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Chat criptate: la Cassazione conferma l’utilizzabilità

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato in stato di custodia cautelare per associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. La questione centrale verteva sull’utilizzabilità delle chat criptate acquisite da autorità estere tramite Ordine Europeo di Indagine. La Corte, richiamando un’importante sentenza delle Sezioni Unite, ha confermato la piena legittimità di tali prove, specificando che l’onere di dimostrare eventuali vizi procedurali avvenuti all’estero grava sulla difesa. Il ricorso è stato respinto in tutti i suoi punti, confermando la solidità del quadro indiziario basato sulle conversazioni digitali.

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Pubblicato il 26 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Cassazione sulle Chat Criptate: Quando la Prova Digitale è Valida

Introduzione: un punto fermo sull’utilizzabilità delle prove digitali

La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, torna a pronunciarsi su un tema di cruciale attualità: l’utilizzabilità delle chat criptate acquisite da autorità giudiziarie estere tramite Ordine Europeo di Indagine. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale fondamentale, stabilendo principi chiari sulla validità di queste prove digitali e delineando i confini del diritto di difesa in un contesto investigativo transnazionale. Analizziamo i dettagli di un caso che fa luce su come il sistema giudiziario si adatta alle sfide poste dalla tecnologia e dalla criminalità organizzata.

Il Caso: Misure Cautelari e Prove da Conversazioni Criptate

La vicenda processuale nasce da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa nei confronti di un soggetto, accusato di partecipazione a un’associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, oltre a reati specifici in materia di stupefacenti e armi. L’impianto accusatorio si fondava in maniera preponderante sui contenuti di conversazioni avvenute su una piattaforma di comunicazione criptata, i cui dati erano stati ottenuti dalle autorità francesi e successivamente trasmessi alla magistratura italiana tramite un Ordine Europeo di Indagine.

La difesa dell’indagato ha impugnato il provvedimento restrittivo, contestando la legittimità dell’acquisizione e dell’utilizzo di tali prove digitali.

I Motivi del Ricorso: la difesa contesta le prove digitali

Il ricorso presentato alla Corte di Cassazione si articolava su tre motivi principali:
1. Violazione di legge e vizio di motivazione sulla gravità indiziaria: La difesa sosteneva l’inutilizzabilità del materiale probatorio derivante dalle chat, lamentando l’impossibilità di verificare l’originalità e l’integrità dei dati. Secondo i legali, l’assenza della documentazione originale delle operazioni compiute dall’autorità francese e dell’algoritmo di decriptazione ledeva irrimediabilmente il diritto di difesa.
2. Errata valutazione degli indizi: Si contestava il ragionamento del Tribunale del Riesame, ritenuto circolare e contraddittorio, nel desumere la partecipazione al sodalizio criminale da elementi ritenuti non sufficientemente solidi.
3. Mancanza di esigenze cautelari: Si criticava la motivazione sulla necessità della custodia in carcere, definendola generica e basata su fatti risalenti nel tempo, senza un’adeguata valutazione dell’attualità del pericolo di fuga o di reiterazione del reato.

L’utilizzabilità delle Chat Criptate secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato i motivi del ricorso inammissibili, fornendo una motivazione dettagliata e di grande interesse giuridico, specialmente riguardo al primo e più complesso punto: l’utilizzabilità delle chat criptate.

Il Richiamo alle Sezioni Unite

Il cuore della decisione risiede nel richiamo alle recenti sentenze delle Sezioni Unite (n. 23755 e 23756 del 2024), che hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in materia. La Corte ha ribadito che l’acquisizione di dati già presenti sui server di un gestore estero, ottenuta tramite Ordine Europeo di Indagine, è un’attività legittima. Non si tratta di un’intercettazione in tempo reale, ma dell’acquisizione di prove documentali digitali già esistenti. Pertanto, non si applicano le stesse rigorose procedure previste per le intercettazioni telefoniche.

L’Onere della Prova a Carico della Difesa

Un passaggio fondamentale della sentenza riguarda l’onere della prova. La Cassazione ha chiarito che vige una presunzione di legittimità degli atti compiuti dall’autorità estera. Spetta alla parte che eccepisce l’inutilizzabilità dimostrare l’illegittimità della procedura di acquisizione. La difesa, quindi, ha l’onere di attivarsi presso lo Stato di esecuzione (in questo caso, la Francia) per ottenere elementi a supporto della propria tesi e sottoporli al giudice italiano. Una generica contestazione non è sufficiente.

Inoltre, la Corte ha specificato che la mancata disponibilità dell’algoritmo di decriptazione non è causa di inutilizzabilità, ma attiene al profilo dell’attendibilità della prova. Spetta alla difesa fornire elementi concreti per dubitare della corrispondenza tra il dato criptato e quello decifrato.

La Valutazione degli Altri Motivi di Ricorso

Anche gli altri motivi sono stati respinti. La Corte ha ritenuto che il Tribunale avesse motivato adeguatamente sia la gravità indiziaria, identificando l’utilizzatore dell’utenza criptata tramite specifici riferimenti alla sua vita personale e ricostruendo precise operazioni di narcotraffico, sia le esigenze cautelari. Queste ultime erano supportate da elementi concreti come il passato criminale, la lunga latitanza, la disponibilità di armi e lo stabile inserimento in un contesto di criminalità organizzata.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si fonda sulla necessità di bilanciare il diritto di difesa con l’efficacia della cooperazione giudiziaria europea. Le Sezioni Unite, citate ampiamente, hanno tracciato un percorso chiaro: le prove digitali acquisite tramite OEI sono utilizzabili, a meno che non vi sia una prova concreta di violazione dei diritti fondamentali o delle norme inderogabili dell’ordinamento italiano. La generica lamentela sulla mancata disponibilità del “codice sorgente” o degli atti originali esteri non è sufficiente a paralizzare l’azione penale. La Corte sottolinea che il meccanismo dell’Ordine Europeo di Indagine si basa sulla fiducia reciproca tra Stati membri e su una presunzione di legalità che può essere superata solo con allegazioni specifiche e provate.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un’importante conferma della validità processuale delle prove ottenute da sistemi di comunicazione criptati, un fenomeno sempre più diffuso nella criminalità moderna. Stabilisce che la difesa ha un ruolo attivo nel contestare tali prove, non potendosi limitare a eccezioni formali. Questa decisione offre agli operatori del diritto uno strumento chiaro per navigare le complesse intersezioni tra tecnologia, procedura penale e cooperazione internazionale, garantendo che le indagini possano proseguire efficacemente nel rispetto dei principi fondamentali del giusto processo.

Le chat criptate ottenute da un’autorità estera tramite Ordine Europeo di Indagine sono utilizzabili in un processo italiano?
Sì. La Corte di Cassazione, richiamando una precedente decisione delle Sezioni Unite, ha confermato la sostanziale legittimità e utilizzabilità di tali prove, poiché si tratta dell’acquisizione di atti già esistenti e disponibili presso l’autorità estera.

A chi spetta l’onere di provare l’eventuale illegittimità dell’acquisizione dei dati all’estero?
L’onere grava sulla parte che eccepisce l’inutilizzabilità, ovvero sulla difesa. Essa deve attivarsi per acquisire elementi che dimostrino eventuali profili di illegittimità della procedura seguita nello Stato estero e sottoporli alla valutazione del giudice italiano.

La mancata disponibilità dell’algoritmo di decriptazione rende le chat inutilizzabili?
No, la mancata disponibilità dell’algoritmo non determina l’inutilizzabilità della prova. Tale questione incide piuttosto sull’affidabilità e attendibilità del dato probatorio. Spetta alla difesa fornire elementi specifici per far dubitare della reale corrispondenza tra il testo criptato originale e quello risultante dalla decriptazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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