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Chat criptate e mafia: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imputato in arresti domiciliari per aver aiutato un latitante. La Corte ha confermato la validità delle prove derivanti da chat criptate e ha ritenuto sussistenti sia l’aggravante di agevolazione mafiosa che il pericolo di recidiva, basandosi sulla vicinanza dell’imputato ad ambienti di criminalità organizzata.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Chat Criptate e Agevolazione Mafiosa: La Cassazione Fa Chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità: l’utilizzabilità delle chat criptate come fonte di prova nel processo penale. Il caso in esame riguarda un soggetto accusato di aver favorito la latitanza di un esponente di spicco della criminalità organizzata, un’accusa aggravata dalla finalità di agevolazione mafiosa. La difesa ha basato gran parte del ricorso sulla presunta inutilizzabilità di queste comunicazioni digitali, ma la Corte ha rigettato le doglianze, fornendo importanti chiarimenti sui principi applicabili.

I Fatti del Caso: Il Supporto al Latitante

Il Tribunale del riesame aveva confermato un’ordinanza di arresti domiciliari nei confronti di un individuo, accusato di aver aiutato un noto latitante, capo di un’omonima ‘ndrina. Secondo l’accusa, l’indagato avrebbe agevolato la latitanza del boss, commettendo il reato previsto dall’art. 390 del codice penale, con l’aggravante di aver agito per favorire un’associazione di stampo mafioso, ai sensi dell’art. 416-bis.1 c.p. Le prove a carico si basavano in modo significativo su conversazioni avvenute tramite un sistema di comunicazione criptato, acquisite tramite un ordine di indagine europeo.

Le Doglianze del Ricorrente: Tra Diritto di Difesa e Chat Criptate

L’imputato, tramite i suoi difensori, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando diversi vizi. In primo luogo, ha contestato l’utilizzabilità delle chat criptate, sostenendo che le modalità di acquisizione da parte dello Stato estero fossero contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano. Inoltre, la difesa lamentava di non aver potuto accedere ai file originali perché protetti da password, impedendo di fatto la verifica della corrispondenza tra i testi decriptati e quelli originali. In secondo luogo, si contestava l’aggravante mafiosa, sostenendo che l’aiuto fosse stato prestato per un legame di amicizia con il latitante e non per favorire la cosca. Infine, si negava la sussistenza di un concreto pericolo di recidiva, sottolineando la vita regolare dell’imputato e il suo limitato coinvolgimento temporale nei fatti.

La Decisione della Corte di Cassazione: L’Utilizzabilità delle Chat Criptate

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso infondato, rigettandolo in ogni sua parte. La decisione si articola su tre punti principali, che consolidano orientamenti giurisprudenziali di fondamentale importanza.

Le motivazioni della Corte

Per quanto riguarda l’utilizzabilità delle chat criptate, la Corte ha ribadito principi già espressi dalle Sezioni Unite nella nota sentenza “Gjuzi”. Si è affermato che la doglianza sulla mancata disponibilità della password era tardiva e generica. Più in generale, l’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo di cifratura non costituisce di per sé una violazione dei diritti fondamentali, a meno che non vengano fornite allegazioni specifiche su un’eventuale alterazione dei dati. Vige, inoltre, una presunzione di legittimità dell’attività compiuta all’estero, la cui correttezza procedurale è di competenza del giudice straniero. La Corte ha anche ritenuto logica e ben motivata l’identificazione dell’imputato come utente del dispositivo criptato, basata su riferimenti a dati personali, vicende familiari e rapporti emersi dalle conversazioni.

Sul secondo motivo, relativo all’aggravante mafiosa, la Corte lo ha ritenuto carente di interesse, poiché la misura cautelare era già giustificata dalla sola pena prevista per il reato base. Tuttavia, ha specificato che la motivazione del Tribunale era corretta: l’imputato aveva agito con la consapevolezza del ruolo apicale del latitante all’interno della ‘ndrina, intendendo così agevolare non solo l’amico, ma l’intera organizzazione criminale.

Infine, in merito alle esigenze cautelari, la Cassazione ha confermato la valutazione del Tribunale. Il rischio di recidiva è stato desunto non solo dai precedenti penali dell’imputato (per reati gravissimi come omicidio e partecipazione ad associazione mafiosa), ma soprattutto dal suo modus agendi: una disponibilità assidua e quasi quotidiana nel supportare le esigenze del latitante e nel mantenere contatti con altri membri del sodalizio. La disponibilità di strumenti di comunicazione criptati è stata considerata un ulteriore elemento a conferma della sua piena contiguità ai circuiti criminali.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza consolida un orientamento ormai chiaro in materia di prove digitali. L’acquisizione di chat criptate tramite cooperazione internazionale è legittima e le prove che ne derivano sono pienamente utilizzabili, ponendo a carico della difesa un onere probatorio molto stringente per contestarne l’autenticità. La pronuncia ribadisce inoltre come il supporto a un latitante di spicco, anche se motivato da legami personali, possa integrare l’aggravante di agevolazione mafiosa quando vi è la consapevolezza del suo ruolo. Infine, l’uso di tecnologie per comunicare in modo segreto viene interpretato come un indice significativo di pericolosità sociale, in grado di giustificare l’applicazione di misure cautelari.

Le prove provenienti da chat criptate decifrate all’estero sono utilizzabili in un processo italiano?
Sì, sono utilizzabili. La Corte di Cassazione ha stabilito che vige una presunzione di legittimità dell’attività compiuta dall’autorità straniera. L’impossibilità per la difesa di accedere all’algoritmo di decriptazione non determina una violazione dei diritti fondamentali, a meno che non vengano fornite allegazioni specifiche e concrete su un’eventuale alterazione dei dati.

Aiutare un amico latitante, capo di una cosca, integra sempre l’aggravante di agevolazione mafiosa?
Secondo questa sentenza, sì. Se chi aiuta è consapevole del ruolo apicale del latitante all’interno dell’organizzazione criminale, si presume che l’intenzione non sia solo quella di aiutare la persona, ma anche di agevolare l’intera associazione mafiosa di cui il latitante è a capo.

L’uso di telefoni criptati può essere considerato un indizio del pericolo di commettere altri reati?
Sì. La Corte ha evidenziato che la disponibilità e l’uso di strumenti di comunicazione criptati rappresentano un significativo elemento di conferma della piena contiguità di un soggetto a circuiti criminali, potendo quindi contribuire a fondare un giudizio di concreta pericolosità sociale e di rischio di recidiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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