Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 19755 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 19755 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME, nato in Tunisia il DATA_NASCITA (CODICE_FISCALE)
avverso la sentenza del 3/7/2023 della Corte di appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3/7/2023, la Corte di appello di Genova riformava in punto di pena la pronuncia emessa il 28/9/2020 dal Giudice per le indagini preliminari presso il locale Tribunale, con la quale NOME era stato giudicato colpevole del delitto di cui agli artt. 73, 80, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
violazione dell’art. 192 cod. proc. pen.; apparenza, illogicità contraddittorietà della motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna del ricorrente con una ricostruzione dell’accaduto del tutto inconferente:
premesso che l’COGNOME era detenuto in carcere e che svolgeva lavori di spazzino, la versione offerta dalla sentenza non spiegherebbe perché il soggetto avesse chiamato a gran voce il suo collega COGNOME, né perché gli avesse passato lo stupefacente per cederlo poi ad un altro detenuto, che peraltro stava andando al posto di comando della Polizia. La sentenza non darebbe risposta a questi interrogativi, e si fonderebbe su un pregiudizio originato dai precedenti penali a carico;
mancata assoluzione per inosservanza del decreto del Ministero della Sanità 11 aprile 2006. La sentenza non avrebbe considerato la quantità di sostanza sequestrata, pari a soli 0,018 grammi di hashish, per complessive 0,7 dosi medie; sarebbe del tutto, pertanto, ogni effetto drogante, ed il frammento non supererebbe il limite di cui al decreto citato. Il fatto, pertanto, sarebbe privo rilevanza penale;
si contesta, infine, il mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen., con illogicità della relativa motivazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso risulta manifestamente infondato.
Con riguardo alla prima censura, in punto di responsabilità, non può essere condivisa la tesi secondo cui la sentenza avrebbe sostenuto una ricostruzione illogica della vicenda, mossa da un pregiudizio a carico dell’imputato; per contro, la motivazione risulta perfettamente logica ed aderente a oggettivi elementi istruttori, oltre che capace di superare con solido argomento la versione alternativa offerta dalla difesa.
4.1. In particolare, risultava provato che l’imputato – al momento ristretto al primo piano del carcere – aveva preso a chiamare insistentemente un altro detenuto, tale COGNOME, impegnato nei servizi di pulizia all’esterno del settore, facendo in modo che questi si avvicinasse alle inferriate. Appena questi era arrivato sul posto, infatti, il ricorrente gli aveva consegnato un sacchetto d cellophane, che già aveva in mano e che COGNOME aveva provveduto immediatamente a passare ad un terzo soggetto, tale NOME COGNOME, che si stava recando alla sala colloqui.
4.2. Ebbene, questa ricostruzione – eseguita sulle affidabili parole di un agente di Polizia penitenziaria – ha poi resistito alla censura sollevata in appello, secondo la quale il ricorrente si sarebbe voluto soltanto disfare della sostanza “trovata” in cella, consegnandola all’addetto alle pulizie per evitare sanzioni disciplinari; l sentenza, infatti, ha adeguatamente sottolineato che se davvero questa fosse stata l’intenzione dell’imputato, questi avrebbe potuto gettare il sacchetto nel wc
o nella spazzatura, oppure attendere che l’addetto alle pulizie giungesse nella sua cella, senza dunque cercare “insistentemente la mediazione di un addetto alle pulizie che, in quel momento, stava addirittura lavorando all’esterno dello spazio ove egli era ristretto.”
4.3. Il ricorso, peraltro, contesta al riguardo una presunta illogicità dell motivazione, sul presupposto che, se davvero l’intenzione dell’COGNOME fosse stata quella di cedere la sostanza al COGNOME (che, peraltro, sarebbe stato in transito verso il comando di Polizia dell’istituto), avrebbe potuto provvedere egli stesso, anziché chiedere l’intervento di COGNOME. Ebbene, in senso contrario il Collegio rileva che l’argomento – oltre ad introdurre evidenti elementi di merito, inammissibili in questa sede – non considera un dato essenziale, ben indicato nella sentenza impugnata: ossia che, al momento della cessione, il ricorrente si trovava in una zona del carcere diversa da quella in cui erano il COGNOME ed il COGNOME, e che quest’ultimo si stava recando alla sala colloqui sotto la scorta dell’agente COGNOME, così da non potersi certo avvicinare all’COGNOME.
4.4. Il primo motivo di impugnazione, pertanto, è privo di fondamento.
Alle stesse conclusioni di inammissibilità, poi, la Corte giunge anche sulla seconda censura, che contesta l’inosservanza del decreto ministeriale 11 aprile 2006, in ragione della modestissima quantità della sostanza sequestrata e dell’assenza di effetto drogante. La questione, invero, non aveva costituito specifico motivo di appello, in quanto la seconda doglianza di gravame si era limitata a sostenere – senza alcun riferimento al decreto citato – che “la sostanza stupefacente oggetto di sequestro è un pezzetto di hashish inconsistente per peso e per principio attivo”, così da non contenere alcun effetto drogante. Ebbene, questa censura è stata superata dalla Corte di appello, sul rilievo che la consulenza tecnica in atti aveva, per contro, riscontrato un effetto drogante; la sentenza non ha affrontato il tema del d.rn. 11 aprile 2006, pertanto, perché non sottopostole, e dunque non proponibile per la prima volta in questa sede.
Con riguardo, infine, alla circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod pen., il ricorso si limita a sostenere che questa “poteva e doveva essere concessa all’NOME date le premesse dedotte dal Collegio e sulla base della situazione oggettiva”. Neppure un accenno, dunque, tantomeno un confronto, con la motivazione stesa dalla Corte di appello, che ha negato l’attenuante in ragione del carattere gratuito della cessione della sostanza, non essendo stato neppure dedotto dall’imputato un qualche fine di lucro che avrebbe sorretto la propria condotta di cessione, fine invero necessario per verificare anche solo in astratto la configurabilità della circostanza attenuante in esame.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 16 aprile 2024
Depositata in Cancelleria