Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 39226 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 39226 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/07/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato il DATA_NASCITA a Locri avverso l’ordinanza in data 10/07/2023 del Tribunale di Reggio Calabria
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; uditi i difensori AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 10/07/2023 il Tribunale di Reggio Calabria ha confermato in sede di riesame quella del G.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria in data 13/03/2023, con cui è stata applicata ad NOME COGNOME la misura cautelare della custodia in carcere per il reato di partecipazione ad associazione dedita al
narcotraffico, di cui al capo A), nonché per i reati in materia di stupefacenti di cu ai capi A3), A23), A24), e per il reato in materia di armi di cui al capo A63).
Ha proposto ricorso COGNOME tramite i suoi difensori.
2.1. Con il primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al tema della gravità indiziaria.
Le risultanze investigative erano essenzialmente costituite da conversazioni criptate effettuate tramite telefonini Sky-Ecc, acquisite mediante ordini europei di indagine e provenienti dall’Autorità giudiziaria francese.
Era stata prospettata l’inutilizzabilità di detto materiale, in quanto non vi era traccia degli originali trasmessi dall’Autorità francese, essendo presente nel fascicolo il verbale delle operazioni compiute in relazione all’analisi dei contenuti delle conversazioni, sviluppate sulla piattaforma Sky-Ecc.
Con la tesi difensiva, erroneamente disattesa dal Tribunale, si intendeva far valere la lesione del diritto di difesa, in rapporto alla possibilità di esercitar controllo sulla validità delle operazioni compiute e sulla corrispondenza della testualità dei messaggi al tenore delle conversazioni intercettate.
Avrebbe dovuto riconoscersi la possibilità di valutare in concreto le modalità utilizzate per l’acquisizione delle chat dal server, onde verificare l’assenza di contrasto con norme inderogabili e principi fondamentali dell’ordinamento.
Erroneamente e sulla base di valutazioni non suffragate dal dato probatorio era stata ravvisata la partecipazione del ricorrente al sodalizio in base alle conversazioni criptate intercorse con l’indagato, ove correttamente individuato come utilizzatore di un determinato criptofonino.
In realtà la nota riepilogativa relativa all’acquisizione delle chat estratte seguito di decrittazione, ricevuta dall’A.G. italiana aveva consentito di conoscere gli esiti ma non la documentazione relativa alle procedure utilizzate per l’acquisizione dei dati.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai reati per i quali era stata ravvisata la gravità indiziaria.
Il Tribunale aveva desunto la partecipazione al sodalizio da elementi inidonei, relativi a pregresse vicende giudiziarie, alla protratta latitanza del ricorrente, suo coinvolgimento nei reati-fine contestati, alle indagini fondate sulle chat acquisite.
Ma la valutazione si era fondata su un ragionamento circolare, per giunta connotato da profili di contraddittorietà in ordine al tipo di relazione intercorsa t il ricorrente e il sodalizio in assenza di segnali oggettivi desumibili dal compendio indiziario, idonei a corroborare l’ipotesi accusatoria.
Non era stato fatto buon governo delle regole sulla valutazione della prova indiziaria e non erano stati rispettati i canoni di individuazione della partecipazione ad un sodalizio, fermo restando che erano state valutate chat riferite a NOME, mancanti delle risposte dell’interlocutore, presuntivamente individuato nel ricorrente.
I reati-fine non fornivano elementi rilevanti, in assenza della dimostrazione dell’idoneità degli stessi a rappresentare l’effettivo coinvolgimento nel sodalizio, accompagnato da affectio societatis.
Era stato inoltre travisato il dato relativo all’identificazione del ricorren come soggetto utilizzatore del criptofonino, su cui si era incentrata la memoria difensiva depositata in sede di riesame.
Su tali basi era assente la gravità indiziaria anche in relazione agi ulteriori reati contestati.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle esigenze cautelari.
Il Tribunale si era fondato su elementi generici, legati alla pericolosità desunta da pregressi procedimenti penali e dalla gravità dei reati, ma senza effettivo approfondimento del tema dell’attualità e della concretezza, tanto più che i fatti risalivano al 2020.
I difensori del ricorrente hanno inviato memoria con la quale hanno formulato un motivo nuovo, deducendo l’inutlizzabilità delle chat acquisite, e vizio di motivazione.
A corredo degli argomenti esposti nel primo motivo riporta quasi per intero la recente sentenza della Corte di cassazione n. 44155 del 26 ottobre 2023, traendone argomenti a sostegno delle deduzioni difensive, con riguardo alla necessità di una verifica della legittimità della procedura di acquisizione e della salvaguardia del diritto di difesa, in ordine alla conoscenza delle modalità e dei procedimenti adottati dagli investigatori, essendo necessario verificare la corrispondenza della testualità della messaggistica al tenore letterale dei messaggi originariamente inviati, e delle utenze degli utenti e dei destinatari.
Ferma restando la necessità di una verifica dell’autorizzabilità delle attività investigative, si richiama inoltre la sentenza della Suprema Cort4 n. 44154 del 26/10/2023, in ordine alla necessità per gli ordinamenti nazionali di stabilire le modalità dei ricorsi interni intesi a garantire la tutela dei diritti, occorrendo che prova non sia in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano.
Il procedimento, rinviato a seguito della rimessione alle Sezioni Unite della Corte di cassazione della questione riguardante l’utilizzabilità delle chat acquisite con ordine europeo di indagine, è stato nuovamente fissato a seguito del deposito della sentenza delle Sezioni Unite, pronunciata in data 29 febbraio 2024.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Cominciando dal tema giuridico, oggetto del primo motivo e del motivo aggiunto, che ha comportato l’attesa della pronuncia delle Sezioni Unite in materia di utilizzabilità delle chat acquisite con ordine europeo di indagine, deve ritenersi che le questioni difensivamente sollevate in questa sede abbiano trovato, direttamente o indirettamente, risposta proprio nelle sentenze delle Sezioni Unite (si richiamano Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Gjuzi e Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, COGNOME).
Pur essendosi preso atto dell’impossibilità di far riferimento all’art. 234-bis cod. proc. pen., al fine di giustificare l’acquisizione delle chat, ciò che peraltro era stato già rilevato in alcune pronunce, che nondimeno avevano escluso la sussistenza di cause di inutilizzabilità (in tal senso Sez. 6, n. 46833 del 26/10/2023, COGNOME, Rv. 285543, Sez. 6, n. 48838 del 11(10/2023, COGNOME, Rv. 285599, Sez. 6, n. 46482 del 27/09/2023, COGNOME, Rv. 285363), è stata riconosciuta la sostanziale legittimità degli ordini europei di indagine: comunque si voglia intendere l’attività di indagine svolta in Francia, in quanto riconducibile meno ad attività di intercettazione, è stato al riguardo sottolineato che: 1) si trattava di acquisire atti già nella disponibilità dell’A.G. francese; 2) in t prospettiva sussisteva il requisito dell’ammissibilità in un caso interno analogo, di cui all’art. 6, parag. 1, lett. b) della direttiva 2014/41/UE, venendo in rilievo strumenti che assicurano la circolarità della prova, anche nel caso di intercettazioni telefoniche, secondo quanto previsto dall’art. 270 cod. proc. pen., comunque non implicanti l’intervento autorizzatorio del giudice; 3) sussisteva il requisito del proporzionalità in rapporto al mirato quadro di indagine; 4) non erano ravvisabili violazioni di diritti fondamentali, comunque non specificamente allegati e comprovati dalla parte interessata; 5) non era necessaria ai fini dell’utilizzabilit del dato probatorio la disponibilità dell’algoritmo utilizzato per la decriptazione incidente sull’affidabilità del dato piuttosto che sulla sua utilizzabilità, fe restando che sul piano tecnico solo il corretto algoritmo avrebbe assicurato un risultato attendibile in mancanza di specifica allegazione di elementi tali da far dubitare della reale corrispondenza del dato criptato a quello risultante dalla decriptazione, rilievo invero espresso anche nell’ordinanza impugnata; 6) non avrebbe potuto prospettarsi la competenza del giudice all’adozione dell’ordine
europeo di indagine, neppure nella prospettiva che venisse in rilievo corrispondenza, essendo anche a tal fine sufficiente il provvedimento del Pubblico ministero, diversamente da quanto previsto, sulla scia di arresti della Corte di giustizia dell’Unione Europea, ai fini dell’acquisizione di tabulati recanti i da esterni di traffico e ubicazione, dall’art. 132 d.lgs. 196 del 2003, che fa riferimento all’acquisizione direttamente presso un gestore di servizi telefonici e telematici e non all’acquisizione di dati già nella disponibilità di altra A.G.
In tal modo devono ritenersi superati anche i rilievi formulati nelle sentenze n. 44154 e n. 44155 del 26 ottobre 2023 della Sesta Sezione della Corte di cassazione, che sono state richiamate nel motivo aggiunto, presentato ad ulteriore sostegno del primo motivo.
Deve peraltro ribadirsi quanto affermato dalle Sezioni Unite in ordine all’onere gravante sulla parte che deduca un profilo di inutilizzabilità, essendo stata a tal fine richiamata anche una sentenza che in materia di utilizzazione di intercettazioni in diverso procedimento aveva nitidamente sottolineato che la parte interessata ha l’onere di allegare e provare il fatto dal quale dipende l’eccepita inutilizzabilit se del caso sulla base di copia degli atti rilevanti del procedimento originario che la parte stessa ha diritto di ottenere (S. U, n. 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245).
Con riguardo alla materia dell’ordine europeo di indagine tale principio si correla anche alla presunzione di legittimità degli atti compiuti in base al diritt interno dell’A.G. estera e alla necessità che la parte interessata si attivi presso lo Stato di esecuzione per eccepire eventuali profili di illegittimità e per acquisir elementi a tal fine deducibili dinanzi al giudice dello Stato di emissione.
Alla luce di quanto precede risulta altresì generica, rispetto a quanto esposto nell’ordinanza impugnata, che ha dato conto degli atti acquisiti sulla base dell’attività richiesta con ordine europeo di indagine, la deduzione incentrata sulla mancata acquisizione di atti necessari al fine di poter esercitare un controllo sulla validità delle operazioni compiute e sulla corrispondenza della testualità dei messaggi al tenore delle conversazioni intercettate: in particolare si è già rilevato come, a fronte dei rispettivi oneri gravanti sulle parti, non sia stata in concret segnalata una violazione di diritti fondamentali, rilevante in questa sede, e come non rilevi la mancata acquisizione del programma di decriptazione.
Non conduce a conclusioni diverse l’analisi contenuta nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea in data 30 aprile 2014, che si è pronunciata sul medesimo tema a seguito di questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Berlino: benché tale profilo non abbia formato oggetto di specifiche doglianze difensive in questa sede, può rilevarsi che la Corte di Giustizia non ha fornito indicazioni dissonanti rispetto a quanto rilevato dalle Sezioni Unite e che, con riguardo al punto in cui si segnala che l’infiltrazione in apparecchi terminali diretta
ad estrarre dati relativi al traffico, all’ubicazione e alle comunicazioni di un serviz legato ad internet avrebbe dovuto considerarsi intercettazione di telecomunicazioni, implicante l’applicazione dell’art. 31 della direttiva -che, nel caso di presenza all’estero della persona sottoposta ad intercettazione, impone la notifica all’autorità competente dello Stato estero, rilevante anche ai fini della tutela dei diritti fondamentali dei soggetti intercettati-, l’ampia analisi delle Sezi Unite vale di fatto a superare ogni possibile questione.
In linea AVV_NOTAIO deve rimarcarsi che la mancanza della notifica non produce di per sé alcun vizio: al di là della non sempre agevole individuazione dell’Autorità che nello Stato estero risulta competente, deve precisarsi che la necessità della notifica potrebbe sorgere ad operazioni già avviate o addirittura terminate.
Orbene, posto che la notifica ha la funzione di consentire l’interlocuzione dell’Autorità competente dello Stato in cui si trovano i soggetti intercettati al fin di verificare la sussistenza dei presupposti per svolgere l’attività captativa, deve rilevarsi che, anche volendo superare il dato testuale emergente dall’art. 24 d.lgs. 108 del 2017, che ai fini dello scrutinio indotto dalla notifica, si riferisce al reato e non al complesso dei presupposti, deve rimarcarsi che, come posto in luce dalle Sezioni Unite, si procedeva fra l’altro per reato di associazione dedita a narcotraffico, che anche in Italia avrebbe consentito il ricorso a intercettazioni.
Inoltre le Sezioni Unite hanno segnalato la sussistenza di tutti i presupposti legittimanti (cfr. pagg. 51 e 52 della sentenza n. 23756 cit.), sottolineando che nei provvedimenti autorizzativi dell’A.G. francese erano stati posti in evidenza gli elementi indizianti a carico degli utilizzatori delle chat criptate, a cominciare da fatto stesso dell’utilizzo di quel sistema di comunicazione, di per sé vietato in Italia in quanto inidoneo ad assicurare l’identità prima dell’attivazione (art. 98-undecies d.lgs. 259 del 2003) e implicante costi di gestione tali da presupporre la percezione di redditi elevati, a garanzia del corrisponde anonimato, come dimostrato dall’utilizzo da parte di organizzazioni criminali, dovendosi comunque escludere che si fosse fatto ricorso ad operazioni di intercettazione generalizzate ed indiscriminate.
Di qui l’esclusione in concreto delle condizioni per l’adozione di provvedimenti interdittivi, volti ad impedire la prosecuzione dell’attività captativa, e, sulla ba di una valutazione ex post, a salvaguardia dei soggetti coinvolti nell’indagine, l’insussistenza delle condizioni per far valere in questa sede una causa di inutilizzabilità, correlata alla mancanza dei presupposti.
Il secondo motivo del ricorso è inammissibile, perché aspecifico.
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2.1. Il Tribunale ha dato conto, in primo luogo, delle ragioni per cui avrebbe dovuto attribuirsi proprio al ricorrente l’utilizzo dell’utenza BSNILC, così da legittimare la valorizzazione delle chat ai fini del giudizio sulla gravità indiziaria.
Decisivi a tal fine risultano i riferimenti, posti in evidenza dal Tribunale, a da inequivoci riguardanti la vita e l’esperienza carceraria del ricorrente, come il tentato suicidio, la successiva restrizione presso una comunità, la nomina di un determinato difensore.
Si tratta di elementi che nella loro sincronica valutazione non possono reputarsi generici, ma ben possono concorrere a corroborare un giudizio fondato su un quadro coerente e convergente.
A fronte di ciò il ricorso si limita a generiche contestazioni, senza confutare la valenza della motivazione.
2.2. Altrettanto deve dirsi con riguardo al rilievo difensivo secondo cui nell’interlocuzione con l’utenza attribuita a NOME COGNOME si registrerebbero alcune conversazioni di natura «unidirezionale», in mancanza delle risposte provenienti dall’utenza del ricorrente: il Tribunale, sul punto, ha sottolineato come non vi fossero dubbi sul collegamento tra le due utenze, contrassegnate dai rispettivi PIN, e come in vari casi i messaggi consentissero di ricostruire dialoghi completi; inoltre ha rilevato che il contenuto e la conseguenzialità dei messaggi erano tali da consentire comunque la ricostruzione degli episodi e l’andamento delle vicende.
Neanche in questo caso il ricorso confuta specificamente tale argomentazione, risolvendosi in generica contestazione.
2.3. Relativamente al tema della gravità indiziaria, il Tribunale ha dato conto di come dalle chat intercorse con NOME fosse venuta alla luce un’operazione di importazione di 75 chilogrammi di cocaina, partita dal Brasile e arrivata al porto di Anversa, operazione finanziata dal ricorrente, mentre NOME aveva trasferito euro 140.000,00 ai fornitori sudamericani.
Altrettanto il Tribunale ha dato conto di chat dalle quali era stato desunto che il ricorrente aveva cercato di acquistare un chilogrammo di cocaina e poi detenuto per la vendita altro quantitativo della sostanza.
Ed ancora, sulla base di altre chat risalenti all’epoca dell’arresto del ricorrente nel 2019, il Tribunale ha sottolineato come il predetto avesse rivelato di detenere e di aver detenuto un cospicuo quantitativo di armi anche da guerra.
2.4. Se tali elementi corroborano la gravità indiziaria in relazione ai reati fine non oggetto di specifiche confutazioni, il Tribunale ha dato altresì conto del complessivo quadro, dal quale emergeva l’esistenza di un’associazione dedita al narcotraffico, connotata da una rete di stabili relazioni con narcotrafficanti sudamericani, dalla possibilità di contare su squadre di operatori portuali collusi, che procedevano all’esfiltrazione della droga arrivata al porto di Gioia Tauro e
presso altri porti, dalla disponibilità di risorse finanziarie cospicue e da contat intercorrenti con gli altri sodali, propiziati dalla comune disponibilità di criptofon della piattaforma Sky Ecc. e altre simili, in grado di assicurare contatti criptati non soggetti ad intercettazione e controllo, elemento, che, valutato anche alla luce degli elevati costi, di per sé implicava la riconducibilità a strutture crimina organizzate.
Posto che tale rete criminale era correlabile ad una nota cosca di ‘ndrangheta, quella dei RAGIONE_SOCIALE“, e che lo stesso ricorrente era stato già condannato per appartenenza fino al 2016 ad una associazione dedita al narcotraffico, il Tribunale ha inserito il predetto nel quadro organizzativo descritto, come appartenente all’associazione, in qualità di soggetto in grado di finanziare operazioni e di fornire un contributo attivo e significativo all’operatività del sodalizio.
Si tratta di analisi che è stata rafforzata dal fatto che il ricorrente è fidanza con NOME e che coerentemente NOME lo chiamava cugino nonché dal fatto che il ricorrente è soggetto dedito ad attività illecite dello stesso genere, tant da aver gestito un consistente periodo di latitanza, sfuggendo a precedenti ordinanze applicative di misure cautelari.
La motivazione, dunque, non presenta fratture logiche ed il ricorrente si è limitato a contestarla sulla base di deduzioni generiche, incentrate su schemi astratti e non sul suo effettivo contenuto, cercando di parcellizzare gli elementi, che invece sono stati coerentemente valorizzati nel loro convergente significato.
Altrettanto inammissibile risulta il terzo motivo, in quanto generic e comunque manifestamente infondato.
3.1. Il Tribunale con riferimento alle esigenze cautelari non si è limitato a valorizzare la presunzione di cui all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen., ma ha dato conto di plurimi elementi idonei a suffragare sia il pericolo di fuga, in relazione a condotte pregresse, sia il persistente pericolo di reiterazione, così da suffragare l’assoluta necessità della restrizione in carcere, ponendo in evidenza il passato criminale del ricorrente, il suo stabile inserimento nel narcotraffico, la disponibili di armi, la lunga latitanza e la circostanza che dopo aver fruito della sostituzione della custodia in carcere con la permanenza in una comunità aveva continuato ad intrattenere le stesse relazioni ed a reiterare analoghe condotte, elementi da valutare alla luce della complessa rete criminale venuta in rilievo, connotata anche dall’uso di sofisticati mezzi di comunicazione e dalla consistente capacità operativa.
3.2. Il motivo di ricorso si limita nuovamente ad assertive e generiche contestazioni, primariamente incentrate sul tempo trascorso, di cui tuttavia non è
stata dimostrata la specifica valenza né in termini assoluti né con riguardo al quadro complessivo della vicenda e al dato personologico che connota il ricorrente.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso 1’8/7/2024