Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24121 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24121 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 21/10/1970
avverso la sentenza del 10/10/2024 della Corte d’appello di Roma
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma del 25/09/2023, che aveva condannato COGNOME NOME per il delitto di cui agli artt. 81 c.p., 7 d.l. 4/2019 d. lgs. 74/2000 alla pena di anni 2 di reclusione.
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge in riferimento al mancato riconoscimento della causa di non punibilità dell ‘ articolo 131bis cod. pen. e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile.
3.1. Quanto all ‘ articolo 131bis cod. pen., la sentenza chiarisce, con valutazione in fatto insuscettibile di rivalutazione in sede di legittimità, che il reato non poteva ritenersi
né di lieve entità né occasionale, posto che la condotta si è protratta per sette mesi e la somma indebitamente percetta è pari a 3.500 euro, importo non trascurabile.
Tale motivazione risulta fare buon governo dei principi stabiliti da questa Corte, la quale ritiene addirittura che la motivazione possa risultare implicitamente dall’argomentazione con la quale il giudice d’appello abbia considerato gli indici di gravità oggettiva del reato e il grado di colpevolezza dell’imputato, alla stregua dell’art. 133 cod. pen., per stabilire la congruità del trattamento sanzionatorio irrogato dal giudice di primo grado (Sez. 5, n. 15658 del 14/12/2018, dep. 2019, Epidendio, Rv. 275635 – 02).
3.2. Quanto alle circostanze attenuanti generiche, la doglianza è inammissibile.
Il Collegio rammenta che tali circostanze non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale «concessione» del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena” (cfr., Sez. 2, n. 14307 del 14.3.2017, COGNOME; Sez. 2, n. 30228 del 5.6.2014, COGNOME); il loro riconoscimento non costituisce, pertanto, un diritto dell’imputato, conseguente all’assenza di elementi negativi, ma richiede elementi di segno positivo (v. ex multis sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, COGNOME, Rv. 281590; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, n.m.); inoltre, stante la ratio della disposizione di cui all’art. 62-bis cod. pen., al giudice di merito non è richiesto di esprimere una valutazione circa ogni singola deduzione difensiva, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti (sez. 2 n. 3896 del 20/1/2016, Rv. 265826; sez. 7 n. 39396 del 27/5/2016, Rv. 268475; sez. 4 n. 23679 del 23/4/2013, Rv. 256201), rientrando la stessa concessione di esse nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, il cui esercizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo (sez. 6 n. 41365 del 28/10/2010, Rv. 248737). Non è neppure necessario esaminare tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ma è sufficiente specificare a quale si sia inteso far riferimento (sez. 1, n. 33506 del 7/7/2010, Rv. 247959; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi, Rv 242419).
Rileva altresì la Corte che «il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice -come nel caso in esame, in cui in senso analogo si era pronunciato il giudice di primo grado con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62 -bis , disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella legge 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale, ai fini della concessione della diminuente, non é più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato ( Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022,
COGNOME, Rv. 283489 -01; Sez. 1, Sentenza n, 39566 del 16/02/2017, COGNOME, Rv. 270986 – 01)».
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 11/04/2025.