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Chat criptate: onere della prova spetta alla difesa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un indagato contro un’ordinanza di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La difesa contestava l’utilizzabilità delle chat criptate e l’identificazione dell’indagato. La Corte ha stabilito che l’onere di provare l’illegittimità dell’acquisizione delle chat spetta alla difesa e ha confermato la corretta identificazione basata su altri elementi, come il riconoscimento vocale.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chat criptate: l’onere di provare la violazione dei diritti spetta alla difesa

L’utilizzo di chat criptate come prova nei processi penali è un tema di crescente attualità. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: spetta alla difesa l’onere di dimostrare che l’acquisizione di tali dati da parte di autorità estere abbia violato i diritti fondamentali. La pronuncia analizza il complesso bilanciamento tra le esigenze investigative e le garanzie difensive nel contesto della cooperazione giudiziaria europea.

I fatti del caso

Il caso riguarda un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale della Libertà di Firenze nei confronti di un soggetto indagato per partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La misura restrittiva si basava, tra l’altro, su prove derivanti da conversazioni su una piattaforma di comunicazione criptata, acquisite tramite cooperazione internazionale.

Le censure della difesa sull’utilizzo delle chat criptate

La difesa dell’indagato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi. Il motivo principale riguardava l’inutilizzabilità delle chat criptate. In particolare, il ricorrente sosteneva che:
1. I dati fossero stati acquisiti in assenza di un Ordine Europeo di Indagine (o.e.i.), con modalità lesive dei diritti fondamentali.
2. Vi fosse stata un’errata identificazione, attribuendo all’indagato un’utenza in realtà utilizzata da un’altra persona.
3. La difesa non avesse avuto la possibilità di accedere all’algoritmo di decifrazione e al software utilizzato, impedendo una verifica sulla genuinità dei dati.
Inoltre, venivano contestate la competenza territoriale del Tribunale di Firenze e la sussistenza delle esigenze cautelari a fronte del tempo trascorso dai fatti.

La decisione della Cassazione sull’onere della prova nelle chat criptate

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, fornendo importanti chiarimenti sull’uso processuale delle comunicazioni cifrate. Richiamando i principi già affermati dalle Sezioni Unite, la Corte ha stabilito che vige una presunzione di conformità ai diritti fondamentali dell’attività svolta dall’autorità giudiziaria estera nell’ambito dei rapporti di collaborazione.

Di conseguenza, l’onere di allegare e provare i fatti da cui deriverebbe una violazione di tali diritti grava sulla difesa. Nel caso di specie, la difesa non ha fornito alcuna prova concreta a sostegno della tesi dell’acquisizione illegittima, limitandosi a un’affermazione generica. La Corte ha inoltre sottolineato che l’impossibilità di accedere all’algoritmo di decriptazione non costituisce, di per sé, una violazione dei diritti difensivi, a meno che non si dimostri un concreto pericolo di alterazione dei dati.

Altri motivi di ricorso: identificazione e competenza

La Corte ha rigettato anche gli altri motivi di ricorso. L’errore di identificazione iniziale basato su un’utenza specifica è stato ritenuto irrilevante, poiché l’identificazione certa dell’indagato era avvenuta tramite un altro nickname, la cui attribuzione era stata corroborata dalla comparazione della sua voce, registrata in un messaggio audio sulla chat, con quella intercettata in un diverso procedimento.

L’eccezione di incompetenza territoriale è stata giudicata inammissibile per genericità, poiché la difesa non aveva indicato quale fosse il giudice competente secondo la sua prospettazione. Infine, la Corte ha confermato la sussistenza delle esigenze cautelari, spiegando che nei reati associativi il mero decorso del tempo non è sufficiente a escludere la pericolosità, che va valutata in un quadro più ampio comprendente il ruolo ricoperto e la stabilità del vincolo criminale.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un consolidato orientamento giurisprudenziale, sia nazionale che europeo, che mira a non paralizzare la cooperazione giudiziaria internazionale con eccezioni puramente formali. Il principio della presunzione di legittimità dell’operato delle autorità estere, salvo prova contraria a carico della difesa, rappresenta il cardine della decisione. La Corte ha evidenziato come le garanzie difensive debbano essere esercitate in modo concreto, fornendo elementi specifici che possano incrinare il quadro probatorio, e non attraverso mere enunciazioni di principio. L’identificazione dell’indagato, basata su un solido riscontro vocale, è stata considerata sufficiente a superare qualsiasi dubbio derivante da un precedente errore investigativo, dimostrando come la valutazione giudiziaria debba basarsi sulla totalità degli elementi disponibili e sulla loro coerenza complessiva.

Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio in materia di prove digitali acquisite all’estero. Le chat criptate sono pienamente utilizzabili nei processi penali italiani, e la loro acquisizione tramite cooperazione giudiziaria si presume legittima. Spetta alla difesa, che intenda contestarne l’utilizzabilità, fornire la prova specifica di una violazione dei diritti fondamentali. Questa decisione rafforza gli strumenti investigativi nella lotta alla criminalità organizzata transnazionale, pur mantenendo un presidio sulle garanzie difensive, il cui esercizio è però subordinato a un onere di allegazione e prova concreto e non generico.

Chi deve provare che le chat criptate acquisite da un’autorità straniera sono state ottenute illegalmente?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere di allegare e provare i fatti da cui deriverebbe una violazione dei diritti fondamentali grava sulla difesa. Vige una presunzione di conformità dell’attività dell’autorità giudiziaria estera, che deve essere superata con prove concrete.

L’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo di decifrazione delle chat costituisce una violazione dei diritti fondamentali?
No, non automaticamente. La Corte ha stabilito che questa impossibilità non determina di per sé una violazione, a meno che la difesa non fornisca specifiche allegazioni e prove circa un concreto pericolo di alterazione dei dati.

In un’associazione a delinquere, il semplice passare del tempo è sufficiente a far decadere le esigenze cautelari?
No. Per i reati associativi, la prognosi di pericolosità non si basa solo sul tempo trascorso, ma richiede una valutazione complessiva che include il grado di inserimento dell’indagato nel circuito criminale e la sua professionalità. Il tempo è solo uno degli elementi rilevanti da considerare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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