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Causa di non punibilità: quando non si applica?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un uomo che aveva reso falsa testimonianza, giustificandola con presunte minacce ricevute durante un’aggressione. La Corte ha stabilito che la causa di non punibilità non si applica se il presunto stato di pericolo è smentito dal comportamento stesso della persona, che nell’immediatezza dei fatti aveva fornito una versione diversa e veritiera. Il ricorso è stato rigettato in quanto mera riproposizione di censure già esaminate e respinte.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Causa di Non Punibilità: Minaccia Non Basta a Giustificare la Falsa Testimonianza

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui limiti di applicazione della causa di non punibilità prevista dall’articolo 384 del codice penale. Il caso riguarda un imputato che, dopo aver subito un’aggressione, ha reso false dichiarazioni in sede di esame testimoniale, sostenendo di aver agito per paura di ritorsioni contro sé stesso e la sua famiglia. La Suprema Corte, confermando la decisione dei giudici di merito, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la semplice affermazione di uno stato di pericolo non è sufficiente a giustificare il reato, soprattutto quando smentita dai fatti stessi.

I Fatti del Caso: tra Aggressione e False Dichiarazioni

La vicenda trae origine da un grave episodio di violenza, un accoltellamento, a seguito del quale la vittima aveva fornito una prima versione dei fatti agli inquirenti. Successivamente, durante il processo a carico del suo aggressore, la stessa persona rendeva dichiarazioni di segno diverso, poi rivelatesi false.

Per giustificare questo cambiamento, l’imputato invocava la causa di non punibilità e l’esimente dello stato di necessità (art. 54 c.p.), affermando di aver agito sotto la minaccia di gravi ripercussioni sulla sua compagna e sui suoi figli. Tali minacce sarebbero state formulate dall’aggressore proprio al momento dell’accoltellamento.

La Valutazione dei Giudici di Merito

La Corte d’Appello aveva già respinto questa linea difensiva. I giudici avevano osservato, con una motivazione logica e completa, come il presunto stato di pericolo fosse contraddetto dal comportamento stesso dell’imputato. Egli, infatti, nell’immediatezza dei fatti, non aveva mostrato alcun timore nel rendere le sue prime dichiarazioni, che si sono poi rivelate quelle veritiere. Questo elemento è stato considerato decisivo per escludere che la falsa testimonianza fosse stata determinata da un pericolo effettivo e attuale.

Inoltre, la Corte territoriale aveva negato l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), sottolineando l’essenziale valenza delle dichiarazioni false, le quali vertevano sul fulcro stesso della vicenda processuale a carico dell’aggressore, rendendo la condotta tutt’altro che inoffensiva.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Causa di Non Punibilità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, qualificandolo come “manifestamente infondato e riproduttivo di identica censura”. In altre parole, la difesa non ha fatto altro che riproporre gli stessi argomenti già correttamente confutati in appello, senza addurre nuovi elementi di diritto.

I giudici di legittimità hanno pienamente condiviso l’analisi della Corte d’Appello, confermando che il solo ipotizzato rischio di ritorsioni, per di più smentito dall’assenza di pericolo percepito al momento delle prime dichiarazioni, non integra i presupposti per l’applicazione né dell’art. 384 c.p. né dell’art. 54 c.p. La condotta processuale dell’imputato ha dimostrato una contraddizione insanabile tra il timore dichiarato e quello effettivamente patito.

La Corte ha inoltre confermato che la valutazione sulla scarsa offensività della condotta ai fini dell’art. 131-bis c.p. è stata corretta, poiché le false dichiarazioni avevano un peso determinante nel processo e non potevano essere considerate di lieve entità.

Conclusioni

La decisione riafferma un principio fondamentale: la causa di non punibilità non può essere invocata come un passe-partout per giustificare condotte illecite. Lo stato di necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento deve essere concreto, attuale e non altrimenti evitabile. Non può fondarsi su un timore meramente soggettivo o ipotetico, specialmente se il comportamento della persona stessa contraddice l’esistenza di tale stato di paura. L’ordinanza serve da monito sulla serietà del dovere di dire la verità in sede processuale e sulle conseguenze di un ricorso inammissibile, che comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Una minaccia subita durante un’aggressione giustifica sempre una falsa testimonianza successiva?
No. Secondo la Corte, il solo ipotizzato rischio di ritorsioni non è sufficiente per applicare la causa di non punibilità, specialmente se il comportamento della persona subito dopo i fatti (come rendere dichiarazioni veritiere) smentisce l’esistenza di un reale stato di pericolo.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e correttamente respinte dalla Corte d’Appello, senza introdurre nuovi o validi motivi di contestazione della sentenza impugnata.

Quando una falsa testimonianza può essere considerata di ‘scarsa offensività’ (art. 131-bis c.p.)?
Nel caso specifico, la Corte ha stabilito che le false dichiarazioni non potevano essere considerate di scarsa offensività perché avevano un’importanza cruciale, riguardando il punto centrale della vicenda processuale a carico dell’aggressore, e quindi non erano affatto di lieve entità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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