Cessazione Reato Permanente: La Cassazione Definisce i Poteri del Giudice
La determinazione del momento esatto in cui un’attività criminale si conclude è una questione di cruciale importanza nel diritto penale. Quando si parla di cessazione reato permanente, come un’associazione a delinquere, stabilire la data finale della condotta ha implicazioni dirette su prescrizione, pene e altri effetti giuridici. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i principi fondamentali che governano questa delicata fase del processo, chiarendo i ruoli del giudice dell’esecuzione e i limiti del ricorso in sede di legittimità.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato riguardava un soggetto condannato per aver fatto parte di un’associazione criminale dedita al traffico di sostanze stupefacenti. Dopo la condanna definitiva, l’imputato si è rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di delimitare la durata della sua partecipazione al gruppo criminale. Secondo la sua difesa, la condotta si sarebbe dovuta considerare terminata con il suo arresto o, al più, con quello di suo fratello, considerato una figura chiave del gruppo, avvenuto alcuni anni dopo.
La Corte d’Appello, tuttavia, agendo come giudice dell’esecuzione, aveva respinto questa tesi. Basandosi sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia emerse nel processo di merito, la Corte aveva concluso che il gruppo criminale era rimasto attivo come fornitore in una specifica piazza di spaccio fino a tutto il 2007, una data ben successiva agli arresti. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e sostenendo che l’interpretazione delle prove da parte della Corte territoriale fosse manifestamente illogica.
La Decisione della Cassazione sulla Cessazione del Reato Permanente
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando in pieno la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno sottolineato che l’analisi del ricorrente si traduceva in un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti e delle prove, un’attività preclusa al giudice di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore della motivazione della Corte si fonda su due pilastri giuridici fondamentali. In primo luogo, viene ribadito il principio secondo cui, in tema di reato permanente contestato in ‘forma aperta’ (cioè senza una data di cessazione precisa indicata nel capo d’imputazione), spetta al giudice dell’esecuzione il compito di accertare tale data. Questo accertamento deve avvenire attraverso un’analisi accurata di tutti gli elementi a disposizione emersi nel processo di cognizione. La Corte d’Appello ha svolto correttamente questo compito, basando la sua ricostruzione su una lettura non illogica delle prove testimoniali.
In secondo luogo, la Cassazione ha evidenziato come le argomentazioni della difesa, pur presentate come un vizio di motivazione, in realtà mirassero a contrapporre una diversa interpretazione delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia. La difesa sosteneva che, poiché il collaboratore aveva iniziato ad avere rapporti con altri fornitori in un certo periodo, fosse inverosimile che le forniture da parte del gruppo dell’imputato fossero proseguite. Tuttavia, per la Cassazione, questa non è una contraddizione insanabile o un’illogicità manifesta, ma semplicemente un aspetto fattuale la cui valutazione spetta al giudice di merito. Tentare di far valere questa diversa lettura in sede di legittimità equivale a riproporre ‘temi in fatto’, attività non consentita in Cassazione.
Conclusioni
La sentenza riafferma un principio cardine della procedura penale: la netta distinzione tra il giudizio di merito e quello di legittimità. La determinazione della cessazione reato permanente è una questione di fatto che, una volta definita dal giudice dell’esecuzione con una motivazione logica e coerente con le prove, non può essere rimessa in discussione davanti alla Cassazione. Questa pronuncia consolida il potere-dovere del giudice dell’esecuzione di definire con precisione i contorni temporali della condotta criminale, un passaggio essenziale per garantire la corretta applicazione della legge nella fase esecutiva della pena.
Chi stabilisce la data di fine di un reato permanente se non è indicata nella sentenza di condanna?
Spetta al giudice dell’esecuzione accertare la data di cessazione della condotta, analizzando accuratamente gli elementi probatori emersi nel corso del processo.
È possibile contestare la valutazione delle prove (come le dichiarazioni di un testimone) con un ricorso in Cassazione?
No, il ricorso per cassazione è limitato al controllo della corretta applicazione della legge e alla logicità della motivazione. Non è possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti o di fornire una diversa interpretazione delle prove.
In questo caso, perché la Corte ha ritenuto che il reato fosse proseguito anche dopo l’arresto dei membri principali?
La Corte ha ritenuto che la ricostruzione del giudice dell’esecuzione, basata sulle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, non fosse illogica. Secondo tali prove, il gruppo criminale aveva continuato a operare come fornitore in una determinata piazza di spaccio fino a tutto il 2007, data successiva agli arresti.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 29430 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 29430 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/06/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
NOME COGNOME
NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
Sul ricorso proposto da:
avverso l’ordinanza del 12/02/2025 della Corte d’Appello di Napoli vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha consluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
In particolare, premesso che la sentenza emessa in cognizione ha come data di emissione del dispositivo di primo grado quella del 8 novembre 2012, l’Aquino ha chiesto di delimitare la propria condotta associativa alla data dell’arresto (19 giugno 2003) o al piø a quella dell’arresto del fratello NOMECOGNOME avvenuto in data 15 marzo 2006.
Secondo il G.E., invece, dai contenuti della decisione emessa in cognizione si comprende (v. dichiarazioni di COGNOME NOME) che gli COGNOME erano ‘attivi’ come gruppo, in una determinata piazza di spaccio, in qualità di fornitori, sino a tutto il 2007 ed Ł dunque a tale data che va ancorata la permanenza.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle forme di legge COGNOME Raffaele. Il ricorso Ł affidato a una unica deduzione, espressa in termini di vizio di motivazione.
La difesa riporta nell’atto di ricorso il testo di alcune dichiarazioni rese da COGNOME NOME e sostiene che le conclusioni cui Ł pervenuta la Corte di Appello sono manifestamente illogiche. In particolare viene evidenziato che secondo il COGNOME il fornitore della sostanza era proprio COGNOME Felice e dunque la condotta al piø doveva essere delimitata al momento dell’arresto di costui. Ancora, si evidenzia che i rapporti di COGNOME con altri fornitori, ossia le persone di Torre Annunziata, erano iniziati – sempre in rapporto alla narrazione del collaborante – già nel corso del 2005 e ciò rende non
– Relatore –
Sent. n. sez. 2069/2025
CC – 12/06/2025
verosimile che le forniture degli Aquino siano proseguito fino a tutto il 2007.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł infondato, per le ragioni che seguono.
La Corte di Appello ha realizzato una corretta applicazione dei principi di diritto piø volte espressi, sul tema, da questa Corte di legittimità (v. di recente Sez. I n. 21928 del 17.03.2022, rv 283121, secondo cui in tema di reato permanente contestato nella forma cosiddetta “aperta”, qualora in sede esecutiva debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della condotta e questa non sia stata precisata nella sentenza di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione l’accertamento mediante l’analisi accurata degli elementi a sua disposizione).
In particolare la ricostruzione della gestione delle attività degli Aquino all’interno della piazza di spaccio – sino a tutto il 2007 – Ł stata realizzata tramite una lettura non illogica delle evidenze citate nella decisione emessa in cognizione, lì dove la prospettazione difensiva pretende di estrarre da alcuni stralci dichiarativi aspetti di contraddizione che non risultano avere una reale portata antagonista e che comunque finiscono con il riproporre temi in fatto, non esaminabili in questa sede.
Al rigetto del ricorso segue ex lege la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così Ł deciso, 12/06/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME