Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24507 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24507 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 28/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TAURIANOVA il 22/03/1986
avverso la sentenza del 07/01/2025 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria che ha condannato NOME Pietro Francesco per il reato di cui all’art. 76, comma 4, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) applicandogli la pena di mesi sette di arresto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo due motivi di ricorso di seguito enunciati secondo il disposto dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. la violazione di legge in relazione agli artt. 192, 526 e 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen.
Il ricorrente, in particolare, ha dedotto che la sentenza impugnata, al pari della sentenza di primo grado, ha omesso di considerare i motivi di appello con i quali si evidenziava che la situazione di indigenza economica dell’imputato, al momento del sorgere dell’onere di pagamento di cui all’art. 76, comma 4, cod. antimafia, risultava dimostrata dalla documentazione prodotta in giudizio e non dalla documentazione allegata all’ istanza di ammissione al gratuito patrocinio, ritenuta inidonea a provare lo stato di indigenza.
Il ricorrente ha rappresentato, infatti, che lo stato di indigenza doveva trarsi dalle ricevute rilasciate dalla “Croce Rossa Italiana” presso cui l’imputato sistematicamente si recava per mangiare e ritirare i vestiti; dal versamento alla ex moglie della somma di 100 euro a titolo di mantenimento per il figlio, oltre alle spese straordinarie.
Si deduce, più specificamente, che tale produzione documentale non è stata valutata; la sentenza impugnata, infatti, a pagina 3, contiene il riferimento alle sole condizioni economiche come addotte mediante la domanda di ammissione al gratuito patrocinio e che,alla successiva pagina 5 1 i1 riferimento è al reddito di cittadinanza percepito dall’imputato e ad ausili economici corrisposti dai genitori, ragioni per le quali è stato escluso lo stato di impossidenza, ostativo all’adempimento del versamento della
cauzione. La difesa ha, poi, dedotto che erroneamente la sentenza ha sostenuto che l’imputato vive con la famiglia.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha eccepito, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), la violazione di legge in ordine all’art. 62bis e 133 cod. pen., nonché l’assenza di una adeguata motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
In particolare, si afferma che il ricorrente sarebbe meritevole di dette circostanze per il comportamento collaborativo posto in essere non soltanto nel corso delle indagini preliminari, ma anche in sede dibattimentale, dando il consenso all’acquisizione dell’informativa.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale della Cassazione, NOME COGNOME ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Deve preliminarmente osservarsi che il ricorrente è stato condannato per la contravvenzione di cui all’art. 76 cod. antimafia, per non aver versato nel termine prescritto la cauzione imposta con il decreto del Tribunale di sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.
Difatti, il comma 4 della disposizione sanzionatoria richiamata prevede che «hi non ottempera, nel termine fissato dal tribunale, all’ordine di deposito della cauzione di cui all’articolo 31, ovvero omette di offrire le garanzie sostitutive di cui al comma 3 della medesima disposizione, è punito con la pena dell’arresto da sei mesi a due anni».
L’art. 31 cod. antimafia disciplina, quali misure di prevenzione patrimoniali diverse dalla confisca, la cauzione e altre garanzie reali, stabilendo, ai fini che qui rilevano, al comma 1, che « il tribunale, con l’applicazione della misura di prevenzione, dispone che la persona sottoposta a tale misura versi presso la cassa delle ammende una somma, a titolo di cauzione, di entità che, tenuto conto anche delle sue condizioni economiche e dei provvedimenti adottati a norma dell’articolo 22, costituisca un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte».
Si prevede, altresì, che il deposito della cauzione, ai sensi del comma 3, può essere sostituito, su istanza dell’interessato, dalla presentazione di idonee garanzie reali, quali il pegno o l’ipoteca legale sui beni immobili e, per effetto delle modifiche apportate dall’art. 9, comma 1, della legge del
17 ottobre 2017, n. 161, è, ora, previsto che «il Tribunale può disporre, in relazione alle condizioni economiche della persona sottoposta alla misura di prevenzione, che la cauzione sia pagata in rate mensili».
Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, non essendo previsto alcun limite massimo di valore della somma da versare presso la cassa delle ammende a titolo di cauzione, la determinazione dell’entità dell’importo è demandata alla discrezionalità del giudice, nell’ambito di una ponderata valutazione delle condizioni economiche del sottoposto e dei provvedimenti di urgenza adottati a norma dell’art. 22 del d.lgs. cit., in funzione di un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte. (Sez. 1, n. 29857 del 01/03/2019, COGNOME, Rv. 276600 – 01)
Va, poi, rilevato che la giurisprudenza di legittimità ha stabilito «che deve trovare applicazione il principio di diritto secondo cui la norma incriminatrice di cui in imputazione, la quale svolge una funzione rafforzativa degli obblighi imposti alla persona sottoposta a misura di prevenzione personale, è soggetta alle regole ordinarie in tema di colpevolezza in materia penale (cfr. Sez. 1, n. 13575 del 06/02/2001, COGNOME, Rv. 218785-01). Quest’ultima, in caso di reato omissivo, si declina anche in rapporto all’esigibilità della condotta che si sarebbe dovuta legalmente tenere. L’esistenza del reato di cui all’art. 76, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011 presuppone – dunque – che l’imputato sia in condizione di adempiere, con la conseguenza che la materiale impossibilità di provvedere al versamento della cauzione, causata da mancanza di disponibilità economica in capo a lui, comporta l’esenzione da responsabilità, come recentemente ritenuto da Sez. 1, n. 8567 del 12/02/2015, Burgio» (Sez. 1 n. 51874 del 29/10/2019 Rv. 277918 – 01).
2. Ciò posto, alla luce dei principi sopraindicati, va rilevato che la sentenza impugnata ha escluso, in modo logico e argomentato, l’impossibilità dell’adempimento del versamento della cauzione, nel termine prescritto, fornendo adeguata motivazione circa l’insussistenza di uno stato di indigenza del ricorrente, senza che su tale conclusione possa incidere l’omessa valutazione della documentazione indicata nel ricorso.
La sentenza impugnata, infatti, dà atto di una pluralità di condizioni alla luce delle quali afferma, ragionevolmente, l’insussistenza della impossibilità di adempimento, sicché la documentazione difensiva attestante che l’imputato sistematicamente si reca presso la “Croce Rossa Italiana” per mangiare e ritirare i vestiti e che versa alla ex moglie 100 euro a titolo di mantenimento per il figlio, oltre alle spese straordinarie, non
riveste carattere di decisività tale da disarticolare il percorso argomentativo della Corte di Appello.
Dalla sentenza risulta, infatti, che il ricorrente percepisce il reddito d cittadinanza e aiuti economici dei genitori, presso i quali si reca spesso a pranzo con il figlio; risulta altresì che vive regolarmente in una abitazione in relazione alla quale non dichiara di pagare un canone.
Né, come si evince dalle sentenze di merito, risulta che il ricorrente abbia proposto istanza di rateizzazione, come gli sarebbe stato consentito dalla disposizione di cui all’art. 31, comma 3, cod. antimafia, nè ha prospettato al Tribunale istanza di riduzione della somma, il cui importo viene valutato, ai sensi dell’art. 31, comma 1, cod. antimafia, proprio alla luce delle condizioni economiche del destinatario.
In conclusione, la Corte di Appello di Reggio Calabria, con motivazione immune da vizi logici, ha escluso la sussistenza di uno stato di indigenza tale da determinare l’impossibilità del versamento della cauzione pari, nel caso di specie, a millecinquecento euro, somma che il ricorrente avrebbe dovuto versare entro dieci giorni dall’inizio della esecuzione della misura di prevenzione della Sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, cui era stato sottoposto.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
In ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte territoriale ha rimarcato non solo la genericità della richiesta e la negativa personalità dell’imputato, ma anche l’insussistenza in atti di specifici elementi positivi in grado di giustificare la concessione del beneficio.
Tale motivazione è da reputarsi adeguata in base all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, a tal riguardo, ha affermato che il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il dl. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato”). (Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986).
Infine, deve anche rilevarsi che la deduzione difensiva circa il comportamento collaborativo del ricorrente nel corso del procedimento sottopone al Collegio una valutazione di elementi fattuali estranei al sindacato di legittimità.
4. Per le ragioni che precedono il ricorso va, dunque, rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2025.