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Causa di non punibilità: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato contro la sentenza della Corte d’Appello che negava l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). La Suprema Corte ha stabilito che il ricorso era una mera ripetizione delle argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza sollevare specifiche critiche alla decisione impugnata, che si basava sulla violenza e reiterazione della condotta dell’imputato.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Causa di non punibilità: quando il ricorso è solo una perdita di tempo

L’istituto della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotto dall’art. 131-bis del codice penale, rappresenta un importante strumento di deflazione processuale. Tuttavia, il suo corretto utilizzo è fondamentale, come dimostra una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Con la decisione in esame, la Suprema Corte ha chiarito che un ricorso basato sulla richiesta di applicazione di tale istituto, se non adeguatamente motivato, rischia di essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. I giudici di secondo grado avevano confermato la sua responsabilità penale, negando l’applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p. La Corte d’Appello aveva motivato la propria decisione sottolineando come le modalità della condotta, giudicate ‘particolarmente violente e reiterate’, fossero ostative al riconoscimento della particolare tenuità del fatto.

Nonostante questa chiara presa di posizione, l’imputato decideva di presentare ricorso per Cassazione, lamentando un vizio di motivazione proprio in relazione al diniego della suddetta causa di esclusione della punibilità.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla causa di non punibilità

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, con ordinanza del 28 maggio 2024, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del processo di legittimità: la non specificità dei motivi di ricorso. Secondo la Corte, l’imputato si è limitato a una ‘pedissequa reiterazione’ degli stessi argomenti già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello.

In pratica, il ricorso non conteneva una critica argomentata e specifica contro la sentenza impugnata, ma si risolveva in una semplice riproposizione delle proprie tesi, senza confrontarsi con le ragioni addotte dai giudici di merito.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha evidenziato come il giudizio della Corte d’Appello sulla natura ‘violenta e reiterata’ della condotta costituisca una valutazione di fatto, insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso di specie, è sorretta da una motivazione logica e coerente. Il ricorso per Cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.

Il motivo presentato dall’imputato è stato quindi considerato ‘non specifico’ e ‘soltanto apparente’, poiché ometteva di assolvere alla funzione tipica dell’impugnazione: quella di sottoporre al giudice superiore una critica puntuale e ragionata del provvedimento che si contesta. Un ricorso che non svolge questa funzione è, per la giurisprudenza costante, inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Conclusioni

Questa pronuncia ribadisce un insegnamento fondamentale per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione. Non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione di un giudice di merito; è necessario articolare motivi di ricorso specifici, che attengano a vizi di legittimità (violazione di legge o vizio di motivazione) e che si confrontino criticamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La semplice riproposizione di argomenti già disattesi è una strategia destinata al fallimento, che comporta non solo la conferma della condanna ma anche un ulteriore aggravio di spese per il ricorrente.

Per quale motivo il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché costituiva una ‘pedissequa reiterazione’, ovvero una semplice ripetizione, di motivi già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito. Mancava di una critica argomentata e specifica contro la sentenza impugnata.

Su quali basi la Corte d’Appello aveva negato la causa di non punibilità?
La Corte d’Appello aveva negato l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. ritenendo che le modalità della condotta, giudicate ‘particolarmente violente e reiterate’, non fossero compatibili con la particolare tenuità del fatto richiesta dalla norma.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della decisione della Cassazione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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