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Cessione del credito ipotecario: buona fede e confisca

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37108/2024, ha stabilito che in caso di cessione del credito ipotecario su un bene poi confiscato, il creditore acquirente (cessionario) deve provare non solo la buona fede del creditore originario, ma anche la propria. La Corte ha rigettato il ricorso di una società, il cui legale rappresentante era figlio del condannato, che aveva acquistato il credito ipotecario dopo la confisca, ravvisando in tale operazione elementi di mala fede volti a eludere gli effetti della misura ablatoria a vantaggio del condannato stesso.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cessione del Credito Ipotecario su Beni Confiscati: La Prova della Buona Fede

La Corte di Cassazione ha affrontato un tema di grande rilevanza pratica: la tutela del creditore in caso di cessione del credito ipotecario avente ad oggetto un bene immobile sottoposto a confisca penale. Con la sentenza in esame, i giudici hanno chiarito che non è sufficiente la buona fede del creditore originario, ma è necessario che anche il creditore acquirente (cessionario) dimostri la propria correttezza, specialmente quando sussistono legami con il soggetto condannato. Approfondiamo la vicenda.

I Fatti del Caso: dalla Concessione del Mutuo alla Confisca Definitiva

La complessa vicenda trae origine dalla concessione di un mutuo fondiario da parte di un istituto di credito a una società per l’acquisto di un immobile. A garanzia del finanziamento, nel 2010 veniva iscritta un’ipoteca sul bene. Anni dopo, nel 2015, l’immobile veniva sottoposto a sequestro preventivo nell’ambito di un procedimento penale a carico di un soggetto per attività illecite, procedimento che si concludeva con una sentenza di confisca definitiva nel 2021.

Nel frattempo, il credito garantito dall’ipoteca veniva ceduto più volte. L’istituto di credito originario, dopo una fusione, cedeva il credito a una società di gestione patrimoniale. Quest’ultima, a sua volta, lo cedeva a una società estera unipersonale nel 2022, quindi dopo che la confisca era già divenuta irrevocabile. Elemento cruciale della vicenda è che il legale rappresentante di quest’ultima società era il figlio della persona condannata, la cui attività illecita aveva portato alla confisca del bene.

La società acquirente del credito si rivolgeva quindi al giudice dell’esecuzione chiedendo che venisse riconosciuta la validità dell’ipoteca, rendendola opponibile allo Stato. Il Tribunale rigettava l’istanza e ordinava la cancellazione della garanzia, dubitando della buona fede dell’operazione. Contro questa decisione, la società proponeva ricorso in Cassazione.

La Posizione della Società Ricorrente

La società ricorrente sosteneva che, per la tutela del credito, dovesse rilevare unicamente la buona fede del creditore originario (la banca che aveva concesso il mutuo), essendo irrilevanti le vicende successive e la condizione soggettiva degli acquirenti del credito. Secondo questa tesi, una volta accertata la buona fede iniziale, la garanzia avrebbe dovuto seguire il credito in tutte le sue cessioni, indipendentemente da chi fosse il nuovo titolare.

Cessione del credito ipotecario e Confisca: l’Analisi della Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. I giudici hanno richiamato i principi consolidati, in particolare quelli espressi dalle Sezioni Unite, secondo cui in tema di misure patrimoniali, la cessione di un credito ipotecario successiva al sequestro o alla confisca non preclude di per sé la tutela del creditore, ma impone un onere probatorio più gravoso.

Il creditore cessionario, per vedere riconosciuto il proprio diritto, è chiamato a dimostrare due elementi fondamentali:
1. La sussistenza originaria della buona fede e dell’incolpevole affidamento in capo al creditore che per primo ha concesso il finanziamento.
2. La propria buona fede, intesa come assenza di accordi fraudolenti con il soggetto i cui beni sono stati confiscati, volti a eludere la misura statale.

La Corte ha chiarito che questo secondo requisito non è un mero obiter dictum (un’affermazione non essenziale), ma un principio funzionale a garantire che la tutela dei terzi non diventi uno strumento per vanificare le finalità della confisca.

le motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione abbia correttamente motivato la propria decisione, individuando una serie di indici oggettivi che, nel loro complesso, dimostravano la mala fede della società cessionaria e la natura elusiva dell’intera operazione. In particolare, sono stati valorizzati i seguenti elementi:
* Il legame familiare: il rappresentante legale della società acquirente del credito era il figlio del condannato. Questo stretto rapporto ha fatto sorgere il sospetto di un’operazione condotta nell’interesse del nucleo familiare del condannato stesso.
* La tempistica delle operazioni: la società estera è stata costituita pochi giorni dopo la sentenza della Cassazione che rendeva definitiva la confisca, e poco dopo ha acquistato proprio quel credito specifico.
* La struttura dell’operazione: l’acquisto del credito è avvenuto a un prezzo notevolmente inferiore al suo valore nominale (circa 1,1 milioni di euro a fronte di un valore di 3,8 milioni). Se l’ipoteca fosse stata riconosciuta, la differenza sarebbe andata a diretto vantaggio di una società riconducibile alla famiglia del condannato, riducendo di fatto l’impatto economico della confisca.
* La dissimulazione: la costituzione di una società estera è stata interpretata come un tentativo di celare la riconducibilità dell’operazione alla famiglia del condannato.

In sostanza, secondo la Corte, l’operazione non era una normale transazione finanziaria, ma un meccanismo per consentire al proposto (o alla sua famiglia) di beneficiare indirettamente del bene confiscato, attraverso un prestanome. La finalità non era tutelare un credito, ma sottrarre valore al patrimonio dello Stato.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la tutela accordata ai creditori terzi in buona fede non può essere utilizzata come uno scudo per operazioni fraudolente o elusive. Chi acquista un credito garantito da un bene sottoposto a misure di prevenzione o a confisca penale deve agire con la massima diligenza e trasparenza. La Corte sottolinea che il giudice deve valutare non solo il momento genetico del credito, ma anche le circostanze concrete della sua circolazione, per verificare che non vi sia collusione con il soggetto destinatario della misura ablatoria. Questa decisione rappresenta un importante monito per gli operatori del mercato dei crediti deteriorati (NPL), che devono prestare particolare attenzione alla provenienza dei crediti e alla storia dei beni posti a garanzia.

Se un credito ipotecario viene ceduto dopo il sequestro del bene, il nuovo creditore può far valere l’ipoteca contro lo Stato?
Sì, in linea di principio può farlo, ma non è automatico. La cessione del credito non preclude la tutela, ma il nuovo creditore (cessionario) deve dimostrare sia la buona fede del creditore originario (chi ha concesso il finanziamento iniziale) sia la propria buona fede.

Cosa deve dimostrare il creditore che ha acquistato un credito (cessionario) per provare la sua buona fede?
Deve dimostrare, oltre alla buona fede originaria del cedente, la propria estraneità a qualsiasi accordo fraudolento con il soggetto colpito dalla confisca. In pratica, deve provare che l’acquisto del credito non è un’operazione finalizzata a eludere gli effetti della confisca a vantaggio del condannato o della sua famiglia.

Quali elementi possono indicare la mala fede del creditore cessionario in un’operazione di cessione del credito ipotecario?
La sentenza evidenzia diversi indici, tra cui: stretti legami familiari tra il cessionario e il condannato, una tempistica sospetta (es. acquisto del credito subito dopo la confisca definitiva), un prezzo di acquisto del credito notevolmente sproporzionato rispetto al suo valore, e l’utilizzo di strutture societarie estere per dissimulare la riconducibilità dell’operazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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