelle che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione.
In tale ottica, pertanto, al fine di enucleare la prova del fatto contestato, il giudice è tenuto a procedere a una delicata e complessa operazione di valutazione nella quale deve, innanzi tutto, sottoporre la dichiarazione accusatoria utilizzabile come riscontro di altra di analogo tenore allo stesso controllo di attendibilità intrinseca che vale per quest’ultima e, poi, deve procedere alla verifica che le ulteriori dichiarazioni accusatorie siano connotate da:
-convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;
-indipendenza, intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente, da suggestioni o condizionamenti inquinanti;
-specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia il fatto nella sua oggettività che la riferibilità soggettiva dello stesso alla persona dell’incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l’aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni d’accusa sul nucleo centrale e più significativo della questione fattuale da decidere;
-autonomia “genetica”, vale a dire derivazione non ex unica fonte, onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza
dell’elemento di riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza del molteplice (cfr. testualmente Sez. U, Sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145 – 01 da ultimo cfr. Sez. 1, n. 41238 del 26/06/2019, COGNOME, Rv. 277134 – 01).
In presenza di tali caratteristiche le plurime chiamate in correità (o in reità) legittimamente concorrono a formare, in modo peraltro non rivalutabile in sede di legittimità, la base fattuale della affermazione di responsabilità del chiamato (in assenza di concrete ipotesi alternative di ricostruzione dei fatti) proprio in ragione della loro verificata autonomia genetica e in riferimento alla massima di esperienza, rispettosa dei canoni normativi di valutazione della prova, per la quale quando più fonti, ritenute affidabili e rilevanti nonché dotate di piena autonomia sul piano della esperienza percettiva, riferiscono fatti tendenzialmente coincidenti nel loro nucleo essenziale, ciò crea le condizioni per l’affidamento del giudice sulla corrispondenza al vero dei fatti narrati.
2.6. Nel caso in cui non siano emersi ovvero non siano stati acquisiti elementi di riscontro su di un segmento significativo della narrazione, ovvero addirittura esistano elementi di chiara smentita tali da incidere sull’attendibilità di quanto dichiarato, il giudice di merito, tenendo conto degli elementi di fatto chiaramente antagonisti rispetto ai contenuti narrativi portati dal dichiarante, è tenuto a esporre in modo logico i criteri adoperati per realizzare, ove ciò sia possibile, il c.d. frazionamento della dichiarazione complessa.
Tale operazione, però, non si riferisce a situazioni nelle quali l’elemento di smentita sia irrilevante, quando cioè questo si riferisce a un aspetto marginale nell’economia del racconto (Sez. 1, n. 34102 del 14/07/2015. COGNOME, Rv. 264368 – 01) quanto, piuttosto, laddove la smentita sia su un fatto specifico rilevante e la narrazione sia stata positivamente vagliata in riferimento ad altri episodi storici.
Il limite intrinseco della frazionabilità, infatti, è rappresentato dal complessità e articolazione della dichiarazione che, per essere frazionabile, deve avere ad oggetto episodi storici autonomi e distinti, non intimamente correlati.
Ciò in quanto la c.d. valutazione frazionata delle dichiarazioni accusatorie (per la quale l’attendibilità del dichiarante, anche se denegata per una parte del suo racconto, non viene necessariamente meno con riguardo alle altre parti, quando queste reggano alla verifica giudiziale del riscontro), in tanto è ammissibile in quanto non esista un’interferenza fattuale e logica fra la parte del narrato ritenuta falsa e le rimanenti parti che siano adeguatamente riscontrate. Detta interferenza, peraltro, si verifica solo quando fra la prima parte e le altre esista un rapporto di causalità necessaria ovvero quando l’una sia imprescindibile antecedente logico dell’altra (Sez. 5, n. 46471 del 19/10/2015, Rossano, Rv.
265874 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 40000 del 10/07/2013, COGNOME, Rv. 256917 – 01; Sez. 6, n. 35327 del 18/07/2013, COGNOME, Rv. 256097 – 01 Sez. 1, n. 16723 del 16/03/2001, COGNOME, Rv. 218720 – 01).
2.7. Nel caso di specie il Tribunale non si è conformato ai principi indicati.
2.7.1. A fronte di quanto indicato nel provvedimento impugnato, diversamente da come indicato dal giudice del riesame, si deve ritenere che la chiamata in reità di NOME COGNOME in ordine alla partecipazione all’azione del ricorrente sia de relato e che, come tale, debba essere valutata.
Il collaboratore, infatti, ha riferito quanto appreso da una confidenza ricevuta da NOME COGNOME e non ha indicato nulla che fosse di sua diretta conoscenza.
Da quanto esposto nella motivazione, d’altro canto, diversamente da quanto affermato apoditticamente dal Tribunale, non emerge alcun elemento dal quale si possa desumere che quanto raccontato dal collaboratore in merito a NOME Emanuele facesse parte di un patrimonio comune del gruppo: nessuno degli altri collaboratori ha reso dichiarazioni sul punto né sono stati indicati altri argomenti dai quali emerga che la notizia rientrasse tra quelle pacificamente note all’interno del clan, cioè che fosse «espressione di un patrimonio conoscitivo condiviso derivante dalla circolazione all’interno della stessa di informazioni e di notizie relative a fatti di interesse comune degli associati» (Sez. 2, n. 48448 del 31/10/2023, Genovese, Rv. 285587 – 03; Sez. 2, n. 31920 del 04/06/2021, COGNOME, Rv. 281811 – 01; Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281603 – 02 con specifico riferimento alla necessità di una particolare cautela sul punto).
Diversamente da quanto ritenuto dal giudice del riesame, poi, non si può ritenere che le dichiarazioni rese da COGNOME siano equiparabili a quelle dirette perché costituite da confidenze autoaccusatorie ricevute direttamente dall’autore materiale del fatto.
Tale affermazione, infatti, risulta corretta solo in ordine a quanto narrato da NOME COGNOME in merito alla propria responsabilità, che ha in tal modo “confessato” al collaboratore, ma non può essere esteso alla posizione di NOME COGNOME che è oggetto di una dichiarazione etero accusatoria che deve, pertanto, essere a tutti gli effetti considerata de relato e valutata applicando i criteri per questa indicati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 27918 del 25/05/2021, COGNOME, Rv. 281603 – 02; Sez. 1, n. 9891 del 04/06/2019, dep. 2020, Campana, Rv. 278503 – 01).
2.7.2. Pure a prescindere dal mancato riferimento ai principi enucleati per la valutazione delle dichiarazioni de relato, la motivazione in merito alla credibilità intrinseca di NOME COGNOME è comunque carente 4
In relazione a tale aspetto, infatti, a fronte delle specifiche censure evidenziate dalla difesa fil mero e generico rinvio al parere redatto dal pubblico ministero nell’anno 2012, senza dare conto delle ragioni per le quali tale valutazione sarebbe comunque ancora valida, risulta nella sostanza privo di effettiva consistenza, ciò anche considerato che nella stessa ordinanza si dà atto che nel medesimo atto si segnalava che erano state riscontrate delle problematiche nella gestione del collaboratore, che tendeva “a minimizzare le responsabilità concernenti i propri sodali più stretti …” (cfr. pagine 20 e 21 del provvedimento impugnato).
2.7.3. Ad analoghe conclusioni si deve pervenire quanto alla motivazione resa in merito all’esistenza e consistenza degli elementi di riscontro individualizzanti.
Il collaboratore COGNOME in ordine alla credibilità intrinseca del quale la motivazione del provvedimento impugnato è inesistente, ha riferito di un discorso avvenuto, peraltro in termini generici, circa un anno prima che venissero commessi gli omicidi.
Gli ulteriori elementi indicati, quanto emerso nel corso delle indagini, almeno per quanto e come indicato nella motivazione del provvedimento impugnato, non hanno una effettiva consistenza individualizzante rispetto al ricorrente per cui il riferimento agli stessi risulta manifestamente illogico.
-Le autovetture sono state rinvenute in una zona compatibile con la riferibilità delle stesse a diverse persone (tra queste il fratello NOME e il genero NOME, soggetti indicati come possibili partecipi all’azione) e non al solo NOME NOME al quale, peraltro, nell’immediato, non è stato contestato alcunché.
-L’impronta digitale rinvenuta su uno dei fucili calibro 12, presumibilmente quelli utilizzati per commettere gli omicidi, non è del ricorrente.
-La fibra del passamontagna t in qualche modo riconducibile a quello utilizzato da uno degli esecutori materiali /è stata rinvenuta su di un’autovettura nella disponibilità di NOME COGNOME
-Il contrassegno del motorino risultato rubato nello stesso contesto di altro attribuito al ricorrente, che pure risulta essere di per sé un elemento di debole efficacia rappresentativa, è stata rinvenuta in prossimità di un’autovettura che non sembra essere stata coinvolta nell’azione omicidiaria e il rinvio alla circostanza che nello stesso posto ci fossero delle cartucce è suggestivo ma nella sostanza inconferente in quanto tali munizioni sono di calibro 16, diverso da quelle utilizzate per la strage.
2.8. Per le ragioni esposte l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio quanto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza affinché il Tribunale
di Catanzaro, attenendosi ai principi esposti, proceda a un nuovo giudizio s punto.
Le doglianze relative alla sussistenza, attualità e concretezza delle esigen cautelari sono assorbite.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Catanzaro, Sezione per il riesame. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 22 ottobre 2024
; estensore
Il Presidente