Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10738 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10738 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a Polistena il 06/01/1979 COGNOME NOME nato a Melito di Porto Salvo il 07/10/1970 COGNOME NOME nato a Brescia il 22/09/1971 COGNOME NOME nato a Taurianova il 09/05/1972
avverso la sentenza del 14/03/2024 della Corte d’appello di Brescia visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente a NOME COGNOME l’inammissibilità del ricorso di COGNOME NOME e il rigetto dei ricorsi di COGNOME e COGNOME;
uditi i difensori,
-avv. NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME;
-avv. NOME COGNOME anche in qualità di sostituto processuale dell’avv.
COGNOME, in difesa di COGNOME;
-avv. NOME COGNOME in difesa di COGNOME che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Brescia ha parzialmente riformato la pronuncia del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale in sede, resa in data 8 febbraio 2023, nei confronti, tra gli altri, di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in parziale accoglimento anche dell’appello della parte pubblica, riconoscendo la circostanza aggravante di cui all ‘ art 112 n. 1 cod. pen. nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME confermato quanto a quest’ultimo il giudizio di bilanciamento di cui alla sentenza appellata, con rideterminazione della pena e con declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto da NOME COGNOME
1.1. Il Primo giudice aveva condannato gli imputati , all’esito di rito abbreviato, alla pena di:
per NOME COGNOME anni sei, mesi dieci di reclusione ed euro 18.200 di multa in relazione ai reati di cui ai capi 1 (artt. 99, 110 cod. pen., 4 legge n. 895/1967), 2 (artt. 99, 110, 648 cod. pen.), 3 (artt. 99, 81 comma secondo, 110 cod. pen., 2, 7 legge n. 895 del 1967), 4 (artt. 99, 110, 648 cod. pen.), 8 (artt. 99, 81 comma secondo, 110, 112 n. 1 e 2, 61 n. 2, 416-bis.1 cod. pen., 2, 4 e 7 legge n. 895 del 1967), 11 (artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967), ritenuta la continuazione, individuato quale reato più grave quello di porto della bomba di cui al capo 8, esclusa la circostanza aggravante della agevolazione mafiosa;
per NOME COGNOME anni quattro di reclusione ed euro 8000 di multa in relazione ai reati di cui ai capi 3 e 5 (artt. 81, comma secondo, 648 cod. pen.), ritenuto più grave il reato di cui al capo 3, riconosciuta la continuazione;
per NOME COGNOME anni sei, mesi undici e giorni dieci di reclusione ed euro 18.000 di multa in relazione ai reati di cui ai capi 1, 2, 3, 4, 6 (artt. 99, 81, comma secondo, 110, 112 n. 1 cod. pen., 4 e 7 legge n. 895 del 1967) e 8, ritenuta la continuazione, individuato quale reato più grave il porto della bomba di cui al capo 8, esclusa la circostanza aggravante dell ‘ agevolazione mafiosa, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art 416 bis.1, comma terzo, cod. pen. con regime di equivalenza rispetto alle circostanze aggravanti;
per NOME COGNOME anni sei di reclusione ed euro 14000 di multa in relazione ai reati di cui al capo 8, esclusa la recidiva, ritenuta la continuazione, esclusa la circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa.
1.2. La Corte territoriale ha riformato la sentenza nel senso sopra specificato e ha rideterminato la pena irrogata a NOME COGNOME in quella di anni cinque, mesi undici, giorni sei di reclusione ed euro 12.445 di multa, nonché per NOME COGNOME in quella di anni sei, mesi due di reclusione ed euro 16.000 di multa, confermando nel resto, la pronuncia di primo grado nei confronti di NOME COGNOME con declaratoria di inammissibilità dell’appello proposto da
NOME COGNOME nei confronti del quale è stata dichiarata l’esecutività della sentenza impugnata.
La vicenda prende le mosse dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese da NOME COGNOME nel corso dell’attività di collaborazione con l’Autorità giudiziaria, cui si sono aggiunte quelle rese dal l’odierno ricorrente COGNOME nella fase finale delle indagini.
A tali dichiarazioni, secondo i provvedimenti di merito, fanno da riscontro le indagini tecniche consistite nell’analisi di tabulati e nell ‘ estrapolazione di messaggistica criptata via chat , intervenuta su dispositivi attribuiti dagli inquirenti ai singoli imputati e, in alcuni casi, a questi sequestrati, oltre a copie forensi dei telefonini in sequestro.
Inoltre, si aggiungono ulteriori, plurimi riscontri esterni, riportati specificamente a p. 9 della sentenza di appello, tra cui il rinvenimento di una granata, in canale D’Agordo, cioè la bomba a mano da guerra modello TARGA_VEICOLO, prodotta dalla ex Jugoslavia, reperita nel luogo indicato dai collaboratori (sepolta ai piedi di un albero nel luogo da questi specificato: si tratta di bomba con raggio mortale di circa 12 metri e potenzialità lesiva fino a 54 metri – vedi p. 49 della sentenza di primo grado), di cui al capo 1 e 8 lett. d.
Si tratta di reati, secondo i giudici di merito, prodromici alla realizzazione d ell’omicidio della vittima designata , NOME COGNOME a sua volta gravato da precedenti per omicidio, comunque connessi a contesti di criminalità organizzata, ma che si sono risolti nell’accertata detenzione, porto e nella ricezione di armi da sparo di provenienza delittuosa e, dunque, nella loro ricettazione, esclusa la finalità originariamente individuata dagli investigatori, dell ‘ agevolazione dell’associazione di ‘ndrangheta denominata cosca COGNOME.
Avverso il provvedimento indicato, hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione, per il tramite dei difensori, gli imputati, denunciando plurimi vizi, nei motivi di seguito riassunti nei limiti di cui all’art 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. NOME COGNOME denuncia cinque vizi.
2.1.1. Con il primo motivo si denuncia inosservanza di norme processuali, stabilite a pena di inutilizzabilità, con riferimento all’art. 191 cod. proc. pen., avuto riguardo all ‘ inutilizzabilità dei dati informatici relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema RAGIONE_SOCIALE
La sentenza di primo grado ha utilizzato chat sulla base della giurisprudenza prevalente in quel periodo, che riteneva quanto fornito dall’Autorità straniera documenti acquisibili ai sensi dell’art. 234bis cod. proc. pen.
La Corte territoriale non ha ritenuto di attendere le motivazioni delle Sezioni Unite su questo punto anche se, dall’informazione provvisoria, risultava
l’erroneità dell’indirizzo seguito dal primo giudice (acquisizione del dato ex art. 234bis cit.).
Nel caso specifico, quindi, la Corte territoriale avrebbe dovuto individuare quali elementi suffragano l’emissione dell’ordine europeo di indagine (da ora OEI) e quanto l’Autorità francese avesse trasmesso ai colleghi italiani.
Nel caso di specie, la Corte di appello dubita della qualità del dato ‘freddo’, affermando che, anche se fosse stato acquisito un dato ‘ caldo ‘ , indipendentemente da ogni ipotesi di connessione, sarebbe consentita l’utilizzabilità nel procedimento italiano. Tanto, senza specificare se le comunicazioni criptate erano state acquisite a seguito di provvedimenti motivati, emessi dall’Autorità straniera, né se vi erano i presupposti per l’emissione dell’OEI.
L’OEI è stato emesso soltanto fornendo i codici Imei che si ipotizzava potessero essere stati utilizzati da chi fosse rimasto compromesso nella realizzazione dei fatti e di, conseguenza, acquisendo le conversazioni private su base di mero sospetto.
Peraltro, si trattava di un’ipotesi investigativa cioè quella dell ‘ individuazione degli autori del reato di tentato omicidio, mai contestato agli odierni ricorrenti.
Quindi, la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se, al tempo, si procedesse sulla base di gravi indizi di reato per il quale è obbligatorio l’arresto in flagranza, essendo pacifica, a parere della difesa, la mancanza di connessione dei fatti in Italia con il crimine informatico perseguito in Francia.
2.1.2. Con il secondo motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione, in ordine alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni di Formosa.
Con l’appello si era contestata l’attendibilità del dichiarante sotto il profilo dell ‘ inattendibilità intrinseca e la presenza di un narrato contraddittorio e incostante.
Non viene fatta menzione, nella sentenza, di quanto prospettato circa la spontaneità della collaborazione, avendo COGNOME fatto dichiarazioni autoaccusatorie ma nei casi in cui si acclarava, ormai, la sua compromissione nei fatti oggetto di giudizio. La contestazione della Corte territoriale, secondo cui la difesa non avrebbe fornito una lettura sul tipo di rapporto tra il ricorrente e COGNOME, non ha ragion d’essere perché, nell’atto di impugnazione, si è provveduto a precisare che vi era inimicizia tra i due, risentimento di cui non tiene conto la sentenza.
Si contesta che il riscontro all’attendibilità estrinseca possa essere considerata la contemporanea presenza delle utenze di Formosa e Candiloro, in Giussano, località della Brianza, in data 30 ottobre 2019, o anche la presenza
dell’utenza del solo Candiloro in Brianza, anche nelle date del 9 e del 19 ottobre 2019.
Si contesta la congruenza rispetto ai riscontri necessari, del ritenuto affidamento delle armi ricevute da COGNOME che i giudici di merito collocano in data 30 ottobre 2019, a fronte di dichiarazioni di COGNOME che, invece, collocava il prelievo delle armi e la successiva cessione di queste al COGNOME, nel mese di settembre 2019.
Peraltro, la difesa aveva sottolineato nell’atto di appello la circostanza che Candiloro vive e lavora in Brianza e che si tratta di un’area vasta; di qui la genericità dell ‘ individuazione di Candeloro nei luoghi degli episodi contestati, ma anche sulla carente valenza probatoria della presenza in tale territorio del predetto a fine ottobre 2019, che nulla dimostra circa la collocazione nel mese di settembre.
Si era evidenziato anche che COGNOME risiede a Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia, provincia distante 77 chilometri da Giussano, località nella quale non ha mai dimorato Cannatella.
Su tale punto la Corte territoriale si è riportata alle motivazioni del primo giudice senza assumere alcuna giustificazione.
2.1.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione al capo 8.
La motivazione è svolta soltanto in termini probabilistici quanto all’attribuzione di alcune utenze a Candiloro (vedi p. 6 del ricorso).
Il Giudice per le indagini preliminari aveva attribuito a COGNOME la responsabilità di interlocuzioni sulla base di un’ipotesi priva di valenza probatoria.
La Corte territoriale, nell’aderire alla ricostruzione del G iudice di primo grado, pone le comunicazioni via chat esaminate in relazione a un attentato mai compiuto, con la detenzione e porto di pistole, nonché degli esplosivi di cui ai capi 1 e 3, nonostante lo stesso giudice di primo grado abbia ammesso che suddette comunicazioni non diano riscontro all’accusa mossa da COGNOME Non vi sono motivazioni circa i riferimenti alle conversazioni tra Larosa e Candiloro in cui si lamentava la carenza di elementi da cui trarre il collegamento con le armi ed esplosivi indicati da COGNOME
Era stato poi notato, con l’atto di appello, che le conversazioni delle chat si esauriscono nel 2021, una sola si colloca a dicembre, le altre tra giugno e luglio, in apprezzabile anticipo rispetto al trasporto della bomba indicata da Formosa, avvenuto il 18 luglio del 2021, argomento sul quale la Corte territoriale non spende alcuna motivazione.
2.1.4. Con il quarto motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione al capo 11.
Si assume che la motivazione fonda su una ricostruzione non supportata da elementi concreti; il motivo di doglianza era l’assenza di riscontri sul fatto che la fotografia di un’arma inoltrata a COGNOME fosse scattata da COGNOME, potendo tranquillamente essere stata estrapolata dal web o da altra fonte, senza che tale inoltro ne testimoniasse il possesso.
La risposta della Corte d’appello sul punto è apodittica, a parere del ricorrente. Una fotografia, infatti, non può consacrare il possesso dell’oggetto ritratto e, sul punto, la conclusione della Corte territoriale (nel senso che il criminale non scherza mai) è palesemente illogica. L’invio della fotografia di due pistole da parte di COGNOME poi ordinate da COGNOME ne presuppone il possesso secondo una chiara suggestione di una mera ipotesi investigativa.
2.1.5. Con il quinto motivo si denuncia inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen., quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
La mancata applicazione delle circostanze, attraverso la motivazione della Corte di appello, assimila la personalità del ricorrente a quella degli altri coimputati che sono, invece, gravati da precedenti anche specifici.
COGNOME è incensurato e ha serbato un comportamento processuale ineccepibile, pur avendo respinto ogni addebito.
2.2. NOME COGNOME denuncia vizio di motivazione nonché inosservanza ed erronea applicazione di legge penale.
La Corte d’appello ha dichiarato l’inammissibilità del gravame perché la difesa si era limitata a riportare i criteri di valutazione della chiamata in correità dei collaboratori senza fare specifica critica alla motivazione del primo giudice, nell ‘ indicazione delle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia e dei riscontri a queste riportati nel provvedimento di primo grado.
Il difensore sostiene che la motivazione è insufficiente perché la difesa ha proceduto all’analisi della sentenza di primo grado mediante il procedimento che analizza dall’astratto il concreto, cioè dopo aver enucleato tutti i criteri consolidati sulla chiamata in correità dei collaboratori e poi ha operato la trasposizione di tali principi al fatto concreto, rilevando che non vi è una motivazione sorretta da riscontro.
Anzi, la difesa rilevava , nell’atto di appello, che la sentenza di primo grado riservava alla posizione dell’imputato poche righe a p. 34 e rimarcava l’ assenza di riscontro alle dichiarazioni di COGNOME.
2.3. NOME COGNOME denuncia due vizi.
2.3.1 Con il primo motivo si deduce vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 416 -bis .1 cod. pen. ‘ nella massima estensione ‘ .
La Corte territoriale ha rigettato la richiesta di concessione della circostanza ‘ nella massima estensione ‘ sul presupposto della contestata recidiva reiterata specifica e, quindi, dell ‘ impossibilità di accedere alla prevalenza per il divieto di cui all’art. 69 cod. pen.
Le circostanze attenuanti non bilanciabili, come quella invocata, tuttavia, si sottraggono a tale regola a parere della difesa (si richiamano quali precedenti, Sez. 2 n. 17347 del 26.1.2021; Sez. 1, n. 8740 del 1.12.2016) sicché l’operazione di bilanciamento non doveva riguardare la circostanza attenuante della dissociazione attuosa.
Nel procedimento di calcolo, svolto dalla Corte di appello, questa ha disatteso questo principio, così come è avvenuto da parte del primo giudice. Questi ha individuato la pena base in quella di anni sei e mesi otto di reclusione ed euro 14.000 di multa, riconoscendo la circostanza attenuante speciale equivalente alle circostanze aggravanti contestate, senza applicare la diminuzione prevista dall’art. 416bis .1, comma terzo, cod. pen.
Si richiama Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010 secondo cui la corretta sequenza delle operazioni da compiere comporta, dapprima, l’effettuazione del giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee, secondo le possibili opzioni di cui all’art 69 cod. pen e, poi, l’applicazione dell’attenuante speciale della cosiddetta dissociazione attuosa.
Nell’incidenza nel calcolo della pena tale circostanza attenuante non può essere ridimensionata come è avvenuto nella specie, in ragione di valutazioni inerenti alla gravità del reato e alla capacità delinquere dell’imputato o alle ragioni che hanno determinato la collaborazione.
La circostanza, invece, può essere graduata soltanto in relazione all ‘ utilità obiettiva della collaborazione prestata dal partecipe all’associazione di tipo mafioso. Dunque, la circostanza può essere concessa, nella specie, nella massima estensione non solo per la decisività del contributo offerto, ma anche per contenere la condanna, in applicazione del principio della funzione rieducativa della pena.
2.3.2. Con il secondo motivo si denuncia vizio di motivazione e violazione degli artt. 62bis , 69 cod. pen. in ordine la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, nonché erronea applicazione della recidiva.
Con l’atto di appello erano stati sottoposti all’attenzione della Corte d’appello elementi positivi, quali la personalità dell’imputato, le condizioni soggettive nelle quali ha operato prima della collaborazione, il processo evolutivo del suo comportamento. La Corte territoriale ben avrebbe potuto considerare tali elementi, onde superare il giudizio negativo in relazione alla sua pericolosità sociale.
Del resto, la scelta di collaborare con la Direzione distrettuale antimafia avrebbe dovuto rilevare sotto il profilo della reale volontà del ricorrente di mutare il proprio stile di vita.
La valutazione circa la capacità delinquere dell’imputato così mutata avrebbe consentito anche di applicare una pena minore e congrua, misura raggiungibile attraverso la concessione delle circostanze attenuanti generiche. Inoltre, la presenza degli indici positivi descritti avrebbe dovuto condurre i giudici di merito a valorizzare, ai fini di escludere la recidiva, la condotta susseguente al reato e la radicale discontinuità rispetto al passato deviante, considerato il leale comportamento collaborativo con la giustizia.
2.4. NOME COGNOME denuncia tre vizi.
2.4.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 27 Cost., 192, 605, 546 cod. proc. pen. nonché vizio di motivazione.
La sentenza evita di confrontarsi con i motivi di gravame nella parte in cui si evidenziava che COGNOME aveva, più volte, negato ogni coinvolgimento nella vicenda di Larosa. Questi aveva escluso che a Larosa appartenesse qualche nickname delle chat acquisite, attribuendo ad altro soggetto l’espressione ‘ lavoro da fare in montagna ‘.
A Larosa, da parte dei giudici di merito, viene attribuito il possesso e l’utilizzo di criptofonino, mediante il quale sarebbero intercorsi scambi di messaggi a lui attribuiti e che non ha costituito oggetto di valutazione da parte della Corte territoriale. Questa ha ritenuto, invece, decisiva soltanto la messaggistica estrapolata attribuendola al ricorrente, senza fare osservazioni sul contenuto, di segno contrario, derivante dalla dichiarazione del collaboratore.
La Corte territoriale, in definitiva, per il ricorrente fonderebbe la responsabilità di COGNOME soltanto in base alle risultanze della messaggistica attribuitagli, senza confrontarsi con le dichiarazioni del collaboratore di giustizia che, invece, ha escluso ogni coinvolgimento dell’imputato nelle conversazioni delle chat . Tanto in violazione degli artt. 192 del codice di rito e 27 Cost.
2.4.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 6 Direttiva n. 41/2014 e 266 comma 2bis , 270, 271, cod. proc. pen.
L’art 6 della Direttiva citata evidenzia che l’autorità di emissione può adottare un OEI soltanto quando ritiene soddisfatte le condizioni di necessità e proporzione ai fini del procedimento, tenuto conto dei diritti della persona sottoposti all’indagine o imputata.
Inoltre, l’atto o gli atti di indagine richiesti nell’OEI avrebbero potuto essere emessi nelle stesse condizioni in un caso interno analogo. Se ritiene che queste condizioni non siano rispettate l’autorità di esecuzione può consultare quella di emissione e quest’ultima può decidere di ritirare l’OEI.
Non può, quindi, bastare il ricorso all’OEI per legittimare l’utilizzabilità di dati quale garanzia di rispetto delle forme richieste dal codice di procedura penale italiano e dei principi costituzionali.
Si ritiene che, in assenza della trasmigrazione di una quantità indistinta di chat , gli elementi indizianti a carico del ricorrente non si sarebbero mai raggiunti nel territorio nazionale. Dunque, l’acquisizione dei dialoghi contestati all’imputato è stata realizzata in violazione di quanto stabilito dall’art 6, comma 1, della Direttiva citata.
È, quindi, censurabile, per la difesa, l’indirizzo giurisprudenziale che esclude la violazione del diritto di difesa derivante dalla mancata conoscenza dell’algoritmo di decriptazione o che elude l’accertamento della natura e della legalità delle attività di indagine compiute all’estero che, a monte, hanno consentito l’acquisizione di dati probatori in questione.
Si tratta di captazione possibile attraverso la penetrazione delle piattaforme di comunicazione criptate. Su tali modalità di decriptazione lo stato francese ha posto il segreto di Stato, così impedendo alla difesa qualsiasi attività di verifica.
Quindi, non si è conosciuta la modalità con la quale vi è stata l’acquisizione dei messaggi criptati, se attraverso la captazione di flussi in fase dinamica o mediante l’acquisizione di dati telematici freddi, archiviati nella memoria del server .
La spiegazione che le società belghe proprietarie dei server sequestrati abbiano messo a disposizione gli algoritmi e le chiavi di cifratura, sarebbe per la difesa poco plausibile. I telefonini, infatti, più verosimilmente, usavano il sistema di crittografia end to end che si serve di chiavi di cifratura depositate non all’interno del server, ma all’interno dei singoli dispositivi, mai rinvenuti al Larosa.
La collocazione del server all’estero deve essere valutata dal punto di vista della legittimità e della legalità dell’assunzione della prova.
Ciò in quanto una volta ‘ bucato ‘ il server con la captazione, questa riguarderà anche tutti i flussi comunicativi intercorsi tra gli abbonati al servizio, essendo cadute le barriere protettive, in assenza di qualsiasi autorizzazione, così violando il principio costituzionale di riservatezza operante nel nostro ordinamento.
Sicché, tale violazione non viene meno richiamando la disciplina delle intercettazioni da procedimento diverso ai sensi dell’art. 270 del codice di rito. Anzi , deve essere rilevata l’i nutilizzabilità di flussi comunicativi diversi da quelli rispetto ai quali l’intercettazione era stata chiesta e autorizzata, come previsto dall’art. 271 cod. proc. pen. Ciò a maggior ragione in un caso come quello di specie in cui vi è stata trasmigrazione dei risultati delle captazioni da procedimento diverso da quello nel quale l’inoculazione del captatore all’interno
del server è stata disposta perché afferente a fatti, in quel processo, non perseguiti e che al momento della captazione non erano conosciuti nemmeno come notizia criminis . Non sarebbe, dunque, legittima l’attività di intercettazione svolta a monte nel procedimento a quo , che non può difettare nel caso di flussi di comunicazione diversi da quelli riferibili all’utenza ‘ bersaglio ‘ indicata nel provvedimento autorizzativo.
Si sottolinea, peraltro, che non è stata richiesta la trasmissione dei supporti su cui è traslata l’attività intercettiva in forma protetta, inalterabile, onde assicurare la fedeltà del contenuto dei testi intelligibili delle stringhe informatiche; infatti, alcuni dei supporti trasmessi dall’autorità francese sono semplici copie su formato excel, modificabili nel contenuto.
Di qui l ‘ inutilizzabilità patologica della prova rilevabile nel giudizio di merito anche se celebrato nelle forme del rito abbreviato.
Si richiama giurisprudenza di legittimità (n. 15836 del 11/1/2023) in tema di utilizzazione della localizzazione derivante dai tabulati telefonici di un’utenza telefonica, acquisiti in assenza di provvedimento motivato del giudice.
Con il termine tabulato la Corte di cassazione ha rammentato che si indica il prospetto cartaceo telematico, contenente dati esterni alle comunicazioni che pure afferiscono ad una lesione della riservatezza in ragione della minore invasività dell’intercettazione. Si tratta, comunque, di dati personali sensibili e qualificati, perché forniscono la frequenza delle chiamate, le utenze di aggancio, la cui esigenza di tutela è contenuta già nella pronuncia della Corte Cost. n. 81 del 1991.
Si richiama anche la decisione della Grande camera della Corte di giustizia europea, 2 marzo 2021 n. 746/18 che ha indicato le condizioni in presenza delle quali gli Stati membri possono consentire l’accesso ai dati riservati dai fornitori, da parte dell’autorità pubblica, per finalità di prevenzione, accertamento e repressione dei reati, in modo da garantire e tutelare il diritto alla riservatezza. L’accesso a tali dati può essere consentito solo in presenza di forme gravi di criminalità o per far fronte a gravi minacce della sicurezza pubblica e se vi sia preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria indipendente e terza rispetto alle parti pubbliche e private. Il legislatore italiano è intervenuto con il d. l. n. 131 del 2021 a modificare la procedura di acquisizione dei tabulati, prevedendo la possibilità di acquisirli soltanto a seguito di un decreto motivato del giudice; sicché i tabulati acquisiti in assenza di provvedimento autorizzativo dell’autorità giudiziaria sono prova incostituzionale da considerarsi inutilizzabile, con vizio che può essere eccepito in qualsiasi grado e stato del procedimento.
2.4.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione e violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.
2.4.3.1. La Corte di appello non si è confrontata con i motivi di gravame e con riferimento all ‘ attribuzione del telefonino criptato all’imputato e alla dedotta impossibilità di geolocalizzarlo.
La messaggistica acquisita dall’autorità estera pare essere pervenuta attraverso un’acquisizione di dati in ingresso e uscita dal server principale e da quello di backup ; quindi pare sia stato predisposto un algoritmo che unitamente alle chiavi di cifratura ottenute separatamente ha permesso di svelare la messaggistica in questione.
L’autorità estera ha scelto di affidare la conformità dell’originale della copia forense a un supporto su cui la stessa è stata trasmessa, inoltrando dati in supporti non riscrivibili chiusi in busta antieffrazioni, con dati che presentano anomalie evidenziate dal Consulente tecnico di parte.
Vi sono messaggi contemporanei, identici nel contenuto, inviati nello stesso momento, cosa impossibile e che, dunque, mina l’attendibilità complessiva dei dati. Inoltre, vi sono messaggi inviati in contemporanea ma differenti nel contenuto.
Quanto alla datazione degli eventi chat Sky ECC, la data di fine dell’evento è anteriore alla data di inizio, come da consulenza di parte prodotta.
Ancora si osserva che non è possibile poi ricondurre con certezza al terminale GSM un individuo determinato; alcuni messaggi sono scritti in stampatello e in italiano corretto mentre altri sono scritti in corsivo e in italiano non corretto: di qui l’evidente esistenza di più utilizzatore non di uno solo del telefonino criptato.
2.4.3.2. Inoltre, si evidenzia che l’auto Audi acquistata dal figlio del ricorrente, di modello e colore diverso rispetto a quella sulla quale è stato controllato dalle Forze dell’ordine il 24 gennaio 21, risulta immatricolata in Germania, il 23 marzo 2021, esportata in Italia il 9 luglio 2021 per essere intestata al figlio del ricorrente il 16 luglio 2021, quindi in epoca successiva rispetto alla chat , risalente al 12 dicembre 2020, data in cui l’autovettura non era stata ancora immatricolata.
Ancora, si segnala che la presenza del ricorrente a Roma il 2 e 3 marzo 2020, in occasione della nascita della figlia di NOME COGNOME e NOME COGNOME parenti della moglie non sarebbe decisiva ai fini dell’attribuibilità dell’uso del telefono criptato all’imputato, in via esclusiva.
Si evidenzia, anzi che il collaboratore di giustizia ha escluso la attribuibilità al ricorrente di qualsiasi criptofonino. Inoltre, i dati che si ricavano dalle chat per la modalità di scrittura, il lessico utilizzato in alcuni casi del tutto sgrammaticato sono incongruenza che avrebbero dovuto essere apprezzate ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen.
Infine, la Corte territoriale ha evitato di confrontarsi con i dati tecnici dei criptofonini, nei quali risultano disattivati i servizi google , la videocamera, il microfono, il sistema bluetooth e quello di geolocalizzazione.
I dispositivi non sono agganciati alla tradizionale rete telefonica o informatica in quanto, per comunicare, si servono di piattaforma e crittografate, il cui funzionamento dipende dall’impiego di server gestiti da privati collocati all’estero. Sicché, non è possibile alcuna geolocalizzazione del criptofonino, e come tale attribuirne il possesso a un soggetto piuttosto che a un altro.
Questioni devolute con l’appello cui la Corte territoriale ha risposto con motivazione che ribalta l’onere probatorio, evidenziando che l’ imputato ben avrebbe potuto produrre le schermate o un principio di prova che potesse far dubitare della correttezza della decodificazione, quando, invece, il ricorrente ha sempre negato il possesso di criptofonini, dato confermato anche dal collaboratore.
La difesa ha fatto pervenire tempestiva richiesta di trattazione in pubblica udienza partecipata, ai sensi de ll’art. 611 cod. proc. pen., come modificato dall’art. 11, comm a 2, lett. a), b), c) e 3 del d. l. 29 giugno 2024, n. 89, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 2024, n. 120.
All’esito della discussione orale, le parti presenti hanno concluso, all’odierna udienza, nel senso precisato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato relativamente alle deduzioni inerenti al trattamento sanzionatorio, nei limiti di seguito indicati, quello proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile, mentre quelli proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono infondati, per le ragioni innanzi illustrate.
Il primo motivo proposto nell’interesse di NOME COGNOME è fondato.
2.1. Il primo giudice (v. p. 54 della sentenza di primo grado) riconosce all’imputato la circostanza attenuante speciale e la bilancia in equivalenza, ai sensi dell’art. 69 cod. pen. , con la circostanza aggravante della recidiva.
La sentenza di primo grado (v. p. 55) specifica le modalità del calcolo e precisa di partire dalla pena base di anni otto di reclusione ed euro 20.000 di multa, misura sulla quale opera l’aumento per i reati ascritti all’imputato, ai sensi dell’art. 81 cod. pen, così giungendo alla pena finale di anni dieci e mesi otto di reclusione ed euro 27.000 di multa, con la riduzione per il rito abbreviato.
Quindi, in definitiva, la sentenza di primo grado svolge il giudizio di bilanciamento tra le circostanze aggravanti di cui al capo 8), con la circostanza attenuante di cui all’art. 416 -bis .1, comma terzo, cod. pen.
La Corte di appello reputa infondato il gravame dell’imputato, diretto al riconoscimento della circostanza attenuante speciale ‘ nella massima estensione ‘ perché, secondo i giudici di secondo grado, sarebbe precluso il bilanciamento ex art. 69 cod. pen. nel senso della prevalenza stante la riconosciuta recidiva reiterata specifica.
Il Collegio osserva che il bilanciamento ha operato, in questo caso, in violazione del principio, consacrato dall’esperienza giurisprudenziale (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245929), che sottrae la circostanza attenuante della cd. «dissociazione attuosa» al giudizio di bilanciamento tra circostanze di segno opposto.
Infatti, è stato più volte affermato in sede di legittimità che la dissociazione attuosa, in sé, si sottrae al bilanciamento (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. cit. nel senso che l’attenuante ad effetto speciale prevista dall’art. 8 del d. l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991 n. 203, non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze; Sez. 1, n. 8740 del 01/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269191 -01).
Si impone, pertanto, su tale punto del trattamento sanzionatorio, l’annullamento dell’impugnata sentenza, perché si proceda, in sede di merito, a nuovo calcolo della pena, provvedendo , quanto all’operatività delle circostanze, prima alla determinazione del l’aumento per le circostanze aggravanti (una delle quali riconosciuta in grado di appello sul gravame della parte pubblica) e, poi, al la diminuzione dell’unica circostanza attenuante non bilanciabile .
Sarà, poi, valutazione rimessa al giudice di merito que lla relativa all’entità della diminuzione da operare. Tanto, secondo i canoni fissati dalla giurisprudenza di legittimità per i quali il contributo informativo offerto (Sez. 1, n. 52513 del 14/06/2018. L., Rv. 274190; Sez. 3, n. 3078 del 12/12/2012, dep. 2013, Romeo, Rv. 254142; Sez. 5, n. 33373 del 25/06/2008, Russo, Rv. 240994), deve condurre a un trattamento consequenziale dal punto di vista premiale, modulabile soltanto in considerazione della qualità di detto apporto.
2.2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Invero, la motivazione relativa al riconoscimento della recidiva si riferisce al fatto per cui si procede e sulla maggiore pericolosità di questo rispetto ai precedenti.
Il primo giudice svolge, sul punto, una motivazione esauriente e ineccepibile (v. p. 53) laddove espone che i fatti ascritti all’imputato sono omogenei rispetto ai precedenti e che risultano, a suo carico, condanne dalle quali emergeva il suo inserimento in contesti delinquenziali e, comunque, il suo rapporto con il settore
delle armi, risultando, in particolare, due condanne, una per detenzione di armi, l’altra per detenzione di munizioni.
Dunque, il giudizio di maggiore pericolosità della condotta, da parte del primo giudice, si riferisce ai fatti contestati ancora sub iudice e si rimarca, peraltro, che il percorso collaborativo viene assunto soltanto successivamente alla discovery , in fase cautelare.
Sicché il motivo di ricorso non si confronta compiutamente, con la lettura congiunta delle motivazioni di merito, consentita nella fattispecie, trattandosi di cd. doppia conforme affermazione di responsabilità e, dunque, completandosi i due provvedimenti, onde integrare un unico percorso giustificativo (tra le altre, Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595-01; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615- 01).
Quanto alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della Corte territoriale, seppure riassunta in poche battute (v. p. 82), non presenta vizi perché valuta la differenza tra il profilo della collaborazione, già tenuto in considerazione ai fini della concessione della circostanza attenuante speciale, rispetto a quello della concessione delle circostanze attenuanti generiche, con ragionamento in diritto ineccepibile.
In ordine ai rapporti tra la circostanza ad effetto speciale citata e le circostanze attenuanti generiche, infatti, la costante giurisprudenza di legittimità si è orientata nel senso di ritenere che, in tema di reati di criminalità organizzata, il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 8 d.l. n. 152 del 1991 cit., ora 416-bis.1 cod. pen., non implica necessariamente, data la diversità dei relativi presupposti, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (tra le altre, Sez. 2, n. 34126 del 05/06/2024, COGNOME, Rv. 286921 -07; Sez. 5, n. 1703 del 24/10/2013 dep. 2014, Sapienza, Rv. 258958).
Il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME è inammissibile.
L’ imputato viene descritto dal giudice di primo grado come mero custode delle armi, nonché come soggetto che ha preso parte alla condotta in addebito senza essere a conoscenza dell’utilizzo che ne sarebbe stato fatto ( per l’omicidio della vittima designata COGNOME). Dunque, si valuta la posizione come meno gravata rispetto a quella dei concorrenti nel reato, con condanna limitata, rispetto a quelli originariamente contestati (ai capi 3, 5 e 6), ai reati di cui ai capi 3 e 5 della rubrica.
Il Collegio rileva che l’atto di appello , del 20 maggio 2023, richiama i principi generali in tema di chiamata in correità e riporta, per estratto, la motivazione del primo giudice senza confrontarsi con i riscontri, considerati dalla sentenza di
primo grado, quanto, specificamente, ai contatti telefonici acquisiti tramite i tabulati, proprio nei giorni immediatamente precedenti a quello della consegna delle armi.
La sentenza di primo grado, sul punto (v. p. 34 e ss.), evidenzia che il collaboratore COGNOME aveva riconosciuto in fotografia COGNOME e che erano risultati diversi contatti telefonici tra COGNOME e NOME COGNOME, di cui sedici concentrati tra il 1° ottobre 2019 e il 30 ottobre 2019. Si ricava, dunque, dalle convergenti sentenze di merito, che riscontro alle dichiarazioni di COGNOME era stata considerata , quanto all’affidamento delle armi a COGNOME, l’esistenza di plurimi contatti telefonici, accertati tramite i tabulati, tra Formosa stesso e Cannatella, precedenti al viaggio del 30 ottobre 2019, data in cui era avvenuta la consegna delle armi.
Inoltre, si osserva che la pur sintetica motivazione del primo giudice (v. p. 35) richiama, per la posizione di COGNOME, anche i riscontri emersi a carico di COGNOME, rispetto alle dichiarazioni etero accusatorie di COGNOME, di cui al p. 17 e ss. della sentenza di primo grado.
In ogni caso, la sentenza di appello aveva evidenziato che l’atto di gravame contestava, genericamente, l’assenza di riscontri alle dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia, ma ciò non corrispondeva ai plurimi elementi di conforto, rispetto a tali dichiarazioni, enucleati nella sentenza di primo grado.
Del resto, è noto che il riscontro deve essere individualizzante e questo, nella specie, aveva senz’altro tale connotazione, perché sono indicati contatti via sms e telefono, tra Formosa e Cannatella, circostanza del tutto trascurata dal ricorrente, anche nella formulazione del ricorso per cassazione che, dunque, anche per tale ragione si appalesa inammissibile.
Né il ricorrente indica, specificamente, le ragioni per le quali il riferimento preciso che opera il primo giudice ai riscontri elencati, con riferimento alla persona del COGNOME, non sarebbe utile per la posizione di COGNOME.
In ogni caso, quindi, si deve rilevare la genericità del ricorso per cassazione che, invero, si è limitato a ribadire che le dichiarazioni di COGNOME, a carico di COGNOME, non avrebbero trovato alcun riscontro esterno.
In definitiva, manca un preciso confronto critico con i contenuti della declaratoria di inammissibilità della Corte di appello e con quelli della sentenza di primo grado, sicché il ricorso si appalesa inammissibile.
Invero, è principio pacificamente affermato in sede di legittimità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822) quello secondo il quale il motivo di ricorso in cassazione è caratterizzato da duplice specificità: deve essere conforme all’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., ma quando “attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli,
previsti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen. deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
4.1. Il primo motivo è infondato.
Si deduce l ‘ inutilizzabilità dei dati informativi relativi alle comunicazioni intercorse attraverso il sistema RAGIONE_SOCIALE
Si tratta del contenuto di chat decriptate dall’Autorità giudiziaria francese di cui le difese di COGNOME e COGNOME hanno chiesto l’inutilizzabilità già con i motivi di appello.
Rileva il Collegio che risulta, dalle sentenze di merito, che, a partire dal mese di giugno 2019, l’Autorità giudiziaria francese, sulla scorta della cooperazione della polizia giudiziaria di tre Paesi europei (Olanda, Belgio e Francia), nell’ambito di un’attività di indagine relativa a un’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aveva iniziato a esaminare il funzionamento di sistema dei criptofonini, adottando provvedimenti di intercettazione e, successivamente, addivenendo all ‘ installazione di un programma informatico su server centrale, riuscendo a cogliere le chiavi di cifratura necessaria per la decrittazione dei dati, fino a giungere, nel marzo 2021, al sequestro dei server OVH, su cui RAGIONE_SOCIALE conservava copia della cronologia delle conversazioni.
Del contenuto di tali server è stata estrapolata copia forense e, grazie alla cooperazione veicolata attraverso Eurojust e gli organi di cooperazione di polizia internazionale, è stata data informazione dell’esistenza degli esiti della descritta attività, alle Autorità giudiziarie interessate.
Risulta, inoltre, l ‘emissione dell’ OEI della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, del 18 settembre 2021, con il quale è stata chiesta all’Autorità francese l’acquisizione del contenuto delle chat, all’interno del server in sequestro, per una serie di apparecchi cellulari e di quelli entrati in contatto con questi, in uso a sette soggetti, in quanto ritenuti responsabili dei reati in contestazione.
A fronte di tale richiesta, risulta, inoltre, che l’Autorità giudiziaria francese ha proceduto all’esecuzione dell’OEI, autorizzando l’Autorità giudiziaria italiana a ll’ utilizzazione dei dati trasmessi.
La Corte territoriale ha affrontato il tema dell’ecce pita inutilizzabilità a p. 72 e ss., ove si assume l’ utilizzabilità delle intercettazioni, ai sensi dell’art. 270 cod. proc. pen. Si sostiene, infatti, che, per i reati per i quali si procede, si è in presenza dei presupposti della rilevanza e indispensabilità della prova e che si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Inoltre, si
segnala la circostanza che i singoli utilizzatori dei criptofonini non avevano prodotto schermate o, comunque, elementi di segno contrario, tali da far dubitare della correttezza dell ‘operata decodificazione delle chat .
La Corte territoriale segnala che è stato acquisito un dato ‘ freddo ‘ in seguito alla progressione investigativa dell’Autorità francese, che aveva già acquisito, a sua volta, chiavi di decrittazione del server e dei criptofonini, con conseguente possibilità di prendere contezza dei relativi contenuti. Inoltre, la richiesta, proveniente dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, era specifica e riguardante soltanto alcuni soggetti indagati per i reati in contestazione.
Ciò premesso, questo Collegio rileva che il ricorrente non si preoccupa della cd. prova di resistenza, in alcun punto del motivo di ricorso devoluto che, dunque, si appalesa non specifico.
Invero, la sentenza di secondo grado valorizza, specificamente per COGNOME, la sovrapponibilità e il reciproco riscontro delle dichiarazioni accusatorie nei suoi confronti dei due collaboratori, elemento a carico già, in sé, sufficiente a fondare la penale responsabilità dell’imputato.
Inoltre, la pronuncia elenca (v p. 9) tutti i riscontri reperiti, nei confronti di COGNOME, poi ribaditi anche a p. 77 e ss. della sentenza, tra cui le risultanze dei tabulati telefonici per le quali, nel ricorso, non si svolge alcuna eccezione, le conversazioni intercettate diverse da quelle reperite tramite l’OEI, il servizio di osservazione svolto dalla polizia giudiziaria, nelle date del 25 e 27 settembre 2019, fuori all’abitazione d ella vittima designata, in compagnia di Formosa, il sequestro della vettura Alfa Romeo tipo Giulietta.
Tutti dati convergenti, rispetto ai quali il ricorrente non illustra specificamente le ragioni per le quali, pur elidendo il contenuto delle acquisizioni a carico, mediante OEI, non residuerebbero prove, comunque, decisive, per reputare sussistente, come hanno fatto i giudici di merito, la responsabilità di COGNOME.
Invero, secondo il costante orientamento di questa Corte allorché con il ricorso per cassazione si denunci l’inutilizzabilità di un elemento a carico, il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento, ai fini della cd. prova di resistenza, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 2, n. 30271 del 11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303 -01; Sez. 3, 3207 del 02/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262011 -01; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 259452).
In ogni caso, quanto al regime di utilizzabilità la pronuncia in modo ineccepibile si riporta all’informazione provvisoria della decisione delle Sezioni
unite citata, la quale ha richiamato il principio, in ordine alle comunicazioni scambiate mediante criptofonini (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, COGNOME, Rv. 286573 -01) secondo il quale in materia di OEI, la trasmissione del contenuto di comunicazioni scambiate con tali strumenti, già acquisite e decrittate dall’Autorità giudiziaria estera, in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 234bis cod. proc. pen., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 cod. proc. pen. e 78 disp. att. cod. proc. pen. (il caso esaminato dalle Sezioni Unite è relativo a prove, costituite da messaggi scambiati su chat di gruppo, mediante un sistema cifrato, già in possesso delle Autorità competenti dello Stato di esecuzione).
4.2. I motivi secondo, terzo e quarto sono inammissibili.
Le censure formulate con il secondo motivo sono versate in fatto, attengono al giudizio di attendibilità del dichiarante COGNOME svolto, invero, con plurimi, ineccepibili e completi argomenti dai convergenti provvedimenti di merito (v. p. 25 e ss. della sentenza di primo grado e p. 77 e ss. di quella di appello).
Plurimi, poi, sono i riscontri al narrato di COGNOME indicati nelle sentenze di merito, che si uniscono alle risultanze delle chat decrittate; in particolare si valorizza il reperimento della vettura Alfa Romeo Giulietta, poi sottoposta a sequestro, contenente armi (come dichiarato dallo stesso COGNOME, cfr. p. 27 della sentenza di primo grado).
La censura devoluta con il terzo motivo di ricorso sul capo 8 è versata in fatto e tende a sollecitare una ricostruzione alternativa, rispetto a quella recepita nelle sentenze di merito, operazione inibita in sede di legittimità. Inoltre, si deduce vizio di motivazione della sentenza di secondo grado, secondo un ragionamento che non tiene conto della lettura congiunta delle sentenze di merito e, dunque, del complessivo percorso argomentativo svolto dai giudici di primo e secondo grado, circa la riferibilità a Candiloro di determinate utenze.
In più punti, poi, le censure sono reiterative delle deduzioni svolte con l’atto di gravame, cui la Corte territoriale ha risposto, con ragionamento che non è illogico, nemmeno per quanto concerne la questione, di cui al quarto motivo, relativa alla contestazione del reato sub capo 11, sul possesso dell’arma raffigurata nella fotografia risultata spedita dall ‘imputato .
Anzi, su tale capo 11 di imputazione si osserva che la censura proposta è totalmente sovrapponibile al gravame, cui la Corte territoriale ha risposto (v. p. 79) con ragionamento ineccepibile e immune da illogicità manifesta, dunque non censurabile nella presente sede.
Del resto, la sostanziale riproposizione dei motivi di appello conduce all’aspecificità del ricorso. Tale situazione va valutata e ritenuta non solo per la
sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel succitato vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art. 591, comma 1 lett. c) cod. proc. pen., alla inammissibilità della impugnazione (cfr. Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568; Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, COGNOME, Rv. 230634).
4.3. Il quinto motivo è inammissibile.
Le ragioni della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche si traggono dalla lettura complessiva della motivazione della Corte territoriale che si sofferma, in più punti, sulla consistente gravità della condotta in addebito. Il richiamo alla gravità dei fatti soddisfa lo standard declinato dall’art. 133 cod. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep.2014, COGNOME, Rv. 258410) e giustifica, altresì, la negazione delle attenuanti generiche (Sez. 2, n. 24995 del 14/05/2015, Rechichi, Rv. 264378: conf. n. 45623 del 2013, Rv. 257425) trattandosi di un dato polivalente, incidente sui diversi aspetti della valutazione del complessivo trattamento sanzionatorio.
La sussistenza di circ ostanze attenuanti, rilevanti ai sensi dell’art. 62 -bis cod. pen., è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione; di talché la stessa motivazione, purché congrua e non contraddittoria, non può essere sindacata in sede di legittimità neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’int eresse dell’imputato ( Sez. U, n.10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; Sez. 1, n.39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986; Sez. 6, n. 7707 del 04/12/2003, dep. 2004, Rv. 229768), a condizione che la valutazione tenga obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato .
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
5.1. Il primo motivo è infondato.
In definitiva, il ricorrente, con la prima censura, sostiene che la Corte territoriale fonderebbe la responsabilità dell’imputato soltanto sulle risultanze della messaggistica attribuitagli, senza dare il dovuto risalto alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME che, invece, ha escluso ogni coinvolgimento dell’imputato nelle conversazioni delle chat .
Invero, a fronte di tale censura deve rilevarsi che la Corte di appello (v. p. 84) segnala tutti gli elementi individualizzanti per i quali deve essere senz’altro reputato riferibile al ricorrente l’utilizzo del dispositivo con pin 96EA 81.
In particolare, emerge secondo la ricostruzione immune da illogicità manifesta della Corte territoriale, che l’utilizzatore del dispositivo segnalava, il 2 marzo 2020, di trovarsi a Roma ed effettivamente si accertava che il codice di quel dispositivo si collocava in area romana, in corrispondenza con l’utenza telefonica 3421664919, intestata a Larosa, il quale risultava aver soggiornato in Roma presso l’albergo RAGIONE_SOCIALE. Anzi, si rimarca nei provvedimenti di merito, che l’utilizzatore del codice indicato, si premurava di avvisare altro soggetto che non avrebbe portato con sé il telefono criptato.
La sentenza impugnata valorizza, inoltre, gli spostamenti dell’utilizzatore del codice pin indicato – incrociando i dati con quelli del telefono intestato a Larosa in direzione della provincia di Imperia, in data 7 e 9 febbraio 2020, dove si dava appuntamento con Candiloro. Ancora, si individua una corrispondenza tra l’utenza criptata e quella intestata a Larosa rilevando che, entrambe, seguivano un percorso identico tornando in Calabria.
Infine, si segnala che sia l’utenza intestata al ricorrente, sia quella criptata registravano movimenti da Taurianova a Roma, in data prossima al 2 marzo 2020 (precisando il dato che questo giorno corrispondeva alla data di nascita di NOME COGNOME figlia di NOME COGNOME e NOME COGNOME).
La Corte d’appello riporta una serie di conversazioni via chat in base alle quali si ritiene confermata la dichiarazione accusatoria di COGNOME, oltre a richiamare l’accertamento relativo alla presenza del GPS sull’auto di COGNOME vittima designata del tentativo di omicidio non realizzato, veicolo sotto il quale era risultato che COGNOME aveva chiesto a COGNOME se fosse andato a mettere il GPS.
Tali univoci, concordanti dati, secondo il ragionamento esposto dalla Corte territoriale, escludono di attribuire alle propalazioni di Formosa il rilievo che è stato indicato dalla difesa.
Invero, già il primo giudice aveva fondato l’affermazione di responsabilità dell’imputato sul fatto che questi impartisse precise direttive a Candiloro, con il quale manteneva rapporti diretti, attestati da numerosi contatti tra i due. Significativi sono i messaggi scambiati in occasione del sopralluogo presso il Canale D’Agordo, in data 24 novembre 2019 o ancora in data 12 dicembre 2019, nonché ancor più significativo quello del 15 dicembre 2019 occasione nella quale l’ imputato chiedeva a Candiloro ‘tu che dici se il lavoro si fa con il silenziatore’. Significativo, inoltre, viene ritenuto il riferimento al ‘ pelato ‘, cioè a Formosa, di qui lo specifico collegamento all’azione criminosa che si contesta.
Ulteriori, plurimi elementi a carico sono enucleati puntualmente, nella sentenza impugnata (v. p. 86) dati con i quali, in definitiva, la censura difensiva non si confronta specificamente.
5.2. Il secondo motivo è infondato.
La regola di utilizzabilità richiamata dalla Corte territoriale fonda sulla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte già citata, al § 4.1., relativamente alla posizione di COGNOME, con argomenti che si richiamano anche con riferimento alla posizione di Larosa.
Con riferimento, dunque, all’acquisizione, effettuata mediante OEI, di messaggi scambiati su chat di gruppo, tramite sistema cifrato, già a disposizione dell’autorità giudiziaria straniera, secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità nella sua più autorevole composizione (Sez. U, n. 23755 del 29/02/2024, Rv. 286573-01; Sez. U, n. 23756 del 29/02/2024, Rv. 286589-01), non è applicabile la disciplina di cui all’art. 234bis cod. proc. pen., perché la stessa è alternativa e incompatibile rispetto a quella dettata in tema di OEI.
Invero, il sistema dell’OEI regola anch’esso una modalità di acquisizione degli elementi di prova transfrontalieri, la quale, però, si realizza nell’ambito di rapporti di collaborazione tra autorità giudiziarie di Stati diversi dell’Unione. Trattasi, dunque, di discipline che si riferiscono a vicende tra loro diverse già per il presupposto di applicazione: la prima (art. 234bis cod. proc. pen.) riguarda l’acquisizione di elementi conservati all’estero e prescinde da forme di collaborazione con l’autorità giudiziaria di altro Stato; la seconda attiene, invece, all’acquisizione di elementi del pari conservati all’estero, ma da ottenere od ottenuti con la collaborazione dell’autorità giudiziaria di altro Stato.
Le Sezioni Unite hanno superato il principio affermato dalla giurisprudenza maggioritaria in forza del quale la messaggistica oggetto di esame poteva essere acquisita nel procedimento ai sensi dell’art. 234bis cod. proc. pen., alla stregua di dati informatici di natura documentale conservati all’estero, per approdare alla (diversa) conclusione che l’acquisizione e utilizzazione dei messaggi in questione è sottoposta a regole, limiti e garanzie diverse, che dipendono dalle modalità con cui l’Autorità estera ha, a sua volta, acquisito i dati conservati nel server .
In particolare, si è osservato che se ciò è avvenuto mediante captazione condotta in tempo reale, di un flusso di comunicazioni in atto, si è realizzata attività di intercettazione in procedimento separato; con la conseguenza che trova applicazione , ai fini dell’utilizzabilità delle risultanze, per il diritto interno, l’art. 270 cod. proc. pen.
Qualora, invece, fossero ottenute da ll’ autorità giudiziaria estera trascrizioni di comunicazioni già avvenute e conservate nella memoria di supporti utilizzati
dai dialoganti, allora i relativi dati sarebbero da considerare documenti, acquisibili ai sensi dell’art. 238 cod. proc. pen.
Nel caso in esam e, l’OEI ha avuto ad oggetto l’acquisizione da parte dell’Autorità giudiziaria italiana, di messaggi scambiati su chat di gruppo mediante un sistema cifrato, a disposizione dell’autorità giudiziaria francese.
Il pubblico ministero, dunque, ha agito nell’ambito dei poteri previsti nel Capo I, Titolo III del d. lgs. n. 108 del 21 giugno 2017, recante attuazione alla Direttiva 2014/41/UE del 3 aprile 2014, relativa all’OEI.
La previsione di tale strumento si correla all’esigenza di assicurare un meccanismo efficace, di carattere generale, rispettoso del principio di proporzione, a sua volta collegato a quello del reciproco riconoscimento e della fiducia nel rispetto del diritto dell’Unione da parte degli Stati membri e che, comunque, deve assicurare il rispetto dei diritti fondamentali.
In tale cornice, secondo gli artt. 2 e 9 della citata Direttiva, l’Autorità di esecuzione riconosce un OEI, trasmesso conformemente alle disposizioni della Direttiva, senza imporre ulteriori formalità e ne assicura l’esecuzione secondo le stesse modalità con cui procederebbe se l’atto di indagine fosse stato disposto da un’autorità dello Stato di esecuzione; a meno di non decidere di addurre uno dei motivi di non riconoscimento o di non esecuzione, ovvero di motivi di rinvio previsti dalla stessa direttiva. Pertanto, l’OEI deve avere ad oggetto una prova acquisibile nello Stato di emissione e deve essere eseguito in conformità di quanto previsto nello stato di esecuzione (Sez. 6, n. 48330 del 25/10/2022, Rv. 284027, in motivazione).
Nel caso in esame, il Pubblico ministero italiano, con l’OEI, ha agito, ai sensi dell’art. 45 d. lgs. cit., chiedendo la trasmissione su supporto informatico di files decrittati relativi a chat di cui al sistema Sky ecc , acquisiti nel corso di diverso procedimento pendente in diverso Paese (cfr. p. 5 della sentenza di primo grado ove si specifica che il Pubblico ministero ha indicato come acquisite le chat già decriptate dall’Autorità francese e da quest’ ultima trasmesse).
Tale atto, dunque, doveva solo dare conto dello specifico oggetto della prova, essendo rimessa allo Stato di esecuzione, con le modalità previste da quello ordinamento, la concreta acquisizione della prova da trasferire (Sez. 2, n. 2173 del 22/12/2016, dep. 2017, Rv. 269000).
Dunque, sussiste la condizione di ammissibilità prevista dall’art. 6 § 1 lett. b) della Direttiva richiamata, la quale richiede che l’atto o gli atti richiesti avrebbero potuto essere emessi, alle stesse condizioni, in un caso interno analogo.
Nell’ordinamento processuale italiano le prove già disponibili in altri procedimenti possono essere richieste e acquisite dalle parti interessate.
Con la conseguenza che l’OEI in quanto diretto a ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decriptate dall’autorità giudiziaria estera, in un procedimento penale pendente dinanzi ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del Giudice italiano perché una tale autorizzazione non è richiesta nel nostro ordinamento, per l’acquisizione del contenuto di comunicazioni telefoniche già acquisite in altro procedimento, presso gestori di servizi telefonici o telematici.
In ogni caso, volendo ritenere che detti atti siano qualificabili come risultati di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, comunque, la loro acquisizione può essere effettuata sulla base di OEI, emesso dal Pubblico ministero italiano in assenza di preventiva autorizzazione del giudice, autorizzazione non richiesta nell’ordinamento interno per l’utilizzazione dell’esito di intercettazioni acquisite in diversi procedimenti da quello in cui sono state disposte.
Il richiamo all’art. 270 cod. proc. pen., da parte dei giudici di secondo grado, appare, dunque, a tal fine ineccepibile così come il riferimento ai reati per i quali si procede, per i quali è previso l’arresto obbligatorio in flagranza (cfr. p. 75).
L’affermazione secondo la quale, al momento in cui è stato emesso l’OEI non esiste vano elementi indizianti per reati per i quali è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza, a carico degli odierni indagati è mera petizione di principio, dovendo ricavarsi, anzi, dai provvedimenti di merito, che le indagini hanno preso le mosse, senz’a ltro, in epoca precedente all’adozione dell’OEI, dalle dichiarazioni accusatorie di COGNOME, cui si sono aggiunte, tra gli altri, gli esiti delle intercettazioni di telefoni cellulari (in particolare l’attività di captazione realizzata, nel luglio 2020, sull’utenza di Spinel), di intercettazione ambientali e di localizzazioni satellitari. Si richiamano , tra l’altro, da parte dei giudici di merito, quali elementi poi utilizzati come riscontri esterni alle dichiarazioni di COGNOME, il reperimento della granata in Canale d’Agordo (bomba a mano da guerra modello M75, sepolta ai piedi di un albero), le riprese delle telecamere di videosorveglianza che documentavano il passaggio della Fiat Punto di RAGIONE_SOCIALE, il 18 luglio 2020.
Generica, poi, e soltanto enunciata appare la censura relativa alla dedotta violazione indebita del diritto alla riservatezza, operante nel nostro ordinamento, ai danni di un numero indistinto di abbonati al servizio, attuata una volta ‘bucato’ il server d a parte dell’autorità straniera per proce dere alla captazione.
Quanto al dedotto vizio, tale da comportare la inutilizzabilità patologica dei dati ricavati da alcuni supporti sui quali, secondo la difesa, l’attività dell’intercettazione sarebbe stata traslata non in forma protetta ma in formato excell, si tratta di censura generica. Questa non indica, in particolare, a quali
dati l’eccezione si riferisce, né quali siano gli elementi a carico di Larosa , utilizzati in sede di merito, ricavati dai supporti di cui si deduce la riproduzione in formato non immodificabile.
Circa l’ utilizzabilità degli esiti della localizzazione da remoto, a mezzo di sistema di rilevamento satellitare (GPS), degli spostamenti, si rileva che si tratta di mezzo atipico di ricerca della prova. Il Collegio richiama la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale tali esiti sono utilizzabili nel processo penale senza necessità di autorizzazione preventiva da parte dell’autorità giudiziaria, in quanto non si risolve in una interferenza con il diritto alla riservatezza delle comunicazioni, né in una lesione dell’inviolabilità del domicilio (Sez. 2, n. 37395 del 18/09/2024, Rv. 286949 -01; Sez. 4, n. 21856 del 21/04/2022, Rv. 283386 -01: in motivazione, la Corte ha chiarito che nella specie non trovano applicazione le previsioni degli artt. 244 e 247, comma 1-bis, cod. proc. pen. non dovendosi assicurare tracce del reato acquisite tramite ispezioni o perquisizioni).
Sul l’eccezione relativa alla localizzazione avvenuta attraverso i dati acquisiti tramite tabulati non autorizzati, si osserva che questa deduzione non risulta svolta in sede di appello secondo l ‘ incontestata sintesi dei motivi di gravame (cfr. p. 69 e ss. della sentenza di secondo grado) quindi, il motivo è inedito.
In ogni caso, si deduce un vizio che può essere rilevato in ogni stato e grado del procedimento (nel senso che l’acquisizione dei tabulati in assenza di un decreto autorizzatorio dell’Autorità giudiziaria rende inutilizzabili i dati in essi contenuti, Sez. U, n. 21 del 13/07/1998, COGNOME, Rv. 211197; Sez. U, n. 6 del 23/02/2000, COGNOME), ma la censura è generica perché non precisa il momento in cui la difesa assume che sia intervenuta, nella fase delle indagini preliminari, l’acquisizione d ei tabulati relativi alle utenze telefoniche di Larosa, onde verificare il regime giuridico applicabile. Né viene svolta la cd. prova di resistenza, rispetto alle residue fonti di prova utilizzabili a carico del ricorrente, espunti i risultati derivanti dall’utilizzo dei dati acquisiti tramite quella di cui si denuncia l’inutilizzabilità patologica .
Invero, la legge 23 novembre 2021, n. 178, in sede di conversione del d. l. 30 settembre 2021, n. 132, convertito, con modificazioni (legge pubblicata il 29 novembre 2021), oltre ad apportare alcuni correttivi alla disciplina dell’acquisizione, ha tuttavia dettato una norma transitoria, volta specificamente a superare i contrasti interpretativi insorti in ordine all’utilizzabilità dei tabulati telefonici acquisiti dal pubblico ministero in forza della disciplina previgente. La legge di conversione n. 178 del 2021, con l’inserimento del comma 1bis all’interno dell’art. 1 del D.L. n. 132 del 2021, ha stabilito che i dati relativi al traffico telefonico acquisiti nei procedimenti penali prima della entrata in vigore del d. l. n. 132 del 2021 possono essere utilizzati a carico dell’imputato solo
unitamente ad altri elementi di prova ed esclusivamente per l’accertamento dei reati per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, determinata a norma dell’art. 4 cod. proc. pen. e dei reati di minaccia e di molestia o disturbo alle persone con il mezzo del telefono, quando la minaccia, la molestia o il disturbo sono gravi ove rilevanti ai fini della prosecuzione delle indagini. Tali dati sono acquisiti presso il fornitore con decreto motivato del giudice su richiesta del pubblico ministero o su istanza del difensore dell’imputato, della persona sottoposta a indagini, della persona offesa e delle altre parti private.
Tale disposizione, adottata in deroga al principio del tempus regit actum, consente, comunque, che i tabulati acquisiti prima dell’entrata in vigore del predetto decreto legge siano utilizzati a carico dell’imputato anche se “solo unitamente ad altri elementi di prova” (Sez. 5, n. 38213 del 15/09/2022, Rv. 283875 – 01) come è avvenuto nel caso di specie.
5.3. Il terzo motivo è infondato.
La prima parte della censura relativa all ‘ attribuzione del telefono criptato all’imputato e all’ incertezza dei dati che si traggono dai supporti trasmessi dall’autorità straniera non è fondata. Si richiamano tutte le argomentazioni svolte al § 5.1.
Inoltre, si rileva che la censura è versata in fatto e non supportata da autosufficienza perché nessuna delle fonti di prova che si citano sono allegate e, comunque, quelle indicate sono richiamate genericamente (ad esempio si richiama la consulenza tecnica di parte, la messaggistica indicata per apprezzare la differenza di lessico).
Comunque, il Collegio deve riscontrare che si tratta di censura già devoluta con il gravame, cui la Corte territoriale ha risposto, facendo riferimento non soltanto all’assenza di elementi di segno contrario emersi aliunde (ad esempio attraverso l’acquisizione dei messaggi in chiaro di contenuto diverso da quello contestato).
In particolare, si è notato che l’utilizzatore del dispositivo con PIN 96EA81, segnalava, il 2 marzo 2020, di trovarsi a Roma e, effettivamente, detto codice PIN si collocava in area romana, in corrispondenza con l’utenza telefonica 340 2664919 intestata a Larosa. Questi, peraltro, secondo i giudici di merito risultava aver soggiornato in Roma, presso l’albergo RAGIONE_SOCIALE. Inoltre, l’utilizzatore del citato codice PIN si premurava anche di avvisare altro soggetto che non avrebbe portato con sé il telefono criptato.
Ancora si segnala da parte della Corte territoriale che, nel periodo compreso tra il 7 e il 9 febbraio 2020, l’utilizzatore del codice PIN indicato faceva registrare degli spostamenti identici a quelli registrati sull’utenza telefonica intestata a Larosa, in direzione della provincia di Imperia dove si dava appuntamento, in
data 8 febbraio 2020, con COGNOME risultato utilizzatore del dispositivo con codice PIN CODICE_FISCALE Inoltre, si evidenzia, nella pronuncia di secondo grado, che dopo l’incontro programmato, l’utenza criptata e quella intestata a Larosa, seguivano nuovamente lo stesso percorso tornando in Calabria.
Si rimarca, infine, che, il 2 e 3 marzo 2020, l’utilizzatore del codice PIN CODICE_FISCALE, riferiva di essere tornato a Roma per problemi che aveva avuto la cugina a seguito del parto e, da accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria, era emerso che in data 2 marzo 2020 era nata NOME COGNOME, figlia di NOME COGNOME, il quale aveva rapporti di parentela con moglie del ricorrente, NOME COGNOME. Si segnalano, altresì, significativi movimenti, sia dell’utenza intestata al Larosa sia di quella criptata, da Roma a Taurianova, con ulteriore sovrapposizione di movimenti tra le due utenze nel territorio bresciano nei giorni 4, 5 e 6 ottobre 2020, dato a cui si accompagnava la riscontrata presenza dell’imputato presso alberghi in Brescia.
Il resto delle deduzioni svolte – circa la vettura acquistata dal figlio del ricorrente, ai tempi di tale acquisto, alla presenza del ricorrente in Roma per la nascita della figlia di NOME COGNOME quale dato non decisivo, alla mancanza di prova del possesso, da parte di Larosa, di un criptofonino e all’impossibilità di procedere alla geolocalizzazione di tale tipo di apparecchio in quanto non agganciato alla tradizionale rete telefonica o informatica – risultano versate in fatto, con argomenti che non possono essere rivisitati attraverso il riesame delle fonti di prova nella presente sede di legittimità.
Invero, la difesa, in relazione a tali circostanze, devolve argomenti di puro merito, che pretenderebbero il riesame, da parte di questa Corte, di fonti di prova, circa la data dell’avvenuta immatricolazione in Germania della vettura del figlio del ricorrente, in ordine al l’impossibilità di procedere a geolocalizzazione dei criptofonini, rivalutazione non consentita (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794) peraltro, secondo una prospettazione smentita dalle descritte risultanze.
Con riferimento, poi, all ‘ impossibilità di localizzazione di criptofonini, la censura appare generica perché non si confronta con il complesso delle emergenze istruttorie, riportate nei provvedimenti di merito, a fronte delle quali l’attribuzione a Larosa del dispositivo con PIN 96EA81 – dei cui spostamenti i giudici di merito, comunque, danno atto – è avvenuto incrociando plurime risultanze probatorie, senza alcuna inversione del relativo onere. Si fa riferimento, infatti, con ragionamento immune da illogicità manifesta, all ‘accertat a collocazione del dispositivo con quel PIN in aree geografiche compatibili con gli spostamenti, sul territorio nazionale, dell’utenza telefonica di Larosa e, soprattutto, alla presenza, in quelle stesse aree, non soltanto del l’utilizzatore del PIN indicat o, ma anche di quello del telefono cellulare
intestato al ricorrente e dello stesso ricorrente, di persona, come acclarato attraverso la sua registrazione in alberghi di Roma e del bresciano.
Segue l’annullamento della sentenza impugnata, nei confronti di COGNOME limitatamente al trattamento sanzionatorio, per le ragioni espresse nella parte motiva dedicata al ricorrente, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.
Inoltre, segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso di COGNOME e la condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Segue, infine, il rigetto dei ricorsi di Candiloro e Larosa, con condanna alle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME relativamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Brescia. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Rigetta i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20 novembre 2024