Cessione Metadone: la Cassazione Nega la Tenuità del Fatto
La recente ordinanza della Corte di Cassazione penale affronta un caso significativo di cessione metadone, una sostanza fornita dal servizio sanitario per finalità terapeutiche. La Suprema Corte ha confermato la condanna di un individuo, chiarendo perché la vendita di tale sostanza, anche per una cifra modesta, non possa essere considerata un fatto di lieve entità né giustificata da presunti motivi di ‘mutualità amicale’.
Il Fatto: la Vendita di Metadone Terapeutico
Il caso ha origine dalla condanna di un uomo per il reato previsto dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/1990 (legge sugli stupefacenti), relativo ai fatti di lieve entità. L’imputato era stato giudicato colpevole per aver ceduto una dose di metadone, che riceveva nell’ambito di un programma di trattamento pubblico, in cambio di 100 euro. La condanna, emessa dal Tribunale e confermata in Appello, prevedeva una pena di 4 mesi di reclusione e 800 euro di multa.
Contro la decisione di secondo grado, la difesa ha proposto ricorso in Cassazione, basandosi su due argomentazioni principali.
I Motivi del Ricorso: tra Mutualità Amicale e Tenuità del Fatto
La difesa ha contestato due aspetti fondamentali della sentenza d’appello:
1. Mancato riconoscimento dell’attenuante: Si sosteneva che la cessione fosse avvenuta per ‘esigenze di mutualità amicale’, chiedendo quindi l’applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 4 del codice penale.
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: La difesa ha inoltre richiesto l’applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, che esclude la punibilità per i reati di minima offensività.
Secondo la tesi difensiva, la natura della transazione e il contesto avrebbero dovuto portare a una valutazione più mite della condotta.
L’Analisi della Corte sulla Cessione Metadone
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, dichiarando il ricorso manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato come le argomentazioni della difesa fossero una semplice riproposizione di censure già correttamente respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi elementi di diritto.
In primo luogo, la tesi della ‘mutualità amicale’ è stata considerata insostenibile di fronte al pagamento di un corrispettivo di 100 euro. Tale somma, secondo la Corte, non è ‘certo esigua’ e smentisce l’idea di un gesto di semplice amicizia, configurando invece una vera e propria compravendita.
In secondo luogo, e con ancora maggior forza, è stata esclusa la ‘particolare tenuità del fatto’. La Corte ha evidenziato la gravità intrinseca della condotta: l’imputato ha distolto una sostanza, ricevuta per finalità terapeutiche all’interno di un programma pubblico, dal suo scopo curativo per immetterla nel mercato illegale. Questo comportamento mina le finalità di sanità pubblica del programma. A ciò si aggiungeva il ritrovamento di altre due boccette di metadone con etichetta asportata, per le quali l’imputato non aveva fornito spiegazioni adeguate, un dettaglio che ha ulteriormente aggravato la sua posizione.
Le Motivazioni e le Conclusioni della Suprema Corte
La Corte ha concluso che la motivazione della sentenza impugnata era solida e basata su considerazioni razionali. Gli argomenti difensivi, al contrario, rappresentavano un tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito dei fatti, un’operazione preclusa nel giudizio di legittimità, che si concentra sulla corretta applicazione della legge.
Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa decisione ribadisce un principio importante: la cessione di sostanze fornite per scopi terapeutici è una condotta grave che non può beneficiare di sconti di pena o cause di non punibilità, poiché lede direttamente l’interesse della collettività alla corretta gestione dei programmi di recupero e cura.
Vendere metadone ricevuto per un programma terapeutico è considerato un reato di lieve entità?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che la cessione di metadone ricevuto per finalità terapeutiche non costituisce un fatto di ‘particolare tenuità’. La condotta è considerata grave perché la sostanza viene distolta dal suo scopo di trattamento sanitario pubblico per essere venduta illegalmente.
Una vendita di droga può essere giustificata come ‘mutualità amicale’ per ottenere uno sconto di pena?
No. Secondo la Corte, il pagamento di un corrispettivo in denaro, nel caso specifico 100 euro, è incompatibile con la nozione di ‘mutualità amicale’. La presenza di una transazione economica smentisce la natura amichevole dello scambio e impedisce il riconoscimento delle relative attenuanti.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, la sentenza di condanna diventa definitiva e non può più essere impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, il cui importo è stabilito dalla Corte.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 30684 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 30684 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a UDINE il 05/05/1978
avverso la sentenza del 29/04/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Premesso che è stata impugnata la sentenza della Corte di appello di Trieste del 29 aprile 2024 che ha confermato la decisione resa dal Tribunale di Pordenone il 10 febbraio 2022, con la qual NOME COGNOME concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata recidiva, era sta condannato alla pena di mesi 4 di reclusione ed euro 800 di multa (sostituita con mesi 8 di libe controllata), in quanto ritenuto colpevole del reato ex art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 1990, accertato in Sacile il 6 aprile 2020.
Osservato che il primo motivo di ricorso, con cui la difesa contesta la mancata concession dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., è manifestamente infondato, in q riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argo giuridici nella sentenza impugnata; la Corte di appello, infatti, ha ragionevolmente evidenzi in senso ostativo all’accoglimento della richiesta difensiva, come la cessione sia avvenuta die il pagamento di un corrispettivo di 100 euro, somma ritenuta non certo esigua e, comunque, tale da smentire le dichiarazioni rese dall’imputato, secondo cui la cessione della sostan sarebbe stata dovuta a esigenze di mutualità amicale (cfr. pag. 6 della sentenza impugnata).
Rilevato che il secondo motivo di ricorso, con il quale si contesta il mancato riconoscimento de particolare tenuità del fatto, è anch’esso manifestamente infondato, avendo la Corte di appel escluso l’applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. con argomentazioni non illogiche, ritenendo la condotta dell’imputato non particolarmente lieve, avendo egli ceduto a NOME COGNOME un quantitati non trascurabile di sostanza di tipo “metadone” ricevuta per finalità terapeutiche, nell’ambi un programma di trattamento pubblico, a ciò aggiungendosi che il ricorrente recava con sé altre due boccette di metadone con etichetta asportata, rispetto alla cui destinazione non è sta fornita alcuna adeguata spiegazione (pag. 5 e 6 della sentenza gravata).
Ritenuto che, rispetto a ciascun tema dedotto, la motivazione della sentenza impugnata risult sorretta da considerazioni razionali, cui la difesa contrappone differenti apprezzamenti di mer che tuttavia esulano dal perimetro del giudizio di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 5465 del 04/11 dep. 2021, Rv. 280601 e Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Rv. 265482).
Considerato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e rilevato che a declaratoria dell’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere pagamento delle spese del procedimento, nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’11 aprile 2025.