Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14849 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14849 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica di Salerno nel procedimento a carico di COGNOME NOMECOGNOME nato il 14/06/1974 a Salerno avverso la sentenza del 04/10/2024 della Corte di appello di Salerno;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla Consigliera NOME Di NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata;
letta la memoria difensiva dell’Avvocata NOME COGNOME nell’interesse di NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di appello Salerno ha rigettato l’appello del Pubblico ministero confermando la pronuncia di non luogo a procedere emessa dal Tribunale di Salerno nei confronti di NOME COGNOME in ordine al delitto di favoreggiamento personale, per applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., con riferimento alla redazione di due atti dichiarazione testimoniale, apparentemente riconducibili ad NOME COGNOME e NOME COGNOME, nei quali si dava atto che il figlio, NOME COGNOME avesse prestato attività lavorativa presso la loro ditta sino alle ore 19:30 del giorno 9 maggio 2022 orario incompatibile rispetto al delitto di lesioni personali aggravate per il quale era indagato.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso il Procuratore generale della Repubblica di Salerno deducendo, come unico motivo di ricorso, l’errata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., avendo la sentenza impugnata stabilito un automatismo, fondato sul solo legame familiare tra il favoreggiatore e il favorito, in assenza di accertamenti fattuali circ l’inesigibilità della condotta penalmente rilevante che, comunque, nel caso di specie non sussisteva in quanto l’imputato aveva volontariamente creato un quadro probatorio difforme dalla realtà per fornire al figlio un falso alibi.
Il giudizio di cassazione si è svolto a trattazione scritta, ai sensi dell’art 23, comma 8, d.l. n. 137 del 2020, convertito dalla I. n. 176 del 2020 per come prorogata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è fondato.
2.Va premesso che il delitto di favoreggiamento è configurabile non solo quando il comportamento dell’agente sia diretto ad eludere le investigazioni, ma anche quando sia preordinato a turbare l’attività di ricerca ed acquisizione della prova da parte della magistratura e la selezione del materiale probatorio raccolto ai fini della decisione (da ultimo Sez. 6, n. 31168 del 09/05/2023, COGNOME, Rv. 285083; Sez. 5, n. 18110 del 12/03/2018, COGNOME, Rv. 273180).
3.Nel caso in esame le sentenze di merito, senza valutare la condotta concretamente posta in essere dall’imputato di precostituzione di un falso alibi con testimonianze mendaci correlandola al reato presupposto commesso dal figlio, indagato per lesioni aggravate, hanno applicato l’art. 384 cod. pen. sulla base del solo vincolo di parentela tra favoreggiatore e favorito.
La menzionata disposizione sancisce la non punibilità di colui che abbia commesso alcuno dei delitti previsti dagli artt. 361,362,363,364,365,366,369,371 bis, 371 ter, 372,373,374 e 378 c.p., “per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore” e trova la propria ragion d’essere nel principio dell’ inesigibilità di condotte giuridiche autolesive (tra le tante, Sez. 6, n. 7006 de 08/01/2021, COGNOME, Rv. 280840).
Secondo le Sezioni unite di questa Corte l’art. 384, primo comma, cod.pen. introduce una causa di esclusione della colpevolezza volta ad evitare la punibilità di chi abbia posto in essere uno dei reati contro l’amministrazione della giustizia espressamente indicati dalla norma al fine di non nuocere all’onore o alla libertà propri o di un prossimo congiunto (Sez. U, n. 10381 del 26/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280574).
Diversamente da quanto avviene per le scriminanti, nel caso di specie non si bilanciano interessi in conflitto, attesa la profonda eterogeneità e incomparabilità tra il bene individuale della libertà o dell’onore e quello colletti dell’amministrazione della giustizia, tanto da non essere richiesto, dalla disposizione in esame, il requisito della proporzione, come invece stabilito per lo stato di necessità di cui all’art. 54 cod.pen. (Sez. 5, n. 18110 del 12/03/2018, COGNOME, Rv. 273180).
Se, dunque, come ormai unanimemente ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, l’art.384 cod. pen. tipizza una causa di esclusione della colpevolezza volta a valorizzare la situazione soggettiva che spinge l’autore alla commissione dei reati contro l’amministrazione della giustizia elencati, è imposta una lettura stringente del contesto costrittivo che conduce a scongiurare un nocumento grave ed inevitabile per la libertà o l’onore.
E’ quanto avviene nel caso della falsa testimonianza in cui, di fronte all’obbligo giuridico di dire la verità, il soggetto deve scegliere tra autoincriminar o mentire. È proprio l’assenza di alternative, o meglio, l’assoluta certezza di non averne, ad escludere che, invece, l’agente possa andare esente da pena in base alla generica esigenza di salvare sé o un prossimo congiunto da una probabile incolpazione o dallo svolgimento di attività investigative.
Da detto inquadramento giuridico consegue che l’esimente, tenuto conto delle circostanze del caso concreto valutate secondo il parametro della massima
diligenza esigibile, potrà operare soltanto quando la condotta illecita si presenti all’agente come l’unica in grado di evitare un grave pregiudizio per la libertà o per l’onore proprio o altrui (Sez. 6, n. 31168 del 09/05/2023, COGNOME, Rv. 285083; Sez. 6, n. 34777 del 23/09/2020, COGNOME, Rv. 280148).
Come correttamente rappresentato dal Procuratore generale, dunque, è questa stretta costrittiva ad alterare le motivazioni dell’agente nella consumazione del delitto e ad abbassare la pretesa statuale di pretendere da quel medesimo soggetto la conformità ad una condotta giuridicamente lecita prevalendo il condizionamento conseguente a specifiche circostanze.
Ne consegue che la struttura dell’esimente, per come delineata dalla Cortè di legittimità, deve rendere il comportamento astrattamente illecito, in relazione alla situazione oggettiva del caso concreto, l’unica opzione per scongiurare pregiudizi in capo al soggetto attivo o ai suoi prossimi congiunti.
Il giudice, dunque, deve verificare, innanzitutto, che vi sia un rapporto di stringente derivazione tra il favoreggiamento e l’esigenza di tutela dei menzionati beni della libertà e dell’onore secondo criteri di inderogabile conseguenzialità e non di semplice supposizione (Sez. 6, n. 19110 del 02/04/2015, COGNOME, Rv. 263504) e, in secondo luogo, che non sia praticabile alcuna scelta alternativa parametrata sul modello medio di diligenza preteso dalle leggi.
Non condivisibile, nel caso in esame, l’interpretazione offerta dal precedente invocato dalla sentenza impugnata (Sez. 6, n. 15327 del 14/02/2019, COGNOME, Rv. 275320) che, riprendendo altra pronuncia (Sez. 6, n. 37398 del 16/06/2011, COGNOME, Rv. 250878), ritiene che l’immutazione volta ad eludere le investigazioni ed evitare un procedimento penale sia sempre espressione del principio generale del nemo tenetur se detegere in quanto «l’interesse di libertà che egli persegue si immedesima, senza soluzione di continuità temporale e ideativa, nell’esercizio dell’inviolabile diritto di difesa. Diritto e valore di rango costituzionale (art. secondo comma Cost), al pari di quello incarnato dalla non fuorviata e giusta amministrazione della giustizia (artt. 111 e 112 Cost)».
Al di là dell’essere, quella richiamata, trattarsi di un’interpretazione relativ a ben altra fattispecie concreta (false dichiarazioni rese nell’immediato ai funzionari della ASL dagli operari di un cantiere in cui si era verificato un infortunio per favorire il datore di lavoro) rispetto a quella oggetto di esame l’evocazione del diritto di difesa è fuorviante. Infatti, la menzionata disposizione costituzionale, innanzitutto, non può estendere la propria portata al di fuori dell’ambito processuale al quale espressamente si riferisce, inoltre, non rende certamente lecito un comportamento diverso da quello dovuto quando questo sia lesivo di interessi penalmente tutelati.
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Se, dunque, il diritto di difesa comporta, oltre a facoltà ed obblighi, la non assoggettabilità ad atti di costrizione tendenti a provocare un’autoincriminazione,
non può dirsi che consenta di violare regole di comportamento poste a tutela di interessi non legati alla pretesa punitiva (Sez. 5, n. 18110 del 12/03/2018,
COGNOME, Rv. 273180, in motivazione § 7.8), in quanto non include il diritto di recare offese ulteriori (Sez. 5, n. 6650 del 22/01/1992, COGNOME, Rv. 190500).
La ratto
e i limiti di operatività dell’esimente, evincibili dal dato testual dell’art.384 cod. pen., ruotano intorno alla condizione costrittiva in cui l’agente
ritiene di trovarsi limitandone la libertà di scelta e, dunque, la volontà.
La Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi indicati allorché
ha ritenuto che la condotta dell’imputato di avere costruito un falso alibi, attraverso dichiarazioni mendaci di terzi inconsapevoli, rientrasse nell’ambito
dell’art. 384 cod. pen. costituendo l’unico efficace mezzo di difesa per tutelare il figlio, accusato di lesioni aggravate (pag. 3), in quanto, in tal modo, in assenza di
qualsiasi condizione costrittiva e necessitata, si consentirebbe l’indiscriminata violazione di precetti penali. Né un principio come quello affermato dalla sentenza
impugnata può desumersi da altre disposizioni codicistiche che esprimono un principio opposto come si evince dall’art. 61, n. 2, cod. pen. che prevede l’aggravamento del reato commesso “per occultarne un altro, ovvero per conseguire…. l’impunità” ( Sez. 5, n. 6650 del 22/01/1992, COGNOME, cit.).
Nella specie la creazione di un falso alibi, peraltro attraverso soggetti ignari, ha provocato un’obiettiva alterazione delle attività di ricerca ed acquisizione delle prove idonee a sviare le investigazioni in corso (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555) con corrispondente volontaria, e non obbligata, lesione dell’interesse pubblico alla corretta amministrazione della giustizia.
Alla stregua degli argomenti che precedono la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli.
P.Q.M.
2 GLYPH appello di Napoli. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di
Così deciso il 12 marzo 2025