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Chat criptate: la Cassazione ne conferma l’uso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato accusato di traffico di droga, confermando la validità dell’uso di messaggi da chat criptate ottenuti da autorità francesi. La sentenza chiarisce che il giudice del rinvio è strettamente vincolato ai principi stabiliti dalla precedente sentenza di annullamento, anche in presenza di mutamenti giurisprudenziali. L’acquisizione di tali dati è stata qualificata non come intercettazione, ma come sequestro di documentazione informatica, ritenuta legittima in quanto autorizzata da un giudice straniero per gravi reati e compatibile con l’ordinamento italiano.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chat Criptate: La Cassazione si Pronuncia sull’Utilizzo delle Prove Digitali dall’Estero

L’uso di chat criptate come prova nei processi penali continua a essere un tema centrale e dibattuto. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali, in particolare sulla gestione delle prove ottenute tramite cooperazione giudiziaria internazionale e sul ruolo del giudice in sede di rinvio. La decisione in esame riguarda un caso di traffico di sostanze stupefacenti, basato in gran parte su comunicazioni acquisite da una nota piattaforma crittografata grazie a un Ordine Europeo di Indagine (O.E.I.) emesso verso la Francia.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce da un’indagine su un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. Le prove principali a carico di uno degli indagati consistevano in messaggi scambiati su una piattaforma di comunicazione criptata, decifrati e trasmessi dall’autorità giudiziaria francese a quella italiana. Sulla base di questi elementi, il Giudice per le Indagini Preliminari aveva disposto la custodia cautelare in carcere.

Il caso era già giunto in Cassazione una prima volta, che aveva annullato con rinvio l’ordinanza, incaricando il Tribunale della Libertà di effettuare due verifiche specifiche: la corretta qualificazione giuridica dell’attività di indagine svolta all’estero e la sussistenza delle condizioni per autorizzare tale attività anche secondo la legge italiana. Il Tribunale, in sede di rinvio, aveva nuovamente confermato la misura cautelare, portando l’imputato a presentare un nuovo ricorso in Cassazione.

L’Utilizzo delle Chat Criptate e il Principio del Rinvio

Il nodo centrale della questione era se le conversazioni acquisite potessero essere considerate utilizzabili. La difesa sosteneva che si trattasse di un’intercettazione illegittima, poiché non erano stati verificati i presupposti richiesti dalla legge italiana.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi basandosi su un principio fondamentale del nostro ordinamento processuale: l’obbligo inderogabile per il giudice del rinvio di uniformarsi ai principi di diritto stabiliti dalla sentenza di annullamento. Questo vincolo rimane valido anche se, nel frattempo, la giurisprudenza dovesse cambiare. La Corte ha quindi stabilito che la recente decisione delle Sezioni Unite sulla stessa materia non poteva influenzare il caso specifico, che doveva essere deciso unicamente alla luce delle direttive della precedente sentenza di annullamento.

Le Motivazioni

Seguendo le indicazioni ricevute, il Tribunale della Libertà aveva correttamente svolto il suo compito. In primo luogo, aveva qualificato l’attività non come un’intercettazione di flussi di comunicazione in tempo reale, ma come l’acquisizione ‘a freddo’ di documentazione informatica già presente sui server della piattaforma. Questa attività rientra nella disciplina del sequestro di dati informatici (art. 254-bis c.p.p.) e non in quella, più stringente, delle intercettazioni.

In secondo luogo, il giudice del rinvio ha verificato la legittimità dell’acquisizione sotto un duplice profilo. Da un lato, l’attività era stata autorizzata da un giudice francese nell’ambito di un procedimento per reati gravi, nel pieno rispetto della legislazione di quello Stato e del principio di proporzionalità. Dall’altro, ha appurato che anche secondo l’ordinamento italiano sussistevano le condizioni per un provvedimento analogo. Infatti, il soggetto le cui comunicazioni erano state primariamente acquisite era già noto per il suo coinvolgimento in attività di narcotraffico, giustificando così una misura investigativa così invasiva. Le chat hanno poi rivelato il coinvolgimento dell’odierno ricorrente.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce due concetti di notevole importanza pratica. Primo, il principio del ‘giudicato’ interno alla procedura, che vincola il giudice del rinvio alle direttive della Cassazione, garantendo certezza e coerenza al procedimento. Secondo, consolida l’orientamento secondo cui l’acquisizione di messaggi da server esteri, ottenuti tramite O.E.I., è un mezzo di ricerca della prova legittimo se l’attività originaria è stata autorizzata da un’autorità giudiziaria e se rispetta i principi di proporzionalità e gravità del reato, risultando compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano.

È possibile utilizzare in un processo penale italiano messaggi scambiati su chat criptate e acquisiti da un’autorità giudiziaria straniera?
Sì, è possibile. La sentenza chiarisce che se tali messaggi sono stati acquisiti all’estero nel rispetto della legislazione locale, su autorizzazione di un giudice e per reati gravi, e trasmessi tramite Ordine Europeo di Indagine, possono essere utilizzati come prova in Italia, a condizione che l’attività investigativa sia compatibile con i principi dell’ordinamento italiano.

Il giudice del rinvio è obbligato a seguire i principi di diritto stabiliti dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento?
Sì, l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla sentenza della Corte di Cassazione per quanto riguarda le questioni di diritto è assoluto e inderogabile. Questo vale anche se, dopo la decisione della Cassazione, dovesse intervenire un cambiamento nella giurisprudenza, come una pronuncia delle Sezioni Unite.

L’acquisizione di messaggi già conservati su un server è considerata un’intercettazione?
No. La Corte, seguendo l’impostazione della precedente sentenza di annullamento, ha specificato che l’acquisizione di comunicazioni già avvenute e conservate su un server (‘a freddo’) non costituisce un’intercettazione di flussi di comunicazione, ma va qualificata come acquisizione di documenti e dati informatici, soggetta alla disciplina del sequestro probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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